Stanotte è una di quelle notti nelle quali faccio sogni belli.
Di quelli che secondo me Gardaland sarà aperto solo per me.
Non lo so perché ci abbiano ingannato quest’anno, ci hanno restituito le mezze stagioni e ci hanno piazzato la primavera il 24 dicembre.
L’hai chiesta tu?
Era da neve, questo Natale, accipicchia.
Prometteva bene anche a Milano.
Era da neve, da banalissime serate a due con un film di Barbra Streisand e possibilmente le tue gambe intorno a me.
Indosso un pigiama orrendo da vecchio in ospizio che Men’s Healt dovrebbe farci una copertina “Eccitala in centoquarant’anni”.
Stanotte a Gardaland cercherò la giostra che gira in centoquarant’anni.
La musica sotto sarà “Yellow submarine” e io da sopra ti spiegherò perché ne ho lasciati passare centotrentanove prima di chiederti di salirci con me, solo che essendo io sulla giostra e tu giù, sentirai solo una parola ogni giro, una parola ogni centotrentanove e mettendo insieme solo quelle la frase non avrà mai senso.
I bambini fuori dai cancelli mi tireranno le loro macchinine per protestare contro il mio dispotismo e io le tirerò loro indietro pensando che sia un nuovo gioco.
Io, sciocco.
Tu riderai di me, mi dirai che solo Rocco riporta indietro ciò che gli si tira, ma solo se gli si promette di non lasciarlo mai.
Le cassiere mi faranno l’occhiolino a ogni giro, io guarderò dall’alto tutte le scollature, non capirò di nuovo più niente e una volta sceso non ti troverò di nuovo più.
Sarai quella di spalle che se ne andrà accanto a quello di spalle che se ne andrà.
Quello di spalle si girerà e avrà la faccia di mio padre che girandosi mi dirà “Non ti ho insegnato niente”.
“E meno male” gli dirò col mio solito tono ironico.
Ma sarete troppo lontani per sentirmi, là, in fondo verso il cancello di uscita che di fronte a te si aprirà come per magia facendo in modo che un mare di bambini entrando confondano la tua uscita.
Tra quei bambini ci sarò anch’io, mi verrò incontro e mi dirò “Scemino, ma non l’hai vista quant’è bella?”
“Certo che l’ho vista!” mi risponderò “e tu?”
“No, tu!”
“No, tu!”
“Tu!”
“tu!”
Quanti anni hai, tu?
Io, nei miei sogni, centotrentotto.
Quando nella realtà supererò i sei ti sposerò e faremo tanti bambini e insegneremo loro a tirare le macchinine.
A riportarcele ci penserà Rocco.
Buon Natale a te.
Tuo, Scrooge.
24 dicembre 2005
21 dicembre 2005
20 dicembre 2005
Mirafiori
Io mi ricordo la colonia Fiat.
Sono uno di quelli che è cresciuto nella Torino degli anni 70, quando ancora Moncalieri era periferia e da Mirafiori partivano treni e treni di macchine che passavano sotto casa come fossero tram, su quelle rotaie messe in mezzo alle vie senza alcuna protezione.
Quando si sentiva il rumore del treno si usciva sul balcone per guardarlo passare, lì in mezzo, come fosse un tram, pieno di macchine spedite chissà dove, affascinati da quel coso così normale per chi viveva lì che solo a pensarlo oggi ci si chiede come mai non ci fossero comitati in difesa della sicurezza stradale dell’incolumità dei cittadini, messi a rischio da quel treno le cui rotaie non avevano lo straccio di una recinzione, un cazzo di passaggio a livello, nulla che facesse pensare che in mezzo a quella via non ci passava il 26 sbarrato ma un treno vero e proprio che dalla fabbrica partiva per portare le macchine al Lingotto e poi da lì via verso le altre regioni.
Io sono un figlio della Fiat.
La mia famiglia è cresciuta e si è sviluppata grazie alla Fiat.
Mia nonna è arrivata al nord dalla Calabria per lavorare alla Fiat e tutte le generazioni dopo di lei, della nostra famiglia, intorno alla Fiat sono cresciute.
La Fiat ha costruito i palazzi per i suoi operai, tutti uguali, tutti rossi, tutti intorno a quella ferrovia e in quella via che ancora oggi fatta a piedi porta allo stabilimento che chi non l’ha mai visto dovrebbe farci un giro, tanto è di un altro pianeta.
Ti metti davanti all’ingresso e poi cominci a percorre il suo perimetro.
Se lo fai a piedi ci metti due giorni.
È un paese.
Era un paese.
Chi lavorava alla Fiat era uno che ce l’aveva fatta e poteva comprare la macchina Fiat e avere sempre la macchina nuova perché la compravi e poi la usavi e poi dopo poco una formula finanziaria ti consentiva di cambiarla e prenderne un’altra e mio zio aveva sempre la macchina nuova perché la cambiava ogni sei mesi e la pagava sempre la stessa cifra a scalare.
La Fiat considerava i suoi dipendenti persone.
In casa mia si aspettava il Natale perché a Natale la Fiat faceva i regali ai figli dei suoi operai.
Ogni anno arrivava il momento dei “Regali Fiat”.
Si andava lì, si faceva la fila ed era un camion, la pista, i uolchi tolchi.
Natale, per i figli degli operai della Fiat era sempre un Natale con i regali, anche se gli operai non se li potevano permettere.
Ci pensava la Fiat.
Io me la ricordo la colonia Fiat.
Molto fascista nella sua impostazione, ma era la colonia Fiat e quando si è bambini non lo sai cosa è il fascismo, vedi solo che qualcuno ti porta in vacanza ad Albenga in estate e a Salice d’Ulzio d’inverno.
Io d’inverno non ci sono andato, ci è andato mio fratello, non lo so perché ma io andavo d’estate ad Alberga.
Me la ricordo la colonia Fiat perché la mia famiglia non se la poteva permettere una vacanza in quel momento e allora ci pensava la Fiat e mi portava ad Albenga e credo che mia mamma dava dei soldi alla mia partenza perché mi ricordo che ogni volta appena arrivati c’era il giro in paese per comprare i giochi da usare per tutta la vacanza e una volta era l’aquilone, un’altra erano stati i braccioli, una volta mi ricordo che erano stati i soldatini.
Era la colonia Fiat, la vacanza che tutti i bambini si potevano permettere.
Molto militare, la sua impostazione.
Fascista.
Grandi camerate, tanti letti e orari ferrei.
Gesti quotidiani scanditi da riti di gruppo fatti al passo.
Oggi qualcuno la discuterebbe quell’impostazione, io penso che tanti bambini tutti insieme li puoi governare solo se li consideri un esercito e come tale lo tratti.
Era facile, in fondo, andare al passo verso la spiaggia, per un bambino che senza la colonia Fiat nemmeno ci sarebbe andato, al mare.
Bastava dirgli che di fronte a lui c’era il mare.
Anche se piccolo, ti rendevi conto che in qualche modo dovevi essere grato per quello che ti veniva offerto e la gratitudine la dimostravi attraverso l’obbedienza, unico strumento in mano ai bambini.
La Fiat era questo.
Una gigantesca famiglia che faceva giocare i figli mentre i genitori costruivano le macchine.
Ti dava la casa, ti dava la macchina, ti portava i bambini al mare.
Tu in cambio dovevi costruire macchine.
Io me la ricordo la colonia Fiat perché è stata la prima vacanza che ricordo.
E in fondo sarò sempre grato alla Fiat perché lo so che senza di lei non sarei andato a giocare sulla sabbia ma sarei stato a casa ad aspettare che si potesse andare in calabria dai parenti.
C’era la merenda, il panino con la barretta di cioccolata e il sonnellino pomeridiano.
Poi di nuovo tutti insieme, l’appello in cortile, l’adunata, la colonia Fiat.
Il tavolo su cui erano appoggiati tutti i regali di natale Fiat me lo ricordo ancora.
Lo si aspettava, quel tavolo, noi figli della Fiat.
Mia nonna oggi abita nella casa che si è comprata con lo stipendio della Fiat pagandola alla stessa Fiat e oggi ha finito di pagarla e vale dieci volte tanto perché la Fiat non voleva speculare, ma solo mantenere e allora costruiva le case per i suoi operai e gli diceva che se volevano comprarsela lo potevano fare che tanto costava poco perché loro erano operai Fiat e per questo erano privilegiati, perché una volta gli operai Fiat erano privilegiati e i loro figli anche di più.
Io alla Fiat devo tanto, perché sono uno di quelli che con la Fiat sono andati in vacanza, hanno avuto i regali di Natale, hanno vissuto nelle case costruite per noi, hanno visto i treni passare quando le macchine erano solo le macchine Fiat in tutta Italia.
Io alla Fiat devo tanto perché l’impostazione fascista della sua idea di operai mi ha consentito di sentirmi uguale a tutti gli altri bambini che come me andavano alla colonia Fiat e facevano un mese di mare ad Albenga ed erano felici anche se dovevano andarci marciando.
Forse quel tempo è passato, forse oggi l’idea che i figli dei tuoi operai sono come i tuoi figli non esiste più.
Forse oggi chi è operaio Fiat si sente derubato e i suoi figli non vanno più alla colonia Fiat a spese della Fiat e non hanno più i regali di natale della Fiat e allora io lo capisco perché oggi gli operai considerano la Fiat come il nemico, perché non si occupa più dei loro figli e allora tutti oggi si chiedono perché mai dovrebbero regalare la loro vita alla Fiat se la Fiat alla loro vita non regala più niente.
E ci penso, oggi, mentre tutti i nuovi avvocato Agnelli, invece che fare i regali Fiat ai figli dei loro dipendenti, gli rubano i soldi dal conto e vanno nel carcere perchè rubano i soldi dei poveri.
Io quando passo davanti alla Fiat, ancora oggi, mi ricordo di Albenga, delle adunate, dei treni che passavano sotto casa, dei giocattoli comprati il primo giorno di vacanza, dei regali di natale tutti uguali per i maschietti e tutti uguali per le femminucce.
Io alla Fiat, e in lei all’avvocato quando c’era, perché era lui il padre di tutto, devo tanto.
Devo quasi tutta la mia infanzia.
E se serve per sdebitarmi verso la famiglia Agnelli, ora che il nipote è in grave difficoltà, se può aiutare in qualche modo, ora che Martina Stella ha abbandonato Lapo, se vuole, per vendicarlo, mi offro per trombargliela.
Sono uno di quelli che è cresciuto nella Torino degli anni 70, quando ancora Moncalieri era periferia e da Mirafiori partivano treni e treni di macchine che passavano sotto casa come fossero tram, su quelle rotaie messe in mezzo alle vie senza alcuna protezione.
Quando si sentiva il rumore del treno si usciva sul balcone per guardarlo passare, lì in mezzo, come fosse un tram, pieno di macchine spedite chissà dove, affascinati da quel coso così normale per chi viveva lì che solo a pensarlo oggi ci si chiede come mai non ci fossero comitati in difesa della sicurezza stradale dell’incolumità dei cittadini, messi a rischio da quel treno le cui rotaie non avevano lo straccio di una recinzione, un cazzo di passaggio a livello, nulla che facesse pensare che in mezzo a quella via non ci passava il 26 sbarrato ma un treno vero e proprio che dalla fabbrica partiva per portare le macchine al Lingotto e poi da lì via verso le altre regioni.
Io sono un figlio della Fiat.
La mia famiglia è cresciuta e si è sviluppata grazie alla Fiat.
Mia nonna è arrivata al nord dalla Calabria per lavorare alla Fiat e tutte le generazioni dopo di lei, della nostra famiglia, intorno alla Fiat sono cresciute.
La Fiat ha costruito i palazzi per i suoi operai, tutti uguali, tutti rossi, tutti intorno a quella ferrovia e in quella via che ancora oggi fatta a piedi porta allo stabilimento che chi non l’ha mai visto dovrebbe farci un giro, tanto è di un altro pianeta.
Ti metti davanti all’ingresso e poi cominci a percorre il suo perimetro.
Se lo fai a piedi ci metti due giorni.
È un paese.
Era un paese.
Chi lavorava alla Fiat era uno che ce l’aveva fatta e poteva comprare la macchina Fiat e avere sempre la macchina nuova perché la compravi e poi la usavi e poi dopo poco una formula finanziaria ti consentiva di cambiarla e prenderne un’altra e mio zio aveva sempre la macchina nuova perché la cambiava ogni sei mesi e la pagava sempre la stessa cifra a scalare.
La Fiat considerava i suoi dipendenti persone.
In casa mia si aspettava il Natale perché a Natale la Fiat faceva i regali ai figli dei suoi operai.
Ogni anno arrivava il momento dei “Regali Fiat”.
Si andava lì, si faceva la fila ed era un camion, la pista, i uolchi tolchi.
Natale, per i figli degli operai della Fiat era sempre un Natale con i regali, anche se gli operai non se li potevano permettere.
Ci pensava la Fiat.
Io me la ricordo la colonia Fiat.
Molto fascista nella sua impostazione, ma era la colonia Fiat e quando si è bambini non lo sai cosa è il fascismo, vedi solo che qualcuno ti porta in vacanza ad Albenga in estate e a Salice d’Ulzio d’inverno.
Io d’inverno non ci sono andato, ci è andato mio fratello, non lo so perché ma io andavo d’estate ad Alberga.
Me la ricordo la colonia Fiat perché la mia famiglia non se la poteva permettere una vacanza in quel momento e allora ci pensava la Fiat e mi portava ad Albenga e credo che mia mamma dava dei soldi alla mia partenza perché mi ricordo che ogni volta appena arrivati c’era il giro in paese per comprare i giochi da usare per tutta la vacanza e una volta era l’aquilone, un’altra erano stati i braccioli, una volta mi ricordo che erano stati i soldatini.
Era la colonia Fiat, la vacanza che tutti i bambini si potevano permettere.
Molto militare, la sua impostazione.
Fascista.
Grandi camerate, tanti letti e orari ferrei.
Gesti quotidiani scanditi da riti di gruppo fatti al passo.
Oggi qualcuno la discuterebbe quell’impostazione, io penso che tanti bambini tutti insieme li puoi governare solo se li consideri un esercito e come tale lo tratti.
Era facile, in fondo, andare al passo verso la spiaggia, per un bambino che senza la colonia Fiat nemmeno ci sarebbe andato, al mare.
Bastava dirgli che di fronte a lui c’era il mare.
Anche se piccolo, ti rendevi conto che in qualche modo dovevi essere grato per quello che ti veniva offerto e la gratitudine la dimostravi attraverso l’obbedienza, unico strumento in mano ai bambini.
La Fiat era questo.
Una gigantesca famiglia che faceva giocare i figli mentre i genitori costruivano le macchine.
Ti dava la casa, ti dava la macchina, ti portava i bambini al mare.
Tu in cambio dovevi costruire macchine.
Io me la ricordo la colonia Fiat perché è stata la prima vacanza che ricordo.
E in fondo sarò sempre grato alla Fiat perché lo so che senza di lei non sarei andato a giocare sulla sabbia ma sarei stato a casa ad aspettare che si potesse andare in calabria dai parenti.
C’era la merenda, il panino con la barretta di cioccolata e il sonnellino pomeridiano.
Poi di nuovo tutti insieme, l’appello in cortile, l’adunata, la colonia Fiat.
Il tavolo su cui erano appoggiati tutti i regali di natale Fiat me lo ricordo ancora.
Lo si aspettava, quel tavolo, noi figli della Fiat.
Mia nonna oggi abita nella casa che si è comprata con lo stipendio della Fiat pagandola alla stessa Fiat e oggi ha finito di pagarla e vale dieci volte tanto perché la Fiat non voleva speculare, ma solo mantenere e allora costruiva le case per i suoi operai e gli diceva che se volevano comprarsela lo potevano fare che tanto costava poco perché loro erano operai Fiat e per questo erano privilegiati, perché una volta gli operai Fiat erano privilegiati e i loro figli anche di più.
Io alla Fiat devo tanto, perché sono uno di quelli che con la Fiat sono andati in vacanza, hanno avuto i regali di Natale, hanno vissuto nelle case costruite per noi, hanno visto i treni passare quando le macchine erano solo le macchine Fiat in tutta Italia.
Io alla Fiat devo tanto perché l’impostazione fascista della sua idea di operai mi ha consentito di sentirmi uguale a tutti gli altri bambini che come me andavano alla colonia Fiat e facevano un mese di mare ad Albenga ed erano felici anche se dovevano andarci marciando.
Forse quel tempo è passato, forse oggi l’idea che i figli dei tuoi operai sono come i tuoi figli non esiste più.
Forse oggi chi è operaio Fiat si sente derubato e i suoi figli non vanno più alla colonia Fiat a spese della Fiat e non hanno più i regali di natale della Fiat e allora io lo capisco perché oggi gli operai considerano la Fiat come il nemico, perché non si occupa più dei loro figli e allora tutti oggi si chiedono perché mai dovrebbero regalare la loro vita alla Fiat se la Fiat alla loro vita non regala più niente.
E ci penso, oggi, mentre tutti i nuovi avvocato Agnelli, invece che fare i regali Fiat ai figli dei loro dipendenti, gli rubano i soldi dal conto e vanno nel carcere perchè rubano i soldi dei poveri.
Io quando passo davanti alla Fiat, ancora oggi, mi ricordo di Albenga, delle adunate, dei treni che passavano sotto casa, dei giocattoli comprati il primo giorno di vacanza, dei regali di natale tutti uguali per i maschietti e tutti uguali per le femminucce.
Io alla Fiat, e in lei all’avvocato quando c’era, perché era lui il padre di tutto, devo tanto.
Devo quasi tutta la mia infanzia.
E se serve per sdebitarmi verso la famiglia Agnelli, ora che il nipote è in grave difficoltà, se può aiutare in qualche modo, ora che Martina Stella ha abbandonato Lapo, se vuole, per vendicarlo, mi offro per trombargliela.
Iscriviti a:
Post (Atom)