15 marzo 2015

Exp(l)oit

È comprensibile il fiume di stampa che sta cercando in qualche modo di mostrare la parte dei cantieri ostentabile come completa, dal momento che lo sguardo diretto e complessivo restituisce (restituirebbe) un'immagine che dire opposta è essere morbidi.
Ci passo in treno con una certa frequenza e ogni volta mi dispiace che la velocità non permetta scatti fotografici chiari al punto da mostrare il vero elemento provante: la totale assenza di uomini al lavoro.
Poi apro internet per leggere le news e da una settimana trovo continui articoli che raccontano di cantieri a un passo dal taglio del nastro, di migliaia di operai che lavorano 20h/gg, di una mobilitazione di mezzi e risorse pari all'orgoglio della nazione che come sempre dimostrerà di sapersi sempre elevare sopra i pregiudizi dei quali è vittima.
Poi mi giro di nuovo verso il finestrino e continuo a non vedere un operaio che sia uno.
Poi riapro internet e vedo Renzi che va al cantiere avendo se non altro la cautela di non commettere l'errore mediatico di indossare anche lui l'elmetto, forse una contromossa politicamente strategica per anticipare chi non vedeva l'ora di poter fotografare un altro presidente operaio, forse una forma di delicatezza verso gli aquilani ai quali l'immagine avrebbe implacabilmente ricondotto, riattivandolo, lo sdegno sopito, di sicuro una risata mi scappa quando durante il collegamento dietro di lui passa casualmente un mezzo che sposta materiale edile perché il cantiere non si ferma nemmeno durante la visita istituzionale altrimenti che cantiere italiano sarebbe, con la stessa intransigente operosità che durante i collegamenti con Porta a Porta mostrava saldatori che non smettevano nemmeno durante le riprese e che ci vuoi fare, devo saldare proprio qui, siete voi che state intralciando il cantiere italia.
Fossi grillino la tentazione di parlare di macchina di propaganda sarebbe irresistibile, ma non lo sono e per questo mi limito a leggere tutto questo come null'altro che quell'attitudine che l'italiano ha nel dna di vestirsi a festa la domenica mattina per la passeggiata in piazza, sottobraccio a quella stessa moglie alla quale il braccio la mattina a colazione l'ha quasi staccato per la rabbia di non aver vinto il jackpot alle slot nemmeno questo venerdì sera.
Mi è stato chiesto di lavorare fisso a un padiglione per l'intero periodo, mi è stato detto di fare io il prezzo per un ruolo per il quale basterebbe un cinese nemmeno particolarmente sveglio e mancano 40 giorni.
Sono alla canna del gas, sarà il festival dell'improvvisazione e sarà un peccato, perché a giudicare dalle foto dei padiglioni avrebbe potuto davvero essere, se non altro, una vetrina d'architettura mai costruita in questo paese nello stesso posto e alla stessa ora.
Io vorrei andar via a maggio e rientrare a ottobre e invece l'eccitazione e lo stato da urbiacatura colllettiva che sta attraversando il settore eventi milanese sarà un tornado che risucchierà per mesi ogni granello di polvere graviti a meno di cento chilometri da una città che non è nemmeno lontanamente preparata ad attutire l'impatto di ciò che sta per arrivare.


Da qui.