Leggere “Matrimonio siriano” di Laura Tangherlini è essere invitati al matrimonio di Laura e Marco.
Come fossi un parente lontano impossibilitato a esserci fisicamente ricevi il racconto, le foto, il dvd, partecipi alla lista nozze, lei ti presenta il nonno e alla fine ti scrive per sapere se sei stato bene.
Le ho risposto che ero ancora al punto in cui cantiamo tutti insieme promettendole che, appena finito, loro due sarebbero tornati in Italia e io qui a rispondere Sì.
La partecipazione me l’ha mandata direttamente a casa andando lei in posta a spedirla, non prima di aver preso una penna per scriverci sopra “Grazie”.
Non a Bruno ma a Bozza Bruno, ti venisse mai il dubbio che dall’editore ci sia una stanza nascosta con le copie divise in scaffali “Grazie Barbara – Grazie Bartolomeo – Grazie Bruno –“ lei te lo toglie ringraziando proprio te.
Vuole davvero che tu, non un altro Bruno, cioè magari anche un altro Bruno ma comunque anche tu, stia bene al loro matrimonio.
Pensando che dovresti essere tu a dire Grazie a lei ma non puoi farlo, apri la partecipazione ed entri nelle sue cent’ottant’otto pagine ringraziamenti compresi e dico compresi perché non sono la chiosa formale in coda a ogni libro ma sono il libro e sono così tanti che li ha messi davvero in ordine alfabetico, come quella stanza della fantasia, per non dimenticarne nessuno e insieme non far sentire nessuno posizionato per diversa preferenza, vuole davvero che ognuno di loro sia stato bene al loro matrimonio, ognuno quanto il suo invitato accanto come lui citato per nome e cognome.
Li leggi uno per uno come nei titoli di coda dei film che guardate tu, la tua accompagnatrice e i 3 che come voi non si alzano finché il nome dell’ultimo falegname scenografo non viene omaggiato di quei pochi secondi di nome e cognome a firmare una cosa della quale anche lui, avesse portato anche solo i cestini del catering sul set, ha merito e tu vuoi che sappia che ora tu lo sai.
Cerchi tale Bruno Altro per vedere se poi alla fine c’è, come nelle pause sigarette durante i matrimoni avvicini l’altro fumatore del quale non sai nulla e col quale non condividi altro che l’avere entrambi due motivi per essere lì.
Non lo trovi e improvviso ti arriva il perché la partecipazione si sia aperta con il Grazie Bozza Bruno: perché è così che si chiude, con lei che ringrazia tutti uno per uno e tu mancavi.
Il tuo l’ha aggiunto dopo e non per preferenza ma perché sei tu ad essere arrivato dopo, ora ci sei, allora Grazie anche a te Bozza Bruno, a chi ha portato un bicchiere come a chi ha portato un pozzo, benvenuto al nostro matrimonio in cui si brinda con i vostri bicchieri e l’acqua dei loro pozzi che per un giorno sarà la più buona e preziosa del mondo.
E grazie.
Ti dice Grazie per aver ascoltato bambini parlare di morti, di ieri di oggi e di domani, e con le stesse gambe ma non gli stessi occhi un istante dopo ballare, cantare come bambini.
Ti dice Grazie per esserti fatto trapassare da parte a parte da quelli di Sallu, dieci anni, che da Aleppo
si è portata dietro un’infanzia interrotta da qualcosa che non dice ma che nel video vedi in tutta la sua potenza riapparirle persino negli odori, in quei lunghissimi dieci secondi nei quali il mondo reale prende il controllo del suo corpo, le spacca di nuovo il cuore, le modifica i lineamenti del viso e le piega il collo per trasformarla in una delle più maestose Pietà che siano mai state scolpite nel marmo dell’umanità e farne la vedova di ogni marito ucciso che non è ancora stata, ma che a dieci anni ha già visto tante volte da averle somatizzate una per una caricandosene il peso come il gigante del Miglio Verde, per restituirlo tutto in quegli strazianti dieci interminabili secondi di dolore puro perché bambino, quindi silenzioso perché ignoto, buio, sordo, muto, ti deflagra dentro e non lascia superstiti perché è assoluto, come i bambini.
si è portata dietro un’infanzia interrotta da qualcosa che non dice ma che nel video vedi in tutta la sua potenza riapparirle persino negli odori, in quei lunghissimi dieci secondi nei quali il mondo reale prende il controllo del suo corpo, le spacca di nuovo il cuore, le modifica i lineamenti del viso e le piega il collo per trasformarla in una delle più maestose Pietà che siano mai state scolpite nel marmo dell’umanità e farne la vedova di ogni marito ucciso che non è ancora stata, ma che a dieci anni ha già visto tante volte da averle somatizzate una per una caricandosene il peso come il gigante del Miglio Verde, per restituirlo tutto in quegli strazianti dieci interminabili secondi di dolore puro perché bambino, quindi silenzioso perché ignoto, buio, sordo, muto, ti deflagra dentro e non lascia superstiti perché è assoluto, come i bambini.
Ti dice Grazie per aver usato la tua fantasia per attraversare le pagine sulla camicia nuova di Mo’men provando a visualizzarla usando come pennelli la sua giornalistica capacità e come inchiostro il tuo concetto di fierezza, di dignità, di orgoglio, riportati a quando eri bambino anche tu e come del dolore anche del bello stavi sviluppando l’embrione e quindi ne maneggiavi l’assoluto, per poi guardare il video e, grazie a un montaggio che come nei titoli di coda di cui sopra merita tutti i grazie speciali che si è presa, cadere nel gioco dell’inversione temporale e realizzare solo dopo che quella che indossa nella prima intervista mondiale della sua vita di bambino è quella camicia e realizzarlo perché lo sguardo periferico ti avvisa che non avevi azzeccato il colore ma lo sguardo sì ed era proprio così fiero, dignitoso, orgoglioso e quindi la camicia è proprio quella camicia e nel mio
disegno dell’uscita dal negozio la posa era davvero così tanto, finalmente, pienamente, felice in quella maniera in cui solo i bambini sanno esserlo quando provano a dissimulare perché quella è roba loro, accesso e condivisione della loro felicità sono un privilegio che coi bambini ti devi meritare.
disegno dell’uscita dal negozio la posa era davvero così tanto, finalmente, pienamente, felice in quella maniera in cui solo i bambini sanno esserlo quando provano a dissimulare perché quella è roba loro, accesso e condivisione della loro felicità sono un privilegio che coi bambini ti devi meritare.
Laura e Marco a Mo’men non hanno regalato una camicia e nemmeno la dignità o l’orgoglio, quelli o li hai di tuo o non li simuli, ma un’occasione per rioffrirli, o no, al mondo.
E in una vita bambina che il mondo ha cercato di interrompere è come dirgli che non è stato il mondo, non tutto, ce n’è anche uno che può considerarlo solo un bambino con tutta la dignità e l’orgoglio che solo i bambini hanno perché il tempo ancora lì non è arrivato e lui per un giorno ci crede perché sa che è vero, poi lo dimenticherà ma in cuor suo continuerà a saperlo perché è il suo nuovo assoluto e da quella camicia in poi sarà la migliore delle ipotesi, questo gli hanno regalato, una nuova Migliore delle Ipotesi tutta sua.
O restituito, perché essere bambino vuole o dovrebbe voler dire quello.
Avrà vita dura chi da oggi in poi vorrà provare a convincerlo che a scegliere lui per la sua nuova famiglia adottiva non sia stato dio, qualunque sia il suo.
Ti dice Grazie per aver atteso che prima di iniziare la festa la giornalista finisse di raccontarti il pezzo di mondo nel quale ti ha invitato, Corradino Mineo con quella storia del vuoi fare la giornalista o vuoi parlare di te deve averle dato una bella strigliata nei primi anni perché non le cade manco la penna pure quando la gola non le fa passare nemmeno più l’ossigeno.
Grazie per aver seguìto la Laura giornalista in Libano, paese non paese di quattro milioni di abitanti o una volta e mezza se si includono i profughi oggi anche siriani, non bastassero quelli che già ospitavano, accolti pure se in proporzione di uno ogni tre libanesi perché quando le parti furono
invertite furono i siriani ad accogliere loro e proteggerli, aiutarli, adottarli nell’attesa che i mari si riaprissero verso la loro terra premessa.
invertite furono i siriani ad accogliere loro e proteggerli, aiutarli, adottarli nell’attesa che i mari si riaprissero verso la loro terra premessa.
Se essere bambini dovrebbe voler dire quello l’Islam vuol dire questo e lo dice, lo dice in Afghanistan, lo dice in Libano, lo dice ovunque ci sia un materasso, un bicchiere, del tè, un dio qualunque sia il loro, nell’aria un dna che ha prodotto i Curdi, Mi casa es tu Casa non è un’invenzione latina ma la traduzione di un medio oriente ascoltato secoli fa dietro un vetro colorato di Istambul o Damasco.
Ti dice Grazie per aver ascoltato la giornalista immaginando quanto, allora, ancora più grande sarebbe stata la donna, che chiesto telepaticamente a Corradino “Ora posso?” ti porta poi attraverso quella che sembra una porta spazio-temporale e invece sei sempre in quel lì e in quell’ora, a cantare con loro (Du-ne!), a fare il trenino in un orfanotrofio di bambini felici quindi di un’altra galassia, a cercare tra le braccia in fila per il loro giaccone nuovo quelle con le maniche troppo lunghe o troppo corte e provare a individuare quelle impegnate poi nel raccontato baratto, altra forma di ciò che i politici chiamerebbero Redistribuzione senza rendersi conto che per sapere cosa sia davvero e come funzioni gli basterebbe andare in un orfanotrofio con Laura e Marco e poi guardare i bambini prendersi le misure, tu hai le braccia più lunghe delle maniche, tu hai le maniche più lunghe delle braccia, amico mio dammi ciò che è tuo io ti do ciò che è mio e avremo entrambi il giusto, non gliela devi insegnare ai bambini questa cosa, sta nella colonna degli assoluti innati, quel codice che fa sì che a vent’anni tu debba fare un anno di corso per stare a galla, a un mese ti buttano in acqua e senza che nessuno te l’abbia mai insegnato sai come si respiri, come si nuoti, come si torni alla madre.
Ti dice Grazie per esserti fidato di lei quando ti ha chiesto di dedicare agli operatori delle ONG un milionesimo del tempo attenzione che loro dedicano a chiunque, quindi anche a te se mai dovessi averne bisogno, portando il concetto stesso di Attenzione a significati che tu nemmeno in duecento vite realizzerai a meno che tu non ne abbia vissute centonovantanove là dove le sagome nei campi d’addestramento dei cecchini hanno il contorno delle persone buone, perché li addestrano a sapere che non ci sia esercito più invincibile né fortificazione più solida.
chiamano sbrigativamente Aleppo non riesce a starne lontano perché se l’ha visto è perché è lì che quello stesso dio l’ha assegnato e glielo puoi radere al suolo, il suo viso ugualmente sorriderà quando lo descrive e lo dice irresistibile richiamo verso cui non tornare gli è impossibile anche se vorrà dire altre bombe, altro ospedale dove invece di dare colpe passerà il tempo infinito della barella per assumere a sé quella di non poter essere per qualche settimana gli occhi di un mondo che quegli occhi non vuole.
Ti dice Grazie per aver retto quando la Laura giornalista ti ha fatto raccontare, da eroici operatori con una solidità interiore da reggerci il Partenone con un dito, di centri d’infanzia nei quali tra un tamburello e un’altalena si studiano percorsi didattici per insegnare a bambini da chi si debbano accettare caramelle e da chi no, perché l’altro orrore col quale sono condannati a crescere, il loro dio chiunque sia pensava evidentemente di non essersi accanito abbastanza, è quello, come in ogni guerra.
Ti dice Grazie per aver provato, anche solo provato, a visualizzare il disegno della bimba che disegna se stessa in lacrime in un campo fiorito con una margherita in mano da dare alla mamma quando tornerà a prenderla, perché il percorso didattico per convincere una bambina che non potrà mai più accadere, ancora non l’hanno studiato nemmeno loro.
Ti dice Grazie per aver letto davvero tutti i ringraziamenti sapendo che la storia non era conclusa e così trovare anche l’unico non ringraziamento che se ti ha messo è perché voleva che tu lo leggessi, improvvisa finestra in un intimo che fino a quell’istante credevi già messo interamente a tua disposizione e invece l’impatto con la realizzazione che no, fino lì ti ha circondato di chi c’era, mancava il sapere anche perché non ci fosse chi in un mondo di amore bambino avrebbe dovuto esserci e forse ci sarebbe stato.
Una riga, una manciata di parole, una in più e qualcuno avrebbe potuto cedere alla tentazione di attribuirsi un valore che se non ha avuto è perché non meritava di averlo nemmeno per un malinteso.
Lì sì sei stato solo spettatore e non ti si chiedeva d’essere altro, non è la giornalista a parlare né la donna, ma la figlia, oggi sposa e madre di un paese intero, il suo “paese del cuore”.
Non smette di dirti Grazie Laura e lo fa anche dopo, se ti scrive, se ti ascolta, come un bisogno di ripetere quella parola e farne mantra, baricentro, quel gioco bambino di ripetere una parola all’infinito finché non perde il suo suono e ne assume uno mai avuto e nuovo.
Ti chiedi senza risposta come dire tu Grazie a lei come immagini vorrebbe fare chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarne la purezza e la generosità e in quell’istante realizzi il suo incantesimo: quello che senti non è lei che dice Grazie in continuazione, è la Laura giornalista che riporta l’eco di tutti quelli che la Laura Persona sono certo riceva nelle lettere, nelle parole, nei video, nelle preghiere che quelle persone, quegli operatori, quei bambini e quelle bambine le ribadiranno quando si rivolgono a dio, qualunque sia il loro.
A Mo’men la Migliore delle sue Ipotesi, a sessantacinque bambini sessantacinque giacconi, giochi, pennarelli, i dolci, la musica e il ricordo di una felicità da carosello sotto il balcone per un sorriso un più da conservare nel cassettino dei sorrisi in più.
A me ha regalato da oggi in poi la risposta alla domanda “Qual è il matrimonio più emozionante a cui tu abbia mai partecipato?”
A me ha regalato da oggi in poi la risposta alla domanda “Qual è il matrimonio più emozionante a cui tu abbia mai partecipato?”
Famiglia esclusa, quello di Laura Tangherlini e Marco Rò, il loro “piccolo grande matrimonio alla siriana, tra i siriani, per i siriani”
Grazie.
"Ho visto la nostra vecchia casa,
la stanza dove mia madre mi preparava il letto,
il gelsomino adornato dalle sue stelle
e la fontana con cantici d’oro.
Dov’è Damasco?
Eccola! Dissi. Nella tua cascata di capelli che fluisce come
un fiume scuro,
nel tuo viso arabo e nella tua bocca che conserva ancora
tutti i soli del mio paese"
(Nizar Qabbani)