17 febbraio 2005

Parì

L’altro giorno alla consierge mi hanno chiesto di te.
“’till Friday, Sir?”

Stamattina a colazione mi hanno chiesto di te.
“Juice, messiè?”

Stasera un cameriere mi ha chiesto di te.
“Espresso?”

Tutta Parigi mi chiede di te.

11 febbraio 2005

Bambini

Tra le tante conseguenze oltre le (mie) aspettative, del post di ieri, tra le quali non manco di ricordare l’aver colorato le pareti di una casa che prima o poi mi auguro di visitare (avrei potuto scrivere “della casa di una persona che prima o poi mi auguro di visitare” ma sono certo che avrei generato uno scomodo malinteso lessicale), c’è che la storia della lavatrice, grazie alla maestra C. si è trasformata in una domanda fatta ai bimbi di una seconda elementare.

Data l’importanza dell’evento mi permetto di sottolineare per un attimo solo, la cosa.
Lo sapevate che la storia della lavatrice si è trasformata in una domanda fatta ai bimbi di una seconda elementare?

La maestra C.:
“TU che tipo di bambino sei?”

I risultati:
“Le femmine sono bambine radio, lavagna, finestra, spugna, comodino.
I maschi sono bambini robot, missile, macchina da corsa, vasca da bagno, telefonino.
La vasca da bagno è il bambino più attualmente amato nel senso di ricercato dalle femmine.
Mi chiedevo da tempo che cosa avesse che le attirasse tanto...
Gli altri confermano velocità, trasformazione, energia ,appendici allungabili che arrivano fin sulla Luna quali attinenze maschili.
Le femmine appaiono contenitori, assorbenti, tabule rase, chiusure apribili...”

Come ho risposto a lei, vasca da bagno ha del genio in sé.
Secondo me ha anche ammiccato mentre rispondeva.

Proviamo a fare un atro gioco.
Radio è seduta in terza fila.
Lavagna ha i capelli lisci legati.
Spugna dimostra meno dell’età che ha.
Comodino non parla volentieri.
Robot ascolta sempre la lezione.
>Missile scrive bene i temi.
>Macchina da corsa ha gli occhiali.
Vasca da bagno, sul mito non si aggiunge nulla.
Telefonino ricorda bene solo due cose su dieci spiegate.
Come sono andato?

Ma la maestra C. è andata avanti nel gioco.
“Non so se ti serva, ma la "seconda" è giunta a queste conclusioni. Dopo aver letto metà racconto ho posto questa domanda:
COME MAI "LAVATRICE" NONOSTANTE L'IMPEGNO NON RIUSCIVA A LAVARE BENE?
COSA AVREBBE POTUTO FARE?

Queste le risposte.
1- Doveva impegnarsi ancora di più.
2- Doveva riposarsi un po' di più.
3- Aveva troppa fretta.
4- Si doveva far vedere da un dottore.
5- Aveva troppa paura che i panni non gli venissero puliti.
6- Non sapeva regolare la velocità.
7- Aveva paura di rovinare la sua lavatrice.
8- Sbagliava a mischiare le cose da lavare.
9- Era una macchina rotta, mal funzionante e l'impegno non bastava.”


Certo che mi serve.
Come si dice… La voce dell’innocenza.

9 febbraio 2005

La lavatrice

Mario era un bambino fatto a forma di lavatrice.
Quadrato, con un vuoto in mezzo, una finestra di vetro che mostrava i panni sporchi, i tasti per accenderlo e spegnerlo, il pomello per scegliere il programma preferito, il filtro per le impurità.
Tutti gli altri bambini erano fatti a forma di aquilone, a forma di palla, a forma di caramella, a forma di triciclo, a forma di automobile, a forma di orsacchiotto, a forma di videogioco.
Lui era fatto a forma di lavatrice e non sapeva funzionare bene.
E ogni volta che provava non ci riusciva e allora lasciava sempre le cose da lavare nel cestino delle cose da lavare perché diceva che prima o poi sarebbe diventato una bravissima lavatrice e avrebbe lavato tutto più bianco che bianco non si può anche lo sporco impossibile.
E intanto le cose da lavare crescevano e si accumulavano e lui intanto sbagliava i tasti e tutti ridevano perché vedevano attraverso la sua finestra che le cose bianche diventavano colorate e lui diceva “Ma non è uno sbaglio!” e tutti ci credevano ma lui no perché lo sapeva che non erano colorate quando entravano e allora non era contento perché lui voleva che le cose che entravano uscivano più pulite ma uguali.
Le cose colorate le voleva più pulite ma voleva che rimanessero colorate, le cose bianche le voleva più pulite ma voleva che rimanessero bianche, le cose nere le voleva più pulite ma voleva che rimanessero nere, le cose morbide le voleva più pulite ma voleva che rimanessero morbide.
Ma non era ancora tanto bravo e anche se si impegnava certe volte le cose morbide uscivano tutte infeltrite e quelle bianche uscivano tutte colorate e quelle nere uscivano bianche e lui non lo sapeva perché.
E tutti quelli fuori gli dicevano che lui faceva giusto perché guardavano solo la finestra di vetro e dentro si vedevano i panni sporchi che giravano e giravano sempre velocissimi e poi si fermavano e aspettavano il sapone e poi ricominciavano a girare e poi si fermavano ad asciugarsi e tutti dicevano che era così che doveva funzionare e lui allora continuava ma non sapeva perché allora quella maglietta lì non usciva mai bella come quando era entrata e quando gli altri vedevano uscire i panni dalla finestra di vetro ridevano perché lui non era capace.
E intanto gli altri bambini erano tutti diventati grandi e il triciclo era diventato una moto grandissima e l’aquilone era diventato un aereo che volava alto alto, e la caramella era diventata una pasticceria che faceva i dolci buonissimi, e la palla era diventato un pianeta lontanissimo dove andavano le astronavi.
E lui intanto continuava a lavare i suoi panni che continuavano ad essere sempre lì perché ancora non era diventato bravo e lui faceva rumore quando girava e girava e dalla sua finestra certe volte usciva anche l’acqua perché non la aveva chiusa bene come si deve fare quando non si vuole fare uscire niente e l’acqua allagava tutta la casa e tutti ridevano perché dicevano che lui non era tanto bravo come lavatrice ma lui lo sapeva che un giorno sarebbe diventato la lavatrice più brava del mondo.

Passarono gli anni e mentre gli altri volavano alto alto e correvano forte forte e esploravano lo spazio intergalattico lui a furia di provare non era diventato la lavatrice più brava del mondo però provando e provando aveva finito di lavare tutti i panni sporchi che aveva lasciato nel cestino.
E quando ebbe finito tutti tornarono nella loro casa e il pilota scese dall’aereo e tornò nella sua casa di pilota e il motociclista scese dalla moto e tornò nella sua casa di motociclista e l’astronauta scese dall’astronave e tornò alla base spaziale e tutti si tolsero la tuta che avevano addosso e si accorsero che era tutta sporca perché loro avevano fatto tante cose ma non avevano mai imparato a lavarla e allora la pubblicità disse loro “Ehi! Compra la lavatrice più brava del mondo! Costa poco!” ma non avevano i soldi perché la benzina dell’aereo costava tantissimo e la benzina della moto costava tantissimo e la benzina dell’astronave costava tantissimo e allora tutti andarono da lui e gli chiesero se poteva lavare la loro tuta perché lui era diventato capace e loro no e che non avevano i soldi perché li avevano spesi tutti per la benzina e allora lui disse loro si perché tanto non aveva più panni sporchi suoi da lavare perché era diventato capace e allora gli lavò le tute e loro per ringraziarlo lo portarono un giorno a fare una corsa in moto un giorno a volare in alto e un altro giorno nello spazio intergalattico.

E così lui quando diventò grande disse a suo figlio di non vergognarsi se tutti guardavano le cose che non riusciva a lavare dalla finestra di vetro che aveva addosso, e che doveva continuare a provare lo stesso a imparare a lavarle perché quelli che fuori lo guardavano e ridevano un giorno sarebbero tornati da lui e in cambio di quello che aveva imparato lo avrebbero fatto volare, lo avrebbero fatto correre in moto e gli avrebbero fatto vedere lo spazio intergalattico.
Che era per quello che non servivano i soldi per volare sull’astronave intergalattica.
Che bastava trovare un amico astronauta.



A Mario Bros.
A quando si è convinto che per avere i vestiti bianchi bisogna comprarli.
A quando si è dimenticato che anche senza soldi noi avevamo i vestiti sempre bianchi.
A quando bastava lavarli per vestirci in due con una tutina sola.

Agli amici sbagliati.
Quelli che non sanno lavare.
Quelli che non sanno volare se non hanno la tuta nuova addosso.
Quelli che l’astronave glie l’ha comprata papà.