Occhi dentro occhi e prova a dirmi se
Un po' mi riconosci o in fondo un altro c'è sulla faccia mia
Che non pensi possa assomigliarmi un po'
Puse
Se n'è già parlato, adesso dateci tempo.
Mani dentro mani e prova a stringere
Tutto quello che non trovi
Negli altri ma in me
Quasi per magia
Sembra riaffiorare tra le dita mie
Il bar delle grandi speranze - J.R. Moehringer
Regalo di Elena, là dove la parola regalo riempie per intero il suo significato.
Ché poi lo so che uno come me che non ha letto niente in vita sua si ritrova con la puntuale sensazione del capolavoro ogni volta che si ritrova in mano qualcosa di rilegato per il solo fatto di maneggiare una propria scoperta, una propria crescita, ma no, questo processo poteva andar bene per i primi, alla fine possiamo anche darla per superata questa cosa e metterci lì dove stanno le persone che sanno discernere, che adesso due contorni li hanno, gli strumenti ancora no ma nemmeno a secco del tutto, dai.
Ci pensavo l'altro giorno mentre via mail rispondevo a una serie di "Hai letto questo? E di questo autore cosa hai letto?" domandatimi da chi sta decidendo quale sarà il prossimo regalo (non mi basterà una vita per ricambiarli tutti, mannaggia a voi) infilando un po' di titoli che nemmeno io ricordavo, perché poi io ho anche questo difetto della memoria che mi fa cancellare ogni volta tutto e per questo sono l'equivalente di uno che non ha mai letto un libro non perché sia effettivamente così ma perché non ne saprei raccontare nemmeno uno di quelli letti, li rimuovo puntualmente come rimuovo tutto, dai trent'anni in poi ho smesso di memorizzare e quindi vivo una lunga sequenza di morti e rinascite quotidiane, ma ricostruendo la sequenza per rispondere alla mail mi sono reso conto che accidenti, ne ho letti un sacco, è che me li dimentico, sia come contenuto che come numero.
O meglio, non diciamo un sacco, diciamo che nel mondo nel quale sono cresciuto io la media annua è circa un decimo di quanti ne abbia letti io e quindi alla fine questo mio essere a digiuno di libri, diamoci anche una pacca sulla spalla ogni tanto, era vero fino a un po' di tempo fa oggi è più che altro una leggenda che io stesso continuo ad alimentare solo perché di fatto a domanda non saprei descriverne nemmeno uno e quindi ne abbia letti cento o nessuno il risultato a livello di bagaglio personale è lo stesso.
Per esempio in uno di quelli letti in questi quindici giorni si facevano riferimenti a
Il Grande Gatsby, libro che ho letto l'estate scorsa ma del quale non ricordo assolutamente nulla e per questo quei riferimenti erano per me ignoti.
Cioè mi ricordo che racconta di uno che viveva da solo in una casa nella quale dava grandi feste, ma di più non saprei raccontare e nessuno potrà mai capire quale razza di handicap sia questo, perché non è solo lo sforzo di leggere, di trovare il tempo di farlo e nel caso non ci fosse riuscire a inventarselo fino al punto di andare anche in vacanza con la ferma volontà di non conoscere nessuno così da garantirmi quella solitudine necessaria per tuffarmi in una pila di libri che da mesi volevo leggere, ma è il farlo sapendo che quel tempo non lascerà traccia nella memoria ma solo nei piaceri al pari del ricordarsi di aver fatto sesso una volta in maniera molto particolare ma non ricordare con chi, ricordo che ogni volta sono felice di farlo, ma è un piacere che non colma lacune, non riempie alcun recipiente se non quello dell'inconscio piacere e finisce lì, di tutto ciò che ho letto non mi rimane in mente assolutamente nulla.
Il bar delle grandi speranze, al quale le cento righe precedenti vogliono dare i contorni di uno dei libri più belli che abbia mai letto, fa eccezione per un motivo molto semplice: la storia che racconta non la devo memorizzare successivamente al libro perché è preesistente in me prima della lettura.
Io ho vissuto ogni singola parola di quel libro nel senso che l'ho vissuta prima, quando vivevo la mia età memorizzata, quella fino ai miei trent'anni.
Ho fatto tutti quei passaggi, ho attraversato tutte quelle lacerazioni, quelle separazioni, quei rapporti sbilanciati, ho vissuto quel legame con l'incredibile microcosmo che solo un bar ti può far vivere e dentro quel microcosmo ho toccato le vette più alte di me stesso così come i pozzi più bui e profondi; con il bar, quel bar, ho vissuto la più complessa opera di recisione con me stesso che sia riuscito a completare contro ogni aspettativa di successo, mia prima di tutti.
Uscire (e mai più rientrare) da un microcosmo che tanto in alto mi aveva portato è stata una delle sfide più innaturali e insieme necessarie che abbia portato a termine in vita mia e per questo di quel libro io conosco ogni parola, ne conosco proprio il suono, l'odore, la fatica, l'immane fatica.
Fin dall'inizio ho percepito che mi avrebbe trapassato da parte a parte, ma sbagliavo nell'identificare la lama nella storia con il padre e con la madre che apre il libro, solo una volta entrato davvero nel libro ho visto quale sarebbe stata la lama più affilata delle tre che quel libro brandisce e resomi conto che sarebbe stata il bar ho capito il peso di ciò che stavo maneggiando, di ciò in cui stavo
rientrando.
E' incredibile per me pensare che ciò che altri percepiranno come null'altro che la formale cornice di una storia di famiglia, per me che ho una storia di famiglia così complicata e dolorosa, è in realtà il vero contenuto incorniciato in una storia familiare così sovrapponibile alla mia.
Per questo per questo è uno dei libri più belli che abbia mai letto, perché mi ha ridotto quello che per me è il fantasma più grande, la famiglia, a pura cornice di qualcosa di mio ancora più grande e non l'avevo mai ascoltato così chiaramente, così profondamente, così perfettamente.
Grazie Elena.
Quando dicevo che il prossimo sarà una bella sfida è chiaro che estremizzavo un risultato oggettivamente irraggiungibile e non per colpa.
Un libro più mio di questo non è materialmente possibile che sia stato scritto.
Ce ne saranno mille belli altrettanto e certamente altri mille ancora più belli, ma nessuno potrà mai essere così millimetricamente mio nella cornice come nella tela sia che si consideri l'una cornice e l'altra tela che viceversa.
E' Escher che mi fa il ritratto senza perdere un gradino, senza lasciare indietro una sola porta, senza perdere mai l'equilibrio se non negli esatti punti in cui lo persi anch'io, irripetibile.
Potessi trattenere il fiato prima di parlare
Avessi le parole quelle giuste per poterti raccontare
Qualcosa che di me poi non somigli a te
I figli della Repubblica. Un'invettiva - Maurizio Maggiani
Sessanta pagine scritte belle grandi con margini che arrivano quasi a metà pagina (ma basta però 'sta storia) perché non ne uscissero le venti che sono in realtà, quei libri che in due ore birra compresa fai fuori perché sono scritti per essere letti così, tutti d'un fiato e con una birra.
Ci sono libri che sono scritti per esser tali e altri che sono evidentemente poco più che la stampa di un po' di appunti su un quaderno che periodicamente chi è sotto contratto tira fuori per spuntare il ritmo richiesto, uno sfogo personale, la possibilità che solo alcuni autori hanno di vedersi pubblicare anche semplicemente dei pensieri estemporanei senza un fine preciso se non quello di sfruttare il lusso guadagnato di poterli esprimere a una platea più estesa di quella che ciascuno di noi vorrebbe avere a disposizione quando sotto una doccia più lunga del solito ci abbandoniamo a soliloqui che sentiamo solleverebbero pandemoni e ovazioni se solo non ci fossimo solo noi, in quella doccia, ma noi e tutti quelli che ascoltano qualsiasi fiato di Maggiani, io tra questi.
Quant'è bello Maurizio Maggiani.
Non bravo, è proprio bello, l'ho sempre trovato un uomo bello nel senso sofisticato e insieme semplice del termine.
Sarà che chi ha scritto
E' stata una vertigine per me potrebbe scrivere qualsiasi cosa e farmi leggere qualsiasi cosa, sarà che io gli uomini sottili quanto carta velina ma col peso specifico di un'incudine li vorrei tutti padre, li vorrei solo per me, ma quando è di Maurizio Maggiani che si parla io nemmeno guardo il titolo, leggo il nome dell'autore e compro.
Anche scrivesse il classico libro che il giudizio "Questo avrei potuto scriverlo anch'io" lo rende oggettivo, non arrivo a dire che sia questo il caso perché io no ma ne conosco diversi che senza fatica potrebbero scriverne uno uguale e anche migliore, per me resterà sempre un libro di
Quello che ha scritto E' stata una vertigine e questo chiude qualsiasi cerchio.
Non esprimo nemmeno giudizi su ciò che leggo, non serve, è Maggiani, sta lassù perché sta lassù come persona, facesse il gelataio farebbe i gelati migliori del mondo anche quando così non è, ci sono uomini che hanno quella forma e lui è tra questi.
Potessi trattenere il fiato prima di pensare
Avessi le parole quelle grandi
Per poterti circondare
Di quello che di me
Bellezza in fondo poi non è
Che tu sia per me il coltello - David Grossman
Che fatica, accidenti.
Ok, lo ammetto, ci sono libri che per me si fanno muro e questo è uno di quelli.
Ho provato a iniziarlo tre volte e tre volte a un certo punto l'ho chiuso, sempre per lo stesso motivo: mi toglie l'aria.
La prima volta mi sono arreso quasi subito ma avevo dalla mia parte la scarsità di tempo e un libro precedente che mi faceva l'occhiolino, la seconda volta mi sono dato più tempo perché chi me l'ha consigliato non sbaglia mai mira e quindi sapevo essere un muro che dovevo valicare per trovare il punto in cui avrei detto "Ah ecco, ora capisco", ma anche lì a un certo punto mi è mancata l'aria.
Quando si è trattato di mettere in valigia gli unici compagni di questa mia vacanza selezionandoli sapendo che non avrei dovuto sbagliarli perché andavo dove non ne avrei trovati altri, ho deciso di accettare definitivamente la sfida contando sul fattore tempo questa volta a favore del libro.
Come sentissi inconsciamente che la responsabilità era mia e per questo dovevo impegnarmi, dovevo riprovarci una terza volta in assenza di alibi.
Questa volta sono riuscito ad arrivare a pagina cento, avevo riconfermato la sensazione di soffocamento già all'inizio anche la terza volta ma questa volta mi sono imposto di andare avanti, di andare oltre, perché dentro quel libro ci dev'essere qualcosa di grande se tutti quelli che più o meno direttamente ne sono collegati sono per me persone di così alto valore, eppure non ce l'ho fatta nemmeno questa volta.
Non la so spiegare la sensazione che provo leggendolo, se non con l'immagine di due mani al collo che stringono e stringono forte e il collo non è il mio ma è quello della donna alla quale scrive, solo che l'aria manca a me, che per tutte e tre le volte mi sono chiesto se io sia così, così drammaticamente inumano come il protagonista di quel libro.
Ditemi di no, ditemi che oltre pagina cento si scopre che lei è una sua proiezione, che non è davvero un intero libro di sue lettere, lettere così asfissianti, così totalizzanti, alle quali esiste davvero una donna così peggiore di lui da rispondere davvero.
Ditemi che a pagina centouno si scopre che lui è in carcere, un carcere vero e non quello che si è autoinflitto, con vere sbarre e vera sodomìa nei bagni, e allora gli darò una quarta possibilità.
In alternativa no, non ci rientro là dentro.
Colpa mia, ignoranza mia, debolezza mia, tutto quello che volete ma no, respiro piano, faccio fatica a volte, ma respiro e l'amore per me non ha nulla a che fare con quello psicomondo deviato.
Almeno alla fine si ammazza con quel coltello?
O non ha nemmeno quel coraggio lì?
Bocca dentro bocca e non chiederti perché
Tutto poi ritorna
In quel posto che non c'è dove per magia
Tu respiri dalla stessa pancia mia
La manomissione delle parole - Gianrico Carofiglio
Qui non è questione di mia memoria che resetta, sono certo di non aver mai letto nulla di filologìa, eppure questo libro mi aveva attirato proprio per il titolo che, a istinto, mi comunicava esattamente ciò che poi ci ho trovato dentro e cioè proprio filologìa.
Tanto concreto quanto, paradossalmente visto il tema, (per me) semplice.
Un po' troppo politico e un po' troppo inquinato dalla costante tentazione, puntualmente soddisfatta, di utilizzare il tema per espirmere giudizi politici sull'attuale momento storico, giudizi che pur rispecchiando fedelmente i miei ho trovato francamente fuoriposto al confine con la banalizzazione.
Come se certe analisi che per essere tali hanno necessariamente bisogno di volare molto alto, sentissero ogni tanto la necessità di precipitare nel fango di Berlusconi, sporcarsi un po', farsi sciocche, per poi riprendere il volo e tornare lassù tra Aristotele Primo Levi e la Arendt a riprendere il filo dove l'avevano lasciato prima di andare giù in piacchiata e chissà perché, chissà quale necessità risolve, non capisco.
Vergogna.
Il capitolo che più mi ha preso di peso e mi ha portato lassù con lui è stato quello sulla Vergogna.
Incredibile quanto si possa entrare dentro quella parola, quanto contenga quella parola.
Io l'ho sempre detto che con le parole si fa girare il mondo nel verso che si desidera o che comunque saperle maneggiare e conoscere è fondamentale per vivere almeno quando lo è mangiare, dormire, trovare qualcuno che meriti tutto il nostro mondo e che abbia voglia di portarci nel suo.
Non ho mai letto nulla di filologìa ma uscito dall'ultima pagina ho fatto una cosa che non mi era mai capitata, anzi due: mi sono letto l'intera parte dei riferimenti bibliografici, a sua volta altre venti pagine, e ho aperto un file di word intitolato "Libri da comprare".
Senza rendermi conto del totale se non alla fine, ne ho elencati almeno una decina, a star bassi.
Significa che non mi è piaciuto il libro in quanto tale, mi è piaciuto il mo(n)do in cui mi ha portato.
Potresti raccontarmi un gusto nuovo per mangiare giorni
Avresti la certezza che di me in fondo poi ti vuoi fidare
Quel posto che non c'è
Ha ingoiato tutti tranne me
I fantasmi di pietra - Mauro Corona
Corona è uno di quegli autori che ogni volta che lo ascoltavo pensavo "Prima o poi devo leggere qualcosa di quest'uomo" e questa vacanza è stata l'occasione.
Bisogna dire che entrare in un autore scegliendo come porta d'ingresso un libro da trecento pagine non è quel che si dice dare una possibilità, diciamo che gran parte della fiducia l'aveva evidentemente già conquistata come persona, però tant'è, trecento pagine filate, ho passato periodi nei quali non le leggevo complessivamente in un anno e adesso guardalo lì che ometto, dagli una birra, il tavolo di un bar, di un ristorante, di una spiaggia, di un aereo, e si fa portare a spasso per Erto come nulla fosse chiedendo di visitare anche la prossima casa e poi quella dopo e poi ancora e ancora dopo, no dai, già finito.
Il bello dei testi di Corona, diciamo secondo me il trucco che lui sa bene (di) usare, è che prima conosci lui come persona e poi lui come testi e questo fa sì che, essendo lui così caratteristico e unico, i testi non vengano letti ma vengano ascoltati come fossero recitati, li leggi sentendo proprio la sua voce e non la tua come avviene in genere quando leggi qualsiasi altro libro.
E allora non è più la solitaria lettura di un libro ma l'ascolto di storie raccontate davanti a un camino da una persona dalla quale ascolteresti qualsiasi storia, comprese e forse soprattutto quelle che non racconterà mai.
Ci sono autori sui quali ho la ferma convinzione che abbiano un inconfessabile segreto, quell'inconfessabile segreto.
Uno è De Luca, oggi lo penso anche di Corona.
Dai su, è stampato in ogni loro pagina.
Dovresti disegnarmi un volto nuovo e occhi per guardarmi
Avresti la certezza che non è di me che poi ti vuoi fidare
In quel posto che non c'è
Hai mandato solo me