9 dicembre 2004

Per carità

Che fine ha fatto la gente normale? Perché il fondo non è mai quello che si vede? Dove sono le persone valide? Dov’è il limite del peggio? Dove sono i giorni in cui una persona ti ascolta davvero? Perché l’aiuto non ha più valore? Dov’è finito il lato umano? E la bontà vera? Chi ha visto dove si nasconde la verità? Quando gli occhi della gente hanno smesso di guardare? Quanta terra serve per sotterrare un vivente? Quanto si deve bere per avere fame? Perché la gente quando trova una porta chiusa cerca sempre di sfondarla? Quando gli uomini hanno smesso di vivere la propria vita per dedicarsi alla distruzione di quella degli altri? Dove si nasconde l’onore? E il rispetto? Ti sembro un albero? TI sembro un albero io? E allora perché pensi di poter venire a farti ombra sotto i miei imponenti rami? Pensi sia un diritto? Ho cuori incisi a decine su di me, con lettere dentro tra le quali la mia a volte nemmeno c’è e infallibili frecce a ricordo. Ma non sono albero per questo. Ho cerchi evidenti, anelli traditori di verità, anelli scoperti a protezione di anelli precedenti. Ma non sono albero per questo. I tuoi soldi sono fatti con carta ricavata dalle mie fibre. Questa è l’unica cosa che ci accomuna. Io cedo fibre alla gente come te. E la gente come te ci fa carta. C’è chi ci disegna sopra come se fosse preziosa carta artistica, c’è chi ne fa post it da attaccare al monitor, chi ci scrive poesie per la donna amata, c’è chi ci incarta il salame, c’è chi ci dipinge paesaggi da sogno e chi ci scrive la lista della spesa. E c’è chi come te ci sa solo stampare soldi in un percorso che non capirà mai essere irreversibile. Questo rende i ricchi vulnerabili. L’amaca per essere comoda ha sempre bisogno di ben due alberi solidi. E l’amaca è bella. L’amaca è comoda. Puoi anche comprarla fatta a mano con fili dorati in un viaggio in tibet. Hai notato che in messico vendono milioni di amache? Hai mai visto un solo albero in vendita? Questo rende i ricchi vulnerabili. Comprano anche le risposte. A forma di amache hi-tec in paradisi artificiali dove vi hanno venduto l'illusione di boschi in carbonio e cinguettanti cd new age serviti da buddha in persona, vi hanno detto, come aperitivo, tra altri alberi come voi incapaci ormai definitivamente di dar dimora alle fate. Belli, i vostri sostegni in elastico carbonio, belli. Vi vendono risposte a forma di amache hi-tec ogni giorno a voi ricchi e vi mandano allo sbaraglio, spiegandovi che se non trovate alberi nel vostro giardino vi potrete sempre comprare il “sostituisci i due alberi secolari se non sei capace di coltivarli - beghelli”. E voi dondolerete tutta la vita, soddisfatti, sprezzanti, mostrando la sicurezza di chi riesce sempre a dondolare, incapaci di vedere che se non vi appendete a qualcosa cadete. È bello superarmi al semaforo. Suona si, suona che è verde. Scusa se la mia 500 non solo non va da zero a cento in quattro secondi, ma nemmeno li ha mai visti i cento. Suona la tua bella canzone papparappà. Passa avanti che se no ti tocca incazzarti col concessionario. Corri, corri a tagliare l’aria. Corri che oggi iniziano saldi abbigliamento. Svendita totale divise crocerossa. Corri ricco corri. Magari trovi la tua misura. La mia non l’hanno voluta nemmeno indietro. “Non vende” mi hanno detto. Troppo strappata pare.
I ricchi, dicono, vogliono perfette anche queste.
Per vestire la mia strappata non servono soldi ma una dignità senza prezzo.
La ricevuta per l’acquisto del tuo posto in paradiso non porta il mio nome.
Non sarai mai come me.
Con i miei vestiti dismessi, al massimo, quelli come te ci rifanno carta.
Quella che gli alberi li ha stampati sopra a costante memoria.
Esposta in altari di preziosa ceramica.
Attaccati al muro.
Alla sinistra del tuo dorato cesso.

Stai lontano da mio fratello.
Stai lontano da me.
Quelli come te me lo stavano uccidendo.
Non gli servono i tuoi soldi.
Gli serve imparare a non vergognarsi di non averli.
E ad avere, finalmente, il salutare disprezzo per quelli come te.

Ti monetizzo il problema?
Sopravvivenza.
Pane e acqua.
Al massimo 3 euro.
Non ci serve un camion di pane, grazie.
Quella che sulle mie mani hai scambiato per cocaina, credimi, è farina.

5 dicembre 2004

Nei pensieri

Mario certe notti sognava Mario Senior.
Quella notte infatti Mario l’aveva sognato.
In realtà non aveva sognato lui, ma solo una casa in un bosco tutta di legno che lui sapeva che era di Mario Senior anche se non sapeva perché.
Quando Mario sognava Mario Senior non si svegliava triste, ma si svegliava felice, perché aveva incontrato Mario Senior.
In fondo, pensava Mario, l’aveva visto così poco che una volta in più era una cosa bella, non brutta.

Mario Senior aveva insegnato a Mario che certe volte quando si è lontani basta il pensiero e allora Mario aveva imparato a fare i pensieri.
“Mario Senior” per esempio era un pensiero.
“Mària” era un pensiero.
Mario stesso era un pensiero.
Tutti pensieri.
Mario era cresciuto facendo i pensieri.

Quando erano lunghi, da piccolo, li scriveva e prendeva i bei voti, anche una medaglia una volta.
Perché per Mario i pensieri erano davvero e allora quando gli dicevano “Scrivi un pensiero” lui scriveva le cose vere e tutti dicevano “Eh…che belli i pensieri” e lui pensava “Sono veri”.
Mario tutte le cose belle le aveva sempre avute tutte nei pensieri e quando gli chiedevano “Dov’è papà?” lui diceva “Nei pensieri” e tutti dicevano “Mi dispiace” e lui pensava “Perché?”.
Come quando lui diceva che nei suoi pensieri era felice e tutti gli dicevano “Non devi sognare” e lui pensava “Perché?”
Come quando lui diceva che nei pensieri Mària era bellissima.
Come quando lui diceva che nei pensieri Mario Bros guariva e stava bene.
E tutti pensavano che era sbagliato avere il mondo bello nei pensieri e Mario non riusciva a far capire che lui nei pensieri ci era cresciuto e che non era finto per questo, perché era vero per questo.
Come quando aveva Mario Senior nei pensieri.
Tutti non capivano Mario e Mario non capiva tutti.
E tutti per far capire a Mario che sbagliava gli dicevano “Perché nei pensieri ci sono i sogni” e lui pensava che era per quello che non sbagliava.
E infatti certe notti Mario sognava Mario Senior ed era contento perché era come quando lo andava a prendere per portarlo in giro sulla moto.
Quella volta Mario l’aveva sognato un giorno che era sabato.
Perché Mario era abituato così, a vederlo il sabato.
E continuava a vederlo il sabato.
Mario quando vedeva una cosa bella la metteva subito nei suoi pensieri e la faceva diventare bellissima, così ogni volta che l’avrebbe pensata sarebbe stato felice perché era una cosa bellissima.
Mario aveva messo la sua casa nei suoi pensieri e l’aveva fatta diventare bellissima.
E anche se non era vero alla fine la sua casa la vedeva bellissima.
E quindi era bellissima.
Mario aveva messo la sua famiglia nei suoi pensieri e l’aveva fatta diventare bellissima e alla fine era diventata bellissima.
E quindi era bellissima.
Mario aveva messo Mària nei pensieri e l’aveva fatta diventare bellissima e alla fine Mario la vedeva bellissima.
E quindi era bellissima.
Mario lo sapeva che non sbagliava.
Lo sapeva nei suoi pensieri.
Dove Mario Bros guariva, dove lui incontrava Mària, dove Mario Senior andava a trovarlo il sabato.
Come stanotte.
Che Mario si è svegliato bene.
Quindi non sbagliava.
Tutti gli altri si.

Mario pensava che chi divideva i pensieri dalle cose vere era sfortunato.
E che era per quello che tutti i giorni erano sempre arrabbiati.
Mario non era mai arrabbiato.
Nei pensieri lui era felice e per lui i pensieri erano le cose vere.
E quindi era felice.
Mario no, non sbagliava.
Anche se tutti cercavano di dirgli che sbagliava.
Forse erano invidiosi, perché Mario era l’Imperatore delle Galassie.

a Mario,
cresciuto su un trono.
che quando veniva toccato, si muoveva da solo.
e che per questo era magico davvero.
e che per questo, lui era felice.
davvero.

26 novembre 2004

Comprami, io sono in vendita

E non mi credere irraggiungibile.
Un po’ d’amore è un attimo.
Un uomo semplice.
Una parola, un gesto una poesia.
Mi basta per venir via.

25 novembre 2004

Alfonso

Alfonso merita due righe solo per lui.
Perché quel giorno le ho regalate tutte a Lila e alla sua felicità.
Perché era talmente tanta che mi aveva fatto dimenticare persino la mia.
La mia però c’era.
C’era eccome.
E dopo diversi giorni infatti è sempre qui.
E allora adesso che ho detto a Lila quanto sono felice per lei, per lei nel senso di quello che mi da anche solo il pensiero di lei, dico ad Alfonso quanto sono felice per lui, per lui nel senso di quello che mi ha dato il suo pensiero per me.

Alfonso è uno di quelli che hanno finito di soffrire ieri.
Ieri nel senso che si vede che non soffre più, non come ieri almeno.
Che vuol dire non soffrire più.
Per fortuna.
Alfonso è uno di quelli.
Che ha il viso di uno che ha finito di soffrire ieri e per questo ancora non ride e non balla di nuovo come l’altro ieri, e sorride riservato e parla a bassa voce e chiede scusa prima di chiederti se può regalarti una cosa di tuo papà.

Di quelli incredibili.
Di quelli che il viso è dolce.
Ecco perché si vede che non soffre più come ieri.
Poi non ride e non urla e non salta.
Però ha il viso dolce e lo porta in giro per centinaia di chilometri solo per incontrare altri visi dolci.
E quella voglia lì, chi soffre oggi, non ce l’ha.
Ecco perché Alfonso ora non soffre e ha il viso dolce.
Domani magari riderà, anzi, sicuramente, però intanto oggi è dolce, e per questo non ha niente da invidiare agli altri.
Mentre ero nella chiesetta ad aspettare che Lila mi dedicasse il suo primo libro, un uomo col viso dolce mi ha avvicinato e dopo avermi chiesto se ero io Bruno (l’ha pronunciato con la U, lo ricordo benissimo), mi ha detto:
“Ho una cosa per te, ho trovato un libro di tuo papà. Se non ti dispiace te l’ho portato perché sapevo di trovarti qui”.
Se non mi dispiace.

Io non sapevo.
Io non immaginavo.
Nessuna mail, nessun preavviso, nessuna traccia.
Non potevo sapere.
Ero lì per Lila.
“Ho qui con me un libro di tuo padre. Però non volevo distrurbarti, che ho visto che sei con gli amici e allora ho aspettato che finissi con loro per non distrubare”
per non disturbare.
Me che sono andato subito dai miei amici a dir loro cosa mi era appena capitato all’improvviso e inaspettatamente e non sono nemmeno riuscito a farglielo capire come lo provavo io.

Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce mi ha avvicinato e mi ha regalato un libro di mio papà.
Chissà da dove viene Alfonso con quel libro.
“Sai Bruno, non sono di Torino, ma il libro l’ho trovato là”.
“Ma dai, Torino.
Anch’io sono di Torino, pensa.
Anche mio papà era di Torino, pensa.”
Eh si.
Eh già.
Io e mio papà siamo di Torino.
“Eh certo, Alfonso. In effetti per statistica, sapendo che lui viveva a Torino, è più probabile trovarli sulle bancarelle torinesi, non ci avevo mai pensato”.
Per statistica.

Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce che arrivava da torino mi ha portato un libro di mio papà.
Quell’uomo mi ha scritto una mail per ringraziarmi di quelle due righe dell’altro giorno.
Lui che mi ha regalato cento pagine ringrazia me per due righe.
Mi ha scritto che ha avuto voglia di leggerlo e che per questo è tornato là dove ha trovato il libro e ne ha trovata un’altra copia che ha comprato per lui.
Su una bancarella in Via Po, ha detto.

Sabato mentre ero in una chiesetta un uomo col viso dolce che arrivava da Torino mi ha portato un libro di mio papà trovato su una bancarella in via Po e dopo avermelo regalato è tornato sulla stessa bancarella e ne ha trovato un altro per se.

Io non credo in Dio.
Non sono religioso.
Di nessuna religione.
Per questo non divido le cose in terrene e sovrannaturali.
Divido le cose in belle e meravigliose.
Che è pure di più, visto che non c’è niente di sovrannaturale.
È tutto vero.
Tutto così.
Perfettamente umano.
Meravigliosamente terreno.
Fisico.
Di quelli che quando accadono li puoi toccare.
Puoi stringere loro la mano.
Così se rimangono lì, puoi sentirne il calore, se volano via puoi aggrapparti e seguirli.

Grazie Alfonso.
La casa alla quale rinunciai come eredità, se non ricordo male, era in via Po.
O forse mi convinco solo che sia così, per essere, come dicevi tu, felice.
che le cose belle accadono.
Ed è perché so che accadono, che scelsi di non volere nulla di suo che non stesse in una mano.
E, come vedi, accadono.

22 novembre 2004

Lila

Lila abita in campagna.
C’ha il suo gufo, o civetta, dipende dal documentario.
Lila c’ha gli amici e poi c’ha quelli ai quali vuole bene.
Lila balla senza scarpe, si emoziona per la torta, si mangia le unghie davanti al microfono.

Lila abita in campagna.
Dove abita Lila le ragazze sono tutte belle.
Forse è l’aria di campagna, non so.

Lila è bella e fa i massaggi a tutti.
C’ha il tatuaggio delle favole, i capelli del rinascimento e il fidanzato cavaliere guerriero.

Lila ha scritto un libro e io ancora non l’ho letto.
Quindi adesso ve ne parlo.
Perché quel libro lo conosco anche se non l’ho letto.
Perché so di chi parla.
Perché parla di Lila.
Quella che abita in campagna con le amiche belle, il fidanzato cavaliere e la fiaba tatuata.
E il libro parla di lei, che ride e diventa rossa, dei suoi amici che si muovono sempre in gruppo e dovunque ne trovi uno trovi anche gli altri, di alberi e di montagna, di birre e di musica, del suo essere piccola grande, del suo essere uoma e dell’essere donna in mezzo ad amici uomini che però sono anche donne, nella delicatezza, nella gentilezza, nel farti sentire a casa, negli occhi blu, negli occhi verdi, nel saltare, nel giocare, negli abbracci, nelle carezze, nel profumo sulle mani.
Lila è il suo gruppo di amici.
Nell’unico vero senso della parola.
E il libro parla di quello.
La storia scritta intorno poco importa.
Importa che c’è.
Che non è inventata.
Che se vuoi la puoi vedere.
Che se vai in campagna la trovi davvero.
Che ti fa venire voglia di essere nato là, per uscire di casa ogni giorno sapendo che quando torni a casa ci sono loro.

Sabato è stata una giornata bellissima.
Una giornata di libri magici.
Quelli che hanno dentro le storie vere.
Quelle storie che non serve leggerle per conoscerle.

Sabato sono tornato a casa con due libri.
Uno parlava di un amore, l’altro anche.

Grazie Lila.
Con così tanto amore dentro da aver bisogno di altre cinque persone per contenerlo tutto.

Grazie Alfonso.
Troppo timido per scrivermi ciò che ha pensato, ma che ho letto lo stesso.
Come dice Lila, tra le righe.