27 gennaio 2015

In due mesi

In due mesi sarà la sesta volta che sullo schermo proietto Renzi che fa Ok col pollice, Renzi che sorride, la scritta Jobs Act con glitter, neon, kabuki e cotillons, il logo Jobs Act, immagini di muscoli con tatutato Jobs Act, le aziende ci credono molto più di quanto dall'esterno si percepisca, se è furbo come sembra porta a casa un altro giro.

In due mesi sarà la quarta volta che ho come ospite, presente, collegato, o con contributo video, Farinetti e la sua Eataly, se non è lui perché impegnato su altro palco è il figlio, le aziende guardano quel modello come un modello da replicare.

In due mesi ho ricevuto due prove di cosa significhi essere regista: significa che quando sono io mi prendo meriti che non sono solo miei, quando è un altro si prende meriti che sono solo miei.
E io devo incassare.
Ma sorridere col cazzo, tu me lo leggerai in faccia perché io e te lo sappiamo che senza di me questa volta questo successo tu a casa non lo portavi.

In due mesi ho ricevuto diversi segnali che la misura è colma.
Non mi sveglio più in tempo, non ho più pazienza, tratto male i clienti là dove per male si intende come è giusto quando è giusto, faccio errori mai fatti, metto a rischio il lavoro di tutti.
Solo che me ne sono accorto solo io, perché da fuori continuano a chiamarmi "il migliore in Italia" e questo significa che devo andarmene prima che il bluff si sveli.

Lavorare al Lingotto per me è già una prova che ogni volta mi richiede ben più delle mie usuali, quanto notevoli, forze.
Seguire i colleghi che vanno a mangiare al suo interno a due metri dalla porta per l'inferno in orario in cui è aperta, è stato il mio bunjee jumping fino a oggi tanto temuto.
Fatto anche questo passo, al tempo giusto, nel modo giusto.
Tensione, pensieri, ma alla fine la vita ha preso il sopravvento e non ho più avuto paura.
Quanti anni rubati alla via per la felicità e non poterli pretendere indietro è l'unico vero prezzo da pagare alla scommessa.



16 gennaio 2015

Take me home country girl

Quattro città in cinque giorni.
Otto ore di sonno complessive.
Qualche centinaio di chilometri.
Un albergo diverso ogni notte.
Quello che vorrei scrivere non posso scriverlo, quello che posso scrivere non voglio scriverlo.
Vorrei scrivere di cose belle avvenute e non solo sognate, solo che non ho tempo di farle avvenire e ultimamente nemmeno di sognarle, quindi non vedo perché quel poco dovrei dedicarlo a raccontare come le vorrei e non come le ho volute.
Perché le ho tutte volute o non volute io, alla fine non si scappa.
Il meglio non l'ho voluto, il peggio non l'ho impedito.

"Sei un gran lavoratore" ha suono antico di nobiltà d'animo, di una mano morbida, di un film su un divano accogliente, di una tovaglia colorata con piatti colorati e bicchieri colorati, di un sonno lungo e sereno come non faccio da anni.
Non aspettarmi sveglio, non lo sono.
Riposami e tutto.


5 gennaio 2015

Perché avevo voglia di sentirlo ma non di cercarlo

Molti molti anni fa andai a vivere per qualche mese all'estero, un'esperienza caratterizzata da mesi senza una lira in tasca in quel modo là che devi scegliere se pranzare o cenare, certo non puoi comprare musica.
Alla partenza, per fretta e inesperienza ai viaggi non portai via nessuna cassetta musicale se non quella che avevo nel walkman (cassetta...walkman...in volume un paio di decadi, in valore due secoli fa accipicchia) e che per motivi economici fu l'unica che ascoltai per l'intera durata dell'esperienza, mesi e mesi sempre la stessa cassetta, sul lato A era Pirata dei Litfiba, sul B era Pino Daniele, non nel senso del cantante ma proprio dell'album del '79, forse uno dei suoi più belli e non solo perché se lo ascolti per mesi è ovvio che lo diventi.
Senza stare a far l'elenco tanto chiunque può cercarselo, una delle migliori serie di brani del suo periodo migliore.
Ascoltandolo per mesi, mesi nei quali la lontananza da casa si portò appresso diversi momenti complicati a cavallo della difficoltà oggettiva della vita sul posto e quella soggettiva della distanza dagli amori a casa, ogni parola di quelle canzoni si è così sigillata a un momento speciale, a una telefonata, a una dedica, un pensiero.
Passassero altri cinquant'anni per me Pino Daniele rimarrà quello che mi ha fatto compagnia e mi ha tenuto emotivamente acceso, quello che mise in musica la poesia di Troisi, quello che il mio maestro di chitarra definì Uno dei migliori chitarristi non in Italia ma nel mondo e il mio maestro di chitarra era uno che suonò con De Lucia, non l'ultimo cretino dai facili entusiasmi, insomma.
Stanotte alle 4 mi infilavo a letto con RaiNews accesa, mentre il cronista dava i primi lanci augurandosi che non fossero veri e trattenendo a stento una commozione che devo riconoscere in poche altre occasioni di morti note ho fatto anch'io fatica a trattenere, usando come unica conferma il tweet di un Ramazzotti che alle 4 del mattino ha voluto sigillare con l'implacabile certezza quella che come poche altre volte tutti ci siamo augurati fosse una bufala.
Questo fatto che la gente muoia io non lo so se riuscirò ad accettarlo come definitivo una volta per tutte come età mi dovrebbe permettere, mi sembra ogni volta così assurdo, evitabile, intollerabile.
Mancherà molto, nonostante dopo il tour insieme a Jovanotti ed Eros non fu mai più quello capace di scrivere capolavori come questo, una delle sue più belle e nello stesso momento meno note (e no, non è "sceglila sconosciuta così fai la figura dell'esperto", è che è proprio una delle meno note e nello stesso momento una delle più belle), così bella che se devo sceglierne una per dirgli ciao allora è questa, prima che tra cinque secondi dica Anzi no questa e poi No aspetta quest'altra
Che perdita accidenti.