E non mi credere irraggiungibile.
Un po’ d’amore è un attimo.
Un uomo semplice.
Una parola, un gesto una poesia.
Mi basta per venir via.
26 novembre 2004
25 novembre 2004
Alfonso
Alfonso merita due righe solo per lui.
Perché quel giorno le ho regalate tutte a Lila e alla sua felicità.
Perché era talmente tanta che mi aveva fatto dimenticare persino la mia.
La mia però c’era.
C’era eccome.
E dopo diversi giorni infatti è sempre qui.
E allora adesso che ho detto a Lila quanto sono felice per lei, per lei nel senso di quello che mi da anche solo il pensiero di lei, dico ad Alfonso quanto sono felice per lui, per lui nel senso di quello che mi ha dato il suo pensiero per me.
Alfonso è uno di quelli che hanno finito di soffrire ieri.
Ieri nel senso che si vede che non soffre più, non come ieri almeno.
Che vuol dire non soffrire più.
Per fortuna.
Alfonso è uno di quelli.
Che ha il viso di uno che ha finito di soffrire ieri e per questo ancora non ride e non balla di nuovo come l’altro ieri, e sorride riservato e parla a bassa voce e chiede scusa prima di chiederti se può regalarti una cosa di tuo papà.
Di quelli incredibili.
Di quelli che il viso è dolce.
Ecco perché si vede che non soffre più come ieri.
Poi non ride e non urla e non salta.
Però ha il viso dolce e lo porta in giro per centinaia di chilometri solo per incontrare altri visi dolci.
E quella voglia lì, chi soffre oggi, non ce l’ha.
Ecco perché Alfonso ora non soffre e ha il viso dolce.
Domani magari riderà, anzi, sicuramente, però intanto oggi è dolce, e per questo non ha niente da invidiare agli altri.
Mentre ero nella chiesetta ad aspettare che Lila mi dedicasse il suo primo libro, un uomo col viso dolce mi ha avvicinato e dopo avermi chiesto se ero io Bruno (l’ha pronunciato con la U, lo ricordo benissimo), mi ha detto:
“Ho una cosa per te, ho trovato un libro di tuo papà. Se non ti dispiace te l’ho portato perché sapevo di trovarti qui”.
Se non mi dispiace.
Io non sapevo.
Io non immaginavo.
Nessuna mail, nessun preavviso, nessuna traccia.
Non potevo sapere.
Ero lì per Lila.
“Ho qui con me un libro di tuo padre. Però non volevo distrurbarti, che ho visto che sei con gli amici e allora ho aspettato che finissi con loro per non distrubare”
per non disturbare.
Me che sono andato subito dai miei amici a dir loro cosa mi era appena capitato all’improvviso e inaspettatamente e non sono nemmeno riuscito a farglielo capire come lo provavo io.
Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce mi ha avvicinato e mi ha regalato un libro di mio papà.
Chissà da dove viene Alfonso con quel libro.
“Sai Bruno, non sono di Torino, ma il libro l’ho trovato là”.
“Ma dai, Torino.
Anch’io sono di Torino, pensa.
Anche mio papà era di Torino, pensa.”
Eh si.
Eh già.
Io e mio papà siamo di Torino.
“Eh certo, Alfonso. In effetti per statistica, sapendo che lui viveva a Torino, è più probabile trovarli sulle bancarelle torinesi, non ci avevo mai pensato”.
Per statistica.
Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce che arrivava da torino mi ha portato un libro di mio papà.
Quell’uomo mi ha scritto una mail per ringraziarmi di quelle due righe dell’altro giorno.
Lui che mi ha regalato cento pagine ringrazia me per due righe.
Mi ha scritto che ha avuto voglia di leggerlo e che per questo è tornato là dove ha trovato il libro e ne ha trovata un’altra copia che ha comprato per lui.
Su una bancarella in Via Po, ha detto.
Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce che arrivava da Torino mi ha portato un libro di mio papà trovato su una bancarella in via Po e dopo avermelo regalato è tornato sulla stessa bancarella e ne ha trovato un altro per se.
Io non credo in Dio.
Non sono religioso.
Di nessuna religione.
Per questo non divido le cose in terrene e sovrannaturali.
Divido le cose in belle e meravigliose.
Che è pure di più, visto che non c’è niente di sovrannaturale.
È tutto vero.
Tutto così.
Perfettamente umano.
Meravigliosamente terreno.
Fisico.
Di quelli che quando accadono li puoi toccare.
Puoi stringere loro la mano.
Così se rimangono lì, puoi sentirne il calore, se volano via puoi aggrapparti e seguirli.
Grazie Alfonso.
La casa alla quale rinunciai come eredità, se non ricordo male, era in via Po.
O forse mi convinco solo che sia così, per essere, come dicevi tu, felice.
che le cose belle accadono.
Ed è perché so che accadono, che scelsi di non volere nulla di suo che non stesse in una mano.
E, come vedi, accadono.
Perché quel giorno le ho regalate tutte a Lila e alla sua felicità.
Perché era talmente tanta che mi aveva fatto dimenticare persino la mia.
La mia però c’era.
C’era eccome.
E dopo diversi giorni infatti è sempre qui.
E allora adesso che ho detto a Lila quanto sono felice per lei, per lei nel senso di quello che mi da anche solo il pensiero di lei, dico ad Alfonso quanto sono felice per lui, per lui nel senso di quello che mi ha dato il suo pensiero per me.
Alfonso è uno di quelli che hanno finito di soffrire ieri.
Ieri nel senso che si vede che non soffre più, non come ieri almeno.
Che vuol dire non soffrire più.
Per fortuna.
Alfonso è uno di quelli.
Che ha il viso di uno che ha finito di soffrire ieri e per questo ancora non ride e non balla di nuovo come l’altro ieri, e sorride riservato e parla a bassa voce e chiede scusa prima di chiederti se può regalarti una cosa di tuo papà.
Di quelli incredibili.
Di quelli che il viso è dolce.
Ecco perché si vede che non soffre più come ieri.
Poi non ride e non urla e non salta.
Però ha il viso dolce e lo porta in giro per centinaia di chilometri solo per incontrare altri visi dolci.
E quella voglia lì, chi soffre oggi, non ce l’ha.
Ecco perché Alfonso ora non soffre e ha il viso dolce.
Domani magari riderà, anzi, sicuramente, però intanto oggi è dolce, e per questo non ha niente da invidiare agli altri.
Mentre ero nella chiesetta ad aspettare che Lila mi dedicasse il suo primo libro, un uomo col viso dolce mi ha avvicinato e dopo avermi chiesto se ero io Bruno (l’ha pronunciato con la U, lo ricordo benissimo), mi ha detto:
“Ho una cosa per te, ho trovato un libro di tuo papà. Se non ti dispiace te l’ho portato perché sapevo di trovarti qui”.
Se non mi dispiace.
Io non sapevo.
Io non immaginavo.
Nessuna mail, nessun preavviso, nessuna traccia.
Non potevo sapere.
Ero lì per Lila.
“Ho qui con me un libro di tuo padre. Però non volevo distrurbarti, che ho visto che sei con gli amici e allora ho aspettato che finissi con loro per non distrubare”
per non disturbare.
Me che sono andato subito dai miei amici a dir loro cosa mi era appena capitato all’improvviso e inaspettatamente e non sono nemmeno riuscito a farglielo capire come lo provavo io.
Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce mi ha avvicinato e mi ha regalato un libro di mio papà.
Chissà da dove viene Alfonso con quel libro.
“Sai Bruno, non sono di Torino, ma il libro l’ho trovato là”.
“Ma dai, Torino.
Anch’io sono di Torino, pensa.
Anche mio papà era di Torino, pensa.”
Eh si.
Eh già.
Io e mio papà siamo di Torino.
“Eh certo, Alfonso. In effetti per statistica, sapendo che lui viveva a Torino, è più probabile trovarli sulle bancarelle torinesi, non ci avevo mai pensato”.
Per statistica.
Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce che arrivava da torino mi ha portato un libro di mio papà.
Quell’uomo mi ha scritto una mail per ringraziarmi di quelle due righe dell’altro giorno.
Lui che mi ha regalato cento pagine ringrazia me per due righe.
Mi ha scritto che ha avuto voglia di leggerlo e che per questo è tornato là dove ha trovato il libro e ne ha trovata un’altra copia che ha comprato per lui.
Su una bancarella in Via Po, ha detto.
Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce che arrivava da Torino mi ha portato un libro di mio papà trovato su una bancarella in via Po e dopo avermelo regalato è tornato sulla stessa bancarella e ne ha trovato un altro per se.
Io non credo in Dio.
Non sono religioso.
Di nessuna religione.
Per questo non divido le cose in terrene e sovrannaturali.
Divido le cose in belle e meravigliose.
Che è pure di più, visto che non c’è niente di sovrannaturale.
È tutto vero.
Tutto così.
Perfettamente umano.
Meravigliosamente terreno.
Fisico.
Di quelli che quando accadono li puoi toccare.
Puoi stringere loro la mano.
Così se rimangono lì, puoi sentirne il calore, se volano via puoi aggrapparti e seguirli.
Grazie Alfonso.
La casa alla quale rinunciai come eredità, se non ricordo male, era in via Po.
O forse mi convinco solo che sia così, per essere, come dicevi tu, felice.
che le cose belle accadono.
Ed è perché so che accadono, che scelsi di non volere nulla di suo che non stesse in una mano.
E, come vedi, accadono.
22 novembre 2004
Lila
Lila abita in campagna.
C’ha il suo gufo, o civetta, dipende dal documentario.
Lila c’ha gli amici e poi c’ha quelli ai quali vuole bene.
Lila balla senza scarpe, si emoziona per la torta, si mangia le unghie davanti al microfono.
Lila abita in campagna.
Dove abita Lila le ragazze sono tutte belle.
Forse è l’aria di campagna, non so.
Lila è bella e fa i massaggi a tutti.
C’ha il tatuaggio delle favole, i capelli del rinascimento e il fidanzato cavaliere guerriero.
Lila ha scritto un libro e io ancora non l’ho letto.
Quindi adesso ve ne parlo.
Perché quel libro lo conosco anche se non l’ho letto.
Perché so di chi parla.
Perché parla di Lila.
Quella che abita in campagna con le amiche belle, il fidanzato cavaliere e la fiaba tatuata.
E il libro parla di lei, che ride e diventa rossa, dei suoi amici che si muovono sempre in gruppo e dovunque ne trovi uno trovi anche gli altri, di alberi e di montagna, di birre e di musica, del suo essere piccola grande, del suo essere uoma e dell’essere donna in mezzo ad amici uomini che però sono anche donne, nella delicatezza, nella gentilezza, nel farti sentire a casa, negli occhi blu, negli occhi verdi, nel saltare, nel giocare, negli abbracci, nelle carezze, nel profumo sulle mani.
Lila è il suo gruppo di amici.
Nell’unico vero senso della parola.
E il libro parla di quello.
La storia scritta intorno poco importa.
Importa che c’è.
Che non è inventata.
Che se vuoi la puoi vedere.
Che se vai in campagna la trovi davvero.
Che ti fa venire voglia di essere nato là, per uscire di casa ogni giorno sapendo che quando torni a casa ci sono loro.
Sabato è stata una giornata bellissima.
Una giornata di libri magici.
Quelli che hanno dentro le storie vere.
Quelle storie che non serve leggerle per conoscerle.
Sabato sono tornato a casa con due libri.
Uno parlava di un amore, l’altro anche.
Grazie Lila.
Con così tanto amore dentro da aver bisogno di altre cinque persone per contenerlo tutto.
Grazie Alfonso.
Troppo timido per scrivermi ciò che ha pensato, ma che ho letto lo stesso.
Come dice Lila, tra le righe.
C’ha il suo gufo, o civetta, dipende dal documentario.
Lila c’ha gli amici e poi c’ha quelli ai quali vuole bene.
Lila balla senza scarpe, si emoziona per la torta, si mangia le unghie davanti al microfono.
Lila abita in campagna.
Dove abita Lila le ragazze sono tutte belle.
Forse è l’aria di campagna, non so.
Lila è bella e fa i massaggi a tutti.
C’ha il tatuaggio delle favole, i capelli del rinascimento e il fidanzato cavaliere guerriero.
Lila ha scritto un libro e io ancora non l’ho letto.
Quindi adesso ve ne parlo.
Perché quel libro lo conosco anche se non l’ho letto.
Perché so di chi parla.
Perché parla di Lila.
Quella che abita in campagna con le amiche belle, il fidanzato cavaliere e la fiaba tatuata.
E il libro parla di lei, che ride e diventa rossa, dei suoi amici che si muovono sempre in gruppo e dovunque ne trovi uno trovi anche gli altri, di alberi e di montagna, di birre e di musica, del suo essere piccola grande, del suo essere uoma e dell’essere donna in mezzo ad amici uomini che però sono anche donne, nella delicatezza, nella gentilezza, nel farti sentire a casa, negli occhi blu, negli occhi verdi, nel saltare, nel giocare, negli abbracci, nelle carezze, nel profumo sulle mani.
Lila è il suo gruppo di amici.
Nell’unico vero senso della parola.
E il libro parla di quello.
La storia scritta intorno poco importa.
Importa che c’è.
Che non è inventata.
Che se vuoi la puoi vedere.
Che se vai in campagna la trovi davvero.
Che ti fa venire voglia di essere nato là, per uscire di casa ogni giorno sapendo che quando torni a casa ci sono loro.
Sabato è stata una giornata bellissima.
Una giornata di libri magici.
Quelli che hanno dentro le storie vere.
Quelle storie che non serve leggerle per conoscerle.
Sabato sono tornato a casa con due libri.
Uno parlava di un amore, l’altro anche.
Grazie Lila.
Con così tanto amore dentro da aver bisogno di altre cinque persone per contenerlo tutto.
Grazie Alfonso.
Troppo timido per scrivermi ciò che ha pensato, ma che ho letto lo stesso.
Come dice Lila, tra le righe.
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