Spinoza è sempre più un collegamento perenne con la villetta del massacro nella trasmissione del pomeriggio.
I suoi commentatori sono sempre più quelli che dietro il cronista che elenca le coltellate, ridono e saltano cellulare alla mano facendo ciao con la mano a quelli a casa chiamati per collegarsi.
Quelli che intervengono nei commenti per ringraziare per l'onore della pubblicazione sono sempre più Paolini di Paolini stesso.
Non importa nemmeno più la qualità delle battute, conta che l'oggetto delle stesse sia il più crudo possibile per poter nascondere, dentro l'accensione dell'indignazione e il suo uguale e contrario entusiasmo per la temerarietà, una qualità che può dirsi tale solo in quel web che vive di numerica e statistiche.
Con lo stesso metro la Lega è andata al governo e detta legge.
Quella di Borghezio, la cui qualità è talmente bassa che a chiedere scusa per lui apparendo moderato ci pensa Calderoli, quello del maiale a spasso per la moschea, senza che nessuno noti nulla di anomalo, guidati da Bossi, quello che tra un rantolo e l'altro fa il dito medio a giornalisti che lo definiscono il miglior politico al momento su piazza.
Ed effettivamente lo è, tanto quanto il popolo di Spinoza è la miglior satira al momento disponibile.
27 luglio 2011
8 luglio 2011
Direttamente propozionale
Tu sei seduto al tavolo e stai facendo il tuo discorso, atteggiandoti ad altissimo politico.
Due metri accanto a te il resto degli ospiti ti da del cretino, motiva i tuoi contenuti "suicidi" con il fatto che "devi parlare", ride di te e, ridendo di te in quel contesto, del tuo spessore come ministro.
La sostanza che ti si palesa è la misera considerazione che di te si ha, la forma è che il tutto viene riassunto in "è un cretino".
Scoppia il caso e ti si chiede scusa per quel "cretino", per la forma.
Tu ti dici contento, a posto così con le scuse.
E così facendo confermi la sostanza: sei un cretino.
Due metri accanto a te il resto degli ospiti ti da del cretino, motiva i tuoi contenuti "suicidi" con il fatto che "devi parlare", ride di te e, ridendo di te in quel contesto, del tuo spessore come ministro.
La sostanza che ti si palesa è la misera considerazione che di te si ha, la forma è che il tutto viene riassunto in "è un cretino".
Scoppia il caso e ti si chiede scusa per quel "cretino", per la forma.
Tu ti dici contento, a posto così con le scuse.
E così facendo confermi la sostanza: sei un cretino.
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Catodic'affà,
levategli il microfono,
politiquanti
2 luglio 2011
Abbiamo sbagliato molto
Dall'arrivo in città ci ho messo circa 7 mesi per andare al cimitero.
Complicato intreccio tra personale concezione di bisogno delle radici, ciò che mi ha portato qui, e consapevolezza che una buona parte di quelle radici si trovano, come da enciclopedia, sotto terra.
La maggior parte dei Bozza importanti stanno tra quegli alberi, più o meno i migliori se ne sono andati prima che io arrivassi.
Ecco.
Passare in rassegna la metà delle persone che avrei avuto bisogno di trovare qui visualizzata su lapidi il cui addobbo riflette abbastanza fedelmente la vicinanza in vita, mi ha rivelato in poche riflessioni brevi, brevi quanto il cuore regge tre lapidi con lo stesso tuo cognome sopra, il film della nostra storia.
La prima riflessione è stata cinematografica, come tutte le mie prime riflessioni: vorrei essere sepolto lì anch'io.
Un modo per tornare a stare insieme, vicini, ormai l'unico a mia disposizione.
La seconda riflessione è che si muore.
Complicazioni inenarrabili, fatiche mai ripagate, pianificazioni su scala decennale e poi comunque si muore senza nemmeno poter decidere quando, almeno per quanto riguarda gli altri.
La terza riflessione è che abbiamo sbagliato tanto.
Davvero tanto.
Dietro ciascuna di quelle lapidi c'è un errore che, quando ci sarà anche la mia, chi verrà a trovarci potrà comodamente trovare dietro la mia senza bisogno di fare tutto il tour che mi sono fatto io oggi.
La quarta riflessione è che 10 anni sono un purgatorio sufficiente per poter finalmente mettere una foto sulla lapide di mio padre.
La quinta riflessione riguarda i gesti automatici e spontanei.
Quando davanti alla lapide dello "zione" (era magrissimo, lo chiamavamo zione per rappresentare la sua grandezza familiare) ho spostato i fiori per leggere la data di morte e ricordarmi da quanto siamo un po' più soli.
Quando davanti alla lapide di mio padre ci ho appoggiato la mano sopra e, pensando "ma davvero sei qui dentro?", la mano si è stretta a pugno e si è messa a bussare.
Quando ho realizzato il gesto ha cominciato a mancarmi un po' di più, se possibile.
E' inutile pensare, cercare, sperare che la morte chiuda le storie.
Le prosegue.
Aggiunge un elemento col quale fare i conti e fa della storia qualcosa di nuovo.
Poi arriva la tua e i conti passano agli altri.
E via così, a riempimento di pagine completamente inutili perché mai contemporanee.
Le storie non si aggiustano da sole.
O provi ad aggiustarle tu, o impari ad accettarle sbagliate.
La sesta riflessione tra quei muri è che io diventerò lapide prima di aver imparato come si fa a vivere la seconda strada.
E mica per morte prematura, ma perché mi ci vorrebbero altre due vite per imparare a smettere l'unica che mi ha portato fin qui.
E altre due vite non le ho.
E francamente nemmeno le vorrei, a meno che qualcuno mi garantisse che sarebbero due nuove anche per quegli altri Bozza là di oggi.
Altre due di nuovo senza no, grazie.
Io sto a posto così.
Datene quattro a mio fratello, se proprio crescono, ché lui se ne fotterebbe minimo altre tre prima di imparare la sua seconda strada.
Complicato intreccio tra personale concezione di bisogno delle radici, ciò che mi ha portato qui, e consapevolezza che una buona parte di quelle radici si trovano, come da enciclopedia, sotto terra.
La maggior parte dei Bozza importanti stanno tra quegli alberi, più o meno i migliori se ne sono andati prima che io arrivassi.
Ecco.
Passare in rassegna la metà delle persone che avrei avuto bisogno di trovare qui visualizzata su lapidi il cui addobbo riflette abbastanza fedelmente la vicinanza in vita, mi ha rivelato in poche riflessioni brevi, brevi quanto il cuore regge tre lapidi con lo stesso tuo cognome sopra, il film della nostra storia.
La prima riflessione è stata cinematografica, come tutte le mie prime riflessioni: vorrei essere sepolto lì anch'io.
Un modo per tornare a stare insieme, vicini, ormai l'unico a mia disposizione.
La seconda riflessione è che si muore.
Complicazioni inenarrabili, fatiche mai ripagate, pianificazioni su scala decennale e poi comunque si muore senza nemmeno poter decidere quando, almeno per quanto riguarda gli altri.
La terza riflessione è che abbiamo sbagliato tanto.
Davvero tanto.
Dietro ciascuna di quelle lapidi c'è un errore che, quando ci sarà anche la mia, chi verrà a trovarci potrà comodamente trovare dietro la mia senza bisogno di fare tutto il tour che mi sono fatto io oggi.
La quarta riflessione è che 10 anni sono un purgatorio sufficiente per poter finalmente mettere una foto sulla lapide di mio padre.
La quinta riflessione riguarda i gesti automatici e spontanei.
Quando davanti alla lapide dello "zione" (era magrissimo, lo chiamavamo zione per rappresentare la sua grandezza familiare) ho spostato i fiori per leggere la data di morte e ricordarmi da quanto siamo un po' più soli.
Quando davanti alla lapide di mio padre ci ho appoggiato la mano sopra e, pensando "ma davvero sei qui dentro?", la mano si è stretta a pugno e si è messa a bussare.
Quando ho realizzato il gesto ha cominciato a mancarmi un po' di più, se possibile.
E' inutile pensare, cercare, sperare che la morte chiuda le storie.
Le prosegue.
Aggiunge un elemento col quale fare i conti e fa della storia qualcosa di nuovo.
Poi arriva la tua e i conti passano agli altri.
E via così, a riempimento di pagine completamente inutili perché mai contemporanee.
Le storie non si aggiustano da sole.
O provi ad aggiustarle tu, o impari ad accettarle sbagliate.
La sesta riflessione tra quei muri è che io diventerò lapide prima di aver imparato come si fa a vivere la seconda strada.
E mica per morte prematura, ma perché mi ci vorrebbero altre due vite per imparare a smettere l'unica che mi ha portato fin qui.
E altre due vite non le ho.
E francamente nemmeno le vorrei, a meno che qualcuno mi garantisse che sarebbero due nuove anche per quegli altri Bozza là di oggi.
Altre due di nuovo senza no, grazie.
Io sto a posto così.
Datene quattro a mio fratello, se proprio crescono, ché lui se ne fotterebbe minimo altre tre prima di imparare la sua seconda strada.
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