30 novembre 2009

De sfogliare

Come il primo embrione di cartone animato che tutti da bambini abbiamo fatto, disegnando l'omino stilizzato negli angoli delle pagine di quaderno per poi sfogliarle veloce e vederlo muoversi.

Se oggi prendi due giornali a caso, qualsiasi, e li sfogli con la stessa tecnica, l'animazione complessiva che ti appare è che in ogni casa e in ogni ufficio pubblico dovrebbe essere appesa una bandiera con su un trans.


29 novembre 2009

Sunday bloody Sunday

In Russia quando vogliono zittire qualcuno mobilitano i servizi segreti e il polonio.

In italia puoi anche assoldare peppino il pizzettaro come killer e dirgli di usare i raudi, ché tanto la vicenda finisce a borsettate tra trans che si mandano affanculo per stabilire di chi sia il cicciobello regalato dalla morta in spazi televisivi gestiti dalla D'Urso tra la ricetta del panettone e il GF, con la gente che accorre in strada dietro l'intervistata e si alza sulle punte per svettare nell'inquadratura aggiustandosi i capelli ridendo cellulare in mano per dire agli amici di sintonizzarsi che "Sono in tv!" e Marrazzo che scrive al papa per chiedergli scusa, stacco pubblicitario, chiappe al vento a ritmo di Toda Gioia Toda Beleza, voltiamo pagina, entra il ministro Brunetta sulle note di Chi non lavora non fa l'amore.

21 novembre 2009

Nome in codice Bozza

Il taxi svolta nella via accanto e mi lascia lì, dice che non lo lascerebbero arrivare fino all’ingresso dell’albergo.
Mi giro, vedo l’ingresso e gli chiedo se pensa che invece io qualche speranza di attraversare quella barriera l’abbia, mi prende le misure e mi risponde Non ne sarei certo.
Mentre attraverso la strada allargo le spalle fino ad almeno venti centimetri (totali), faccio scomparire il capello lungo, il jeans, la maglia di topolino, lo zaino rosso, gli anfibi, Gli Altri dalla tasca, il resto del taxi appallottolato in mano e indosso la faccia di quello col capello brizzolato, il pantalone arancione, la camicia con le iniziali, la borsa di pelle da Sto via due giorni, la scarpa da ginnastica argento, Men’s Health in mano, il resto del taxi no perché lasciato come mancia e con lo sguardo di chi, lui, chiede, a loro, perché gli ostruiscano il tappeto rosso, attraverso gli sguardi dei trenta poliziotti pagati per proteggere il mango fatto arrivare apposta dalla terra dei mango per il principe dei mango venuto lì a parlare della carenza di mango, godendomi gli sguardi immobili di chi quelli come me, in altri momenti e in altre situazioni, li sgombera ridendo ma che, lì e in quel momento, può solo levarsi dai piedi e farmi passare grazie.

Entro rimettendomi i capelli lunghi gli anfibi eccetera e mi avvio alla reception dove Simona L. mi accoglie con il sorriso d’ordinanza e mi chiede un documento, legge Bozza, allarga il sorriso fino ad almeno venti centimetri (supplementari) e mi comunica che L’aspettavamo più tardi.
Vinco il jackpot replicando Se volete aspetto fuori, è così accogliente.
La risata di Monica D., sua superiore, le comunica che può rilassarsi e ridere anche lei, ridiamo tutti e pure in meno di venti mosse, non ho bisogno di Men’s Health, al limite ho bisogno dei lacrimogeni là fuori per tenerle lontane quando faccio lo splendido, sono irresistibile.
Le allungo la carta di credito a garanzia, dandole il codice SPG.
Sta per prenderla mentre Monica D. la blocca dicendole Lui no, non serve, sono mica uno di quelli là fuori, penso, in realtà ero a full credit e l'ho scoperto al check out cazzo.
Per lei camera fumatori, Signor Bozza B, prima che chieda.
Finalmente una carta fedeltà utile anche se non buchi in autostrada o non vuoi un servizio di piatti in latex.

Salutati tutti e avvisata l’agenzia del mio arrivo, salgo in camera dove il plasma mi saluta col mio nome a 42 pollici ed esco per andare a mangiare, in un posto vicino ma che non costi troppo, che in Via Veneto è come trovare un ago in un pagliaio o un mango della terra dei manghi in ogni altro periodo, giro un po’ di menù appesi sui muri e scelgo il posto che fa per me, insalata di polipo e bistecca di tonno sia.
Entro e il cameriere quadrilingue mi guarda vestito così, con quei capelli lì, con quella maglia lì, indeciso se fare un fischio e chiamare quelli davanti all’albergo per sgomberarmi o se provare l'azzardo del pensare che se sono entrato anche se vestito da quella figura lì, forse sono un cantante di fama internazionale che gli mollerà duecento euro di mancia, in quei giorni in Via Veneto non conviene fare troppo gli snob, ché nemmeno te ne accorgi e butti fuori il principe di Pippelandia venuto a Roma a parlare di carenza di Mango ma anche a vestirsi da Er Piotta ché a casa sua mica può, sdoganato dal boss mi siedo e immediatamente vengo raggiunto dall’addetta all’acqua, l’addetto al pane, l’ha detto il capo, l'amico è ok.

Mangio leggendo il mio libro, un uomo da solo in ristoranti così che legge un libro mentre mangia porterebbe a casa pure Michelle Pfeiffer, io tutte le volte mi accontento di portarmi a casa la sensazione che mi porterei a casa pure Michelle Pfeiffer.
Mangio e leggo leggo e mangio, indeciso se chiudere di corsa e godermi il tonno o tenere duro e rischiare il vomito, mi sento molto sporco a mangiare tonno in via veneto insieme ai principi di Pippelandia leggendo quello che leggo e trattenendo il vomito, l’allegoria in scala uno a un milione delle pagine che sto sfogliando una via l’altra.
Tengo duro, quelle pagine vogliono farmi sentire esattamente così e io esattamente così mi devo sentire per capirle.
Pensavo che l’ultimo libro fosse uno dei migliori mai letti, mentre leggo questo penso la stessa cosa e vengo sfiorato dal dubbio che lo penserò di ogni libro che leggerò, perché avendone letti in vita mia cinque, quando ne leggi sei pensi di avere tra le mani dei veri capolavori e invece hai in mano solo dei capolavori come ce ne sono migliaia in giro e se solo fossi arrivato oltre il cinque lo sapresti e ti daresti una rilassata, invece di fare quella faccia lì di chi l’ha scritto ogni volta che hai in mano un libro.
Quest’accelerata è dovuta al fatto che ho pensato che con quello che mi fumo (e non rompete, su, ché abito dentro un tubo di scappamento, non ho i prati verdi quando apro le finestre ma i cavi del filobus che mi spargono metallo nei piatti ogni quindici minuti o trenta in orario notturno e quindi non rompete, su) unito a quello che dormo potrebbe venirmi un colpo domani e mi dispiacerebbe morire avendo letto solo cinque libri, dodici dei quali di mio padre (piccolo spazio pubblicità), tanto perché ci piace allargare gli orizzonti.

Penso a mio padre, mentre leggo, ogni volta che leggo.
Penso a mio padre mentre faccio qualsiasi cosa, in realtà, ma in particolare mentre leggo e in particolare mentre leggo questo libro che mi parla di guerra e di armi e di diplomatici e di sporcizia umana, in una parola di Balcani.
Io ogni tanto a cadenza trimestrale il nome Srebrenica lo butto lì, quando mi capita, anche si stia parlando di cucina, giusto perché mi chiedo perché cazzo nessuno parli mai dell’inferno che è stato quel buco nero di umanità che è (stata) la guerra dei balcani e così per vedere se la gente coglie oppure l’oblio davvero ha funzionato e mi chiedo come sia possibile che davvero tutto sia stato dimenticato, come sia possibile che tutti urlino l’allarme musulmano usando come esempio il filobus qui a milano e mai parlando di balcani, forse perché l’esempio toccherebbe anche i cristiani, vai a sapere perché nessuno da nessuna delle parti coinvolte o meno tiri mai fuori quell’inferno lì per veicolare qualsiasi idea cretina di appartenenza religiosa, forse che l’esempio dimostrerebbe soltanto che dove c’è religione, qualsiasi religione, c’è sì paradiso, ma anche che dove c’è paradiso, qualsiasi paradiso, generalmente c’è anche inferno, uno solo e sempre lo stesso, ma forse perché la religione lì c’entra quanto il mango (e il principe dei) in questi giorni recapitato a Roma c’entra con la riunione sulla carenza di mango fatta tra una boutique e l’altra.

Ho pensato a mio padre in questi giorni più di altri giorni perché c’era tutto.
C’era l’hotel mille stelle nel quale fare il ricco col culo degli altri, c’erano i tre lavori fatti in contemporanea usati uno, la marchetta, per pagarmi il tempo di fare l’altro, quello dove mi spendo con soddisfazione, c’era il Bozza accolto come fosse a casa da Mirella M., c’erano le aziende che ci fanno sentire sporchi ma poi alla fine ci lavoriamo, c’era tutto ciò che non ho fatto in tempo a imparare da lui ma evidentemente nemmeno a scrollarmi dal dna e c’era anche la musica di sottofondo di quel libro che parla di uomini sporchi che fanno cose sporche per soldi.

Io non lo so se mio padre è davvero morto, non avendo mai aperto la scatola di scarpe recapitataci dal posto dove ci si disse fu trovato morto e nella quale ci si disse esserci quel che ne restava, non lo potrò mai dire con certezza e se non l'abbiamo aperta forse fu proprio per conservare questa idea.
Io credo di no, penso sia da qualche parte a fare cose ancora più sporche di quelle che faceva prima, cose così sporche che non potevano più portare quel nome, me lo vedo così, costretto da sé stesso, una volta superata la linea di non ritorno, a far suo definitivamente il totale di quello che dopo quella linea pochi uomini sono in grado di rendere vita definitiva.
Però l’eventualità che sia morto la contemplo, pur non avendo, né io né nessuno, mai visto il corpo, non sono stupido.
In quel caso me lo vedo ucciso dalle stesse armi che quando l'ho seguito sono stato certo commerciasse, dalle stesse mani che gli ho visto stringere e sicuramente pagare il mio soggiorno.
A casa mia mi dicono che l’ho mitizzato per accettarne la morte.
Casa mia, quella che m’ha cresciuto, è questa.
Una casa nella quale ti dicono che se oggi pensi che tuo padre sia morto ucciso da mafie con le quali commerciava in armi, è perché lo stai idealizzando.
Il processo logico utile a realizzare quale idea di mio padre mi sia stata trasferita negli anni, se secondo loro vederlo morto mercante d’armi significa idealizzarlo mito e ricordarlo quindi migliore, non richiede ulteriori elementi per essere compreso.

Interno giorno, stanzetta produzione, io al portatile a lavorare.
Mi si avvicina il cliente che, notata la connect card di marca non sua, mi fa notare che non è carino.
Gli rispondo che quando lavoro per la PM hanno lo stesso problema, non devono esserci in giro sigarette di altre marche e per risolverlo passa uno di loro con le loro sigarette e sostituisce tutti i pacchetti con le loro, se è vuoto è uguale, in cambio te ne da due, tre, una stecca, basta che cambi e in giro non ci siano pacchetti non loro, funziona così
Problema connect non più sollevato.
So mettere a posto le persone, io.

Arriva la pausa pranzo ed esco a prendere un panino.
Finisco il panino vado a pagare e prendo il caffè.
Mi avvicino al banco controllando lo scontrino.
Manca la birra dico tornando in cassa.
La signora controlla, il cameriere controlla, non manca la birra.
Guardo il totale, le voci in elenco, manca la birra, dico.
No i due panini sono una voce sola.
Ah ok, allora è a posto.
Il cameriere scoppia a ridere Uno che torna indietro perché non ha pagato una cosa, in vent’anni mi sarà capitato due volte, ma lei da che mondo viene?
Da quello giusto dico.
Quello dove principi dei mango si fanno recapitare mango nella città dove parleranno di carenza di mango in alberghi nei quali il sapone sa di mango (quando non è direttamente mango) leggendo libri che parlano di uomini sbagliati che vendono armi a uomini ancora più sbagliati con le quali ammazzeranno per sempre bambini che fattisi uomini ricorderanno di loro quando erano migliori e ne sentiranno una mancanza che non accenna a finire né a ridursi di quel tanto che basta per non essere visti come sciocchi idealisti quando parleranno del proprio padre come un meraviglioso mercante d’armi, secondo me, suo malgrado.
O Belgrado, che dir si voglia.


19 novembre 2009

Ma anche la scopa nel culo

Perché io corro, faccio la trottola, dormo tre ore per notte, piglio aerei appena sceso da treni, va bene, se serve non mangio (ma quando mangio volano pesci conditi con eccheccazzo) ok, faccio anche la faccia simpatica di fronte a teste di minchia di ogni genere e provenienza, d'accordo, faccio anche il triplo di quello per cui vengo pagato e sapendolo anche in anticipo, perché lo so sempre in anticipo, ci sta, rido a battute che manco pierino, fa parte della fattura, confermo l'intelligenza di certe scelte che di intelligente non hanno la forma manco a impegnarsi, perché no, metto a rischio tutto quanto di buono ho a casa nei tre giorni al mese che riesco a passarci, ok, faccio miei problemi che miei non sono per far fare a dei perfetti imbecilli la figura di chi grazie a lui va tutto bene, mi piglio cazzi di uno e dell'altro solo per non dire a uno che i cazzi sono dell'altro che non saprebbe da che parte cominciare a spiegare che lui non sa da che parte cominciare pur essendo lui quello che mi chiama e io quello che gli rispondo che in qualche maniera dovrebbe coincidere con l'essere lui quello che sa e io quello che ringrazia per aver scoperto, prendo lavori anche la notte per clienti che mi immaginano a milano, d'accordo, faccio così e mi consumo, ma produco senza crepare e pure sorridendo ma lasciando agli altri il merito che altrimenti c'è gente che manco l'analista li salverebbe.

Ma è quando alle ventidue la cliente ti saluta lasciandoti lavoro per altre 4 ore perché dopo altre 3 ore hai la sveglia ché ti vogliono bello pronto alle sei pure se hai finito alle 5 e ci mancherebbe vorrai mica non esserci e ti saluta tutta imbellettata perché deve correre, lei, alla cena di gala pre-evento e c'hai mica un accendino solo un attimo te lo riporto al volo e poi non era vero perché con il tuo unico accendino se ne va affanculo alla sua cena di gala mentre tu sei chiuso in una stanza per mille ore con un pacchetto di sigarette ma NON PIU' l'accendino come da famosa barzelletta, che sfioro di pochissimo ma proprio di pochissimo quel limite dal quale da vent'anni sono un maestro nel tenermi lontano quel limite sul quale da anni siede in attesa un vaffanculo che lo sentono pure nella regione affianco per tutta 'sta merda che tiene in piedi l'economia italiana e sposta miliardi ma non conosce quelle due regole fondamentali che ti portano a fare quel piccolo pensiero, minuscolo, senza differenze di casta né di ruoli, fatto a forma di semplice pensiero di rispetto per la gente che lavora e ti da quotidianamente il culo e in cambio chiede solo che gli si LASCI L'ACCENDINO CAZZO.

L'unica donna che va a cena con seicento uomini e ha come paura quella di non trovare da accendere, ce l'ho io come cliente.
E solo chi con 'sta gente ci vive ci mangia e ci dorme può sapere di che iceberg queste piccolezze possono essere punta.
Voi non lo sapete che malati di mente io tenga in piedi, non lo potete nemmeno immaginare.


18 novembre 2009

E invece niente

Ho atteso giorni e invece niente.

Per un po' ho sperato che per mettere i puntini sulle i, Il Giornale cadesse nel tranello e lanciasse il contest fotografico "Siamo tutti crocifissi".

Col fanatismo che s'è risvegliato oggi, anche solo quella piccola percentuale di coglioni che si sarebbero resi conto della cazzata solo a cosa fatta, sarebbe stata comunque un bel momento.

13 novembre 2009

Lineare

Fico questo Brunetta.

In campagna elettorale ti promette che toglierà lo stato dal pubblico impiego per sostituirlo con l'azienda e oggi ti dice che quando il pubblico ti assume devi giurare fedeltà alla costituzione.
Praticamente mentre ti dice che il pericolo sono i comunisti ti infila in culo una roba che manco i Soviet.

Ma che belli che siete.

11 novembre 2009

Porca a Porca

Giovanardi telefona in diretta per replicare alle reazioni alle sue parole su Cucchi

G: "Prima di tutto mi scuso per la voce, non sto molto bene"
V: "Non è eccesso di droghe, immagino"

G: "AHAHAHAHAHAHAHAHAHAAHAHAH"
V: "AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH"


Così.

7 novembre 2009

Affinità

Facciamo così:
Io non dico nulla.
Metto solo uno screenshot.
Poi ognuno ci legga quello che vuole.



(col cazzo che vi metto il link, ché mica stiamo parlando di quelle mammolette del ministero del turismo, oh)

5 novembre 2009

Dio c'era

"Questa notizia ci spinge ancora una volta a riflettere sulle modalità di espressione della libertà, quando come in questo modo, diventano dichiaratamente lesive della libertà altrui e delle sensibilità di altre persone.

Esse possono essere regolamentate, senza causare nessun tipo di scandalo. Anzi devono esserlo."


Trovato qui.

Una delle tante reazioni lette nei giorni in cui venne impedito di far circolare bus con la comunicazione sulla non esistena di dio.
In quei giorni pare che il rispetto per la sensibilità di tutti fosse un valore da difendere a spada tratta e la decisione di impedire quel manifesto rallegrò non pochi difensori di questo principio, tra i quali gli autisti credenti che annunciarono che si sarebbero rifiutati di guidare bus che avessero veicolato quella campagna appellandosi all'obiezione di coscienza.
Si stabilì che il diritto all'obiezione era, come dire, sacrosanto.

Allora facciamo così:

Se le scuole dovessero seguire La Russa rifiutandosi di attuare la sentenza, i maestri contrari semplicemente non entrino più in classe.
Percepiranno lo stesso lo stipendio perché non sarà interruzione di pubblico servizio ma obiezione di coscienza e in Italia è un sacco cool.

Se invece le scuole dovessero (e)seguire la sentenza e la cosa dovesse in un primo momento turbare, ai bambini che, abituati a trovare ogni mattina la croce, eventualmente dovessero chiedere spiegazioni riguardo a quell'alone più chiaro sull'intonaco ingiallito della parete intorno, rispondano loro che è un'icona religiosa e rappresenta la resurrezione.

2 novembre 2009

Mai fermarsi

Esortata da tutti, faccio una telefonata a Lentz.
Mi sento come se avessi trascorso gli ultimi dieci anni seduta nello studio di Lentz. C’è anche Jeff, io sono accasciata sulla poltrona, praticamente orizzontale, e dimeno i piedi come una pazza. Li sollevo sopra la testa e li guardo dimenarsi a velocità incredibile.
“Ha visto le mie calze?” domando a Lentz, protendendo i piedi.
Lui lancia un’occhiata. “Molto graziose” , commenta.
Ha lo sguardo fisso sul computer e scrive qualcosa nella mia cartella clinica. Rovescia la testa all’indietro e si guarda il naso.
Vedo Lentz da quando avevo ventitrè anni. Lui mi ha visto in tutti gli stati possibili di follia, dalle manie vistose alle depressioni catatoniche. E mi ha visto assolutamente sana di mente. Si prende cura di leggere sempre i miei libri e gli articoli. Sembra che non gli importi niente se indosso un completo di sartoria o un pigiama disgustoso, un vecchio cappotto logoro, un paio di scarpe da giardinaggio. Per lui io non sono matta. Sono soltanto quello che sono.
Abbassa lo sguardo sul suo blocchetto per gli appunti e dice: “A quanto pare si sente un po’ accelerata”.
“Un po’. Soltanto un pochino. Proprio un pochino solo”, rispondo. “Ma devo riuscire a fare le mie cose. Non posso fermarmi adesso. Mi sta andando tutto bene”.
Lui fa un cenno di assenso e dice a Jeff: “Lei come direbbe che sta?”
“È completamente suonata”, risponde Jeff, Non ne sono per niente infastidita. Ho imparato a portare Jeff con me dal medico quando non mi sento a posto, dato che non capisco il senso delle cose. Sta seduto di fronte a me sul divanetto. Mi osserva, con aria preoccupata. Questo mi irrita profondamente. Sospiro rivolta a lui e mi lascio coinvolgere completamente dall’incredibile velocità dei miei piedi.
“Marya?” Lentz irrompe nei miei pensieri. Ora mi concentro sulla punta delle dita, perché sento un formicolio.
“Ho comprato un canarino”, annuncio, sollevando lo sguardo.
“Oh?”
“Non ha comprato nessun canarino”, sospira Jeff.
“Capisco”, dice Lentz. “Ha dormito?”
“Non proprio. Non mi piace dormire. Dormire è un gigantesco spreco di tempo. Il sonno è irrilevante in confronto alle mie cose. Che devo fare.”
“Dorme due ore circa per notte”, specifica Jeff. “In tutto. Si alza e poi si mette giù di nuovo.”
“Mi alzo e poi mi metto giù di nuovo”, concordo. Smetto momentaneamente di esaminare le mie dita e fisso il dottor Lentz con aria intenta. “Ma deve capirmi, io devo fare le mie cose.”
“So che deve farle”, dice Lentz, cercando nel suo piccolo Palm Pilot che ha il manuale farmaceutico incorporato.
“È importante che riesca a farle.”
“È molto importante”, dico.
“So che lo è. Non vogliamo rovinarle la concentrazione.”
“Molto importante”, ripeto, quando improvvisamente i miei piedi decollano nuovamente.
“Quanto Geodon sta prendendo?”
“Ottanta milligrammi”, risponde Jeff.
“Le aumenterò il Geodon”, dice Lentz.
Sollevo lo sguardo, preoccupata. “Mi farà ingrassare?”
“No”
“Mi farà sentire intontita?”
“No. Dovrebbe soltanto farla sentire un po’ meno nervosa.”
“Non posso perdere il mio nervosismo”, gli dico con tono di riprovazione.
“No di certo. Quanto lavora?” domanda Lentz a Jeff.
“Tutto il tempo. Lavora persino quando qualcuno le sta parlando. Non si cambia i vestiti perché dice che questo interromperebbe le sue ‘cose’.”
“Ieri ho scritto cinquanta pagine”, gli dico decisamente soddisfatta di me.
“Buon per lei. Mangia?” domanda Lentz.
“Non mangia”, risponde Jeff.
“Mangio”, dico, strabuzzando gli occhi.
“Mangia soltanto frutta.”
“Marya, deve mangiare anche qualcos’altro”
“No, non posso”, dico in tono brusco.
“Si taglia?”
“Ho fatto sparire tutti i rasoi”, spiega Jeff.
“No era affatto necessario”, dico di nuovo in tono brusco, e mi alzo e passeggio in cerchio per la stanza.
“Sente il bisogno di stare in ospedale?”, domanda Lentz.
“Assolutamente no!” esclamo, facendo un salto per protestare. “Come farei a lavorare? Non mi lasciano mai portare il computer. Non posso lavorare sul cartoncino!”
“Credo che abbia bisogno di stare in ospedale”, dice Jeff.
Giro su me stessa e metto un dito sul suo petto, facendo un altro salto e sferrandogli un calcio in uno stinco. “Niente affatto!” Non mi lasciando tenere il mio cellulare! È troppo importante!”
“Marya, lei è davvero molto accelerata”, osserva Lentz.
Mi metto seduta sulla sedia e mi aggrappo ai braccioli per dimostrargli il contrario.
“No”.
“D’accordo”, dice. A Jeff, dice “Se domani è ancora così, mi telefoni”.
“Lavorerò un sacco”, annuncio, molto compiaciuta.
“Cosa sta scrivendo?” domanda Lentz, alzandosi in piedi e stringendo la mano a Jeff.
Conto sulle dita: “Una commedia, un romanzo, un articolo, e una nuova serie di poesie.”
“Non vedo l’ora di leggerli”, commenta Lentz. “Prenda uno Zyprexa.”
“Non lo prenderò assolutamente”, dico seccata. “mi fa diventare intontita e grassa.”
Lentz sospira.
Jeff esce. Io saltello dietro di lui come un pulcino.



“Una vita bipolare”
è un libro con un meccanismo dentro.
Non dentro nel senso di tra le righe, ma dentro nel senso di meccanismo esplicitato dalle righe.

Le pagine sono divertenti al limite della comicità.
Le pagine, le stesse, sono drammatiche al limite dell’angoscia.
È un libro bipolare.
Nella sostanza, nella forma.
Non parla di bipolare, È bipolare.
È un libro meravigliosamente, drammaticamente, bipolare.

Se hai compreso questa specie di recensione, significa che il germe del bipolare che come tutti porti in te è in progressione avanzata e mi dispiace tu l’abbia saputo così, un giorno improvviso d’autunno, ma qualcuno doveva dirtelo, prima o poi, che quelli non erano solo episodi, che quelli erano episodi.



(Jeff, che mentre il mondo si impegna per amare molto, ha saputo amarla abbastanza)