26 luglio 2008

S'era detto 'Partorirai con dolore' e quindi non rompere i coglioni, stronza

6 giugno 2008

"L'attività del governo non può che compiacere il Papa e la sua Chiesa"

24 luglio 2008

"Niente vaccino Hpv per prevenire il tumore alla cervice uterina, stop [...] all'anestesia epidurale per il parto indolore"

Niente da dire, è un leader che mantiene le promesse.
o quasi.




Nel frattempo la Lega si attiva per affrontare l'emergenza sicurezza.

"Lega propone di eliminare kebab dai centri storici in Lombardia"

23 luglio 2008

(s)Compensazione

È vero, è verissimo, una parte della stampa non ha dato il giusto spazio al miracolo della scomparsa dei rifiuti da piazza del plebiscito, sì, innegabile.

Va anche detto, però, che ciò è dovuto a una forma di rispetto per i bisogni del telespettatore, senza discriminazione alcuna, per tutti, compresi quelli del cinegiornale di Fede, ai quali qualcuno doveva pur raccontare che nell’ultima settimana nel mondo è successo anche dell’altro.

L’hanno fatto per loro, perché non si sentano trascurati, sminuiti, perché non pensino che il considerarli stupidi al punto da aver bisogno di sei giorni consecutivi della stessa notizia per apprenderla, con supporto (ché l’intero tiggì per un’intera settimana pareva poco efficace) di speciali e extra, sia parere di tutto il mondo giornalistico.

Stesso discorso lo stanno facendo sul problema del tesoretto.
Uguale, l’intero mondo giornalistico non è che stia ignorando il problema dell’assenza del tesoretto.
È che anche in questo caso ai telespettatori del cinegiornale di Rete4 si attribuisce sufficiente intelligenza per aver appreso la notizia, dopo che è l’unica altra che è riuscita a essere così emergente da esser l’unica che ha saputo togliere spazio a quella del miracolo dei rifiuti spariti da piazza del plebiscito.
Così, sento di poter interpretare il pensiero di tutte le redazioni quando immagino che non diano la notizia non per nasconderla, ma perché ritengono che ogni giorno per dieci minuti al giorno con interviste a esponenti del governo e servizi sul prima e dopo elezioni sul cinegiornale di Rete4 sia uno spazio sufficiente per darla per compresa.

Della stessa idea non è naturalmente il suo timoniere Fede, che, tolto il faticoso (ma irripetibile, impagabile, da masturbarsi) momento nel quale oggi è stato costretto a leggere il comunicato di redazione che contesta il bavaglio alla stampa messo da questo governo, ci ha tenuto a ricordarci con il duecentesimo servizio della settimana che a Napoli ora tutti cantano ‘o sole mio’ e con la trecentocinquantesima edizione del cinegiornale che il tesoretto non c’era.

Qualcuno gli dica di passare oltre.
L’hanno capito pure i suoi affezionati, che a Napoli oggi tutti cantano ‘o sole mio’ sì, ok, non servono altre ventisei edizioni.
Le ultime venticinque sono state sufficienti.

17 luglio 2008

Per me bottiglie di rhum grazie, non fate i pidocchiosi del cazzo con acqua mezza bevuta

Oggi parlano di reversbilità delle decisioni.

Ok, ci sta.
Provo...
...
Fatto.
Non si è 'reversito'.

Allora lo ricordo, così che se capitasse domani sia anche chiaro che nei tre anni passati no, grazie, non ho cambiato idea.

Ribadisco quanto detto qualche anno fa:

Oggi dico una cosa che, anche se sembra triste, è una cosa che una sola volta nella vita, in stato di coscienza e lucidità tutti dovrebbero fare.
Oggi dirò cosa fare se.

Staccate la spina.

E se non ve lo consentiranno inciampate nel filo.
E se non ve lo consentiranno fate lo sgambetto al medico facendolo cadere sul filo.
E se vi controlleranno a vista appoggiatevi al letto come per farmi una carezza e premete col gomito il tubo della flebo il tempo necessario, una frazione di secondo, per formare nel flusso del liquido una piccolissima ma definitiva bolla d’aria.
E fatelo per me.
E fatelo sapendo che è quello che desidero.
E se in quel momento cortei di persone si metteranno a confondervi le idee inscenando veglie di preghiera per me, fottetevene.
E se decine di persone si incerotteranno la bocca per convincervi che solo Dio può decidere di togliermi la vita, dite loro di impegnare il loro tempo nei loro affari, nelle loro menate quotidiane, nell’educazione dei loro figli, nell’estinzione del loro mutuo, nel nascondere i loro scheletri.
Qualsiasi cosa basta che non si facciano i cazzi miei.

Non date loro la possibilità di farmi impersonare l’alibi per i loro errori.
Non permettete loro di interessarsi a me, perché quella che per loro è una battaglia ideologica dello stesso valore della difesa della pelliccia delle foche, per me significherà sofferenza.
Non date loro la possibilità di firmare col mio nome il loro biglietto per il paradiso.
E se fior di teologi impegneranno i loro preziosi giorni in dibattiti televisivi il cui unico scopo è infilare il loro credo anche nella mia vita, nonostante io l’abbia spesa per tenerli al di fuori, impediteglielo con tutte le vostre forze.
Dite loro che non mi interessa il loro parere.
Dite loro che non ho chiesto il loro aiuto.

Spegnetemi.
Non lasciate che la mia vita diventi merce di scambio.
Non condannatemi a guardare il soffitto di una stanza per il resto della mia vita.
E se per caso il dilemma riguardasse il fatto che l’eventuale malattia mi avrà tolto l’uso dei muscoli ma non quello della coscienza, se per caso il mio essere malato non riguarderà la lucidità mentale, allora sappiate che per me la sofferenza sarà doppia.
E se loro diranno che ancora sorrido, se diranno che non muovo più un muscolo ma il cervello ancora funziona, ancora di più combattete per spegnermi.
Perché per me la condanna sarà ancora più dura.
Perché vorrà dire che avrò la capacità di rendermi conto che sto vivendo quella che non sarà una vita.
E io quella vita non la voglio vivere.

E non titubate di fronte ai miei occhi.
Se vi troverete a dover interpretare il mio battito di palpebre, se dovrete scegliere se chiudendole avrò detto “Si” oppure “No” oppure “grazie”, sappiate che quelle palpebre staranno dicendo solo “basta”.
E se le chiuderò un’altra volta vi starò dicendo anche “per favore” oltre che “basta”.

E non fatevi scrupoli.
Sarà proprio il mio essere cosciente, il motivo per il quale dovrete scegliere di spegnermi.
Non obbligatemi a rendermi conto per uno, dieci, venti anni, che il mio mondo sarà circoscritto nell’area di un lenzuolo.
Non condannatemi a tanto.
Quella sarebbe la vera sofferenza.

E se per caso non dovessi nemmeno essere cosciente, allora ancora di più, spegnetemi.
Perché amo chi mi starebbe accanto.
E alle persone che amo io non vorrei mai regalare anni di sofferenza.
E non mi interessa avere qualcuno che mi fa fare ginnastica per gambe che comunque non userò mai.
E non voglio che la fine della mia vita sia la fine anche della vita delle persone che amo.
Vivete.
Spegnetemi e vivete al posto mio.
Non voglio che il salotto della casa dove sono cresciuto si trasformi in una stanza d’ospedale per il resto della mia vita.
Metteteci una mia foto, al massimo, e ricordatemi quando correvo, quando pattinavo, quando sorridevo, quando amavo.

E se per caso qualche pezzo di me dovesse risultare ancora utilizzabile, non esitate a regalarlo.
E quello che avanza riducetelo in polvere.
Perché io non sono un’anima che si porta in giro un corpo.
Io sono un corpo.

Io sono le mie mani, io sono il mio cuore, io sono i miei occhi.
E le mie mani sono cresciute toccando, penetrando, graffiando, non possono vivere altrimenti.
E il mio cuore è cresciuto emozionandosi, scoppiando, rallentando, sanguinando, non potrebbe vivere altrimenti.
E i miei occhi hanno visto il mondo, hanno pianto per amore, si sono gonfiati per l’emozione, hanno cercato la bellezza in ogni stronzissimo battito di ciglia, non vogliono altro.
E se io non sarò più in grado di portarli in giro per il mondo, che sia qualcun altro a farlo.
Non togliete anche a loro la possibilità di vivere.
Non togliete al mio cuore la possibilità di amare, non impedite ai miei polmoni di farsi ancora canne, lasciate al mio fegato la possibilità di filtrare ancora un buon rhum cubano, una grappa morbida della Valtellina.
E se ve lo consentiranno, anche i miei capelli regalate, perché siano ancora una volta accarezzati.
La mia vita serve solo a rendere onore a tutto questo.
Ha senso solo se potrò avere tutto questo.

E a tutti quelli che diranno che solo dio dà la vita e solo dio può toglierla, tu, mamma, fatti guerriero per me.
Perché la vita me l’hai data tu, non dio.
E me l’hai data, non me l’hai prestata.
Ora è mia.
E io voglio farne ciò che ritengo giusto per me, non per la chiesa, non per la coscienza di cento, mille, centomila stronzi che domani, finita l’ennesima battaglia alla moda, a differenza di me potranno andare al mare a nuotare, potranno tenere in braccio il loro figlio, potranno scopare, potranno fare tutto ciò che secondo loro io dovrò solo immaginare da quel giorno in poi immobilizzato in un letto.
Nemmeno guardare.
Solo pensare.
Immaginare.
Ricordare.
Dio che condanna sarebbe.

Guardami quel giorno, se mai dovesse capitare.
Pensa a me, a tutto quello che hai letto di me, a tutte le emozioni grazie alle quali ho vissuto, alle mie donne, ai miei amici, al cibo, al buon vino, alle giornate al mare, alla tavola della nonna, ai natali in famiglia, a quando ballavo da piccolo, a quando ho pianto da grande, alle ginocchia sbucciate, ai treni presi, ai regali scartati, ai fiori comprati, alle battaglie combattute, alle paure sconfitte, alla chitarra suonata, ai bei voti presi a scuola, ai vestiti che mi andavano grandi.

Guardami quel giorno.
E ricordati che per me, vivere, vuol dire tutto questo.
Vuol dire pelle d’oca, vuol dire sapori, vuol dire profumi, vuol dire emozioni.
E se ti diranno che l’espressione che vedi sul mio viso è un sorriso, e quindi coscienza, rispondi loro che no.
Non è coscienza.
Quel sorriso, quel giorno, significherà soltanto ”Grazie”.

Per quello che è stato.
E perché mi darai la possibilità di non soffrire più.
Quel sorriso sarà soltanto la certezza che tu, almeno tu, non mi costringerai a soffrire ulteriormente.
E per quel sollievo io sorriderò.
Perché saprò che almeno su di te potrò contare.
E perché saprò che la tua vicinanza significherà che tutto quell’orrenda vita starà finalmente per finire.
Non mi abbandonare, quel giorno.
Fai quello per cui mi hai creato.
Fammi felice.
Dammi un bacio sulla fronte e spegnimi come mi hai acceso.

Con amore.
Non chiedo altro.

Questo è un testamento biologico.
Scritto e salvato su un server attraverso password che solo io conosco.
E secondo le nuove leggi che regolano internet, se non sbaglio, ha valore legale.


15 luglio 2008

Pensieri in voo-ga

Passi davanti a un piccolo cartolaio e hai voglia di entrare per chiedergli se hanno quel gioco là, quello che in genere tengono solo le Grandi distribuzioni Organizzate.
Ti fermi e noti il cartolaio seduto su una sediolina davanti all’uscio, come fossimo in calabria e lui fosse una signora che guarda il mondo passare per sei ore al giorno con la vicina accanto a lei a commentarlo.
Lo sai che lui è lì proprio perché non c’è Grande distribuzione Organizzata nei paraggi e pensi che se gli chiedi quel gioco che nessuno gli chiederebbe mai lui penserà che al prossimo passaggio del fornitore forse gli converrà ordinarne almeno cinque ma se tra l’ordine e l’arrivo della fornitura dovesse aprirgli accanto una Grande distribuzione Organizzata lui avrà sulle spalle una fornitura che mai smaltirà e forse chiuderà anche e con quella domanda semplice di quel giorno tu in qualche modo l’avrai spinto giù solo mettendogli la pulce nell’orecchio di quello che per te è uno sfizio per lui magari diverrà un problema impossibile da smaltire e la domanda te la rimetti in tasca e lo lasci sulla sua sediola ad attendere l’arrivo dell’annunciata Grande distribuzione Organizzata con i pochi cuscini intorno che avrà avuto tempo e modo di metter giù senza che tu glie ne tolga qualcuno per uno sfizio della durata di un minuto.

Arrivare a una tale sintesi di scrupolo non è opera per improvvisatori.
Ci vuole costanza, ci vuole allenamento, ci vuole progressione, ci vuole una vita a pane e scrupoli.

Lo so che il pensiero è complesso, lo so.
Davvero lo so.
È l’unica cosa che non serve mi venga indicata.
È la cosa che so di più, insieme alla difficoltà di una convivenza inevitabile con le conseguenze di un pensiero tanto complesso.

1. Traghettare la capra da A a B (nel frattempo sulla sponda A restano il lupo e i cavoli)
2. Tornare indietro e traghettare i cavoli da A a B
3. Riportare indietro la capra da B ad A (per evitare che mangi i cavoli, che ora si trovano sulla riva B)
4. Traghettare il lupo da A a B (per evitare che mangi la capra, che è tornata sulla sponda A)
5. Tornare indietro e traghettare la capra da A a B (mentre sulla sponda B restano il lupo e i cavoli)



6. Il tutto senza barca.
Ché magari serve a qualcun altro per pescare e sfamare la famiglia.

Magari no,
ma magari sì.

13 luglio 2008

Risiko

Qui in bovisa i musulmani li abbiamo visti arrivare uno alla volta.
Come la teoria dei vasi comunicanti, lentamente la piazza occupata dagli storici residenti pugliesi si è vista sostituita da un grande gigantesco Suk, a seguito di un processo durato circa dieci anni.
Come un gigantesco gulliver che con una pinzetta prendeva un pugliese, lo metteva nel suo salotto e al suo posto sul marciapiede ci metteva un egiziano, poi un altro pugliese preso e messo nella sua cucina e al suo posto al tavolino del bar un cingalese, poi un altro pugliese preso e messo nel suo box a sublimare col tuning una vita perdente e al suo posto ai giardinetti una mamma con burqa e passeggino, così, per dieci anni, goccia a goccia.
Oggi non vedi un italiano in strada che sia uno.
La bovisa pare una colonia in territorio italiano.

Non che non ci siano italiani, è che sono tutti chiusi in casa e l’immagine che l’occhio vede è il risultato di quel fattore comunità che porta qualsiasi uomo migrato a cercare subito un suo simile, a scendere nella nuova strada sconosciuta per cercare con urgenza qualcuno con cui parlare l’unica lingua che conosce, la propria, a contarsi, a creare un’isola di proprio paese in quel mare nel quale ci si è tuffati senza salvagente.
Il migrante ha bisogno di contarsi, di vedere i suoi simili, di imbastire un presepe nel quale sentirsi meno solo e in questo la strada è l’unica via e per questo la strada che è oggi la bovisa, è diventata la casa dei migranti e la strada dei residenti è diventata la casa dentro la quale ritrovarsi la sera per giocare, chiacchierare, mentre fuori le gelaterie a breve metteranno cartelli alle vaschette di gelato con i nomi anche in italiano.
Oggi camminare per la bovisa significa notare gli italiani.

La moschea di Viale Jenner era (è) oggettivamente un problema urbano e di convivenza.
Migliaia di persone inginocchiate tra le auto non possono non avere impatto.
Ma il problema era il fastidio e l’impedimento, il sequestro una volta alla settimana di un’intera fetta di quartiere, l’impossibilità di scavalcare quaranta persone per poter accedere a un caffè, sia per coloro i quali rispettavano quel momento di preghiera, sia per coloro ai quali fregava zero di quegli invasati e non di meno doveva affrontare il problema di scavalcarli senza l’aiuto di un lanciafiamme.
Alla presenza, al contrario, la bovisa aveva avuto tempo e modo di abituarsi grazie alla progressiva azione di Gulliver che ha permesso di attutirne il flusso.
In qualche misura ne è uscita persino arricchita (per chi gradisce), grazie a kebab buoni come in poche altre zone, grazie a ‘beauty salon’ cinesi che hanno saputo intercettare il bisogno tutto femminile di farsi i capelli dodici volte al mese in una zona nella quale le donne non potevano permettersi che quel taglio a 6 euro che oggi permette a quei cinesi di avere la fila fuori (di italiani) e un cartello sulla vetrina che rassicura circa l’apertura anche ad agosto.
Una comunità di musulmani e stranieri vari a tre zeri è riuscita a entrare nel territorio tanto da trasformarlo a propria immagine e, sulla propria immagine, raccogliere anche un certo favore.
Rom a parte, la cui cacciata (grazieaddddio) ha visto il plauso pure dei tombini, nessuno ha mai alzato un dito per chiedere che ora si passasse ai cingalesi o agli egiziani, per quanto in diversi casi lo meriterebbero pure.

Ma il comune non ci sta.
Con la solita formula del ‘è il cittadino che ce lo chiede’ con la quale oggi si intitola qualsiasi provvedimento al fine di presentarlo come dovuto anche quando magari non partorito volontariamente (certo, è il cittadino mica la giunta perché 'la giunta è eletta dal cittadino'), improvvisamente ha deciso di prenderli in blocco e spostarli dove possano pregare in pace e senza recare disturbo alla cittadinanza.
Ma che bontà, lo fanno anche per loro, perché possano pregare meglio.
Bene, giusto provvedimento, gli italiani non ne potevano più di quell’assembramento del fine settimana e i musulmani si trovavano oggettivamente impossibilitati a sentire il predicozzo settimanale se inginocchiati fuori dall’edificio dall’altro lato della strada tra auto che cercavano di evitarli facendo a volte violenza sull’istinto di metterli sotto le ruote e la 91 che gli passava attraverso ogni 6 minuti (certo, come no, anche tre).
E dove li spostano?
In uno dei mille mila ettari che ai confini della bovisa sono abbandonati e in disuso o in uso a non ben precisati depositi di qualcosa?
No, al Vigorelli.
Che per chi non lo sapesse è una delle zone più residenziali e di conseguenza tranquille di milano.
Una zona nella quale se vedi uno straniero è filippino e ha due alani anoressici di 3 metri al garrese al guinzaglio.

Gulliver lì non è mai passato.
Non ci sono bottiglie per terra né giardinetti pieni di burqa e bambini di cento razze che giocano insieme.
Non ci sono residenti il cui unico problema di convivenza con i musulmani e costituito dal loro fregarsene delle richieste di fare meno casino con i mobili la notte o di usare sì il curry ma non per imbiancarci la casa.
Non ci sono milanesi che hanno avuto tempo e modo per incastrarsi con queste migliaia di stranieri né gelaterie che hanno saputo educarli a non sputare davanti alla vetrina.
Al vigorelli ci sono solo signore della milano bene del tutto impreparate, chi non lo sarebbe, a passare dal caffè marocchino col pasticcino la domenica mattina, al caffè COL marocchino scavalcato la domenica mattina.
Gulliver sta per lasciare il campo a Golia, improvvisamente nella zona più tranquilla e residenziale di milano stanno per riversarsi migliaia di musulmani e a fronteggiarli troveranno decine di Davidi in gonnella preoccupate per la pelliccia (delle quali qui in bovisa non s’è vista mai traccia e non per paura ma perché proprio non ce le si può permettere).
Lo scontro sociale che si genererà è tutt’altro che imprevedibile e la colpa non sarà di nessuno se non di quella giunta che, sapendo benissimo come accendere la fiamma, ha deciso di spedirli nella zona dove più avranno paura di questa gente e dove infatti già si stanno erigendo le prime barricate.
A quel punto per sostenere che milano non vuole nemmeno i musulmani basterà attendere un paio di mesi e poi mettere semplicemente una foto sul giornale e un paio di interviste alle signore del quartiere.
E un nuovo provvedimento potrà vedere la luce sotto il titolo ‘è sempre la cittadinanza che ce lo chiede’.

Nel frattempo sui cinesi in paolo sarpi e la loro reale extraterritorialità tutt’altro che apparente al contrario nessuno fiata.
Gli si è pure proposto di regalargli le case e i fabbricati dove stipare decine di schiave che cuciono jeans ventiquattr'ore su ventiquattro, ma loro han detto che non gli piaceva molto l’esposizione delle nuove finestre e la giunta ha detto ‘ah ok, vabbé scusate, continuate pure a tirare i sassi ai vigili e anzi, buone olimpiadi, se riusciamo verremo ad applaudirvi’.


11 luglio 2008

Domiciliari

Da Il Foglio:

'La mattina apre gli occhi e la sera li chiude, respira da sola e borbotta.'


Vabbé...non è che basti andare a pranzo con Buttiglione, per diventare magistrato.

Dialogorante

Sconfitti
Roma, 30 aprile: "Cercheremo un dialogo”

Fiducia al governo
Roma, 15 maggio: “Dialogo senza cedimenti”

SalvaReteQuattro
Milano, 23 maggio: ''Il dialogo sulle riforme non e' in pericolo”

Decreto sicurezza
Roma, 16 giugno: “Basta strappi o salta il dialogo"

Ricusazione giudici
Roma, 17 giugno: “Basta dialogo”

Lodo Alfano
Roma, 26 giugno: “dialogo impossibile con il premier”

Blocca processi
Roma 20 giugno: “Dialogo finito, si torna in piazza”

Fischi dai socialisti
Montecatini, 5 luglio: “E' finito il tempo del contrasto ed é iniziato il tempo del dialogo”

Modifica Decreto sicurezza
Roma, 6 luglio: “se viene ritirato l'emendamento blocca processi torna il dialogo”


E si dialoga e no non si dialoga più adesso si dialoga ancora no no scherzavo non si dialoga ma sì dai che si dialoga occhio ché non dialoghiamo eh vabbé dai dialoghiamo dialoghiamo anzi no non dialoghiamo più o dialoghiamo solo se ma anche nemmeno se facciamo che dialoghiamo senza dialogare proviamo il dialogo no non lo proviamo più attento ché ti do l’ultimatum sul dialogo non sei terrorizzato allora non ti do più l’ultimatum ora te lo do di nuovo vorrai mica non dialogare con me invece io non voglio dialogare con te cioè voglio sei tu che non vuoi dialogare con me io dialogo con te no anzi non dialogo più non si può dialogare con te ma anche con lui non si può dialogare si può dialogare con gli altri allora dialogo con gli altri e non con te e nemmeno con lui…

Qualcuno avvisi ‘sto genio della politica che è tempo di passare alla difficile fase 2:
Comunicare al mondo il contenuto del dialogo.

5 luglio 2008

Ahinì anàn ta

No poi io del popolo giapponese so praticamente zero se non che hanno fatto Goldrake e comprano biancheria intima usata in rete, sì, d'accordo.

Però da quel poco che ho visto e sentito negli anni, oggi guardavo le immagini del cavaliere che per mostrare quanto è amicone pure di Koizumi lo prende gli tira un pugno sulla spalla e lo strattona come fossero due amici in un bar che decidono di giocarsi la prossima bevuta in una gara di rutti, immaginandomi possessore di una macchina leggi-pensiero che mi permettesse di scoprire come si dica in giapponese:
"ma guarda 'sto stronzo, ora mi tocca suicidarmi"

'Assaldi', li ha chiamati il giornalista in un lapsus

E' innegabile che le immagini della folla in fila davanti all'ingresso di Gucci in attesa del via libera saldi mostrate nel servizio del TG5, rappresentino in maniera quanto mai chiara l'entità del problema fine mese che attanaglia l'italia.

Ché l'italiano è davvero stanco di trovarsi con la borsa vuota già al 15 del mese, ma ancora meno è disposto ad accettare che quella borsa non sia una Gucci.

4 luglio 2008

B Job

Sì vabbé ‘sta cosa delle intercettazioni che racconterebbero il concetto di meritocrazia applicato alle doti della ministra, ok, sì interessantissime.
Alzi la mano chi ha pensato fosse arrivata lì perché l’unica sulla piazza con le competenze necessarie per quel ministero.

No no, ora che sta venendo fuori il metodo di scelta degli incarichi non si pensi che abbocchiamo alla storiella della ministra.
Lo sappiamo che serve solo ad allontanare l'attenzione da quelle davvero importanti.

Avanti...
...Fuori le intercettazioni che ci spiegano Bondi!

1 luglio 2008

Sia chiaro

Questa è sempre ingerenza, eh.
Non è che adesso diventa magicamente buonsenso.