30 settembre 2002

Quattro matrimoni e un funerale





Stasera cena da me con quattro donne.

Mi sentivo uno che ha aperto una specie di club delle prime mogli.

Come se io non esistessi a parlare delle prestazioni dei rispettivi partner con puntuale richiesta di “dicci la tua che sei dall’altra parte in questi casi”.

Aiutato dal fatto che il mio essere “Quello con cui si parla volentieri di tutto” mi ha messo spesso in situazioni di questo tipo, situazioni delle quali ho approfittato in più di un'occasione ovviamente.

Pronto ad accettare le richieste di consigli.

Discretamente preparato anche all’interpretazione della parte femminile dei ragionamenti.

Abbastanza svezzato per sapere quanto la componente “Senti quanto sono spregiudicata a parole figurati a letto, quindi con me non ci si può annoiare la colpa non può che essere sua” sia un gigantesco alibi per la metà delle donne che fin troppo spesso non equivale poi a reale fantasia nella pratica.

Più che abituato alla scontata gara di sincerità tradotta chissà poi perché sempre in quantità di termini volgari usati.

Per nulla spaventato né tanto meno intimidito da parole quali pompino, gola, moscio e culo nemmeno quando pronunciate da visi angelici (AH!AH!AH!)

Quello che proprio mi sfugge però è il significato delle frasi che l’unica che era qui da me per la prima volta mi ha detto nell’ordine.

“Ma che bella casa da single”

“Tu che ne pensi delle crociere da single?”

“Io sono single”

“Mi fai vedere la camera da letto?”

Chissà cosa voleva dire…

A questo punto mi rendo conto davvero di essere cambiato.

Se fossi ancora il figlio di puttana di un tempo, in questo momento saresti in piedi appoggiata alla libreria, a gambe aperte e molto probabilmente di schiena, visto che non mi piaci ma hai un corpo da divertirsi.

Che vuoi che ti dica, mi sta bene così.

Ho abbondantemente frequentato in passato.

Gole, culi, alimentari e accessori vari ed eventuali.

Discretamente oltre quello di cui tanto parlavate, insomma, pensando che diventassi rosso.

Un consiglio da uomo?

Le peggiori, quando dicono preservativo, non riescono nemmeno a pronunciarla completa per l’imbarazzo.

E poi te lo mettono loro con la bocca.

'Notte.

26 settembre 2002





Ola, amigo!!! Bienvenido...

Mi casa, tu casa.

Chissà se immaginavi cosa avresti trovato...

Secondo me hai cambiato idea, ora stai pure meglio e ti sei convinto che in fondo a te non è andata poi così male come pensavi!!!

AH!AH!AH!

Magari dopo l'hai anche richiamata!!! AH!AH!AH!

23 settembre 2002

la critica è concorde nel ritenerci sudici





Oggi il telefono è stato bravo.

Le famose notti della settimana scorsa sono state impiegate per produrre un film di tre minuti e rotti che di particolare aveva la destinazione finale, uno schermo da cinema largo 15 metri (DICO 15 METRI) e alto qualcosa tipo 8.

Avevo già fatto un lavoro per il cinema, una pubblicità nemmeno troppo particolare, ma qui si parla di tre minuti su uno schermo grande quanto quelli dei multisala multimedia multipoltrona multipopcorn che oggi strabiliano così tanto ma molto più grande e studiato apposta!

Ma, c’è un “ma”, la partenza per il famoso tour in corso, essendo già un altro lavoro, mi ha impedito di poter andare a vedere dal vivo in dimensioni reali quello che per una settimana ho solo potuto immaginare. Da li allora la richiesta, fatta a chi mi ha fatto fare il lavoro e che è andato a vederlo, di telefonarmi per dirmi com’era l’effetto finale in grandezza finale.

“Bruno è un peccato che tu non possa vedere il tuo lavoro così grande finalmente libero di creare l’effetto che volevi. Ma credimi ora puoi vantarti davvero, perché da oggi potrai dire di aver fatto cinema”.

Non ho una sola parola da aggiungere più grande di quelle.

E se poi non fossi soddisfatto per motivi che in questo periodo mi rendono un pochino difficile il buon umore e volessi buttarla sul venale, a conferma della mia rischiosissima regola secondo la quale io non dico mai quanto costo prima di aver consegnato il lavoro perché tanto so che dopo nessuno mi dice di no, l’altra persona, quella che paga, mi ha detto che per questo lavoro, prima di chiamare me, l’unica indicazione data a chi mi ha chiamato è stata “Non hai limite di spesa”, e dato che essendo io uno secondo il quale l’opinione è solo la mia, e la matematica di conseguenza, sono tornato a Milano stasera, calcolando che questa volta 1+1 farà parecchio più di 2.

Del resto…faccio cinema.

Oggi il telefono è stato bravo.

Mi ha anche promesso un tramonto che non vedo l’ora di vedere.

Ma più di tutto oggi il telefono è stato bravo.

E mi ha detto che mio fratello ha finalmente di nuovo riso.

Una volta sola, certo, ma se per me che sto bene 1+1 non fa 2, non riesco ad immaginare nella sua testa cosa voglia dire anche un solo istante di allegria.

Mi verrebbe da brindarci sopra con lui, se non fosse per il fatto che purtroppo a volte 1+1 fa davvero uno spietato 2.

Coraggio Vale.

Non oso immaginare cosa ci sia dentro di te in questo momento, non credo sia immaginabile da chi non è te in questo momento, ma ti posso giurare che so cosa c’è fuori di te, e dato che già prima mancavi, vorrei comunicarti che il mio celebrato e definitivo ingresso nel mondo del cinema ha reso (se possibile) ancora più urgente il tuo ritorno all’interpretazione del tuo personaggio nel mio film, perché io mi sono occupato sempre del palco, e ora sono finalmente stato riconosciuto come grande anche nell’occuparmi dello schermo del fondale, ma purtroppo non esiste una sola altra persona al mondo che possa interpretare il ruolo che è tuo.

La gente fuori aspetta la riapertura dello spettacolo.

Non posso continuare ancora per molto a raccontare loro che stiamo solo riverniciando i camerini e soprattutto i miei monologhi stanno iniziando a diventare un pochino monotoni generando i primi momenti di ovvia insofferenza.

Domani ti compro un regalo.

È un po’ che non spendo i miei soldi per te.

In maniera spontanea intendo!!!…AH!AH!AH!

Ti amo.

Ma non aspettarti mai più per questo una fiaschetta d’argento.

22 settembre 2002

broono è in viaggio per lavoro







Prima tappa del tour, Bologna.

Venghino Ssssssioriessssiore!!!!!!!




21 settembre 2002

ho sonno e non sono più abituato a lavorare giorno e notte





Il lavoro giorno e notte mi ha allontanato da questo posto.

Torno a casa alle sei del mattino e dopo 15 ore di computer la voglia di riaccenderlo è zero.

Domenica si parte.

Un settimana di pausa, diciamo.

O dal vero.

Ciao.

18 settembre 2002

grazie





È tardi adesso per mettermi a descrivere il concerto.

È tardi per iniziare adesso a parlare di cosa è per me la musica dal vivo.

Ma poi sarebbe comunque inutile, perché tanto lo puoi capire solo se hai suonato uno strumento, se l’hai avuto tra le mani, se sei salito su un palco almeno una volta nella tua vita, fosse anche per un saggio e se hai avuto le luci in faccia quelle che ti nascondono sempre il vero numero di persone che hai davanti e hai provato la paura di sbagliare e hai visto le luci girarsi verso il pubblico quando toccava a lui farti sapere che c’era.

Amo la musica dal vivo, qualsiasi, ho visto concerti trash come concerti al conservatorio, basta sia musica, ma è tardi adesso per parlare del perché basta che sia dal vivo per me per essere bella.

Ma poi per parlare di cos’è stato il concerto di Daniele Silvestri dovrei riuscire a tradurre in parole quello che ho ancora in testa, e le mie mani sulla tastiera non corrono così veloce.

Angoscia? E cos’è?

Quanto sia lontana dalla gioia di stasera è una cosa che la mia tastiera nemmeno ha i tasti adatti.

Non lo so qual è il tasto per scrivere i salti, non saprei quale tasto usare per parlare delle luci, ne per raccontare come sia possibile per un trombettista uscire dal suo quadrato di palco per arrivare davanti al bordo e iniziare a suonare la tromba senza un microfono in mezzo a migliaia di persone che solo mentre ascoltano si rendono conto che ogni battito di mani copre quello che sta cercando di dire lui, e lentamente sentire il silenzio che lascia spazio alla tromba, che senza microfono diventa solenne, perché è un silenzio irreale quello che la ascolta, interrotto solo da chi zittisce il vicino che non ha capito cosa sta succedendo, per poi esplodere in migliaia di mani che ringraziano quello che la tv non inquadra mai e che a quel punto si prende la sua parte di gioia e ringraziamenti, per lasciare spazio ad una batteria che non solo ti riautorizza a ricominciare a saltare di gioia, ma ti dice anche quante volte lo puoi fare e ti accompagna e ti corregge e ti saluta e ti dice che tu sei felice grazie a lui tanto quanto lui è felice grazie a te, e lui che in tv ti sparano sempre luci bianchissime in faccia per le telecamere, diventa una semplice sagoma fatta da un ombra i cui contorni sono disegnati da un sola luce buia che ti deve solo dire in che direzione ascoltare quei colpi che solo dal vivo non hanno problemi ad attraversare quello davanti a te per arrivare a te e passare poi a quello dietro di te senza perdere per strada nemmeno un pezzo e solo dal vivo senti ogni singolo colpo e ogni singola nota e guardi ogni singola mano e salti e salti e salti e salti e urli e ridi cazzo soprattutto ridi perché è musica quella che stai guardando e non sei mai stanco e non hai caldo e non hai sonno e non hai fame e non te ne frega un cazzo se fuori il mondo va a puttane perché tu hai deciso di stare dentro e di continuare a saltare e di continuare a ridere e di continuare a vivere con la certezza che se il cuore è un ritmo un motivo c’è, quando fai fatica a sentirlo alza il volume al massimo e ridi.

E vaffanculo al resto.

Senti che cuore che ho.

Guarda che mani che ho.

Guarda che faccia che ho.

Suona ridi canta salta urla mangia scopa tocca balla esulta fischia gioisci.

Fondamentalmente gioisci.

Sempre.

Non perdere mai questo.

Il resto verrà sempre da se.





Niente canzoni tristi stasera tempo funcky inizia a saltare e grida.





Voglia Di Gridare



Vorrei che tu partissi con un tempo house

che iniziasse con via e che finisse con ciao

nessun bisogno di una melodia

devi solo ricordarti di partire quando dico via

Adesso ci vorrebbero le note basse

sono quelle che trascinano e che spaccano le casse

niente di difficile, fai solo così

la, la, sol, si



Allora, gli anni ottanta sono ormai finiti

sono stati noiosi come i loro miti

di una cosa sola noi non siamo stanchi

di una buona chitarra... una chitarra funky



Ti è mai venuto in mente che a forza di gridare

la rabbia della gente non fa che aumentare

la forza certamente deriva dall'unione

ma il rischio è che la forza soverchi la ragione



Immagina uno slogan detto da una voce sola

è debole, ridicolo, è un uccello che non vola

ma lascia che si uniscano le voci di una folla

e allora avrai l'effetto di un aereo che decolla



La gente che grida parole violente

non vede, non sente, non pensa per niente



Non mi devi giudicare male

anch'io ho tanta voglia di gridare

ma è del tuo coro che ho paura

perché lo slogan è fascista di natura



Quando applaudi in un teatro, quando preghi in una chiesa

quando canti in uno stadio oppure in una discoteca

Sei tu quello che canta, è il tuo fiato che esce

ma il suono intorno è immenso e cresce, cresce



Il numero è importante, dà peso alle parole

per questo tu ogni volta prima pensale da sole

e se ci trovi il minimo indizio di violenza

ricorda che si eleverà all'ennesima potenza



La gente che grida parole violente

non vede, non sente, non pensa per niente



Non mi devi giudicare male

anch'io ho tanta voglia di gridare

ma è del tuo coro che ho paura

perché lo slogan è fascista di natura



Non mi devi giudicare male

anch'io ho tanta voglia di gridare

ma è del tuo coro che ho paura

perché lo slogan è fascista di natura



Va bene adesso controlliamo se ricordi la fine

quando dico ciao stacca tutte le spine

ciao

no, no, non ci siamo capiti

ho detto controlliamo se ricordi la fine

quando dico ciao stacca tutte le spine



no, no, non è questo che intendevo

ho detto controlliamo se ricordi la fine

quando dico ciao stacca tutte le spine

ciao

va beh, ma allora

allora niente

ma è del tuo coro che ho paura

ho detto controlliamo se ricordi la fine

ciao

17 settembre 2002

post veloce





Stasera se tutto va bene finalmente Daniele Silvestri!!!!

15 settembre 2002

stasera ho incrociato gli occhi di una fata





In effetti stasera mi avevi proposto di uscire tipo distrazione, ma se avessi immaginato cosa intendevi forse avrei declinato l’invito con eleganza educazione e un briciolo di opportunismo.

La cosa strana è che l’unica immagine che non riesco a togliermi dagli occhi, alla fine di questa simpatica serata, è quella dell’infermiera dell’ambulanza sul tuo pianerottolo.

Era da tempo che non incrociavo lo sguardo di una donna così bella.

Così bella che avrebbe meritato di essere la prima volta che in questo posto si parla di una donna.

14 settembre 2002

scaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccoloscaccolo





Stavo guardando un pochino la grafica di questo posto per capire se mi piace ancora o se è arrivato l’appuntamento periodico con il cambiamento.

Per farlo in genere, come per le immagini che faccio per lavoro, mi fermo e fisso a lungo, finché non passa la sensazione di ovvia abitudine e inizio a vederne gli aspetti per come sono realmente e non per come dopo un po’ li leggo per abitudine.

Sul lavoro mi serve tantissimo, perché chi come me lavora con le immagini, ha come primo obiettivo quello di trasmettere un concetto in un tempo calcolabile in quello che serve per uno sguardo, in genere una frazione di secondo, ma quello che per tutti è il risultato finale, cioè un’istantanea, per chi la crea, a volte, equivale a giorni e giorni nei quali la si ha davanti sempre uguale, e questo fa si che man mano si perda progressivamente l’idea del tempo che avrà a disposizione per parlare.

Concetto strano, ma non mi stupisco.

Lo faccio anche con le parole a volte, ma in quel caso è solo un gioco che mi diverte.

Scelgo una parola senza particolare significato, che ne so, tipo “sedia” e me la ripeto ininterrottamente finché perde il suo compito, cioè quello di simboleggiarmi un oggetto di legno quadrato, e diventa un semplice suono ripetuto senza alcun significato.

Il funzionamento del giochino è semplice, quando ripeti una parola in maniera ciclica, dopo un po’ smette di essere quella che conosci per il semplice fatto che la pronunci attaccata a se stessa ottenendo quindi il risultato di ascoltarla con l’inizio trasformato in fine.

Per intenderci, sedia rimane tale e continuerà a farti pensare all’oggetto finchè inizia in “se” e finisce in “dia”; quando la ripeti in maniera continua cominci a sentirla anche come “dia” della precedente e “se” della successiva.

A quel punto la bocca penserà di pronunciare sedia, le tue orecchie sentiranno diase, e il tuo cervello non avendo più un significato adatto, ti farà credere che la cosa vale per la parola che tu stai pensando di pronunciare, cioè sedia.

E mi diverto.

Con poco, lo so.

Ma provate a farlo con qualsiasi parola, finché non diventa nella mente una parola senza senso.

È possibile togliere alle parole il loro significato, questo è un po’ il senso del giochino, e la sensazione che si prova quando succede è carina.

Stessa cosa ho imparato a farla per avere obiettività nei confronti dei miei lavori.

È chiaro che se io ho davanti un’immagine da giorni e la sto creando io, mi sembrerà sempre bella e adatta a quello che deve comunicare, anche se quella sensazione a volte è dovuta solo al fatto che la ho davanti da così tanto tempo che diventa esatta per confidenza.

Per guardarla senza il filtro dell’abitudine la devo fissare a lungo, fino a quando quello che sono ormai abituato a leggerci mi stufa, in quel momento, avendo deciso di continuare a fissarla ancora a lungo, inizio a trovarne altri significati pur di impegnare il tempo, ottenendo così il risultato di averle tolto il significato che ha avuto fino a quel momento e vederne il nuovo, valutando se è comunque coerente con quello che deve dire.

Se lo è sto facendo un buon lavoro.

Quando faccio video poi, la cosa diventa ancora più fondamentale, ma nello stesso tempo lunga, perché a volte mi riguardo una sequenza di decine di secondi anche per 20 volte di seguito, finché non smette di dirmi la stessa cosa.

Sembra un casino, o una cosa paranoica, mentre in realtà è un processo che se considerato tra i momenti di verifica del lavoro, porta solo dei vantaggi.

In fondo se non succede nulla è perché la stavo facendo giusta, e non mi sembra tale solo per abitudine, se invece mi cambia significato, ho fatto bene a costringermi a scoprirlo perché posso cambiare strada.

Ma tutto questo per dire che?

Che quando una cosa smette di divertirmi o di piacermi, io la guardo finché non capisco se è per abitudine o perché vorrei leggere dell’altro.

Con le persone che abbiamo accanto bisognerebbe fare la stessa cosa ogni tanto.

Con la grafica di ‘sto posto faccio così.

Mi piacciono tutte le versioni che ho fatto, ma le ho sempre lasciate su finché mi facevano provare piacere nel vederle, quando non mi dicevano più nulla di divertente o di personale, le cambiavo.

Ora ogni tanto mi fermo a fissare la attuale per capire se va ancora bene.

L’altro giorno mi sono messo a guardare la parte sinistra, quella dei link.

E il giochino è sempre lo stesso.

Ormai se la guardo è la parte dei link a cui sono abituato, e il cui significato è “comunicare i link”, nient’altro.

E dato che “nient’altro” è una cosa che per me equivale a “noiosa” mi sono messo a fissarla.

Ho vinto.

L’ho guardata così a lungo che alla fine ho scoperto che a guardarla bene è un pezzo degli scacchi.

“Carino!” mi sono detto, “come gli scacchi di cui parlavo un anno fa! Quindi c’entra ancora con il significato di ‘sto posto!”

Provate a fissarla per vedere se è vero, e la sensazione che proverete nel momento in cui vi direte “è vero!” è quella che inseguo io continuamente in ogni cosa, così magari sembrerò anche un pochino meno scemo.

E (non contento, anzi a quel punto divertito) la parte “archivio” che sta sopra di lei l’ho trasformato nel fumetto tipo cartoni animati dove c’è scritto cosa si sta dicendo.

E sono un paio di giorni che quando la guardo sorrido per la coincidenza degli scacchi.

Mi diverto con poco, lo so, come trasformare un banale numero di accessi nel mio palindromo personale.

Ma ora la lascio ancora così com’è perché mi diverte di nuovo quando la guardo, e quindi ho ottenuto l’effetto che desidero senza modificarla, e quindi senza averci dovuto lavorare ancora.

Non so, ma ho come l’impressione che la volontà di tirar fuori cose belle principalmente da quelle piccole, sia uno dei pochi punti di sostegno che mi ha permesso in più di un occasione, di non cadere.

Se non perdo l’abitudine di ridere per una sedia, sono convinto che la mia felicità non mi costerà mai più di quello che posso permettermi.

Ogni riferimento, ovviamente, non è puramente casuale.

Ma questa la capiamo in tre, io, mia madre, e mio fratello.

Anche se lui la potrà capire solo quando gli restituiranno la capacità di farlo.

A volte ho un po’ paura.

Forse è giusto ammetterlo.

Vorrei poter fare anche con lui il mio giochino.

Vorrei poterlo fissare a lungo, finchè non smette di essere quello che vedo.

Qualsiasi altra cosa, tranne la morte, sono certo sia meno dolorosa.

13 settembre 2002

meglio con un amico che con uno sconosciuto





Stanotte alle 00:40 il Miki ha passato pure lui i suoi bei trent’anni tanti auguri yeh! yeh! E l’ha festeggiato godendosi la sua bella dose di palconismo sul palco del festival dell’Unità di Taranto dove è andato a suonare manco fossero i Subsonica che tra l’altro l’altra sera sono ovviamente tornato a rivedere a Milano e finalmente questa volta mi hanno fatto la mia canzone preferita che l’altra volta se l’erano tenuta per loro.

Come regalo di compleanno, visto il suo tutt’ora vivo coinvolgimento verso la sua ex fidanzata, mi sono preso personalmente l’incarico di occuparmi dell’allontanamento della suddetta dal suo attuale nuovo fidanzato, in modo che la notte del compleanno il mio amico il Miki non la passasse pensando a lei con lui con annessi momenti di sconforto e amarezza.

Pur di risparmiare a il mio amico il Miki il pensiero di saperla con il suo nuovo fidanzato che facendo lui i trent’anni non sarebbe stato carino togliergli la possibilità di godersi la sua festa sul palco manco fossero i Subsonica mi sono sacrificato io rimanendole accanto tutta la notte e per non avere dubbi che magari andando in qualche locale poi lei magari mi conosce un omettino nuovo e aggiunge pensieracci nella testa de il mio amico il Miki ce ne siamo stati a casa mia così il suo nuovo fidanzato non sapeva dov’era e lei poteva tranquillamente concentrarsi per pensare che era il compleanno de il nostro amico comune il Miki che però è più amico ammè che attè.

Miki, non preoccuparti che l’ho controllata io tutta la notte per te per assicurarmi che non ci fosse il suo nuovo fidanzato con lei, me ne sono occupato io che se no mi dici a che servirebbero gli amici come me, eh, dai, stai tranquillissimo che sei in una botte di ferro, come? Ho detto botte? Volevo di notte, ehm, come? Ho detto notte? Volevo dire poppe, ehm… ahm, come? Ho detto poppe? Volevo dire…

Vabbè, auguri il mio amico il Miki.

Il tuo amico il Bruno, sempre pronto al sacrificio per il benessere de i gli amici chiama pure se hai di nuovo bisogno ci mancherebbe.

Ah...il Miki...dimenticavo...

...AH!AH!AH!

12 settembre 2002

Se torno indietro di un anno





Se torno indietro di un anno, a quel 11 settembre, le immagini che mi tornano in mente, per mia sfortuna sono solo marginalmente legate alle torri.

Ho immagini personali, di dolori personali.

E ricordo come la ripetizione continua di quel nome, Farnesina, che per tutti è un semplice ministero tra i tanti, mi schiacciava in testa ogni cinque minuti su qualsiasi canale i mesi di lotta e di telefonate e di minacce e di ricatti e di preghiere e di richieste di soldi per riavere a casa il corpo di mio padre, che esattamente in quella settimana, dopo mesi di spietato burocratico e diplomatico freezer, era finalmente riuscito a scendere dall’aereo chiuso in quella scatola di legno, ricordandomi che per me Farnesina equivale a nomi personali, di chi mi rispondeva al telefono, di chi cercava di farmi accettare l’idea che l’Italia all’estero non ha poi tutto questo potere, quei nomi che mi ricordano persone che da me si sono sentiti minacciare come se fossi un intero paese pronto a fare la guerra all’Italia fino alla fine pur di avere quello a cui aveva diritto, il corpo di un padre a cui dare una giusta sepoltura a differenza di quello che proponevano loro per ovvia indifferenza.

Ogni volta che sento riparlare di quel giorno, mi vengono in mente le tue telefonate, mi vengono in mente quali muri sostenevano i televisori da cui guardavamo la diretta, mi vieni in mente tu che pretendevi attenzione esclusiva anche di fronte a quello che stava succedendo, mi viene in mente l’ennesima litigata nata perché il tuo orario di rientro coincideva perfettamente con i notiziari da cui nessuno riusciva a staccarsi e tu ti lamentavi perché a quel punto avevi capito che non avresti avuto la tua indispensabile quotidiana razione di sesso, e io che quella sera capii finalmente in maniera a quel punto innegabile quanto tu non fossi la persona che credevo ma che con tanta ostinazione continuavo a considerare di valore.

E il giorno dopo la decisione di dirti addio, non immaginando quanto questo sarebbe stato per me l’inizio dell’ennesima guerra, alla quale non ero preparato, per la quale non avevo in quel momento le necessarie forze, prosciugate dalle precedenti, non ancora vinte ne tanto meno concluse.

Ognuno ha il suo ricordo, ognuno ha le sue torri di cristallo personali.

Io per differenziarmi ho persino il mio terrorista personale.

E quando in questi giorni torno indietro a quella settimana ripenso alle mie torri crollate, abbattute da persone vuote, impazzite, senza scrupoli ne dignità.

In una delle due torri di cristallo risiedeva la mia famiglia, sotto forma di affetti, litigi, lontananze, legami, ricordi, stima, e con lei risiedevo io, con le mie certezze, le mie conquiste, i miei valori, così americani nell’orgogliosità e nella pomposità, così stupidamente considerati intaccabili, inviolabili, immuni da qualsiasi attacco o tentativo di distruzione.

Nell’altra torre di cristallo ci tenevo il mio essere esteriore, il mio giocare all’uomo migliore del mondo, il mio essere contento di me, i miei concetti di amore, di fiducia, di paure e di coraggio, di progetti e lotte, la mia idea di coppia, di amicizia, ci tenevo i miei amici e le mie idee di loro, del valore delle persone, alle quali avevo stupidamente regalato un valore esageratamente lontano da quella realtà che così rovinosamente mi stava per crollare addosso.

Ero dentro la mia prima torre di cristallo quel giorno, impegnato a firmare carte, fare telefonate, entrare e uscire dalla polizia, lentamente sempre più conscio di quanto fosse vulnerabile tutto quello che avevo così brillantemente vestito da torre di cristallo, non preparato alla violenza con la quale era stata colpita, spargendo detriti familiari che arrivavano da qualsiasi direzione, vetri taglienti e sassi troppo pesanti per un corpo gracile come il mio, e chiedevo aiuto e guardavo per farmi coraggio fuori dalle poche finestre rimaste intatte per cercare di guardare l’altra mia torre di cristallo, per rubarle un po’ di quella forza che mi serviva per non far crollare definitivamente quella in cui mi trovavo, certo che il vederla ancora intatta e inviolata mi avrebbe dato la certezza che a distruggermi la prima non poteva che essere stato il caso, esorcizzando quella paura, quella sensazione così netta che ognuno dei piani distrutti nella prima era stato abbattuto volontariamente da qualcuno.

Ma tu lo sapevi, avevi organizzato tutto.

E mentre io mi sostenevo a stento grazie alla solidità della mia seconda torre di cristallo, tu, con un ritardo diabolicamente calcolato, mi hai attaccato e distrutto anche quella, pubblicamente, con sfregio e disprezzo, con un sorriso diabolico a celebrare la tua vittoria e con l’arroganza di chi ha fatto dell’odio e della vendetta una ragione di vita.

Nemmeno tu eri preparata ad un crollo così definitivo.

Ci vuole competenza per organizzarlo così bene, e ci vuole intelligenza per calcolare così precisamente il punto d’impatto migliore per ottenere un crollo totale e non solo qualche piano facilmente ricostruibile.

No, nemmeno tu ti aspettavi un tale successo.

Sei pazza, non carpentiera.

Tu dal tuo personale costruttore di palazzi hai saputo imparare solo la capacità di odiare, non quella di costruire o abbattere.

Ma sei anche fortunata, e ricca, di quei beni di cui vanno ghiotti i kamikaze ai quali con tanta facilità fai fare ciò che tu non avrai mai ne la forza ne il coraggio di fare con le tue mani, e io lo so, perché sono stato uno di loro, pronto ad immolarmi per te, per le tue idee, per le tue paure, per le tue speranze, pronto a salire su un piccolo aereo sul quale avevi scritto il tuo nome e con il quale mi sono andato a distruggere al posto tuo contro il tuo annuale nemico, che poi altro non era che lo scemo prima di me che con altrettanta stupidità era salito anche lui sullo stesso aereo e con il quale anche lui era pronto ad immolarsi.

Se ritorno indietro di un anno, e ascolto i telegiornali parlare di chi aveva organizzato tutto quello, come una persona che fino a pochi giorni prima era amico e collaboratore delle sue stesse vittime, mi vieni in mente tu, e non solo per una coincidenza temporale, ma anche per la disumana capacità di odio per i tuoi stessi amori e disprezzo per la vita delle vittime con le lapidi delle quali hai nel tempo lastricato la tua strada.

E la cosa pazzesca è che quella che sembra una metafora è purtroppo la realtà, fatta di quei veri morti che ti lasci continuamente alle spalle dei quali stavo per entrare a far parte pure io per indecente scelta.

Questo fa di te il pericolo maggiore, la tua continua capacità di avere intorno gente che al posto tuo uccide, convinto di farlo per convinzione personale, in modo che le tue mani, da anni sporche di sangue, continuino a risultare pulite agli occhi per prima di te stessa, la cui intelligenza, innegabile, sarebbe una condanna spietata se accettassi la realtà di quanto sangue è servito per scrivere il tuo nome.

Se penso a quel giorno, mi viene in mente quante macerie le mie due torri hanno lasciato a terra, e quanto orgoglio e sicurezza e certezze hanno sotterrato sotto di esse.

Ricordo di me che stanco e ferito ma sopravvissuto vagavo tra il fumo e i detriti, inciampando in pezzi di me, di famiglia, di amicizia, di amore, in preda all’allucinante consapevolezza del tempo che avrebbe richiesto anche solo lo sgombero di tutto quel delirio, figuriamoci la ricostruzione.

E ricordo il bisogno di vendetta che si faceva sempre più netto e deciso, il bisogno di non lasciare impunita una distruzione così totale e volontaria la cui firma era impressa a fuoco dal disprezzo e dall’arroganza di chi, così certo del proprio valore non aveva avuto nemmeno la decenza di non prendersi la responsabilità.

Ma non sono mai stato americano, nemmeno lontanamente, e di conseguenza ne ho affrontato le conseguenze in maniera diversa, forse intelligente.

Imparando che due torri fragili sono vulnerabili, e quindi sarebbe stupido ricostruirle uguali, imparando che forse una vera e solida forse è migliore, meno vulnerabile e certamente più capiente, cosa non da poco, visto il continuo bisogno di alcuni di trovare riparo dentro ai miei muri.

Avrei potuto inseguirti per un anno scaricandoti tonnellate di bombe intelligenti, devastando tutto ciò che ti circonda pur di stanarti e distruggerti fino a vederti in ginocchio su quella tomba che con tanto disprezzo mi hai scoperchiato addosso.

Ma se le bombe intelligenti avessero tenuto fede al loro nome, non te ne saresti vista arrivare nemmeno una, e comunque, certamente la tua capacità di nasconderti mi avrebbe solo fatto sprecare del gran tempo inutilmente regalando a te quelle energie e quegli sforzi già scarsi, così indispensabili per ripulire il mio personale ground zero.

Se torno indietro di un anno, per mia sfortuna, ricordo il dolore mio reale e personale.

Perché volenti o nolenti, la morte di una parte di te, vale parecchio di più di qualche migliaio di sconosciuti, per quanto il mio rispetto per tutti loro sia comunque sempre presente.

Se torno indietro di un anno, rivedo quelle torri così belle che prima parlavano di me su quella distesa di terra che oggi è così piatta.

Se torno indietro di un anno mi rendo conto che su quella distesa non c’è costruito ancora niente di nuovo e di importante, ma che finalmente dopo un anno di duro lavoro è stata ripulita.

Se torno indietro di un anno mi rendo conto di quanto sia fragile la vita.

Se torno indietro di un anno mi ricordo di te e del terrore e dell’odio con i quali vivi.

E mi viene in mente che essendo tu vigliacca e politicamente dalla parte sbagliata, non c’è nemmeno la speranza che un giorno decida di farti saltare in aria.

E mi viene in mente che sarebbe stato inutile darti la caccia, in un mondo dove gli stessi abitanti si sono fatti convincere che meritavi la loro protezione.

E non mi rimane che fare come fate voi terroristi per giustificare il vostro odio tutt’altro che religioso e disinteressato.

Affidarmi ad un eventuale dio, e alla relativa eventuale giustizia divina.

Vivendo con la certezza che l’esistenza di un inferno è l’unica garanzia del fatto che arriverà un giorno per entrambi, lontano o vicino che sia, dopo il quale non correrò più il rischio di incontrarti.

10 settembre 2002

ma guarda caso





Ma guarda caso, proprio ora che dopo un anno esatto di bombe l’america è ancora presa in giro da 4 contadini e per questo sta perdendo consensi e qualcuno sta iniziando a chiedersi se ne sia valsa la pena…

Ma guarda caso è stato trovato un messaggio del talebano che rivendica personalmente gli attentati alle torri.

Come hai detto?

Perché dopo che per un anno, per mandare messaggi ha usato le telecamere proprio per dimostrare che lui è sempre in giro a prendere per il culo i bombardieri adesso che decide di mandare il più importante, quello in cui dichiara la sua responsabilità, cosa che si è guardato bene dal fare per un anno intero giocando piuttosto con le parole ma ma tradendosi, usa solo la voce?

Ah, non lo so mica, io.

Come hai detto?

Come facciamo noi a sapere se quella voce è la sua o meno?

Lo dicono gli americani in tivù, quindi è vero.

Come hai detto?

Ti sembra tanto l’ennesima mossa dei “servizi” per rispondere ai sempre più numerosi dubbi sull’efficacia della distruzione del paesello e contemporaneamente legittimare il proseguimento ora che sono sempre di più le voci che dicono che forse è stato un massacro inutile?

Mavvvaaaaaaaaa.

Allora a ‘sto punto metti pure in dubbio la veridicità delle puntuali prove improvvisamente spuntate fuori del fatto che in Iraq si sta guarda caso proprio in questi giorni costruendo una bomba nucleare meno male che gli americani per puro caso hanno intercettato i piani a pochi giorni da quell’ennesimo intervento militare che l’intera Europa gli diceva essere forse un pochino fuoriluogo, un tantino esagerato, un filo ingiustificato e in ogni caso non avvallato.

Del materiale nucleare non c’è traccia se non nei comunicati.

Del talebano non c’è traccia, se non nel comunicato che trasmettono con la sua foto in sovrimpressione.

Ma la tivù li conferma entrambi.

E la tivù, come è noto, non mente.

Cazzo, siamo alle marionette.

Ci trasmettono le marionette.

8 settembre 2002

ma no, niente...







...è solo che mi piace notare i numeri strani.

C'ho il mio palindromo personale, ecco.

Chissà chi era.

7 settembre 2002

comprofagìa





C’è una malattia nuova, nata negli ultimi decenni.

Si chiama “Incapacitus de no comprare cosae che costum mino di deca euri”

E io ne sono affetto in maniera cronica.

Non sono uno che risparmia, decisamente, ma non ho mai comprato cose care.

È una cosa psicologica, non essendo ricco ho stabilito che tutto ciò che costa più di quello che secondo me dovrebbe costare, non è destinato ad essere comprato da me.

E quindi non sento la mancanza di beni particolarmente cari o di valore, vedi la macchina, i vestiti, orologi ecc.

Questo è dovuto anche al fatto che lavorando nel campo del “lancio nuovi prodotti” sono costantemente al corrente dei modi con i quali le aziende stabiliscono i prezzi, e questo fa si che l’unica cosa che cerco di mantenere nella mia vita è la voglia di rimanere fuori da quella fascia di popolazione che le aziende, anche grazie al mio aiuto, costantemente inculano.

Si chiama marketing, ma non è altro che “come giustificare il fatto che l’80% del prezzo di ogni prodotto attuale va a finire nelle tasche di un sacco di gente furba, tra cui io.

Ecco allora il rifiuto di far parte del “target”.

Sarei scemo, e non lo sono.

Ma cosa succede a quelli come me?

Succede che essendo a nostra volta una categoria precisa e nemmeno troppo ristretta, i simpatici uomini di marketing hanno creato dei posti dove quelli come me vengono fregati tanto quanto gli altri.

Ikea come paese dei balocchi.

Forte di questa consapevolezza, mi sono sempre rifiutato di entrarci, certo che la malattia di cui sono affetto mi avrebbe impedito di non spendere decine di euro in stronzate che non mi servono ma che sono li ad aspettare me, ben disposte su scaffali con cartellini prezzo sui quali scrivono cifre sempre diverse ma che quelli affetti dalla mia malattia leggono sempre come “guarda quanto poco costa questa cosa qui anche se non mi serve sarebbe stupido non approfittare dell’occasione”.

Lo sapevo, l’ho sempre saputo, l’ho sempre capito sfogliando il catalogo che puntualmente ci piazzano in casa.

IO NON CI DOVEVO ENTRARE LA!

Io sono così.

Se entro in un posto e leggendo un prezzo provo la sensazione di aver di fronte gente onesta, io, in segno di riconoscenza, compro, sempre e comunque qualsiasi cosa sia.

Ecco perché non ho soldi da parte ma nello stesso momento non ho beni di valore.

Sono pieno di stronzate di cui non ho bisogno ma che costavano troppo poco per lasciarle li.

L’alibi è sempre lo stesso, “potrebbe sempre tornare utile”.

Ikea è strutturata così.

Un enorme posto dove su ogni scaffale c’è una cosa che potrebbe tornare utile e che costa così poco da non farti pensare di non potertelo permettere.

Lo sapevo lo sapevo lo sapevo.

SONO MALATO!

Ce l’hanno fatta anche con me!

E adesso ho un centinaio di euro in meno in tasca, ma ho un bellissimo porta tv da parete con porta videoregistratore annesso che invece di regalarmi piacere mi ha stampato in testa fissa da 24 ore la sgradevole costante sensazione che tra poco crolla tutto perché non può sostenere tutto quel peso, due dico due ciotole monoporzione da insalata che a me fanno impazzire perché li uso come piatti da primo, essendo due etti la mia dose minima di pasta ed essendo perfetti per mescolare e gustare la pentola di sugo con la quale sempre la condisco e soprattutto perché mi piace un sacco avere i piatti particolari a due a due chissà perchè, un bellissimo scolapasta di quelli a retina metallica che già ce l’avevo lo scolapasta, ma se ci scolavo il riso la metà finiva fuori adesso c’ho anche lo scolapasta a retina metallica che sembra che mi abbiano inculato perché ce l’avevo già, ma io l’ho comprato pensando che mi serviva uno scolariso e così la coscienza se n’è tornata a posto, un ceppo di coltelli che ho sempre sognato un ceppo di coltelli, ma in tutti i posti ti dicono che è un lusso mentre all’ikea ti dicono che secondo loro anche tu lo meriti e allora te lo fanno pagare un terzo e infatti ora anch’io c’ho un ceppo di coltelli che possono sempre tornare utili soprattutto viste le mie recenti fidanzate, due portaspezie da parete che era un mese che lo cercavo ma ogni volta che lo trovavo ci dovevo comprare annesso una griglia da parete di due metri quadrati in vero titanio marziano sulla quale oltre al mio portaspezie ci avrei dovuto appendere mestoli, porta tovaglioli, porta cazzi e mazzi, mentre all’ikea c’era solo questo e costava poco e io per ringraziarli ne ho comprati due non si sa mai metti che non avevo contato bene le spezie da metterci poi che avrei fatto ne avrei lasciate fuori alcune? E scegliendo in base a cosa? La paprika dolce ha più motivi della paprika forte di meritarsi un suo portasestessa? Io in quanto uomo di sinistra difensore delle pari opportunità ne ho comprate due che tanto costava meno di dieci euro, e non mi hanno mica fregato a me, no no, ah, ah, a me nessuno mi frega a me, no, no, e sei dico sei baloon da vino rosso che certo non erano indispensabili, ma il vino rosso merita i suoi bei bicchieri adatti e io merito i miei bei bicchieri adatti e adesso ne ho sei che me ne sarebbero bastati due, ma costavano così poco che non vedo perché privarmi della sensazione di essermi regalato un bel servizio di baloon da vino rosso ora ce li ho anch’io e non so dove metterli perché non avendo pensato di comprarli non avevo nemmeno fatto spazio e provate voi a trovare spazio per sei dico sei baloon da vino rosso.

Un centinaio di euro in meno, ma i sintomi della malattia placati per qualche tempo.

Non ci si può far niente.

È così.

Ieri mica mi ero alzato pensando di aver bisogno di quelle cose lì, ma sono andato a dormire contento di averle comprate.

Sono target consapevole.

5 settembre 2002

broono live in tour





La presente per comunicare le date del prossimo tour di Broono dal vivo nella tua città.



22 settembre: Bologna

24 settembre: Milano

25 settembre: Padova

2/3 ottobre: Roma



Prevendite abituali.

L'accesso ai camerini sarà consentito alle sole donne.

Possibilità autografi solo su magliette bagnate.



broono loves U tour 2002

non ho nemmeno un titolo





ho scritto e cancellato già quattro volte perché non voleva dire un cazzo.

‘sta volta non mi faccio fregare e mi fermo qui.

3 settembre 2002

vita piatto





Soddisfazioni non troppe, ma del resto non è che si può sempre fare un capolavoro.

Comunque i complimenti per la positiva riuscita del tutto, che fanno sempre piacere.

In compenso un vassoio di cozze due piatti di pennette alle alici fresche e pinoli un fritto misto e mezzo due piatti di tortelloni ricotta e basilico anatra arrosto puntine di maiale patate al forno macedonia focaccia di recco prosciutto di parma tante ostriche mozzarelline fritte di battipaglia risotto al nero di seppia tortelli di magro brodino che ormai il sorbetto non va più di moda arrosto di vitella in aceto balsamico due grappe.

Peccato per il caffè così imbevibile che nemmeno in francia lo fanno così male.

Il bello delle mie trasferte è sempre ben disposto sui tavoli.

Il mio lavoro è semplicemente l’alibi per non essere considerato uno scroccone.

Potrei dire di aver visto veramente un sacco di posti in giro per il mondo, ma non renderebbe quanto la sensazione che saprei dare se riuscissi a raccontare quante cose sono riuscito a mangiare nella mia vita.

Sono poi gli unici momenti in cui davvero ti siedi e ti gusti qualsiasi cosa ti renda fortunato anche solo per il fatto di avere avuto la possibilità di provarlo.

Quanti sanno che l’oro, quello vero, si mangia?

E che la medusa fa schifo?

Mi piace mangiare bene.

Mi piace mangiare tanto.

Mi piace mangiare a scrocco.

1 settembre 2002

broono è in viaggio per lavoro







Finito Agosto...

Un paio di giorni d'aria di mare anche per me!