12 aprile 2010

Nemmeno se me lo fanno vedere sottoscritto

Io fare quello che "io questo lo conosco" lo potrei fare praticamente ogni giorno con nomi che c'è chi pagherebbe, ma non lo faccio mai e ci mancherebbe, visto che il 90% di quei nomi sono di quelli che a vantarsene ci vuole un bel coraggio e io non ce l'ho.

E dato che tra le cose che non avendo coraggio non faccio non c'è solo il vantarsi di certi nomi, ma c'è anche roba che invece c'è chi quel coraggio ce l'ha e infatti le fa, allora questa volta io questo lo conosco mi va di dirlo perché lui quel coraggio che io non ho l'ha e infatti lui è lì e io qui a fare il rivoluzionario da tastiera.

Epperò io tutti quelli che oggi son lì a dire che, li obbligherei a chiudercisi in una stanza, quando lo rilasciano, a sentirlo parlare dei bambini in sudamerica.
Se quando ne escono sono ancora convinti che sarebbe mai capace di, allora ne riparliamo.
Altrimenti giù il cappello e silenzio, cazzo.


9 aprile 2010

Manca un pezzo

E vabbé, d’accordo, tanto non se ne esce è la tua parola contro la sua e la sua vale un porco cazzo di più, facciamo che gli sbarchi sono cessati.
Non ho detto che è vero, ho detto facciamo che.
Ma sono cessati gli sbarchi, mica le partenze.

Epperché nessun cazzo di telegiornale o giornale a larga diffusione, tra il servizio sui centri benessere che spopolano in rete per barboncini che spopolano in rete anche loro ma dentro barattoli di vetro Signora mia questa rete va regolamentata perché nasconde focolai sovversivi di sovversivo odio (da una parte) e Siamo tutti barboncini che spopolano in rete anche loro ma dentro barattoli di vetro (dall’altra) e l’altro sul come si cucina lo zucchero filato per arrivare pronte alla prova costume, fa un bel servizio sulla prima metà del viaggio, sul come funziona che li convinci tutti a girare il timone che notoriamente nemmeno hanno, su cosa succeda in quella seconda metà di un viaggio quando quella seconda metà di navigazione non è lungo la seconda metà di mare prevista che ti avrebbe portato in quel luogo della vita per il quale eri disposto persino a morire?

Sono finiti gli sbarchi, non è finita l’emigrazione, cazzo.
Non c’è più l’arrivo ma la partenza è sempre lì, c’è il tassello in mezzo che manca.
Dov’è finita l’emigrazione?
Solo sapere dov’è finita.
Non la vogliamo necessariamente vedere, solo sapere dov’è finita, se è finita.
Anzi, forse non vogliamo nemmeno sapere dov’è finita.

Ritiro la domanda, mi vergogno sulla fiducia.
Non che ci voglia molto, d’accordo, ma almeno la domanda io continuo a farmela.
Oggi per molto meno sei di sinistra.
Se esci vivo da un incendio addirittura parlamentare.
Se tieni una palla in equilibrio sul naso mentre fai ciao con le orecchie, ai vertici cominciano a cagarsi sotto.

7 aprile 2010

347. Stay tuned

Una delle caratteristiche delle giornate con mia nonna, è che si concludono sempre con qualcosa di nuovo nel bagaglio e non solo in termini di contenitori con dentro il suo amore tradotto nella delocalizzazione spazio/temporale dei suoi pranzi.
Essendo lei l’archivio e la memoria storica dell’intera famiglia (mi chiedo che ne sarà, quando non ci sarà più lei a proteggerlo) non c’è occasione nella quale per uno spunto o per l’altro escano fuori nuove informazioni, nuovi tasselli.
Oro, per chi come me è così attaccato all’importanza della propria storia e nello stesso tempo così vuoto e quindi affamato di brandelli della stessa.
Lunedì mattina arrivo da lei e la trovo in camera che mostra al cugino piccolo e alla sua ragazza (facendomi scoprire con gioia che non sono l’unico interessato alla nostra storia) i documenti di guerra del nonno, archiviati così bene che sono in stato di conservazione migliore della mia tessere elettorale.
Non so perché lui fosse interessato al tesserino di riconoscimento da partigiano, l’unico che non trovavano.
Nella ricerca, estraeva fogli su fogli, attestati di merito, medaglie, riconoscimenti, ma non quello.
Incaponita come solo chi sa di averlo conservato bene tanto quanto quelli che si ritrovava in mano può essere, insisteva nella ricerca aprendo e chiudendo fogli e documenti, sperando che il tesserino si trovasse magari dentro le pieghe di qualche altro.
Io intanto guardavo e mi godevo la rassegna di quei “qualche altro”.
Tutto normale, non fosse che la ricerca del tesserino partigiano si è svolta, anche, tra le pieghe di un altro tesserino di riconoscimento, marchiato con un bel fascio sopra tutto orgoglioso.

Ora.
Che le storie di una famiglia, la mia in particolare, sappiano essere ingarbugliate come nemmeno una soap è cosa che mi è chiara e che a quasi quarant’anni certo non mi lascia stupito.
Ma che un tesserino partigiano fosse con naturalezza cercato dentro un tesserino fascista, è stata cosa che la mia mente determinista non poteva lasciar passare senza prenotare interrogatorio che mi risistemasse le per me indispensabili caselline della inappuntabile logica sulla quale si regge l’intero mio castello.
E infatti, trovato il tesserino partigiano (grazie al mio intuito determinista, appunto, che ha guidato a colpi di logica la ricostruzione dei passi mentali di mia nonna per me più che ricostruibili fino al dove avrebbe potuto la sua mente scegliere di metterlo qualche decina d’anni prima quando io nemmeno ero in progetto) giunti a tavola la domanda non è riuscita a resistere oltre gli gnocchi.
Domanda che, grazie al fatto che la intelligenza e la lucidità, ma soprattutto l’onestà, di mia nonna permettono dialoghi per nulla formali, è uscita nell’unico modo in cui nella mia mente era nata, l’unico in cui poteva esser posta per dirsi esauriente, per colmarmi la casellina vacante.
“Nonna, ma da fascista a partigiano, ci si passa per comprensione o per banale opportunismo?”
Nella mia mente per un istante mi sono chiesto se fosse stato il caso di partire così in quarta in una direzione che prevedeva anche la macchia sulla memoria di cotanto uomo, protetta per così tanto tempo e con così tanto amore e messa improvvisamente a rischio da una domanda così netta che solo uno con la faccia da culo che ho io poteva fare.
Ma la bellezza di mia nonna è anche questa, come quella di quasi tutti gli anziani.
Quella del pane al pane e vino al vino, direbbero loro, che permette di passare da lei per conoscere la storia, perché certi di avere indietro la vera storia.
E infatti.
“Ma quale comprensione, è stato opportunismo! Quelli gli volevano sparare!”
Così ho scoperto che mio nonno partigiano, nome in codice su tesserino non lo diciamo, pluridecorato, a combattere i fascisti ci è finito dopo esser stato persuaso a colpi di fucile.
Il racconto della scena come sempre ricco di dettagli come fosse ieri, l’ha visto essere cassiere del duce visitato a casa da un gruppo di partigiani intenzionati a fucilarlo sul posto.
Fuggito dentro un campo di grano per evitare la condanna ma rincorso da gente più veloce di lui, si ritrovava (e qui mi manca un passaggio che sarà oggetto della prossima fiaba) poco tempo dopo arruolato tra le fila di quello che doveva essere il plotone d’esecuzione mandato a fare giustizia sparandogli sulla porta di casa.
“Quelli fucilavano la gente così, tuo nonno era conosciuto ed era in cima alla lista, fu banale opportunismo e ci mancherebbe pure che si mettesse a fare l’orgoglioso”.
Così questa pasqua mi ha regalato un altro tassello di storia, un tassello che non è il solo racconto di un altro capitolo utile giusto a riempire pagine, ma che è per me è quel di più che va oltre la cronaca e che è l’unica cosa che cerco.
Un perché, una storia, un passaggio, qualsiasi cosa mi permetta di discutere me stesso.

Perché a fare gli idealisti col culo degli altri è un attimo e io sono campione di attimi e di culi degli altri.
Perché sentire il racconto del fascismo dal cassiere del duce e sentire come lo stesso si ritrovi il giorno dopo a combattere sulle montagne le stesse cose in cui credeva (“ma poi ha capito, poi l’ha fatto credendoci, il brutto dopo l’abbiamo capito tutti” mi ha rassicurato la nonna che aveva colto) sono cose che riorganizzano non solo i ricordi, ma il sistema stesso di valori e princìpi sui quali con tanta intransigenza si tende a basare la propria vita.
E io è soprattutto per questo che ho bisogno di mia nonna, perché mi risistemi il sistema di valori e di regole con la stessa maestria con la quale mi risistema le tende e lo stomaco.
Perché mi dia il vero senso della parola idealismo, della parola onore e coraggio, della parola orgoglio e della parola Valore.
E nel viaggio di ritorno parlando con la fidanzata mi chiedevo perché il resto della mia famiglia, con particolare accento sulla parte più giovane ma già così tanto attiva politicamente, non ci fosse lo stesso interesse investigativo e conoscitivo, rispetto a una storia che ne avrebbe da insegnare ancora a chissà quante altre generazioni ma che non ne avrà il tempo.
E ripensavo a tutti quei ragazzi che oggi in piazza urlano al fascismo ma che quando l’hanno accanto a tavola lo ignorano come non avessero nulla da ascoltare.
E ripensavo a quell’interesse che si dice altissimo quando gridato in coro in piazza ma che non muove nemmeno una forchetta quando al chiuso di una cucina dentro la quale ci sono più canti partigiani, ma anche fascisti, di tutti quelli che possano cantare loro in tutte le manifestazioni della gioventù e che sono lì pronti a essere raccontati al solo sorgere di un pur lieve segnale di interesse.
Pensavo che non conta essere fascisti o antifascisti, se poi la cosa non interessa nemmeno quel poco che serve per farne chiacchiera di curiosità tra gli gnocchi e l’agnello con il fascismo vissuto e poi combattuto, lì a un metro di distanza pronto a raccontarsi.
Pensavo che mio fratello, così attivo e protagonista, avrebbe un sacco da imparare non da un nonno fascista o partigiano che sia stato, ma dall’ascolto di come sia stato davvero il fascismo, rischiando anche di scoprirsi capaci di comprendere il perché si sia sviluppato partendo da case povere nelle quali una patata era quello che oggi è il jackpot del superenalotto.
Una comprensione che proprio per le analogie aiuterebbe a comprendere le derive di quell’oggi nel quale certe dinamiche stanno trovando lo stesso terreno fertile in case nelle quali il jackpot del superenalotto o l’aaaaaaaaallin del poker online sono la patata divisa in 15 figli di 60 anni fa.
Pensavo che aiuta, aiuta tantissimo a capire il mondo di oggi, l’ascolto di una nonna che ti racconta il perché la divisa fascista le bambine la indossavano con orgoglio e lei in testa, quando il sabato fascista era l’unico giorno della settimana nel quale venivano lavati, curati, alimentati, tutti nella stessa maniera, tutti con la stessa cura, da un uomo che un giorno alla settimana le faceva sentire uguali al figlio del sindaco, tutti con la stessa patata nel piatto, una a testa, e che per questo riceveva da loro in cambio fedeltà e gratitudine in tutti gli altri giorni della settimana.
Pensavo che aiuta tantissimo il sapere che sì, il sangue dei vinti non solo è stato versato, ma è stato versato in quantità ancor prima che fossero vinti, che è stato versato anche all’inizio di quella guerra non solo alla fine, che è stato versato anche in fase di arruolamento, non solo in fase di vendetta, che molti sono diventati partigiani così, per non essere fucilati.
Pensavo che dietro una campagna d’arruolamento di questo tipo ci sia un mondo che va studiato in ogni minimo risvolto perché se persino al cassiere del duce, uno al quale per ideologia non avrebbero nemmeno dovuto proporre l’alternativa ma semplicemente sparagli in fronte, hanno dato il tesserino e un fucile, significa che il fascismo era così tanto mostruoso che il problema era davvero il numero di quelli necessari per combatterlo, prima che la qualità.
Pensavo che non si possa parlare di fascismo se non si è prima di tutto in grado di ascoltare di fascismo.
Pensavo che il problema più grosso della generazione di mio fratello, è che non si rende conto che mia nonna morirà e con lei moriranno gli ultimi che quella storia l’hanno vissuta sulla pelle, casa per casa, nella cucina, nei letti, nei rifugi, nei campi di grano a fuggire dai plotoni d’esecuzione.
Pensavo che tra una decina d’anni saranno finiti i nonni che la guerra l’hanno fatta e che per questo la possono raccontare e la perdita sarà incolmabile, realmente incolmabile, perché da quando l’ultimo sarà morto in poi, saranno solo libri e i libri sono scritti da uomini che ci scriveranno ciò che vorranno si legga.
Qualsiasi cosa sia realmente successa verrà irrimediabilmente e definitivamente sostituita con qualsiasi cosa si vorrà dire successa.
E mio fratello ieri non s’è perso il simpatico aneddoto sul nonno opportunista, s’è perso un capitolo di storia, quella stessa che però poi scende in piazza a difendere o a combattere perché non si ripeta, contro altri suoi coetanei che combattono perché si ripeta identica, in domeniche nelle quali però anche loro preferiranno la piazza alla tavola di nonni che gliela potrebbero raccontare sulla pelle.
S’è perso l’occasione di discutere il proprio sistema di valori, per modificarlo o consolidarlo non conta, ma discuterlo sì, conta tantissimo.
S’è perso l’occasione di sentirsi raccontare che nel suo sangue ci sono partigiani eroici ma anche fascisti integerrimi e che nel calore di una piazza la cosa pare impossibile, mentre in guerra con veri fucili puntati su vere tempie le due cose possono persino coesistere nello stesso cuore.
E ‘sta gente sta morendo tutta, domani non ci sarà più per raccontare.
Eppure non se li caga nessuno, nemmeno quelli che dicono di combattere in loro nome e per difendere ciò per cui loro hanno versato sangue e pianto amici uccisi.
E dovrebbero esserci parchi pieni di ragazzi che li raggiungono sulle panchine, nei campi di bocce, per dir loro semplicemente “Racconta” “Che cosa?” “Che cazzo ne so, qualcosa, qualsiasi cosa ma racconta, prima di morire” e invece muoiono solitari chiusi in casa davanti a Emilio Fede.
E la perdita sarà compresa solo quando non ne esisterà più uno, di quelli che c’erano.

Io son qui da due giorni che mi chiedo come chiudere il cerchio di questo tassello, come collocarlo.
Al momento la sensazione è strana.
È come se il sapere che il nonno partigiano è stato prima un gerarca fascista, me lo rendesse paradossalmente migliore.
Come se mi dimostrasse che l’idealismo e la fermezza sono sì valori, ma inferiori a quello superiore della vita stessa.
Come se mi avesse dimostrato che essere eroi partigiani partendo da sinistra è più facile che diventarlo partendo da così tanto a destra, perché nel primo caso non c’è evoluzione, nel secondo c’è vera rivoluzione.
Come se mi avesse dimostrato che la reazione a volte passa anche dalla vigliaccheria.
Che non sempre dirsi fermi è un valore da difendere.
Cioè sì, che lo è, ma che se è l’unico che si è disposti a difendere di fronte a tutto e a qualsiasi costo, il prezzo sarà una vita dedicata a non difenderne nessun altro, magari più alto, magari persino al momento sconosciuto.
La sensazione al momento è che se mio nonno è stato un eroe partigiano è perché è stato prima di tutto un opportunista vigliacco e se è stato un opportunista vigliacco non poteva che essere un gerarca fascista.
Il cerchio si chiude con me orgoglioso del fatto che mio nonno fosse un gerarca fascista, perché non lo fosse stato, non fosse stato fascista nel profondo, non sarebbe mai arrivato a essere disposto a morire perché non accadesse mai più ciò che nessuno più di lui conosceva nei suoi lati più bui e profondi.

I giri che faccio io per girare le cose in modo che mi diano un passato di grandi percorsi per arrivare a me, che per completezza di informazione romantica sono quello che è stato scelto per portare il suo nome, anche passando da cose per le quali chiunque altro si vergognerebbe, a volte spaventano persino me.
Ma dato che nel mio sangue e nel mio nome ho scoperto esserci chi s’è cagato così tanto sotto da diventare un eroe della resistenza, me ne vado a letto con un po’ meno di paura di me stesso.
E con un tassello in più di quel puzzle intorno al quale sto da due anni costruendo la cosa più grande che riuscirò a realizzare nella mia vita, la possibilità di rifare tutto da capo in un punto in cui nessuno avrebbe mai la follia di dirlo possibile prima ancora della forza e del coraggio di dirlo realizzabile, e per difendere la quale sono pronto a scatenare, io, l’inferno contro chiunque mi si mettesse di traverso per impedirmelo.


3 aprile 2010

E insomma, buona pasqua

Quando Feltri arrivò a dirigere Il Giornale, la prima mossa che fece fu quella di rivolgersi ai lettori per informarli che la testata avrebbe rivoluzionato la sua funzione: da fonte di informazione per i lettori a cassa di risonanza per le loro posizioni, da società-giornale-lettore a lettore-giornale-società.
Un’inversione di direzione apparentemente solo formale, ma che al contrario aveva in sé l’essenza stessa di tutto l’impianto propagandistico berlusconiano, lo stesso che in forma molto più approssimativa ci ha ammorbato per due giorni con l’intervento di incredibile valore avanguardistico su facebook rimbalzato da tutti i telegiornali come ennesima dimostrazione di quel “operaio come i suoi operai” che, cogliendo tutti impreparati, vent’anni fa lubrificò lo scivolamento verso il populismo più evidente ma nello stesso momento meno riconoscibile della storia della comunicazione politica italiana.
Perché quel messaggio su facebook, sbrigativamente ridotto a semplice capacità di utilizzo dei media moderni (Bonaiuti che tremante perché attraversato da ignorante orgoglio da padre di figlio laureatosi in ingegneria chiede compulsivamente a Vespa “Le è piaciuto? Ha visto? Le è piaciuto? Ha visto?” è una pagina di tv memorabile), è stato in realtà il proseguimento della strategia del presidente operaio.
Una strategia che ha come capacità principale quella di sapersi adattare costantemente alla forma che il culo con l’età assume man mano che i muscoli cedono per naturale invecchiamento o, se verso i giovani, alla forma che il culo in via di sviluppo tende a prendere autonomamente se non guidato da un calco adeguato intorno al quale modellarlo.
Non il capo che usa internet come un balcone qualsiasi per rivolgersi al suo popolo ma il suo esatto contrario, un servo del suo popolo che per ascoltarne la voce scende dall’auto e entra nei loro androni dicendosi in ascolto.
Non quel maldestro e immediatamente ridicolizzato dal media stesso “Plìs vìsit aur cauntri” del mai tanto ridicolo Rutelli ma, a parità di media, il suo esatto contrario.
Un vibratore del terzo secolo che si automodella in base al buco che va a riempire, roba sofisticata perché prima di tutto vuole essere incomprensibile (e quindi incontrastabile) a una superficiale analisi, che è l’unica a disposizione di chi vorrebbe contrastarne il fenomeno.
Non “son qui perché ho qualcosa da dirvi” ma “Son qui perché è qui che voi chiedete”.
Roba duepuntozero che finché avrà come contrasto Bersani che pensa che la stessa cosa si possa fare andando per due ore davanti ai cancelli di Mirafiori, potrà debordare senza controllo ancora per anni.
Da società-politico-elettore a elettore-politico-società.

Lungo questo percorso partito vent’anni fa con il famoso elmetto giallo sui manifesti, in un momento in cui l’accelerazione si è resa necessaria è stato mandato in prima linea Feltri, maestro di populismo, con il compito di portare anche Il Giornale a far parte del cassetto dei vibratori.
E così anche Il Giornale è stato ridisegnato secondo il progetto, con quell’editoriale utile a trasferire un concetto sofisticato nella testa di una critica tutt’altro che sofisticata, alla quale far percepire nettamente il passaggio da società-giornale-lettore a lettore-giornale-società.
Una rivoluzione pari davvero forse solo all’elmetto giallo.
Perché il giornale in entrambe le impostazioni si colloca al centro tra la società e i suoi componenti, ma mentre nel primo caso ha come funzione quella di portare ai suoi componenti la forma della società così da interpretarla e trasferirne i contorni, nel secondo questa missione si ribalta e il giornale, senza mutare la propria posizione tra i due elementi, si assume il compito di portare alla società i contorni dei suoi componenti.
Il popolo da ascoltatore diventa oratore, da massa passiva ad attore decisivo.
Quell’impianto che ha come fine il far credere al (suo) popolo che la politica è lì per servirli, che il governo ha come fine ultimo quello di ascoltarli e con lui i suoi media, in prima linea a svolgere la loro funzione in questa macchina di propaganda, che altro non è che quella di dimostrare sul campo la concretezza di questa promessa.

Apriti cielo.
Su una piattaforma come internet, già di per sé interamente fondata sulla convinzione che la stessa piattaforma non esista in quanto tale ma solo come forma del suo contenuto (uno dei problemi principali della rete), una mossa incendiaria quanto lo sarebbe l’entrare in un carcere, disarmare le guardie e dire ai detenuti che hanno 15 minuti di tempo per fare ciò che vogliono godendo di uno speciale permesso impunità a durata limitata, limite direttamente proporzionale però alla quantità di danni che riescono a fare.

Da quel giorno leggo Il Giornale praticamente tutti i giorni.
Non gli articoli, però.
I commenti.
C’è un “popolo” scatenato convinto davvero che un commento lasciato lì, il giorno dopo sia in parlamento per essere discusso come da promessa editoriale.
Ci hanno creduto (del resto…)
Non discuto i contenuti, non in questo caso.
Parlo della leva.
Si rivolgono non a Feltri, ma al presidente o a entrambi immaginandoli dall’altra parte del monitor vicini e impegnati all’ascolto facendo sì con la testa.
Parlano rivolgendosi direttamente a lui.
È una roba fantastica.
Nemmeno sui siti porno con la chat diretta con la pornostar c’è ancora gente che crede davvero che sia lei ad ansimare via tastiera.
Lui ci riesce.
Sono tutti lì a proporre leggi, proposte, discussioni, a partecipare a forum che loro vedono a forma di sedute parlamentari del popolo.

Io ogni giorno mi chiedo se per un giornalista della qualità (tecnica) di Feltri e con il suo percorso professionale, sia davvero così alta la sensazione di conquista quando fatta a forma di un dialogo con gente che nemmeno ha capito che no, il presidente non è davvero lì che legge, gente che non parla un italiano corretto nemmeno a sparargli, gente che più si alza l’asticella della libertà di parola e più in basso riesce a scendere con quella di ragionamento.
Mi chiedo se davvero è questo quello che sognava quando da piccolo tra l’astronauta e il giornalista decise per la seconda.
E non mi basta sapere che se lo fa la risposta non può che essere sì, perché io all’orgoglio ancora ci credo e soprattutto credo all’autostima e niente mi farà mai credere che essere osannato da gente che non sa parlare italiano sia un traguardo personale degno di essere messo sullo scaffale insieme alle coppe.
Allora mi rispondo sempre che quella soddisfazione ci sarà sicuramente, e non solo economica, ma che non può che essere la soddisfazione di chi, insieme al presidente, sa cosa sta facendo e sa quanto sia stato bravo nel materializzarlo e che sa che più sarà alto il numero degli sgrammaticati intorno, più sarà raggiunto l’obiettivo.

Allora in questi giorni sul Giornale si parla di pedofilia e chiesa e di RU486.
È un giornale sul pezzo, per il suo popolo e DEL suo popolo, del resto.

Della RU486, se ne parla attraverso un’intervista verissima nella quale una donna anonima racconta la sua esperienza con la pillola durante la quale ha sentito cessare il battito del cuore del bambino che stava uccidendo perché voleva fare un dispetto al suo ex, una donna che dopo questa scelta oggi combatte con un cancro sulla cui origine l’articolo tace perché viene usata solo come sospeso finale a interpretazione libera degli sgrammaticati di cui sopra ancora in lacrime per quel suono di battito cardiaco che non si sente più.

Ed ecco il forum:

“C'è un video che gira su internet, anche se è difficile trovarlo perchè viene boicottato pesantemente. E' un video realizzato qualche anno fa da uno staff medico in America, in cui si vede un aborto dall'interno dell'utero, Fu realizzato con il permesso della donna che abortiva, con una micro telecamera. E' tremendo e ti fa capire quanto l'aborto sia un vero e proprio omicidio premeditato. Il feto in questo video cerca addirittura di difendersi, sembra quasi che si aggrappi alla placenta per evitare di essere risucchiato. Sconvolgente. Ho deciso, e non per motivi religiosi, di non abortire mai, neanche nella peggiore delle situazioni, perchè l'aborto viola la legge più importante in qualsiasi ordinamento giudiziario. Quella che punisce chi uccide”

“E dire che mi sentivo in colpa quando ho letto come agisce il veleno per topi che ho usato in più occasioni: provoca emorragie interne al topo per cui questi, assetato, va in cerca d'acqua, libera le cantine che infesta e va a morire lontano dai nostri occhi. Fa pena a raccontarlo, vero? Ed è solo un topo! E pensare che un trattamento anche peggiore riservato a un piccolo uomo viene ritenuto una conquista civile!”


Sulla chiesa e il problema che sta attraversando, si parla della dichiarazione rumorosa di Padre Cantalamessa.

Ed ecco il forum:

“Il Papa, la Chiesa Cattolica Romana tutta intera ed il Predicatore del Papa, Padre Raniero Cantalamessa (che Dio lo protegga a lunga vita) NON DEVONO VERGOGNARSI PROPRIO DI NIENTE!! semmai sono i soliti eberei che devono vergognarsi di utlizzare ogni circostanza in cui viene fatto loro riferimento per protestare ed attaccare la Chiesa Cattolica. Checchè se ne dica, non avete riconosciuto allora e non lo riconoscete oggi che Gesù Cristo è il figlio di Dio, nato morto e risorto per la salvezza dell'umanità; lo avete insultato allora, fate con la Chiesa oggi la stessa cosa; avete tentato di ucciderlo, e alla fine ci siete riusciti, e forse riuscirete a farlo anche con il Papa primo o poi, ma ricordatevi bene che "le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa"; Cristo è risorto e la proteggerà fino alla fine dei tempi. La sua Chiesa non soffrirà meno del suo Maestro, ma alla fine risorgerà a vita eterna, mentre per gli infingardi e gli omicidi ci sarà la fornace ardente!! Amen”

“Comunque gli ebrei piagnoni, si stracciarono le vesti, quando fecero morire in croce, Gesù ed i loro piagnistei, continuano anche ai nostri giorni.”

“come dicevano in molti qui sul blog , gli attacchi provengono dalla lobbie ebraica americana ed inglese che purtroppo dopo 2000 anni e' tornata a governare il mondo finanziario e non.”


Io qualche mese fa, non che ci volesse un genio, in un post che come oggi parlava del Giornale, mi dichiarai convinto che finiti i neGri e i froci sarebbe stato il turno degli ebrei nel momento in cui avessero parlato anche loro, e suggerii cautela nel rilassarsi troppo rispetto all'assurdità dell'ipotesi dell’arrivo della più che prevedibile rinascita della deriva antisemita.

È folklore, lo so lo so, non che non lo sappia.
È sempre folklore.
Lo era anche il giuramento sul po con le corna sull’elmetto di quelli che oggi governano mezza italia con figli di papà che prima dell’elezione inventavano giochi su internet per sparare sui gommoni, del resto.
Si gioca, su, è folklore.
Che ha un suo giornale di riferimento che si occupa di fargli sempre più da grancassa e quel giornale è quello governativo, d’accordo, ma son giovani, giocano.
Sul quale si annuncia per gli “infingardi e gli omicidi” la meritata fornace ardente, ma è comprensibile, son cristiani, su.
E son metafore cristiane, lo so, dai.
Non state lì a spaccare il capello in quattro.
In fondo avete in mano la finanza mondiale e avete pure il naso grosso, sarà mica un Giornale il vostro problema.
È pasqua ed è il momento della pace e dell’amore.
Scambiatevi il segno di pace con gli stessi ai quali voi avete dato voce e libertà.
Son lì che non vedono l'ora.

1 aprile 2010

Ma quale attentato politico, è che non gli era arrivata la scopa rullante

A Milano(*), oltre ad una velocità di moltiplicazione dei “Compro oro” in confronto alla quale quella dei ristoranti cinesi degli anni ’90 pare un processo lento e graduale, la crisi ha portato un aumento del 400% (qua-ttro-cen-to-per-cen-to) delle persone, che già erano decine di migliaia, cadute nella rete degli usurai, quella sottile fascia di disperazione che sottrai come forma di estrema autoconcessione all’esondante ipotesi del suicidio, prima di valicare definitivamente il confine tra ipotesi e proposito.

Se Class Action contro le banche andrebbe fatta, sarebbe per farle condannare per favoreggiamento.
Loro e chi ha permesso loro di chiudere improvvisamente i rubinetti a qualsiasi livello e senza possibilità di trattativa se non la preghiera, per chi crede (tra i direttori di banca, dico), e comunque inutilmente, in un momento nel quale con mille euro salvi una famiglia anche solo per il fatto che non ci si ammazza uno dei due coniugi, generalmente quello che manteneva il resto.
Così d’ufficio ti revocano tutto e poi ti dicono che se non rientri, a breve anche nella tua regione che sarà magistralmente amministrata per altri vent’anni da quelli(**) con l’aureola (più dell’Amore di quelli dell’Amore, fidati è peggio), sarà questione di pane e acqua per i tuoi figli a scuola a meno che qualcuno degli inservienti, intesi come le maestre post Gelmini, non continui a violare la legge al posto tuo per dar loro comunque almeno quel piatto di pasta che tu, dovendo dare agli usurai pure la casa, non gli puoi più garantire.

A Milano, quella che tutti dicono essere la locomotiva (pensa quelli al traino), per capirci, siamo al o rapini o ti fai rapinare.

La stessa Milano, per capirci ancora meglio, nella quale un altro dei pochissimi casi di incremento così grande in un periodo così breve, sono gli abbonamenti a Mediaset Premium per vedere il calcio e nella quale molto probabilmente, essendo la capitale della comunicazione intelligente, è stato ideato lo spot che invita a cadere nel tunnel delle scommesse sui cavalli, non avessi sufficienti motivi per ucciderti dopo aver affamato la famiglia grazie a uno stato che poi ti invita pure a giocare d’azzardo ma solo su siti gestiti da lui altrimenti, oltre a rischiare la galera per non aver giocato su siti statali, non sei mica come Totti.

Ora che ci siamo capiti ancora meglio, è chiaro perché io sostengo che questa città ha più di un problema e che nell’elenco quello dell’immigrazione non figura nemmeno tra i primi cinque?



(*)Città nella quale secondo il suo brillante prefetto la mafia non esiste; probabilmente sott'intendendo, ovviamente frainteso, il suo essere completamente in mano alla 'Ndrangheta.
(**)che con la loro politica di delegittimazione e isolamento hanno portato allo scioglimento l'Associazione Sos Racket e Usura.