Attraverso paludi nelle quali la mia laurea, honoris causa, in nuoto a delfino curioso dovrebbe farmi creare vere e proprie coreografie da sincronizzato con me stesso, invece di quell'approssimazione di speranza di arrivare a riva che oggi mi fa da unico e al momento persino affidabile timone.
Verbalizzo enormità che fanno tanto rumore quanto ne fa una matita che cade sulla sabbia, in tasca un carnet di quanti, facciamo cinque, treni così veloci che frasi più lunghe di quattro parole finiscono quando è già alla stazione successiva e io ancora non ho nemmeno finito l'incipit, tocca industriarsi nella sintesi di nuove matite le più colorate possibili lanciate sulla sabbia sperando ne esca un castello, fossi capace sarebbe già accaduto mi dice lo zerovirgolazerotrepercento di realismo che con fatica mi sono costruito come doppio cieco necessario nei momenti in cui sono quello che vorrei essere.
Ho un telefono inventato nel quale su una sim inventata ho memorizzato un numero inventato a cui ogni giorno mando messaggi inventati che ricevono risposte inventate piene di pensieri inventati a forma di occhi che chiedono di conservare il segreto della commozione in cambio del dono della condivisione.
Lo so che non lo realizzerò questo castello, non sono molte le realizzazioni che so raggiungere con margine di errore vicino allo zero quanto quelle che riguardano le illusioni e lo so, quello che devo sapere lo so, vivo come non lo sapessi ma è la cosa che so più di tutte.
Quello che invece non so e questa davvero non la so, e non la so come non la so mai ogni volta che capita e capita ogni volta in cui sono quello che vorrei essere, è perché ogni volta che sono come vorrei essere e per questo racconto come sogno il mio domani, non quello metaforico ma proprio mercoledì, giovedì, se si chiama Domani è perché venerdì è già troppo, si formi intorno la fila di persone che ci tengono a ricordarmi che tra il mio dire e il salpare per quel meraviglioso mare c'è di mezzo quello che io non potrò mai fare.
Verbalizzo enormità che fanno tanto rumore quanto ne fa una matita che cade sulla sabbia, in tasca un carnet di quanti, facciamo cinque, treni così veloci che frasi più lunghe di quattro parole finiscono quando è già alla stazione successiva e io ancora non ho nemmeno finito l'incipit, tocca industriarsi nella sintesi di nuove matite le più colorate possibili lanciate sulla sabbia sperando ne esca un castello, fossi capace sarebbe già accaduto mi dice lo zerovirgolazerotrepercento di realismo che con fatica mi sono costruito come doppio cieco necessario nei momenti in cui sono quello che vorrei essere.
Ho un telefono inventato nel quale su una sim inventata ho memorizzato un numero inventato a cui ogni giorno mando messaggi inventati che ricevono risposte inventate piene di pensieri inventati a forma di occhi che chiedono di conservare il segreto della commozione in cambio del dono della condivisione.
Lo so che non lo realizzerò questo castello, non sono molte le realizzazioni che so raggiungere con margine di errore vicino allo zero quanto quelle che riguardano le illusioni e lo so, quello che devo sapere lo so, vivo come non lo sapessi ma è la cosa che so più di tutte.
Quello che invece non so e questa davvero non la so, e non la so come non la so mai ogni volta che capita e capita ogni volta in cui sono quello che vorrei essere, è perché ogni volta che sono come vorrei essere e per questo racconto come sogno il mio domani, non quello metaforico ma proprio mercoledì, giovedì, se si chiama Domani è perché venerdì è già troppo, si formi intorno la fila di persone che ci tengono a ricordarmi che tra il mio dire e il salpare per quel meraviglioso mare c'è di mezzo quello che io non potrò mai fare.