Che poi diciamole due parole su quel breve istante in cui l’altra notte decisi di chiudere e nel giro di due ore cambiai idea.
Diciamo che prima di tutto cambiare idea è possibile, è persino facile, soprattutto è un diritto e almeno qui dove non devo nulla a nessuno mi concedo il lusso di esercitarlo.
Sistemata la questione formale andiamo a quella sostanziale, il perché.
Perché non c’era un perché, appunto.
E che non c’era un perché non l’ho capito da solo, ma nelle due ore tra il momento in cui decisi di chiudere e quello in cui cambiai idea, grazie a una serie di piccole cose.
Pochi minuti dopo ho ricevuto una mail da voi due, con la foto dei libri appoggiati al computer e quella prima persona plurale che è per me sempre stata la prova più evidente dell’esistenza dell’amore e quanto è bello scoprire che c’è chi la usa davvero, usata per dirmi quelle cose là su di me che boh, e quelle altre cose là sulla guerra che altrettanto boh, sto pensando a come si possa rispondere e al momento penso solo col silenzio.
E ho pensato che cavolo, dieci anni diventano un libro detto e comparso come se io avessi davvero qualcosa da suggerire, diventano parole così belle che tu pensi se davvero lo vuoi perdere, non i dieci anni ma il risultato di quei dieci anni e pensi che no.
Mentre andavo in giro in cerca di parole non mie trovo un piccolo “Mi mancherai, proprio ora che” che non era per me ma aveva il suono della cosa più per me che volessi ascoltare in quel momento e allora ho fatto finta fosse stato messo lì per me e me lo sono rubato e rubandolo ho pensato perché, se davvero volessi perdere quel proprio ora che e ho pensato che no, davvero no.
Mentre discutevo, raccontavo, romanzavo e infilavo la cronosequenza degli elementi necessari perché tu invece capissi e mi dicessi non quello che volevo sentire ma quello che avevo bisogno, di sentire, mi sono chiesto se avessi voglia di perdere anche te e la possibilità di farmi indicare dove esattamente ho commesso la madre di tutti gli errori e scoprire che il punto era quello, esattamente quello, colpito e affondato come nemmeno chi mi conosce da vent’anni avrebbe saputo infilzare al primo colpo e indicarmi così nettamente dove io non vedevo alcun errore e tutto, solo, grazie a quanto io metto qui pensando siano sciocchezze quotidiane e invece quanto di me ci dev’essere, accipicchia, per rendermi così nudo da esserlo anche quando mi sento vestito così elegante o da ballo in maschera a seconda dei giorni e ho pensato che no, che perderlo anche se così recente sarebbe stata una perdita al pari di quelle così importanti da essere quella alla quale chiedi di dirti dove hai sbagliato, certo che lo farà, e lo farà.
Mentre tutto questo, intorno il silenzio di quelli di voi che amano così tanto il silenzio da averlo sempre scelto come modo per farmi sapere che stavate stringendo i pugni come me e con me e secondo me non solo per tifo ma perché in fondo un pochino alla volta, un giorno dopo l'altro, questo contro ogni logica ci crede davvero così tanto da mostrarlo possibile e contro ogni logica avevate iniziato a crederlo possibile anche voi ed era bello per una volta pensarlo davvero possibile, vero? Ecco, pensate io.
O tu, che mi dici che non intervieni perché quando io parlo apro cerchi che chiudo in quella maniera là che non serve aggiungere altro, che c’è tutto quello che serve, che sono cerchi autosufficienti, e io mi chiedo perché la precisazione, sembra quasi un tranquillizzarmi non necessario, ma poi riavvolgo riascolto e sento che no, era davvero un modo di dirmi che disegno cerchi perfetti e ho pensato che no, che sette anni sette a conservare ciò che hai conservato certa che un giorno me li avresti dati tutti e sette e tutto solo perché i cerchi mi escono perfetti, sarebbe stata una perdita.
E persino tu, che vorresti sotterrarmi di pugni e del cinismo col quale sono certo hai reagito in questi mesi ma che tieni fermissimo al prezzo di tenere fermo tutto solo per non rischiare di dirmi “Sì ok però anche basta ‘sta lagna” e io sorrido e penso che non darti più una lagna al giorno sarebbe una perdita non per te, ma per me che sorrido immaginando con quanto rispetto stai tenendo a freno i tasti.
E tu che non stai bene, che non ti disturbo finché non torni tu e il perché anche solo sapere che c’è un posto dove tornerai è per me motivo per tenere quel posto pronto, è un perché fatto di parole che non serve dire, bastino quelle che ci siamo detti tutte le volte che ci siamo seduti davanti a una bistecca e a un buon vino, che più o meno è coinciso sempre con il momento in cui uno dei due ne aveva bisogno e ehi, sono qui.
E ognuno di quelli che mi scrive per dirmi il perché mi legge e mi aspetta, quante case mi ospiterebbero e tutto perché sembro uno che non farebbe mai del male a nessuno ed è vero, non più.
E quelle piccole a me sconosciute città negli accessi, sì le vedo e come potrei non vederle tante volte mi bussano alla porta e ora che lo dico non lo faranno più o lo faranno di più per farmi ciao con la mano, sarà comunque curioso guardarlo accadere, che ogni volta che le vedo mi piace immaginarle abitate da qualcuno che chissà quanti anni fa o qualcuno che chissà tra quanti anni ma intanto è qui ed è ora e se scompaio poi dove sarà, se sarà, perché magari non sarà più e se fossi tu, ancora tu, ma non dovevamo vederci più? Ma soprattutto tu come stai? Sei come sempre arrivata lì dopo aver girato e rigirato senza sapere dove andare? E tu come vivi? Come ti trovi? Chi viene a prenderti? Chi ti apre lo sportello? Chi segue ogni tuo passo? Chi ti telefona e ti domanda adesso tu come stai?
E quelli che lo so, lo so che vengono qui augurandosi di trovarmi ferito e so che è importante, è una responsabilità che sento quasi come un dovere, le mie cadute sono ossigeno per tante di quelle persone da aver acquisito quella che è a tutti gli effetti una funzione sociale e so che finché gliele fornisco soddisfandone la fame non corro il rischio di vederli venirsele a cercare di persona e a me una vita con la certezza di non attraversare mai più lo stesso lato di strada che calpestano loro è orizzonte sufficiente per offrirmi ferito a qualsiasi godimento, più io sono ferito più sono soddisfatti, più sono soddisfatti più sono fermi dove sono, più sono fermi dove sono meno sono vicini, meno sono vicini più io sto bene, più io sto bene più voi state bene, ricordatevelo sempre, meglio io ferito che voi feriti, io lo so e per questo un posto dove offrirmi ferito è un posto importante, per non dire necessario, per la sopravvivenza reciproca; il patto è questo: io mi offro ferito ogni volta che sarò ferito, voi non commettete una seconda volta l'azzardo di oltrepassare questo vetro, uscirne illesi è un bonus che la ditta non offre due volte.
E tu, dura che più dura non si può, più con te stessa che con me, non mi manchi perché so che non ci sei e so che non ci sei perché posso controllare se ci sei e se non potessi più controllare non saprei più che non ci sei e se non sapessi più che non ci sei non mi mancheresti e vinceresti tu, ci perderemmo per sempre, e invece io spero che prima o poi a mangiare in quel posto là mollando i bimbi al tuo ex marito o lasciandogli la casa libera per una sera, visto che per quel giorno avranno tra i venti e i trent’anni e noi cinquanta o sessanta, mi ci porterai ma se non hai dove dirmelo dove me lo diresti? In mail? Al telefono? Tu? Campa cavallo, meglio lasciare questo posto pronto per quando capirai, perché capirai, che si può essere anche amici ed è bello quando ci si riesce davvero e quando invece non ci si riesce in dialetto si dice Perdita, comunque, e allora scusa ma tantovale, no?
E tu che quanti sono, dieci anni, e facciamone altri dieci se davvero mi dici che ti servono per dire a parole mie le cose tue che non sai dire però dai, facciamo un patto tra adulti, smettiamola di chiamarle cose nostre, dieci anni fa poteva funzionare ma oggi, a questa età, le cose nostre hanno una forma che oggi non hanno.
E tutti quelli, si ok dai quelle, che fanno finta di leggermi ogni tanto, sempre dopo un sacco di tempo, certo, lo so, vuoi che non lo sappia, quello che non so è perché ci sia bisogno sempre di precisarlo ma immagino ci sia quel perché se viene ogni volta precisato e quindi facciamo che io dico Ok, non ti sei persa niente in quel sacco di tempo, e che la cosa è reciproca, ecco una cosa sulla quale ci assomigliamo, tengo aperto così ce lo possiamo riconfermare tra un altro sacco di tempo. Tu nel frattempo continua a non lasciar passare giorno senza ricordare alla rete che ti piace fare pompini, così io posso continuare a non lasciar passare giorno senza ricordarmi il perché ho buttato fuori di casa quell'irrisolto che per amore chiamavo la mia fidanzata. Tenere aperto entrambi è in fondo un modo per darci qualcosa a vicenda.
E poi mio padre che mi legge dalla Russia. Sì, lo so, è morto, ma se avete creduto possibile quella storia là non vedo perché non possiate credere possibile anche questa storia qua, io ci riesco su entrambe, tengo aperto così continuo a spiegarvi come si fa.
E Gianluca che magari tra altri sei mesi o di nuovo tra un altro anno gli viene voglia di ridirmi che amici come noi da venticinque anni non ce ne sono in giro e che ci vogliamo bene e metti che non sappia dove trovarmi, ciao sono qui.
È che chiudere un posto come questo che non chiede e non pretende è come quando finisce la scuola e ci si stringe, non ci perdiamo, mi raccomando rivediamoci, almeno una pizzata al mese e poi dal giorno dopo nemmeno ricordi i nomi, giusto qualche immagine tra le migliori, qualche sigaretta nei bagni, le prima cosa che da quel giorno in poi avresti saputo chiamarsi tette, qualche nome cercato in gùgol e il dubbio che sia lui, l’assenza di posti dove raggiungerli, facebook non mi avrà.
Tengo aperto perché questa è una trincea in prima linea sul campo di battaglia con quelli là di facebook e di twitter e di tutte quelle diavolerie da mille contatti ma chi, chi di loro può dire di averne anche uno solo come voi?
Dai su, non scherziamo.
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