Ci ho messo un po’ perché dovevo prima incrociare due dati e qualche nome, per essere completo, ma alla fine eccoci qui con la nuova puntata di “cosa ti sta apparecchiando il governo mentre i media si imbavagliano da soli per non essere imbavagliati da chi non li vuole imbavagliare perché gli vanno benissimo così”.
Dicevo, la mia amica che si infastidisce per il mio parlare sempre di politica e che dice di voler fare un figlio, non sa che.
Non sa che su suggerimento del prof Giorgio Vittori, presidente della Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia) e di Antonio Picano, presidente dell’associazione Strade (Studio e TRAttamento della DEpressione) onlus, il governo, attraverso l’interessamento dell’onorevole Giuseppe Galati che naturalmente non s’è perso l’occasione di avere due applausi da oltretevere traducendola immediatamente in interrogazione parlamentare, sta valutando l’utilizzo del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) extraospedaliero per le donne che danno segnali di depressione post partum.
Non che “soffrono” di DPP, attenzione (non che sarebbe meno terrificante, ma in realtà è peggio), ma che ne danno anche solo segnali.
Tì-Esse-Ò.
Com’è, presentata così?
Sufficientemente terrificante?
No.
La mia amica per esempio in quelle quattro righe là sopra non ci leggerebbe nulla che la riguardi e quindi, secondo un modello che caratterizza non poche delle persone che conosco, nulla che la preoccupi.
Primo perché alla seconda riga mi avrebbe già mandato affanculo perché troppo complicate, secondo perché sicuramente convinta che la depressione post partum sia una condizione che investe donne che già prima sono svalvolate, cosa che nessuna direbbe di sé stessa anche quando la condizione fosse innegabile.
Allora io per spiegare bene alla mia amica cosa sia contenuto in quelle quattro righe là sopra, dovrei prima fare un lavoro di informazione riguardo ai nomi che ci ha letto, così da cominciare a mostrarle un tassello alla volta, con i quali arrivare poi insieme all’inquietante totale.
E quello quindi vado a fare, soffermandomi solo su alcuni dettagli utili a focalizzare la scenografia:
Antonio Picano:
Dice di sé:
“Io ho impostato la mia vita al servizio di Dio (anche il mio servizio psichiatrico), anche se nel mio mondo il cristianesimo viene considerato una eresia. Ho sempre ottenuto dei risultati straordinari, anche perché ho cercato di aiutare nella Grazia. Seguo il Papa, il credo della Chiesa Cattolica, ho fatto volontariato, faccio parte di una Associazione Missionaria.”
Per comprendere il mondo nel quale viene catapultato il paziente che incontra questo psichiatra, suggerisco di leggersi tutto il link dal quale sono estratte quelle poche parole.
Giuseppe Galati:
Dopo essersi occupato tra le altre cose dell’invasione del pomodoro cinese, conferma la sua attenzione alla condizione della donna, chiedendo interventi statali anche al fine di impedire loro di fumare.
Fondamentale per comprendere, è un estratto delle poche righe con le quali introduce la sua interrogazione:
“Tra i vari rischi del fumare in gravidanza ci sono un aumento del rischio di aborto o di parto prematuro, di nati morti e di morte in culla, ricordano gli scienziati.”
Per comprendere il tono dell’interrogazione parlamentare riguardante questa proposta, è invece sufficiente leggersi un breve estratto dalla stessa nel quale, dato il suo ruolo politico, non ha nemmeno la cautela di indossare quei guanti di velluto che al contrario i medici hanno se non altro la decenza di simulare per non essere stanati al volo:
“La proposta prevede che un'equipe specializzata si occupi, 24 ore su 24, delle donne «con comportamento omicida, tutelando così sia la madre che il figlio». Arma vincente nella prevenzione e cura di questi casi psichiatrici sembra essere la diagnosi precoce. Le varie associazioni tendono a sottolineare che oggi non esiste una protezione reale per il bambino e per la donna, che sono necessarie delle attenzioni particolari per la paziente che ha una condizione a rischio e che il bambino deve essere tutelato esplicitamente”
Fatto il quadro dell’aria che si respira nelle stanze nelle quali si sta discutendo questa proposta, alla mia amica servirà necessariamente anche una velocissima panoramica per comprendere cosa sia realmente, questo TSO.
Estraggo dal sito Autotutela:
“[...]Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) è l'erede della coazione e della violenza che ha sempre contraddistinto la (incon)scienza psichiatrica dal suo sorgere.
Thomas Szasz lo definisce un crimine contro l'umanità. Di fatto la psichiatria ha sempre fondato la sua azione sull'uso della forza per piegare la resistenza di coloro che non si piegavano (e non si piegano) alle sue diagnosi e ai suoi (mal)trattamenti.
[…]Non tutti sanno che la pluridecorata "legge 180" in realtà si occupa di regolare le situazioni in cui e le procedure con cui gli psichiatri possono obbligarci a sottostare alle loro "diagnosi" e "terapie". Aldifuori di queste situazioni, previste dalla legge, ogni azione contro la nostra volontà rappresenta una violazione dei nostri diritti e un comportamento rilevante dal punto di vista penale.
[…]
Il T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è un provvedimento emanato dal Sindaco che dispone che una persona sia sottoposta a cure psichiatriche contro la sua volontà”
Abbiamo quindi i chi, il perché e il come.
A questo punto potrei chiedere alla mia amica se ancora si sente tranquilla, ma dato che conoscendola è già tanto se è ancora lì seduta ad ascoltarmi, taglio la testa al toro e l’inquietante totale glielo chiarisco direttamente io.
Mai come in questo periodo storico, il ruolo della donna è stato così tanto criminalizzato e sottoposto a forme sempre crescenti di riduzione delle libertà fondamentali che natura vorrebbe insite nel suo ruolo di madre.
Mai come in questo periodo storico il ruolo che la chiesa vorrebbe assegnare alla donna è così vicino alla pericolosa soglia oltre la quale quel ruolo, da ideologico quale è sempre stato, rischia seriamente di diventare un ruolo definito per legge e con la legge regolamentato e fortemente circoscritto.
La madre si avvicina sempre più pericolosamente a essere maternità, in uno stato sempre più vicino al tanto sognato stato etico.
Un passaggio pericolosissimo ma sempre più concretamente vicino, durante il quale a trasformarsi sarebbero conseguentemente tutti quegli aspetti che differenziano una persona dal ruolo che svolge.
Un passaggio nel quale il diritto non ne è il fratello positivo, ma viene direttamente eliminato e sostituito dal dovere, la persona diviene funzione, la madre da componente della società diviene elemento che dalla società dev’essere controllato durante tutto il percorso della sua funzione macchina generatrice.
La depressione post partum è, seppur in proporzioni naturalmente diverse, un passaggio naturale quanto lo è la vergogna per i brufoli quando si hanno 13 anni, quanto lo è l’ansia di fronte ai primi esami importanti, quanto lo è l’insicurezza di fronte alle prime sfide professionali, quanto lo è la non preparazione al ruolo genitoriale al’arrivo del primo figlio.
Riconoscere lo smarrimento, anche il primo rifiuto del figlio, la paura, come espressioni di quella naturale e dirompente evoluzione vitale che è, immagino, il generare una nuova vita, che hanno la stessa natura e la stessa origine dei loro corrispettivi positivi quali per esempio la responsabilizzazione, la maturazione, la maggior profondità di amore, significa riconoscere che quella madre è in evoluzione contemporanea alla vita che sta generando.
Significa riconoscerne la diversità, anche biologica, nella quale risiedono diverse modificazioni e diversi aspetti dell’essere persona; significa riconoscerle quell’essere parte fondamentale di quella società che al contrario sempre di più la sta spostando nel settore nel quale la società stessa ripone le cose dalle quali proteggersi attraverso anticorpi autoritari sempre più pericolosamente normalizzati nella percezione collettiva.
Qualsiasi persona ha in sé il germe del disturbo mentale, della follia, della violenza.
Alla società il compito non di reprimere, ma di gestire questo germe attraverso comportamenti che esulano dal ruolo medico, che si occupa della fase finale di quel germe, ma che sono e devono essere comportamenti prima di tutto culturali, quelli che si occupano del percorso di maturazione di quel germe.
Questa è una società nella quale la profonda matrice religiosa ha sviluppato una divisione della stessa non tanto in termine di generi, quanto in differenti unità di misura degli aspetti dei due generi.
La scala di misurazione usata per definire il pericolo generato da un soggetto, in questa società è profondamente diversa se quel soggetto è un uomo o è una donna.
Questa differenza, esclusivamente culturale e quindi sociale, è alla base della differente gravità assegnata ad una stessa manifestazione di quel germe.
Semplificando, quando in un anno avvengono 3 infanticidi da parte della madre, la società attiva gli anticorpi e propone una struttura di controllo che abbia il compito di gestire il percorso di gravidanza in maniera coercitiva, che significa al posto di, sottraendo alla madre il controllo di sé stessa e facendosene tutore per proteggere non lei ma il figlio che sta generando.
Quando nello stesso anno avvengono dieci omicidi in una settimana da parte di uomini incapaci di gestire la separazione dalla donna, la stessa società utilizza una scala di misurazione della pericolosità diversa e attribuisce il tutto all’emulazione e al caldo, assegnando al silenzio e al prossimo cambio di stagione la soluzione del problema.
In entrambi i casi si parla di omicidio, ma quando a compierlo è una donna e la vittima è un bambino, la società abbassa la soglia necessaria ad attivare forme di coercizione e di controllo ad un livello al quale ne bastano tre in un anno.
Quando a compierlo è un uomo, la stessa società considera il problema un problema di calura estiva anche quando il numero di casi il triplo e in una settimana.
All’interno di questa cultura, lo scivolamento del ruolo della donna verso una deriva che la vede sempre più essere macchina da riproduzione da privare di sempre maggiori spazi di libertà a favore di un sempre maggior controllo esterno è un’azione che non incontrerà alcun tipo di ostacolo.
Torniamo alla proposta.
Secondo i due medici, il problema della depressione post partum è un problema che investe una percentuale di donne così estesa da richiedere urgentemente l’attivazione di misure di prevenzione e tutela.
Logica vorrebbe che proprio l’estensione del problema dimostrasse quanto il problema è esattamente parte del percorso stesso, ma in questo caso il problema e la sua estensione sono al contrario strumentali all’azione che la società sta da tempo portando avanti e come tali vengono considerati e immediatamente sfruttati.
Nella proposta dei medici, il TSO extraospedaliero ha la forma di un’assistenza domiciliare h24, fornita da un’equipe medica composta da diverse professionalità che si occupino ciascuna dei diversi aspetti del problema.
Verrebbe da guardare alla proposta come una cosa positiva, visto l’effettivo bisogno di un supporto domiciliare nelle ultime fasi di una gravidanza e nelle prime di una nuova vita.
E positiva lo sarebbe, se non ci fosse quel dettaglio tutt’altro che marginale del suo essere un supporto strutturato sulle regole del TSO, che sono principalmente regole che vedono il soggetto che se lo vede assegnare privato del potere decisionale e di determinazione delle eventuali cure e assistenze.
Sostanzialmente questa proposta vuole introdurre nelle case delle donne in gravidanza o neomamme, una equipe che si occupi di stabilire al suo posto cosa è giusto e cosa è sbagliato, quale sia il suo reale stato e cosa sia lecito lasciare alla sua disponibilità.
Un’equipe che si impossessi per investitura governativa del ruolo di madre, sostituendosi alla madre naturale in tutte quelle azioni e scelte che distinguono esattamente la madre da qualsiasi altra figura graviti intorno al nascituro.
A stabilire la necessità del TSO sarebbe, nella proposta dei due medici, il ginecologo che segue la gravidanza, definito da uno dei due “importanti sentinelle”, il quale ricoprirebbe il ruolo di quel medico proponente che lo strumento TSO richiede come presupposto necessario per la sua attivazione.
Sta a dire che, nella visione dei promotori, se il tuo ginecologo durante la gravidanza stabilisse che non ti stai comportando “normalmente” secondo canoni che essendo stabiliti dalla sentinella sarebbero naturalmente soggetti a cosa lui intenda per “normale” e “dio solo sa” cosa questo potrebbe voler dire quando lo psicologo è quello del messaggio cristiano là sopra, ti verrebbe piantata in casa un’equipe di psicologi e di infermieri che h24 avrebbero il compito di impedirti di lasciar progredire il “male” che è in te che, essendo in te appunto, potrebbe essere controllato solo attraverso interventi esterni a te e, là dove ti ribellassi, contro il tuo volere.
Il TSO appunto, extraospedaliero in quanto domiciliare: Non scappi, cara.
“La donna affetta da depressione post partum non può essere trattata come una qualsiasi criminale - prosegue Picano -. L’impulso di eliminare il proprio figlio è purtroppo un sintomo tipico e ben conosciuto. Si tratta di una forza estranea alla volontà della persona contro la quale la donna depressa lotta strenuamente e di cui si vergogna profondamente.”
L’accostamento delle parole “depressione post partum” e “qualsiasi criminale” è, pur sottotraccia, dirompente quanto esplicativa.
La classificazione dell’impulso ad eliminare il figlio, come una “forza estranea alla volontà della persona” è il lasciapassare per la sottrazione del controllo.
L’aggiunta del sentimento della vergogna, sposta l’azione di controllo da coercitiva quale è ad amorevole quale addirittura si eleva ad essere.
Una volta stabilita la necessità del TSO domiciliare, nel disegno dei due promotori e oggi del governo dopo l’assunzione della proposta da parte del ministro Fazio, entrerebbe in gioco la parte clinica dell’equipe, che avrebbe il compito di imporre un trattamento del disturbo prima di tutto farmacologico.
Per capire la drammaticità di questo aspetto della cosa, è sufficiente considerare il fatto che una madre sottoposta a trattamenti farmacologici invasivi quanto quelli psichiatrici sono, si vedrebbe immediatamente interrotto l’allattamento e, in questo, il primo e fondamentale canale di comunicazione biologico/affettivo tra lei e il bambino che ha generato.
Questa scelta sarebbe quindi un ingresso a gamba tesa dentro quel filo sottile che unisce le due vite e che ne stabilisce la sua unicità e importanza da quel giorno per tutti i restanti, di fatto relegando il ruolo della madre a un ruolo che smette di avere una funzione nell’esatto momento del parto, dopo il quale la vita del bambino verrebbe presa in carico dalla società medica.
Quanto questo significhi in termini di invasione nella natura stessa dell’essere madre, credo che non richieda spiegazioni ulteriori.
Nel disegno dei promotori e di questo governo, quindi, lo scenario del dopo nascita vede la madre essere sostituita da una parte della società espressamente delegata a tutelare, sulla carta, entrambe le figure, ma nella realtà quello di spossessare la madre dal suo ruolo naturale, per lasciarle solo quello di procreatrice, privata successivamente dei diritti sul nascituro e su se stessa come strumento per vanificare i suoi eventuali tentativi di ribellione.
Una invasione considerabile lecita solo da chi ritiene la donna stessa e addirittura il suo domicilio come nient’altro che il luogo dove la macchina svolge la sua funzione e dove quindi l’azione di controllo di corretto svolgimento ha diritto di entrare e prendere il potere anche contro la stessa detentrice dei diritti di quella proprietà e di quella maternità.
La donna senza più diritti, la naturale momentanea depressione come cavallo di troia per sostituire definitivamente il suo ruolo di madre naturalmente protettiva (pur in brevi tratti del percorso bisognosa di supporto) per assegnarlo a un’equipe medica rappresentante quella società che da quella madre si attrezza per proteggersi e proteggere i figli.
Figli che da figli di quella madre divengono sempre di più principalmente figli della società stessa e dopo, solo dopo che la madre ha dimostrato di coincidere con i canoni che la società indica come naturali, anche suoi.
Ma solo dopo certificazione della società.
In assenza di questa, i figli sono prodotti dalla e della società e la madre una macchina ridotta in diritti e in libertà perché non nuoccia alla società, al figlio e naturalmente, perché nessuno pensi che ci sia disegno ideologico dietro tutto questo, a sé stessa.
Il problema del figlio affrontato perché sia risolto, il problema della madre ospedalizzato e reso definitivo.
Il figlio supportato, la madre spenta.
Non lo so se il quadro è abbastanza drammatico.
Forse per renderlo drammatico esattamente com’è dovrei aggiungerci che questa proposta qualche reazione l’ha anche suscitata e che, dal momento che la follia non ha limiti e in questo momento storico/politico è abbastanza difficile distinguerla da ciò che viene ritenuto meritevole di dibattito, tra queste reazioni ci sono anche quelle di chi ritiene la proposta troppo poco risolutiva e che al suo posto propone direttamente e senza nemmeno girarci troppo intorno il caro vecchio elettroshock.
Non ci si crede, lo so, la mia amica a questo punto si sarà realmente scocciata di sentirmi sempre buio e pessimista, ma è così, l’han proposto e chi l’ha proposto non è stato internato a sua volta ma, in quanto medico di fama internazionale, ascoltato per sentire un po’ cosa ha da dire ché magari può essere mica una cattiva idea.
Certo la evidente impossibilità di concretizzare, anche economicamente oltre che come organico (circa 1000 interventi all’anno, a domicilio h24 e fatti da equipe di non meno di 3 figure professionali è la stima dei due geni) la proposta, dovrebbe far stare tranquilli tutti coloro che pensano che una follia criminale di questa portata potrebbe mai vedere la luce.
Il problema è però che proposte di questo tipo sono a loro volta cavalli di troia per proseguire in quell’opera culturale ormai evidentemente inarrestabile che ha come obiettivo quello di riportare la storia in quel punto nel quale la donna doveva andare a partorire da sola nel bosco per poi consegnare il figlio alle cure del padre guerriero e capotribù e tornarsene in capanna a farsi ingravidare per far ripartire il ciclo da capo.
Cavalli di troia che qualsiasi società civile, umana, urlerebbe a caratteri cubitali ogni minuto della giornata, su ogni foglio disponibile, su ogni schermo acceso, per impedire a questi uomini anche solo di ipotizzare che in questo mondo ci sia spazio per iniziative di tale violenza e prevaricazione, prima ancora che di tale riduzione culturale, e che invece avanzano silenziosi dentro cassetti di un governo che di cose così ne sta portando avanti una al mese, una peggiore dell’altra, certo di poter contare su una società profondamente permeata dai valori religiosamente e culturalmente criminali che questi disegni li rendono in qualche delirante modo persino considerabili e considerati, mentre intorno un incredibile fumo mediatico si occupa di tenere l’attenzione ben salda intorno a provvedimenti pur disastrosi ma che in confronto a questi hanno una portata incredibilmente meno devastante per la vita civile e culturale, prima che istituzionale, di un paese in mano al peggior tipo di uomini che la storia italiana potesse produrre.
Chissà se la mia amica è ancora seduta ad ascoltarmi o è tornata di là a farsi gli affari suoi.
Certo, è complicato spiegarle la differenza tra noia e bisogno che qualcuno se li faccia seriamente, gli affari suoi, se non se li fa lei.
Oppure potrei fare come fanno tutti e liquidare la cosa come un problema delle donne, mettendomi anche io a parlare e interessarmi solo ai cari vecchi argomenti da maschio.
Perché un paese che programma queste cose è un problema delle donne, no?
Ma sì, chi se ne frega, in fondo è lei che dice di voler fare un figlio.
Son mica io che rischio l’elettroshock se un giorno alzo la voce di fronte al ginecologo sbagliato.
Se mi dice di non rompere, evidentemente preferisce arrivarci senza saperlo.
Che in effetti, mi dico spesso, si vive un sacco meglio.
Ma il mio dubbio è:
tolta la mia amica che preferisce non sapere perché tanto è tutto un magna magna, le altre donne dove sono?
Dove sono, invece di essere sotto casa di ‘sta gente a demolirgli le macchine?
Puttana di quella vacca troia, ma possibile che ci sia ‘sto silenzio intorno a quello che vi stanno apparecchiando intorno?
Elettroshock, cazzo.
Parlano di elettroshock se vi mostrate un po’ tristi perché il marito in gravidanza non vi ha scopate per qualche mese.
Dove.
Cazzo.
È.
La.
Folla.
Di.
Donne.
Sotto.
Le.
Finestre.
Di.
Questa.
Gente?
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