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Stavo guardando un pochino la grafica di questo posto per capire se mi piace ancora o se è arrivato l’appuntamento periodico con il cambiamento.
Per farlo in genere, come per le immagini che faccio per lavoro, mi fermo e fisso a lungo, finché non passa la sensazione di ovvia abitudine e inizio a vederne gli aspetti per come sono realmente e non per come dopo un po’ li leggo per abitudine.
Sul lavoro mi serve tantissimo, perché chi come me lavora con le immagini, ha come primo obiettivo quello di trasmettere un concetto in un tempo calcolabile in quello che serve per uno sguardo, in genere una frazione di secondo, ma quello che per tutti è il risultato finale, cioè un’istantanea, per chi la crea, a volte, equivale a giorni e giorni nei quali la si ha davanti sempre uguale, e questo fa si che man mano si perda progressivamente l’idea del tempo che avrà a disposizione per parlare.
Concetto strano, ma non mi stupisco.
Lo faccio anche con le parole a volte, ma in quel caso è solo un gioco che mi diverte.
Scelgo una parola senza particolare significato, che ne so, tipo “sedia” e me la ripeto ininterrottamente finché perde il suo compito, cioè quello di simboleggiarmi un oggetto di legno quadrato, e diventa un semplice suono ripetuto senza alcun significato.
Il funzionamento del giochino è semplice, quando ripeti una parola in maniera ciclica, dopo un po’ smette di essere quella che conosci per il semplice fatto che la pronunci attaccata a se stessa ottenendo quindi il risultato di ascoltarla con l’inizio trasformato in fine.
Per intenderci, sedia rimane tale e continuerà a farti pensare all’oggetto finchè inizia in “se” e finisce in “dia”; quando la ripeti in maniera continua cominci a sentirla anche come “dia” della precedente e “se” della successiva.
A quel punto la bocca penserà di pronunciare sedia, le tue orecchie sentiranno diase, e il tuo cervello non avendo più un significato adatto, ti farà credere che la cosa vale per la parola che tu stai pensando di pronunciare, cioè sedia.
E mi diverto.
Con poco, lo so.
Ma provate a farlo con qualsiasi parola, finché non diventa nella mente una parola senza senso.
È possibile togliere alle parole il loro significato, questo è un po’ il senso del giochino, e la sensazione che si prova quando succede è carina.
Stessa cosa ho imparato a farla per avere obiettività nei confronti dei miei lavori.
È chiaro che se io ho davanti un’immagine da giorni e la sto creando io, mi sembrerà sempre bella e adatta a quello che deve comunicare, anche se quella sensazione a volte è dovuta solo al fatto che la ho davanti da così tanto tempo che diventa esatta per confidenza.
Per guardarla senza il filtro dell’abitudine la devo fissare a lungo, fino a quando quello che sono ormai abituato a leggerci mi stufa, in quel momento, avendo deciso di continuare a fissarla ancora a lungo, inizio a trovarne altri significati pur di impegnare il tempo, ottenendo così il risultato di averle tolto il significato che ha avuto fino a quel momento e vederne il nuovo, valutando se è comunque coerente con quello che deve dire.
Se lo è sto facendo un buon lavoro.
Quando faccio video poi, la cosa diventa ancora più fondamentale, ma nello stesso tempo lunga, perché a volte mi riguardo una sequenza di decine di secondi anche per 20 volte di seguito, finché non smette di dirmi la stessa cosa.
Sembra un casino, o una cosa paranoica, mentre in realtà è un processo che se considerato tra i momenti di verifica del lavoro, porta solo dei vantaggi.
In fondo se non succede nulla è perché la stavo facendo giusta, e non mi sembra tale solo per abitudine, se invece mi cambia significato, ho fatto bene a costringermi a scoprirlo perché posso cambiare strada.
Ma tutto questo per dire che?
Che quando una cosa smette di divertirmi o di piacermi, io la guardo finché non capisco se è per abitudine o perché vorrei leggere dell’altro.
Con le persone che abbiamo accanto bisognerebbe fare la stessa cosa ogni tanto.
Con la grafica di ‘sto posto faccio così.
Mi piacciono tutte le versioni che ho fatto, ma le ho sempre lasciate su finché mi facevano provare piacere nel vederle, quando non mi dicevano più nulla di divertente o di personale, le cambiavo.
Ora ogni tanto mi fermo a fissare la attuale per capire se va ancora bene.
L’altro giorno mi sono messo a guardare la parte sinistra, quella dei link.
E il giochino è sempre lo stesso.
Ormai se la guardo è la parte dei link a cui sono abituato, e il cui significato è “comunicare i link”, nient’altro.
E dato che “nient’altro” è una cosa che per me equivale a “noiosa” mi sono messo a fissarla.
Ho vinto.
L’ho guardata così a lungo che alla fine ho scoperto che a guardarla bene è un pezzo degli scacchi.
“Carino!” mi sono detto, “come gli scacchi di cui parlavo un anno fa! Quindi c’entra ancora con il significato di ‘sto posto!”
Provate a fissarla per vedere se è vero, e la sensazione che proverete nel momento in cui vi direte “è vero!” è quella che inseguo io continuamente in ogni cosa, così magari sembrerò anche un pochino meno scemo.
E (non contento, anzi a quel punto divertito) la parte “archivio” che sta sopra di lei l’ho trasformato nel fumetto tipo cartoni animati dove c’è scritto cosa si sta dicendo.
E sono un paio di giorni che quando la guardo sorrido per la coincidenza degli scacchi.
Mi diverto con poco, lo so, come trasformare un banale numero di accessi nel mio palindromo personale.
Ma ora la lascio ancora così com’è perché mi diverte di nuovo quando la guardo, e quindi ho ottenuto l’effetto che desidero senza modificarla, e quindi senza averci dovuto lavorare ancora.
Non so, ma ho come l’impressione che la volontà di tirar fuori cose belle principalmente da quelle piccole, sia uno dei pochi punti di sostegno che mi ha permesso in più di un occasione, di non cadere.
Se non perdo l’abitudine di ridere per una sedia, sono convinto che la mia felicità non mi costerà mai più di quello che posso permettermi.
Ogni riferimento, ovviamente, non è puramente casuale.
Ma questa la capiamo in tre, io, mia madre, e mio fratello.
Anche se lui la potrà capire solo quando gli restituiranno la capacità di farlo.
A volte ho un po’ paura.
Forse è giusto ammetterlo.
Vorrei poter fare anche con lui il mio giochino.
Vorrei poterlo fissare a lungo, finchè non smette di essere quello che vedo.
Qualsiasi altra cosa, tranne la morte, sono certo sia meno dolorosa.
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