27 ottobre 2006

Mike

Sono giorni che penso alle parole da usare, senza arrivarne mai a capo.

Sarà la primavera, sarà quest’aria tenera che mi aleggia intorno da un po’ di giorni a questa parte, sarà quella sensazione così nuova per me, sempre più presente, che mi fa propendere sempre più spesso per la conservazione delle cose importanti in cassetti il cui accesso è condizionato da dettagli insignificanti quali la vicinanza, la voce, il tocco delle mani.

C’è che le parole che vorrei non mi escono.
Non mi escono qui.

Ci sono vicende per raccontare le quali è sufficiente la memoria, unita a due cucchiaini di capacità di romanzare e mezza bustina di sentimento, agitare, versare, bere, ruttare.
Più facile di quanto appaia a chi beve il prodotto finito e s’immagina chissà quale lavoro dietro.
Ci sono invece vicende che richiedono più applicazione, più impegno, in qualche modo più cautela e spesso a sentire la necessità di questo maggiore impegno sono quelle vicende che non sono vicende ma persone.
La differenza tra vicende facili da tradurre e persone difficili da raccontare, mi sono reso conto, è il tempo, il tempo di reazione.

Il tempo di reazione è quello che differenzia le emozioni provate da quelle generate.
Quando qualcosa mi emoziona, quello che passa nella prima frazione di secondo attraverso le mie vene è l’emozione provata e tutto quello che esce in quel momento è il racconto di quell’emozione, reale, immediato, pulsante.
Quando quel qualcosa lo racconto, il tempo delle vene è trascorso, le parole hanno avuto il tempo di decantare e questo le rende a volte migliori, ma non reali.

Questa consapevolezza mi porta a vedere sempre come un momento sprecato il mio non poter comunicare a caldo le cose emozionanti quando mi capitano e a considerare spesso il racconto successivo come un qualcosa di tradotto, di ricolorato, di falsato.
È un peccato, perché le parole migliori sono quelle che mi escono nel primo secondo, quando sono le vene a parlare e non la memoria di due giorni, tre, una settimana dopo.
Dentro quei cassettini sono custodite tutta una serie di cose che non sono state raccontate nel primo secondo e che per questo rimarranno lì per sempre e anche quando qualcuna di loro verrà presa e esposta, sarà sempre un’esposizione che ne mostrerà solo ciò che si può vedere ma non ciò che si è sentito nel momento in cui ho deciso di metterla nel cassetto.

Per questo motivo ultimamente molte delle cose che vorrei dire non le dico.
Non è riservatezza, non è timore né incapacità di raccontarla.
Semplicemente mi rendo conto che certe cose, quando provo a tirarle fuori dal cassetto per raccontarle, non sono belle come quando ci sono entrate, perché il tempo trascorso ha tolto alle parole l’immediatezza del sangue che cambia velocità.
E non si scappa, tolto quello tolto il novanta per cento della loro bellezza.
E per questo me le tengo.
Mi dico che sarebbero solo traduzioni per un pubblico che comunque non potrà sentire quello che vorrei e per una strana forma di protezione da questa specie di banalizzazione, le rimetto al loro posto e le lascio lì, per me.
E per chi c’era nel primo secondo.

Sono giorni che vorrei dire grazie a una persona.
Ma questa persona, per colpa del mio esser stato colto di sorpresa, non si è trovata dove meritava di trovarsi, lì accanto a me nel primo secondo dell’emozione.
Lo stupore mi ha lasciato incapace di fare quello che avrei dovuto fare e cioè scoprire subito cosa conteneva quella scatola.
Non capivo, non ero preparato e per questo ho atteso.

Se dicessi oggi, a distanza di una settimana, quello che è passato nelle mie vene nel momento in cui ho aperto la scatola, non uscirebbe nemmeno una goccia di quell’emozione provata in quel primo secondo.
Uscirebbe una cronaca fatta per il grande pubblico di un istante che è stato un istante e che per questo non può che essere irripetibile e di conseguenza irriferibile.
Per dirgli grazie dovrei parlare con le parole di quel primo secondo ma per parlare con quelle parole dovrei poter tornare a quel primo secondo.
Quando ho aperto la scatola ho parlato ininterrottamente per un’ora.
Se l’è sorbito un’altra persona, il mio grazie detto ad alta voce.
Si trovava lì ed è toccato a lui ascoltarsi quello che avrebbe voluto essere questo post e che invece non sarà.

Allora io stasera ho deciso di smetterla di cercare le parole per raccontare chi è la persona che mi ha dato quella scatola e cosa mi ha fatto provare con quel gesto e ho deciso di non star più lì a cercare le parole giuste perché se lo facessi nonostante non le ho, sarebbe solo per voi e non per me né per lui.
Per me perché io quello che ho provato ce l’ho dentro.
Per lui perché le parole per lui possono essere quelle e solo quelle del primo istante.
Smetto quindi di cercare un modo per dirgli grazie qui, consapevole che un grazie non è tale solo se detto qui, ma è un grazie se è sentito dentro come tale, senza bisogno di raccontarlo.
E gli prometto, mi prometto, che d’ora in avanti tra gli obiettivi della mia vita ci sarà sempre la speranza di riuscire a regalare a lui un primo istante come quello che ha regalato lui a me.
E se non dovessi riuscirci sarò comunque contento per il piacere dell’essermi dato preso questo impegno.
Ché a volte per star bene non è necessario farle, le cose, ma basta anche solo averle dentro come valore, come speranza, come sogno.
E io come sogno, sogno di fargli provare anche una sola volta quello che lui ha fatto provare a me.
Meno di quello, non sarebbe un grazie.

A voi trasferisco solo la pura cronaca, tanto il resto non uscirebbe come è dentro, e la trasferisco perché lo devo a tutti quelli che hanno anche solo per un istante partecipato a questa mia cosa, per me così importante.
La settimana scorsa un amico ha aperto il baule della macchina e ne ha tirato fuori una scatola per me.
Non c’era ricorrenza, non c’era festa.
Ho pensato fosse qualcosa per la casa e per questo mi sono lasciato andare al piacere della “scatola”, contento del gesto indipendentemente da cosa contenesse.
Per questo ho commesso l’imperdonabile errore di aprirla solo quando a mia volta salito in macchina.
Non potevo sapere, non potevo immaginare, non credevo possibile che potesse contenere tutti i libri di mio padre.
Tutti.
Tranne uno, vabbè, ma quell’uno ce l’avevo, diciamo tutti quelli che mi mancavano.
Usciti tutti insieme dallo stesso posto nel quale non si trovavano in vendita, dettaglio tutt’altro che insignificante, poiché significa che per farli uscire ha dovuto fare una cosa davvero grande.
E l’ha fatta per me.

Grazie Mike.
Poche volte mi sono sentito tanto in debito.
Poche volte mi sono sentito tanto felice.
La traduzione in parole, purtroppo, è stata roba dei minuti successivi che non sono in grado di replicare.

La ricerca è completa.

Il mio grazie è altrettanto grande per tutti quelli che mi hanno aiutato, che mi hanno fatto avere copie dei libri, che me li hanno anche solo fotocopiati, che li hanno trovati ma che ancora li conservano per quando ci vedremo come ci siamo promessi e come voglio ancora fare, che ancora ne troveranno e che sarò ancora felice di ricevere, perché più ce ne sono in giro e più ne voglio io.
Ognuna di quelle copie ha in sé una persona, una storia, un gesto che è stato, che sarà e che rimarrà sempre una delle cose più belle che la gente abbia fatto per me.
Vorrei poter raccontare il primo istante di ogni libro che ho ricevuto, ma non ne sono capace.
Quindi mi limito a chiedervi di immaginare, per quanto possibile, cosa possa significare esser riuscito a veder concludersi questa ricerca.
No, lo so, non si può.
È roba di istanti irraccontabili.
Sentirsi in debito è una delle sensazioni più belle che esistano.
Perché significa essere costantemente consapevoli di aver ricevuto.
Di aver ricevuto proprio tanto.
Per molti questo è poco più di qualche pixel e una scatola di plastica.
Per me è un posto dove le cose che si desiderano possono accadere davvero.
Dove se chiedo di guardare un serpente dal cielo poi lo vedo.
Dove se voglio essere più vicino a mio padre basta che lo chieda e la magia avviene.
Si può realizzare tutto.
E non è un romanzo, accade davvero.
Siete dieci e siete davvero tutti speciali.

Grazie, uno per uno.

20 ottobre 2006

Fiu-Me

The Big T(h)ree.
Il seguito del post più lungo della storia.

Ovvero: come metterci tre settimane per raccontare una storia durata una settimana.
Il post, appunto, è più lungo della storia che racconta.

Parte 3.
Dalle un dito, attendi che si prenda il braccio e sii spalla su cui ridere se vuoi che prosegua a salire.


Ti lascio questo, io parto.
Sul mio tappeto volante sempre più lontano sempre più su, lassù dove poter dire a tutti di guardare fuori dall’oblò mentre dirò loro “Guardate laggiù, io la conosco” e loro vedranno intere città, fiumi come serpenti, montagne grandi come le cunette di sabbia in spiaggia quando avevamo cinque anni e bastava un dito per percorrere un intero mondo e gli unici visi che si inseguivano erano dentro le biglie spinte da quelle stesse dita che erano gambe capaci di percorrere qualsiasi distanza, vedranno file di luci e tavolozze di colori sui quali crescono alberi e mi chiederanno “Chi conosci? Chi stiamo guardando?” e io dirò loro che stanno vedendo te, che possono farlo perché saremo lassù, più su dei tre metri del muro di questa stanza e della tua stanza e di tutte le stanze che ci sono in mezzo e che finché staremo qui giù a meno di tre metri ci obbligheranno sempre a vederci raggiungibili solo scavalcandoli, lassù no, lassù si può perché nessun muro è così alto e chiunque di loro guarderà fuori vedrà te perché non ci sono muri in mezzo e non importa se tu starai guardando su io starò guardando giù e ti vedrò, di nuovo.

Fiu-Me, si chiamava la fanciulla che ogni giorno alle prime luci dell’alba si recava sulle sponde del corso d’acqua che dritto come una lancia attraversava la regione che abitava, proprietà di un ricco signore di nome Son-Miei che possedeva tutte le terre tutti i monti tutte le città, un tiranno convinto che il potere sulle terre lo rendesse padrone delle vite degli abitanti e tra esse, di quella di Fiu-Me, la fanciulla che amò dal primo giorno che la vide ma che fu incapace di rendere felice e portare a sé nonostante i doni che ogni giorno le faceva arrivare.
Gli abitanti soffrivano la fame, lavoravano ed erano costretti a cedere ogni frutto del loro lavoro ai soldati che puntualmente passavano inesorabili a raccogliere tutto ciò che il tiranno pretendeva per sé, frutti e fiori dai quali ogni giorno prendeva quella parte che faceva poi inviare a Fiu-Me per convincerla a sposarlo.
I soldati ogni giorno tornavano indietro dal tiranno riportandogli il cesto con i doni, riferendo che Fiu-Me non si trovava mai nella sua capanna e che nessuno sapeva dove fosse ogni giorno quando loro passavano.
I confini delle terre del tiranno erano estesi ma la notizia dell’esistenza di quella bellissima fanciulla ci mise poco a raggiungere il paese accanto, regnato da Ta-Mai, un giovane divenuto guida del paese quando Fio-Re, sovrano e suo amato padre, rimase vittima di un agguato ai tempi della battaglia scatenata da Son-Miei per il controllo del mercato delle pere, il quale inviò due suoi soldati per eliminare il vicino sovrano, incapace di difendersi poiché avendo regnato in pace, non sentì mai la necessità di dotarsi di un esercito.
Ta-Mai apprese dell’esistenza di questa fanciulla attraverso i racconti dei mercanti che sostavano nelle locande del suo paese durante i viaggi che li portavano ad attraversare ogni terra e per questo veri tenutari della geografia e della storia dei paesi.
Narravano, i mercanti, di questa fanciulla dalla bellezza rara che vedevano sulle sponde del corso d’acqua lungo il quale sostavano per abbeverare i loro cavalli quando attraversavano il paese di Son-Miei.
Aveva lunghi capelli e movimenti soavi, mani delicate e occhi sinceri, ma di più non sapevano, poiché non si lasciava avvicinare se non dalle acque nelle quali si specchiava.
Ta-Mai non riuscì più a pensare ad altro che a lei, voleva incontrarla, desiderava offrirle il suo regno in cambio del suo solo riflesso nelle acque del suo paese, ma non poteva oltrepassare il confine perché sapeva che avrebbe subìto la stessa sorte del padre, avendo anche lui deciso di non dotarsi di un esercito.
Andò a chiedere consiglio a Co-Sì, il vecchio saggio del paese, sua unica guida e per questo da lui protetto da tutto e da tutti, nascondendolo all’esercito di Son-Miei sul monte più alto della sua terra, per avere sempre una guida alla quale domandare consiglio quando la sua giovane età e l’assenza di un genitore non gli consentiva di sapere quale fosse la strada giusta da seguire.
Co-Sì, dopo aver ascoltato il problema che affliggeva il giovane Ta-Mai, osservò le aquile e le nubi, lesse il legno e il fuoco e disse:
“Nei poteri dell’uomo non troverai soluzione ma causa, è nella natura la risposta. Le tue sole braccia non sono lunghe da attraversare il confine e il tuo popolo non ha lance lunghe da proteggerti se lo oltrepasserai. Non il tuo essere uomo, potrà raggiungerla, ma il tuo essere natura. Affida i tuoi messaggi alla corrente e lascia che sia lei a portarli alla fanciulla. Nessun esercito può fermare la forza dell’acqua”
Ta-Mai tornò a palazzo e chiese, non ordinava Ta-Mai, ai suoi sudditi di raccogliere ogni giorno un fiore ciascuno, solo uno per dar loro modo di ricrescere perché la bellezza della sua terra era il suo primo pensiero, di recarsi sulle sponde del corso d’acqua e di appoggiarlo sulla sua superficie perché potesse partire per la terra accanto e giungere a Fiu-Me, che specchiandosi nell’acqua avrebbe da quel giorno visto il suo viso circondarsi di fiori e l’aria intorno a sé profumarsi.
Così fecero e improvvisamente Fiu-Me cominciò a vedere il suo riflesso circondarsi di fiori e si trovò talmente bella che non fece più ritorno a casa.
Passava il suo tempo lungo le sponde del corso d’acqua, rapita da questo passaggio di fiori e invasa dal bisogno di scoprire da dove provenissero.
Iniziò così a incamminarsi seguendo il dritto corso d’acqua, convinta che se avesse ripercorso il cammino dei fiori a ritroso, sarebbe giunta là dove nascevano.
Son-Miei,nel frattempo, sempre più iracondo per il suo essere incapace di farle giungere i suoi doni, decise di raggiungere il vecchio mago della sua terra, un anziano dotato di poteri magici che teneva imprigionato in una torre costruita sul monte più alto della sua regione fin dal giorno che invase la regione con il suo esercito, impossessandosene e rendendo schiava l’intera popolazione di contadini che non seppero opporsi, mago che costringeva a esaudire le sue richieste minacciando di uccidere un contadino per ogni ordine di incantesimo da lui impartito e dal mago non eseguito.
“Cosa vuoi oggi?”
“Ti ho detto di chiamarmi Mio Signore o farò uccidere un contadino”
“Cosa vuoi oggi mio signore?”
“Voglio una fanciulla!”
“Ne hai quante ne vuoi mio signore, manda il tuo esercito a prenderla come fai sempre”
“Il mio esercito non la trova!”
“Sei padrone di tutto ciò che esiste, se una cosa non la trovi forse è perché non c’è, mio signore”
“Io so che c’è! L’ho vista!”
“Allora perché non l’hai presa mio signore?”
“Mago non abusare della mia pazienza, io ti ordino risposte, non domande! Non mi costringere a uccidere un contadino!”
“Allora ordinami ciò che vuoi mio signore, la tua saggezza saprà guidare i miei poteri”
“Voglio farmi Fiu-Me!”
Il mago, guidato dall’esperienza dei suoi anni, scorse in quell’ordine la fine della tirannia alla quale fu costretto il suo popolo e senza attendere un solo istante fece uscire dal suo cuore un fascio di luce che colpì il tiranno e lo trasformò in un corso d’acqua.
Imprigionato in quella nuova forma, il tiranno cominciò a urlare e a cercare di divincolarsi, ordinando al mago di riportarlo alla sua forma originaria.
Il mago rispose che fu lui a dare quell’ordine e solo alla sua ignoranza poteva attribuire quella trasformazione, che non era più costretto a eseguire alcun ordine poiché l’ultimo impartito gli aveva tolto la sua forma e quindi i suoi poteri di tiranno.
Improvvisamente i contadini cominciarono a sentire urla e rumori d’acqua scatenata giungere dalle rive del fiume e corsero tutti a vedere cosa stesse succedendo.
Giunti nei pressi del corso d’acqua videro le sue sponde un tempo dritte come una lancia agitarsi come un serpente e le sue acque cercare di uscire dagli argini.
Tutto ciò che si trovava nel fiume veniva scagliato tutt’intorno dalla forza del tiranno che cercava di divincolarsi da quella prigione alla quale si era ingenuamente costretto.
Quello che un tempo era un corso d’acqua dritto come una lancia era adesso un serpente agitato e tutti i fiori che vi scorrevano dentro da giorni erano ora scagliati lungo le sue sponde.
I contadini udirono i lamenti del tiranno e vedendo tornare il mago finalmente libero capirono cosa successe e cominciarono a festeggiare, saltando di gioia lungo gli argini e ballando sul tappeto di fiori che si era formato tutt’intorno al fiume, fiori che finalmente ritornarono in quelle terre dopo che le leggi del tiranno che li avevano condannati ad essere sempre tutti consegnati a lui per essere utilizzati per abbellire il solo suo palazzo, avevano tolto ai contadini anche i pochi semi che servivano per farli crescere.
Nel frattempo Fiu-Me, incamminatasi per seguire a ritroso i fiori, aveva raggiunto le terre di Ta-Mai e lì aveva scoperto una terra nella quale i contadini erano felici e i fiori crescevano ovunque, una terra della quale ignorava l’esistenza per il solo fatto che il vecchio tiranno aveva detto a tutti di essere lui e solo lui il padrone di tutte le terre confinanti per toglier loro la voglia di fuggire.
Si incontrarono, Ta-Mai e Fiu-me, e lei rimase così colpita dalla serenità di quella terra da chiedergli di seguirla per liberare il suo popolo e regnarlo con le stesse leggi.
Lui fu così affascinato da lei da decidere di chiedere ai suoi cittadini di seguirlo per ridare serenità al popolo di Fiu-Mei.
I cittadini, conoscendo il loro sovrano, capirono che era il cuore che lo guidava e decisero di seguirlo.
Ma quando oltrepassarono il confine pronti alla battaglia, scoprirono un paese in festa, fiori ovunque, musica e balli e a quella festa si unirono.
Il mago, riconosciuto il giovane Ta-Mai che dall’alto della sua torre, unico punto dal quale si poteva vedere oltre i confini, aveva da sempre visto governare nel giusto e nella lealtà, gli chiese di divenire sovrano di quella liberata terra, spiegando ai suoi finalmente festanti cittadini che quel giovane avrebbe saputo farli vivere senza tirannia e senza paura.
I cittadini, memori della saggezza del mago, cancellarono i confini e accolsero il loro nuovo sovrano con tutta la gioia della quale erano ritornati capaci.
Fu così che Ta-Mai, senza mai imbracciare un arma, si ritrovò ad essere sovrano di una terra grande quanto non immaginava, soltanto grazie alla sua natura e sposò Fiu-Me facendo una festa alla quale parteciparono i cittadini di tutte le regioni confinanti.
Regioni attraversate da quel tiranno che condannato a cercare di divincolarsi per l’eternità, continuò a spargere acqua e fiori lungo le sue sponde, regalando suo malgrado ai contadini liberi fertilità e ricchezza.
Ancora oggi, l’anniversario del giorno del matrimonio del sovrano Ta-Mai e della regina Fiu-Me viene festeggiato da tutti i cittadini che, recandosi sul monte più alto dove fu per anni tenuto prigioniero il mago, guardano per un giorno intero l’intera regione senza confini e senza muri, monte dal quale riescono a vedere il vecchio fiume una volta dritto, divincolarsi come un serpente circondato da quelle distese di alberi e di fiori che la sua stessa tirannìa regalò a tutti.


“Signore…Signore, mi scusi…dovrebbe tirar su lo schienale e chiudere il tavolinetto, stiamo atterrando”
“Ah…si…scusi…mi ero addormentato guardando fuori. Mi scusi…lei che sicuramente conosce la rotta…sa mica che fiume è quello?”
“Quale fiume, signore? Siamo sopra la città, stiamo atterrando”
“Si, scusi…niente, forse ha ragione il mago, c’è solo quello che si vede”
“Quale mago, signore? Sta bene? Vuole un po’ d’acqua?”
“No no, tutto bene. Sono solo un po’ intontito dal sonno. Accidenti com’è bella, signorina. Le interesserebbe un lavoro nel settore del commercio delle pere?”

5 ottobre 2006

A beautiful mind

Fase Uno:

Prendete un foglio di carta a quadretti e disegnate un punto al centro che da questo momento in poi chiameremo Punto P.

Col Punto P raffigurerete un problema a vostra scelta tra quelli dei quali vi state occupando o che vi occupano loro, è uguale, insomma, un vostro problema, se scegliete IL vostro problema il risultato di questo schema testè prodotto dal Brunetto vostro sarà più realistico.

Nell’area circostante il Punto P posizionate un numero di punti equivalente al numero delle persone coinvolte, per scelta o vostro malgrado, insieme a voi nel problema di cui al Punto P.

Contrassegnate ogni Punto con una lettera a vostra scelta.
Da questo momento in poi, i suddetti Punti verranno denominati Punto Lettera.

La distanza di ogni Punto Lettera dal Punto P potrà essere casuale, poiché la reale distanza di ognuno di essi dal Punto P è calcolato in base a variabili non definibili in maniera stabile.
Oggi piove, domani vi amate, dopodomani c'è sciopero dei bus, vai a sapere.

Intorno a ogni Punto Lettera disegnate una circonferenza il cui raggio dovrà essere proporzionale alle cose che con ogni Punto Lettera avete in comune, utilizzando come unità di misura un quadretto per ogni cosa in comune.

Laddove le circonferenze si andranno a intersecare, riempite l’area in comune con un tratteggio conposto da segmenti paralleli inclinati di 45° che differenzi visivamente gli spazi da tali intersezioni creati, dal resto delle aree delle circonferenze disegnate intorno ai restanti Punto Lettera nonché da quelle appartenenti ai Punto Lettera che tra loro si intersecano ma che occupano spazi indipendenti.

A questo punto prendete in esame ogni circonferenza creata intorno ai Punto Lettera, colorando di inchiostro pieno un quadretto all’interno di ciascuna di esse, per ogni sospeso non risolto che avete con la persona rappresentata dal Punto Lettera in esame e che avete avuto modo di ascoltare nei confronti avvenuti con tale persona in un arco di tempo che non dovrà superare i sei mesi a ritroso, di più non serve.

Non è richiesta attenzione all’occupazione di aree precedentemente tratteggiate, laddove servono quadretti da riempire, vengano riempiti anche coprendo precedenti tratteggi.

Si passi ora alla Fase Due, la conta dei quadretti:

Su un altro foglio a quadretti tracciate una linea verticale che crei due colonne, la prima delle quali verrà intitolata “i quadretti tratteggiati”, la seconda delle quali “i quadretti di inchiostro pieno”.

Ora individuate il primo quadretto tratteggiato creatosi nello schema di cui alla fase Uno e tratteggiatene uno conseguente nella colonna denominata “I quadretti tratteggiati”, poi individuate il successivo e sotto il primo inserito nella colonna di cui sopra tratteggiatene un altro.

Procedete in questa maniera creando sotto il titolo “I quadretti tratteggiati” una colonna di quadretti tratteggiati composta da un numero di quadretti equivalente a quelli tratteggiati nel disegno di cui alla Fase Uno, sommando naturalmente quelli di tutte le circonferenze.

Con la stessa modalità, affrontate ora i quadretti pieni, creando una relativa colonna sotto il titolo “i quadretti di inchiostro pieno” composta da un numero di quadretti equivalente al numero di quadretti pieni che avrete creato nel disegno di cui alla Fase Uno.

A questo punto avrete creato due colonne parallele con direzione discendente, il cui ultimo quadretto di ciascuna di esse verrà a trovarsi ad un’altezza equivalente, superiore o inferiore all’ultimo quadretto della colonna accanto.
Calcolate ora la differenza, in quadretti, data dal totale dei quadretti della colonna più lunga meno il totale di quelli della colonna più corta.
Avrete così ottenuto un numero di quadretti che denominerete Fattore F.

Ora riprendete in mano il disegno di cui alla Fase Uno e disegnate intorno al Punto P dal quale avete originato lo schema una circonferenza il cui raggio, in quadretti, dovrà equivalere al Fattore F.

Contate ora, facendone la percentuale, quante circonferenze, tra quelle disegnate intorno ai Punto Lettera e precedentemente posizionate a distanze casuali dal Punto P, si intersecano con quest’ultima circonferenza avente come raggio il Fattore F e centro il Punto P.

Andiamo ora a esporre i risultati:

Dal 100 al 81%: Avete disegnato una famiglia
Dal 80 al 66%: Avete disegnato una compagnia di amici.
Dal 65 al 31%: Avete disegnato un gruppo di auto-aiuto
Dal 30 allo 0%: Avete disegnato un patto di non belligeranza.

Cristo.

e tanti auguri al Punto P.

1 ottobre 2006

A Parigi

La polizia gira sui roller
Le donne hanno tutte un dettaglio personale che le rende belle ma davvero belle.
Non ci sono cestini ma nemmeno rifiuti per terra, boh.
Puoi sdraiarti sulle aiuole che sono lo stesso perfette quanto un campo da golf al contrario delle nostre sulle quali non puoi sdraiarti e nonostante questo fanno schifo, boh.
L’acqua naturale costa più delle ostriche.
Gli uomini hanno tutti la faccia da ricco imbecille e, se giovani, da figlio imbecille di ricco e per questo ho un paio di amiche alle quali suggerire un viaggio da quelle parti che l’uomo che rispecchia i loro canoni lo trovano di sicuro (si, dico a te, “un paio” l’ho scritto solo per non far capire che parlavo solo di una che non mi sembrava carino però ogni volta che ne vedevo uno pensavo che tu lì ti ci troveresti proprio bene che c’hanno tutti la faccia da ricco imbecille che hanno tutti i tuoi fidanzati, il particolare al quale dovresti prestare attenzione è che ti ho pensata).
Data l’alta concentrazione di ricchi imbecilli, in metrò i cellulari prendono.
La carne al fast food libanese è davvero buona e i muffin che trovi ovunque sono giganti.
I palazzi sono bellissimi anche fuori dal centro.
Se non parli il francese ti puoi attaccare al cazzo perché appena capiscono che sei italiano non fanno un passo per darti una mano e anche quelli che parlano inglese ti si rivolgono comunque in francese, parlato veloce e con fare da stronzo, lo sport nazionale è mettere in difficoltà gli italiani.
Le donne vestono ancora quei meravigliosi vestiti con la gonna larga sotto il ginocchio e il nastro in vita e si pettinano ancora i capelli in modo che prima di cadere sulle spalle facciano un giro all’insù e quando le vedi passare per strada vedi la stessa eleganza di Haudrey Hepbourn.
Nei giardini vedi bambini di almeno trenta paesi diversi e i tavoli da ping pong fissi senza nemmeno un graffio sopra.
Ho visto una delle più belle magliette che mi sia mai capitato di vedere, nera con su la semplice ma splendida scritta molto meno banale di quanto appaia "Wish you were Beer".
Ho lavorato, tra gli altri posti, nei sotterranei del Louvre ma solo di giorno quindi niente fantasma, però un fascino particolare ritrovabile in davvero pochi altri posti nel mondo.
Ci sono più passeggini doppi che singoli.
Ci sono circa due brasserie per ogni turista.
Ci sono stato un sacco di volte ma ogni volta, nonostante i francesi, è una sorpresa tanto è bella.
Ci sei stata anche tu.
Non eri a plas de la concòrd, non eri sotto la tùr eifèl, non eri lungo gli scians elisè, eri qui dove sto indicando adesso cioè non adesso che non posso perché sto scrivendo aspetta che mi fermo ecco fatto indicato visto?
Esatto.
Eh lo so.
Non è colpa mia se esattamente alla stessa distanza da cuore e pisello c’è lo stomaco.
Io ti sposterei anche più verso uno dei due, ma purtroppissimo la cosa mi è resa impossibile dal fatto che contemporaneamente ti vedrei allontanarti dall’altro e sarebbe un vero peccato in entrambi i casi quindi non rompere i coglioni beccati lo stomaco siediti dentro e fatti portare ovunque vada nel mondo.