30 dicembre 2009

Camera cafè

Questo post è scritto in una pausa di un minuto rubata alla produzione contemporanea di:

Un video "emozionale"
Una sigla in 3D
Un evento per il 13 Gennaio
Una convention per il 15 Gennaio
Una convention per il 20 Gennaio
Progetto grafico e impaginazione di una nuova rivista in imminente uscita.

Riflessione numero 1 della pausa:
Mai imparato a usare agende.
Ho un sistema operativo interno che più multitasking di così non si può, vivo quotidianamente con venticinque finestre mentali aperte una sull'altra e nessuna si sovrappone all'altra.

Riflessione numero 2 della pausa:
In questo momento lavorano per me 3 donne, delle quali 2 neomamme in telelavoro, una da Bergamo l'altra da Roma.
Mentre io tengo aperte venticinque finestre, devo memorizzare anche gli orari delle pappe perché una sta cominciando a "inserire i cibi solidi", l'altra allatta e c'ha pure il cane da portare giù.
Scalettare i lavori in base alle esigenze di figli di cani e di gatti è sempre stato il mio sogno.
Intendevo i miei, però.
Invece mi ritrovo a non avere io il tempo di farli perché devo fare io quello per cui comunque sto pagando loro.

Riflessione numero 3 della pausa:
Se fossi bravo a gestirmi le donne nella vita privata tanto quanto lo sono in quella professionale, la mia fidanzata sarebbe la donna più felice del mondo.

La mia fidanzata è quella che ogni tanto incrocio in casa e che a breve mi chiederà di lavorare anche lei per me per poterci vedere e parlare ogni tanto.
Io sono quello che mi riconosce perché sono l'altro che gira per casa.

Ma è tutto un grande disegno in corso da anni, eh.
Se non muoio prima per cedimento strutturale, un giorno i fatti mi coseranno.

23 dicembre 2009

Brevi dall'interno

Per il post natalizio strappacuore quest'anno non c'è tempo.
Ma anche ci fosse, lo stesso non lo condividerei con chi non potrebbe capirlo nel profondo.
Idem per i posti a tavola.

Vi auguro la stessa cosa.
Se non per questo, per il prossimo.
Davvero.

21 dicembre 2009

Avanguardia antropologica



Nel percorso ormai inarrestabile avviato per ridurre la politica a un linguaggio strutturato sulle regole del più elementare marketing, l'ultima improvvisa accelerata messa in atto attraverso l'ennesimo salto verso il basso rappresentato dal brusco e esondante concetto di "amore" è uno dei colpi più duri assestati a quel che resta(va) della speranza che prima o poi si sarebbe tornati ad essere un paese normale.

Dallo spostamento del pensiero politico dalla testa alla pancia concretizzato quando al ragionamento si è progressivamente sostituito nella percezione della gente il concetto di pulsione emotiva, oggi si è compiuto il passo coerente successivo e quindi il passaggio dalla pancia al cuore, portando la pulsione al suo livello massimo, l'amore.

Un tempo quando qualcuno incrociava i due mondi così distanti e diversi, c'era chi ironizzava e sminuiva, quasi fosse condiviso che solo chi non era consapevole e padrone del mezzo che stava maneggiando, avrebbe potuto azzardare un parallelo come politica e viscere.
Si pensava che politica fosse altro, fosse questione complessa, di elaborazione di percorso personale e collettivo, che elementarizzarla significava distruggerne il valore, prima che le possibilità di sviluppo.

Poi è arrivato il venditore di compiti in classe, l'uomo della provvidenza, il presidente della squadra vincente, le candidature gestite con le regole del calcio mercato, la Libertà come identità, come fosse un canale televisivo di proprietà e non un valore condiviso, il tifo calcistico nel nome del partito in concomitanza con i successivi mondiali per garantirsi i primi autoestorti momenti di acclamazione indiretta, Forza Italia! gridavano tutti quell'estate, anche quelli del Livorno e non ci si poteva sottrarre al primo embrione di furto di valore condiviso, la pancia si faceva avanti, poi il Popolo, il popolo è con noi, popolo come identità, come fosse un canale televisivo di proprietà e non un termine per rappresentare l'intera nazione, dicevi Popolo ed era il suo, gli altri erano popolo ma non lo potevano più dire senza regalargli una quota di share, i seni coperti sui dipinti storici perché il pudore non subisse scossoni, l'appropriazione dell'arte, della storia, la trasformazione di un quadro in fondale scenografico d trasmissione tv pensato intorno agli interessi del nuovo papa re, oggi il salto, l'ennesimo, il furto, l'ennesimo, oggi è l'amore, l'amore contro l'odio, ieri era libertà contro miseria terrore e morte, oggi è di più, oggi è il salto di qualità, oggi è l'ultima riduzione possibile del confronto, oggi è il picco, è direttamente l'amore, oggi lui è l'amore, non quello d'appartenenza ma quello assoluto, quello che non è nemmeno più cuore personale ma la sua essenza, quello all'opposto dell'odio, rubato anche quello, se oggi sei amore sei lui, se non sei lui sei odio, tutto è assoluto, tutto è privatizzato, persino la parola amore s'è fottuto e vai a dirla adesso, vai a dire che tu sei per l'amore e non per l'odio, vallo a dire oggi che è natale e l'amore è termine in bocca a due persone, il papa e il re, l'uno spinto verso il vertice dell'altro così tanto da aver definitivamente incrociato i dizionari, il papa non si nasconde più e fa politica, il re non si nasconde più e si fa capopolo per veicolare l'amore attraverso il suo stesso corpo, mentre il figlio, il degno figlio, in tv fa sapere che l'azienda di famiglia ha una storia che tutti dovrebbero sentire come propria, tutti gli italiani, anche io, "per orgoglio nazionale" dice, e così anche quello è loro, se non sei felice del successo della loro azienda non hai l'orgoglio nazionale perché nazione oggi è lui, è il papà re, è il papa re, il popolo è il loro popolo, l'amore è il loro amore, l'italia è la loro azienda, tutto, set, gioco, partita, bulimia, amore, regalate tessere per natale, non conta più il percorso personale per dirsi appartenenti a un partito, la tessera è un buono per l'amore, l'amore natalizio, può essere regalata come si regala il buono per il week end di benessere ma con durata vitalizia, un partito composto da numeri che il partito l'hanno ricevuto a natale incartato nell'amore pure se non richiesto né il suo partito né il suo amore, pure se del Livorno, pure tu, domani, se hai una zia un po' stronza con deriva amorevole e intelligenza di un pomodoro di mare, se hai dentro di te l'amore, puoi ritrovarti tesserato PdL, perché questo, lui dice, è oggi la politica, robe per persone che si vantano di essere intelligenti, amorevoli, contro miseria terrore e morte.

Regala anche tu la tessera del PdL, il partito dell'amore dell'uomo il cui dolore può servire a salvare tutti, non è nemmeno da ricaricare e non può essere clonata con la chiavetta di Scai.

E' natale, segui la stella e aiutalo a completare il lavoro.
Se proprio non te la senti, puoi sempre optare per quella di Mediaset Premium.
Ti amerà ugualmente e salverà, con il suo dolore e il suo amore, lo stesso anche te.

17 dicembre 2009

Amore batte odio con cappotto

Ho una nota antipatia mista a pregiudizio nei confronti dei vaticani, che mi porta a vederli, a prescindere, sempre un gradino sotto (o un anello prima) qualsiasi altro essere nella scala della qualità umana.

Ma dopo quattro giorni di "Cronache di un naso rotto" offerte H24 e a reti unificate da un Bonaiuti, nella scala della dignità e dell'umiltà Navarro Valls m'è apparso improvvisamente un gigante di inarrivabile valore.

15 dicembre 2009

Vespa si chiede perché, Berlusconi si chiede perché, tutti si chiedono perché. Perché?

Io la vedo a un’altra prospettiva.

In qualsiasi paese, di qualsiasi epoca, è cosa nota che dove ci sia un potente c’è, statisticamente, qualcuno che ne detesta il potere.
Senza arrivare a scomodare la lotta di classe delle fabbriche operai-padroni, né la radice stessa della democrazia, è questione molto più spicciola di qualità, in termini di società possibile, umana.

Questo non è quel “son cose che possono capitare” che tutto liquida, ma è semplicemente una presa d’atto di una condizione con la quale si convive da quando si hanno sei anni a scuola fino a quando si muore, al bar come al lavoro come nella relazione tra governanti e governati, è questione di banale regola di convivenza inevitabile tanto quanto il lato buono della medaglia.

Il fatto è che un uomo molto potente per la prima volta in vent’anni di potere senza freni ha preso una legnata sulla faccia che gli ha rotto due denti e il naso.
Al netto di qualsiasi posizione personale sull’uomo e sul gesto, questo è il fatto ed è un fatto che se paragonato a gente gambizzata per un parcheggio farebbe ridere, se non fosse tragico il fatto che il termine di paragone di gente gambizzata per un parcheggio è più quotidiano del souvenir sulla faccia di un potente e non il contrario, come dovrebbe essere nel mondo normale delle persone normali.

Se si guardasse il fatto al netto di tutto il contorno reso possibile, questo sì, dallo sfascio sociale oggetto del post (che spiega il dopo, non il gesto), staremmo parlando di una cosa che Sofri, quello giovane, scriverebbe nella sua rubrica delle non notizie.

Ma questo è il paese nel quale un boss che non conferma le dichiarazioni di un pentito è notizia dell’anno sparata a tutta pagina con la caricatura del potente che fa il gesto dell’ombrello e in un paese così, quando il potente l’ombrello lo prende sulla faccia, la stessa pagina non può che strillare allo stesso modo che è in pericolo la democrazia.

Allora qual’è l’altra prospettiva?
Quella dalla quale si vede un paese il cui problema non è tanto il non essere capace di contare gli anni di potere di quell’uomo e le volte che s’è preso una legnata sulla faccia, estraendone il risultato di un uomo che evidentemente amato lo è davvero, se in vent’anni e con tutto quello che ha combinato ha preso solo un pugno da un matto, quanto l’essere un paese che ormai ha scollinato ed è riuscito ad elevare così tanto il concetto di personalizzazione della politica da aver fatto il giro ed essere passato alla sua versione più ridotta e cioè la totale spersonalizzazione del potere più personalizzato della storia italiana.

Quando un uomo subisce una cosa da uomini ma quell’uomo è visto così tanto più uomo degli altri da averne perso definitivamente i contorni per assumere quelli di una versione superiore di uomo e cioè quelli di un uomo che è riuscito a far percepire i suoi lati peggiori come fossero i suoi migliori, niente di più alto nella scala dell’evoluzione, la vera essenza dell’impunità e dell’onnipotenza, la cosa più normale del pianeta, regolata dai parametri di convivenza più normali del pianeta, un pugno, non è accettabile, non è spiegabile, non è comprensibile.
Va cercata la ragione profonda, va indagato il termine “odio”, va santificato il livido con la stessa enfasi con la quale tre giorni prima si santificava “il reale augello”, perché tutto quanto avvenuto, quando capitato a chi è seduto su un piano superiore, non è spiegabile con i parametri normali del mondo delle non notizie ma solo con quelli della follia, del delirio, dell’odio accecante.
Per spiegare il livido dell’uomo più uomo, meno di un’iperbole lascerebbe l’amaro in bocca, costringerebbe a ridimensionare il ruolo e di conseguenza l’uomo, costringerebbe il “suo popolo” a ripersonalizzarlo.

Se quell’uomo fosse circondato da odio accecante, dopo vent’anni così sarebbe già morto, vista la percentuale di disturbati mentali più o meno latenti che compongono la società di questo paese e vista la qualità del servizio di sicurezza, unica e vera notizia dell’anno vista l’aura di leggenda che si portavano in giro evidentemente solo grazie al fatto che nessuno era mai stato così pazzo da provare a tirargli uno schiaffo e a dimostrare che era la cosa più semplice del mondo.

Questo non è più capace di fare, questo paese.
A ripersonalizzarlo e riportarlo sullo stesso piano di tutto il resto del mondo, quel mondo nel quale se sei stronzo e lo sei per vent’anni, qualcuno più stronzo di te prima o poi lo trovi e quando lo trovi e ti tira uno schiaffo, tu stai vivendo in una democrazia e sarebbe carino che tale restasse.
Perché se qualcuno è davvero sconvolto dalla scoperta che c’è chi odia il potente di turno, chiunque sia, e non è capace di liquidare la notizia con i due secondi che servono per liquidarla alla voce “Solo una volta? Cazzo allora ha davvero con se la maggioranza del paese” allora la questione della minore capacità mentale dei suoi sostenitori assume i contorni finalmente nuovi di qualcosa di più di una presunzione dei suoi oppositori.

Questa è l’unica notizia che dovrebbe essere oggetto di dibattiti televisivi.
La scoperta che il suo essere considerato, dai suoi sostenitori, realmente e concretamente al di sopra degli uomini e delle regole che la loro vita guida dai sei anni in poi, non era solo una barzelletta per vecchi comunisti.
Questi davvero credevano che non sarebbe mai potuto accadere.
Ma qualcuno, a questi, in questi due giorni, gli ha chiesto banalmente “Perché?”

Eppure quando si tratta di spiegare la morte di un “tossico”, sono capacissimi di rispolverare tutto quanto vissuto e scelto consapevolmente dal tossico fino al giorno prima come unico motivo per il quale non poteva che morire.
Cioè il meccanismo gli è talmente noto che lo usano a cadenza quasi quotidiana.
Quindi la falla dov’è?
Dov’è che un naso rotto all’uomo più contestato d’italia, diventa una cosa sulla quale interrogarsi per giorni?

Non so, ero piccolo e non lo ricordo, qualcuno mi aiuti.
Quando spararono a Reagan, anche laggiù per giorni le tv spaccarono la minchia non già su come stesse, cosa normalissima, ma con dibattiti per cercare di trovare un “perché” che rendesse l’episodio comprensibile al pubblico di porta a porta?

Triplo carpiato

Stamattina abbiamo lanciato un'iniziativa di fund raising unica in Italia, destinata alle Onlus che si occupano di iniziative destinate ai bambini.
Dalle 12 alle 14 ho sentito responsabili di queste onlus raccontare episodi di vittorie e di sconfitte, entrambe con le lacrime agli occhi e la voce rotta dalla commozione, bambini salvati e bambini accompagnati alla fine col sorriso e in ogni parola gli si leggeva in faccia il nome di ciascuno di quei bambini.
Un'iniziativa dietro la quale c'è il disinteresse per queste persone costrette a unirsi per cercare di raccogliere quel di più che poi dovranno dividersi per salvarne un altro, anche uno solo in più.
Due ore di nodo in gola e lacrime nascoste al resto della regia, come non capitava da tempo.

Finito il lavoro sono tornato a casa e mi sono messo a preparare tutto il lavoro che porterò domani quando passerò la giornata con il presidente di una delle più grandi banche europee, io e lui nella stanzetta, a scartabellare i dati, finalmente definitivi al 15, sulla raccolta derivata dallo scudo, una cifra che a settembre quand'era solo sulla carta generò l'applauso della sala di un'altra banca tutta eccitata per il fiume di soldi in arrivo e che domani ci dirà se sarà solo champagne o anche porche per tutti.

Oggi pensavo che tutto questo nel giro di un giorno senza scossone alcuno.
Pensavo che forse quella che io considero la mia morale, in realtà è solo una girella molto grossa che un giorno fagociterà lei me.

14 dicembre 2009

Cinque contro uno

Di quando andavo alle medie, ricordo un gioco di quelli verbali che ci si inventa quando si scopre una cosa che, a quell'età, appare divertentissima.
Non ricordo se l'avessi inventato io o l'avessi solo riportato, ma insomma poco importa, era così:

Andavo da un compagno e gli dicevo:
"Mi sono fatto una ferita lacero-contusa"
Poi attendevo che lui mi chiedesse
"E che cavolo è?"
e gli rispondevo:
"Mi sono sbucciato un ginocchio!"

Avevo 11 anni e già facevo discorsi politici.

Poi.
Pare che la bomboletta di spray al peperoncino sia la prova della premeditazione dell'atto di aggressione.
Se qualcuno trova su qualche giornale lo stralcio della legge Maroni che rende libera la vendita di quegli spray per autodifesa, faccia un fischio che lo eleggiamo giornale del secolo.

Update:
Dalla regia, mi si fornisce un link utile.
Non quello di ieri che chiedevo, ma comunque utile.


Poi.
Mentre l'uomodimmerda dal palco urlava
“Ecco, vedete? Qua ci sono dei ragazzi che ci contestano. Allora, vedete perché siamo qui e siamo in campo? Perché noi queste cose non le faremmo mai con voi. Perché noi siamo gente libera, abbiamo uno spirito liberale. Noi vi lasceremmo esprimere le vostre cose, in un pacato dialogo tra noi"
i suoi guappi della italica razza randellavano quelli in piedi sulla stellina che l'uomodimmerda indicava mentre diceva "qua" e che si erano permessi di dargli del buffone.

Poi.
Una cosa è dimostrata:
Se complotto c'è, è organizzato dal servizio di sicurezza che ha intorno.
Oppure qualcuno racconti dei milioni spesi ad addestrarli per anni nei migliori campi, per vederli promossi meno capaci di un matto qualsiasi.

11 dicembre 2009

meraviglioso

Se vi chiedono che paese è l'Italia, voi rispondete che è quel paese nel quale un boss che non conferma le dichiarazioni di un pentito è una notizia.

Se poi vi chiedono chi è un boss, voi rispondete che è quel tizio al quale Dell'Utri ha dedicato queste parole:

"Sono meravigliato della dignità e della compostezza di questo signore. Ha detto cose che mi meravigliano. Nel guardarlo ho avuto l'impressione di dignità da parte di uno che si trova in carcere e ha delle sofferenze. A differenza dell'impressione che mi ha fatto Spatuzza, mi è parso di vedere dalle parole di Filippo Graviano il segno di un percorso di ravvedimento"

Se poi vi chiedono chi è Dell'Utri, voi rispondete che è quello che le stesse parole, la volta prima che si ritrovò a dover descrivere un mafioso, le riassunse con "eroe".

Contrordine, battaglione!
I mafiosi sono di nuovo persone con dignità.
Quanti siano i cadaveri sulle spalle di quelli di oggi non è dato saperlo, i giornali non riportano il conto.

Un pentito sui giornali è un assassino.
Un boss è "uno che si trova in carcere e ha delle sofferenze".

Ma non sono mafiosi, no.
No no.
Manco un'unghia.

1 dicembre 2009

Strategia

Alla fine lo schema s'è capito.

Praticamente fa così:
Prende il mappamondo, lo fa girare, punta il dito su qualche paesello dove il potere politico è incrociato con quello militare, si fa dire dal suo segretario chi è che comanda laggiù, gli manda una bottiglia di vino, si fa invitare a cena, va lì e gli chiede se gli va di fare affari insieme.
Poi torna in patria, compra una bottiglia di vino, la manda ai direttori dei tg, e gli dice di far vedere le immagini di quanto è amato all'estero e dalle aziende italiane precisando che in nessun caso dovranno dedicare due parole a chi è il tale che di volta in volta gli stringe la mano grato per il sostegno.

Se poi qualcuno gli da del mafioso, compra una bottiglia di vino, la manda al suo compagno di processi, gli dice di proporre una legge che imponga ai pentiti non meno di un quarto di pena scontata in carcere, che significa che se vogliono possono parlare, certo, ma sapendo che per non meno di 10 anni dovranno dividere le docce con quelli che hanno denunciato e che se ne escono vivi comunque prenderanno meno di uno stagista di call center, chiedendogli di dire agli stessi direttori di tg e/o Vespa di non specificare che questa è intimidazione di quel tipo che già le famiglie mettono in atto per dissuadere i pentiti dal parlare anche in assenza di legge che dica la stessa cosa e che alla proposta del suo compagno di processi per essere proprio uguale uguale alle intimidazioni mafiose manca giusto un emendamento che ci aggiunga pure che possono parlare, certo, ma a patto di accettare che gli si ammazzi la madre o il fratello.

Per il resto tutto ok, la mafia non esiste e se esite non lo riguarda no no no no nemmeno per sbaglio, perché mafia non è una cultura, no, mafia è legami dimostrati, tanto quanto non ha nulla a che spartire con i peggio tiranni del secolo in corso, perché legami è servizi segreti, mica scambiare libertà con commesse per gasdotti.

30 novembre 2009

De sfogliare

Come il primo embrione di cartone animato che tutti da bambini abbiamo fatto, disegnando l'omino stilizzato negli angoli delle pagine di quaderno per poi sfogliarle veloce e vederlo muoversi.

Se oggi prendi due giornali a caso, qualsiasi, e li sfogli con la stessa tecnica, l'animazione complessiva che ti appare è che in ogni casa e in ogni ufficio pubblico dovrebbe essere appesa una bandiera con su un trans.


29 novembre 2009

Sunday bloody Sunday

In Russia quando vogliono zittire qualcuno mobilitano i servizi segreti e il polonio.

In italia puoi anche assoldare peppino il pizzettaro come killer e dirgli di usare i raudi, ché tanto la vicenda finisce a borsettate tra trans che si mandano affanculo per stabilire di chi sia il cicciobello regalato dalla morta in spazi televisivi gestiti dalla D'Urso tra la ricetta del panettone e il GF, con la gente che accorre in strada dietro l'intervistata e si alza sulle punte per svettare nell'inquadratura aggiustandosi i capelli ridendo cellulare in mano per dire agli amici di sintonizzarsi che "Sono in tv!" e Marrazzo che scrive al papa per chiedergli scusa, stacco pubblicitario, chiappe al vento a ritmo di Toda Gioia Toda Beleza, voltiamo pagina, entra il ministro Brunetta sulle note di Chi non lavora non fa l'amore.

21 novembre 2009

Nome in codice Bozza

Il taxi svolta nella via accanto e mi lascia lì, dice che non lo lascerebbero arrivare fino all’ingresso dell’albergo.
Mi giro, vedo l’ingresso e gli chiedo se pensa che invece io qualche speranza di attraversare quella barriera l’abbia, mi prende le misure e mi risponde Non ne sarei certo.
Mentre attraverso la strada allargo le spalle fino ad almeno venti centimetri (totali), faccio scomparire il capello lungo, il jeans, la maglia di topolino, lo zaino rosso, gli anfibi, Gli Altri dalla tasca, il resto del taxi appallottolato in mano e indosso la faccia di quello col capello brizzolato, il pantalone arancione, la camicia con le iniziali, la borsa di pelle da Sto via due giorni, la scarpa da ginnastica argento, Men’s Health in mano, il resto del taxi no perché lasciato come mancia e con lo sguardo di chi, lui, chiede, a loro, perché gli ostruiscano il tappeto rosso, attraverso gli sguardi dei trenta poliziotti pagati per proteggere il mango fatto arrivare apposta dalla terra dei mango per il principe dei mango venuto lì a parlare della carenza di mango, godendomi gli sguardi immobili di chi quelli come me, in altri momenti e in altre situazioni, li sgombera ridendo ma che, lì e in quel momento, può solo levarsi dai piedi e farmi passare grazie.

Entro rimettendomi i capelli lunghi gli anfibi eccetera e mi avvio alla reception dove Simona L. mi accoglie con il sorriso d’ordinanza e mi chiede un documento, legge Bozza, allarga il sorriso fino ad almeno venti centimetri (supplementari) e mi comunica che L’aspettavamo più tardi.
Vinco il jackpot replicando Se volete aspetto fuori, è così accogliente.
La risata di Monica D., sua superiore, le comunica che può rilassarsi e ridere anche lei, ridiamo tutti e pure in meno di venti mosse, non ho bisogno di Men’s Health, al limite ho bisogno dei lacrimogeni là fuori per tenerle lontane quando faccio lo splendido, sono irresistibile.
Le allungo la carta di credito a garanzia, dandole il codice SPG.
Sta per prenderla mentre Monica D. la blocca dicendole Lui no, non serve, sono mica uno di quelli là fuori, penso, in realtà ero a full credit e l'ho scoperto al check out cazzo.
Per lei camera fumatori, Signor Bozza B, prima che chieda.
Finalmente una carta fedeltà utile anche se non buchi in autostrada o non vuoi un servizio di piatti in latex.

Salutati tutti e avvisata l’agenzia del mio arrivo, salgo in camera dove il plasma mi saluta col mio nome a 42 pollici ed esco per andare a mangiare, in un posto vicino ma che non costi troppo, che in Via Veneto è come trovare un ago in un pagliaio o un mango della terra dei manghi in ogni altro periodo, giro un po’ di menù appesi sui muri e scelgo il posto che fa per me, insalata di polipo e bistecca di tonno sia.
Entro e il cameriere quadrilingue mi guarda vestito così, con quei capelli lì, con quella maglia lì, indeciso se fare un fischio e chiamare quelli davanti all’albergo per sgomberarmi o se provare l'azzardo del pensare che se sono entrato anche se vestito da quella figura lì, forse sono un cantante di fama internazionale che gli mollerà duecento euro di mancia, in quei giorni in Via Veneto non conviene fare troppo gli snob, ché nemmeno te ne accorgi e butti fuori il principe di Pippelandia venuto a Roma a parlare di carenza di Mango ma anche a vestirsi da Er Piotta ché a casa sua mica può, sdoganato dal boss mi siedo e immediatamente vengo raggiunto dall’addetta all’acqua, l’addetto al pane, l’ha detto il capo, l'amico è ok.

Mangio leggendo il mio libro, un uomo da solo in ristoranti così che legge un libro mentre mangia porterebbe a casa pure Michelle Pfeiffer, io tutte le volte mi accontento di portarmi a casa la sensazione che mi porterei a casa pure Michelle Pfeiffer.
Mangio e leggo leggo e mangio, indeciso se chiudere di corsa e godermi il tonno o tenere duro e rischiare il vomito, mi sento molto sporco a mangiare tonno in via veneto insieme ai principi di Pippelandia leggendo quello che leggo e trattenendo il vomito, l’allegoria in scala uno a un milione delle pagine che sto sfogliando una via l’altra.
Tengo duro, quelle pagine vogliono farmi sentire esattamente così e io esattamente così mi devo sentire per capirle.
Pensavo che l’ultimo libro fosse uno dei migliori mai letti, mentre leggo questo penso la stessa cosa e vengo sfiorato dal dubbio che lo penserò di ogni libro che leggerò, perché avendone letti in vita mia cinque, quando ne leggi sei pensi di avere tra le mani dei veri capolavori e invece hai in mano solo dei capolavori come ce ne sono migliaia in giro e se solo fossi arrivato oltre il cinque lo sapresti e ti daresti una rilassata, invece di fare quella faccia lì di chi l’ha scritto ogni volta che hai in mano un libro.
Quest’accelerata è dovuta al fatto che ho pensato che con quello che mi fumo (e non rompete, su, ché abito dentro un tubo di scappamento, non ho i prati verdi quando apro le finestre ma i cavi del filobus che mi spargono metallo nei piatti ogni quindici minuti o trenta in orario notturno e quindi non rompete, su) unito a quello che dormo potrebbe venirmi un colpo domani e mi dispiacerebbe morire avendo letto solo cinque libri, dodici dei quali di mio padre (piccolo spazio pubblicità), tanto perché ci piace allargare gli orizzonti.

Penso a mio padre, mentre leggo, ogni volta che leggo.
Penso a mio padre mentre faccio qualsiasi cosa, in realtà, ma in particolare mentre leggo e in particolare mentre leggo questo libro che mi parla di guerra e di armi e di diplomatici e di sporcizia umana, in una parola di Balcani.
Io ogni tanto a cadenza trimestrale il nome Srebrenica lo butto lì, quando mi capita, anche si stia parlando di cucina, giusto perché mi chiedo perché cazzo nessuno parli mai dell’inferno che è stato quel buco nero di umanità che è (stata) la guerra dei balcani e così per vedere se la gente coglie oppure l’oblio davvero ha funzionato e mi chiedo come sia possibile che davvero tutto sia stato dimenticato, come sia possibile che tutti urlino l’allarme musulmano usando come esempio il filobus qui a milano e mai parlando di balcani, forse perché l’esempio toccherebbe anche i cristiani, vai a sapere perché nessuno da nessuna delle parti coinvolte o meno tiri mai fuori quell’inferno lì per veicolare qualsiasi idea cretina di appartenenza religiosa, forse che l’esempio dimostrerebbe soltanto che dove c’è religione, qualsiasi religione, c’è sì paradiso, ma anche che dove c’è paradiso, qualsiasi paradiso, generalmente c’è anche inferno, uno solo e sempre lo stesso, ma forse perché la religione lì c’entra quanto il mango (e il principe dei) in questi giorni recapitato a Roma c’entra con la riunione sulla carenza di mango fatta tra una boutique e l’altra.

Ho pensato a mio padre in questi giorni più di altri giorni perché c’era tutto.
C’era l’hotel mille stelle nel quale fare il ricco col culo degli altri, c’erano i tre lavori fatti in contemporanea usati uno, la marchetta, per pagarmi il tempo di fare l’altro, quello dove mi spendo con soddisfazione, c’era il Bozza accolto come fosse a casa da Mirella M., c’erano le aziende che ci fanno sentire sporchi ma poi alla fine ci lavoriamo, c’era tutto ciò che non ho fatto in tempo a imparare da lui ma evidentemente nemmeno a scrollarmi dal dna e c’era anche la musica di sottofondo di quel libro che parla di uomini sporchi che fanno cose sporche per soldi.

Io non lo so se mio padre è davvero morto, non avendo mai aperto la scatola di scarpe recapitataci dal posto dove ci si disse fu trovato morto e nella quale ci si disse esserci quel che ne restava, non lo potrò mai dire con certezza e se non l'abbiamo aperta forse fu proprio per conservare questa idea.
Io credo di no, penso sia da qualche parte a fare cose ancora più sporche di quelle che faceva prima, cose così sporche che non potevano più portare quel nome, me lo vedo così, costretto da sé stesso, una volta superata la linea di non ritorno, a far suo definitivamente il totale di quello che dopo quella linea pochi uomini sono in grado di rendere vita definitiva.
Però l’eventualità che sia morto la contemplo, pur non avendo, né io né nessuno, mai visto il corpo, non sono stupido.
In quel caso me lo vedo ucciso dalle stesse armi che quando l'ho seguito sono stato certo commerciasse, dalle stesse mani che gli ho visto stringere e sicuramente pagare il mio soggiorno.
A casa mia mi dicono che l’ho mitizzato per accettarne la morte.
Casa mia, quella che m’ha cresciuto, è questa.
Una casa nella quale ti dicono che se oggi pensi che tuo padre sia morto ucciso da mafie con le quali commerciava in armi, è perché lo stai idealizzando.
Il processo logico utile a realizzare quale idea di mio padre mi sia stata trasferita negli anni, se secondo loro vederlo morto mercante d’armi significa idealizzarlo mito e ricordarlo quindi migliore, non richiede ulteriori elementi per essere compreso.

Interno giorno, stanzetta produzione, io al portatile a lavorare.
Mi si avvicina il cliente che, notata la connect card di marca non sua, mi fa notare che non è carino.
Gli rispondo che quando lavoro per la PM hanno lo stesso problema, non devono esserci in giro sigarette di altre marche e per risolverlo passa uno di loro con le loro sigarette e sostituisce tutti i pacchetti con le loro, se è vuoto è uguale, in cambio te ne da due, tre, una stecca, basta che cambi e in giro non ci siano pacchetti non loro, funziona così
Problema connect non più sollevato.
So mettere a posto le persone, io.

Arriva la pausa pranzo ed esco a prendere un panino.
Finisco il panino vado a pagare e prendo il caffè.
Mi avvicino al banco controllando lo scontrino.
Manca la birra dico tornando in cassa.
La signora controlla, il cameriere controlla, non manca la birra.
Guardo il totale, le voci in elenco, manca la birra, dico.
No i due panini sono una voce sola.
Ah ok, allora è a posto.
Il cameriere scoppia a ridere Uno che torna indietro perché non ha pagato una cosa, in vent’anni mi sarà capitato due volte, ma lei da che mondo viene?
Da quello giusto dico.
Quello dove principi dei mango si fanno recapitare mango nella città dove parleranno di carenza di mango in alberghi nei quali il sapone sa di mango (quando non è direttamente mango) leggendo libri che parlano di uomini sbagliati che vendono armi a uomini ancora più sbagliati con le quali ammazzeranno per sempre bambini che fattisi uomini ricorderanno di loro quando erano migliori e ne sentiranno una mancanza che non accenna a finire né a ridursi di quel tanto che basta per non essere visti come sciocchi idealisti quando parleranno del proprio padre come un meraviglioso mercante d’armi, secondo me, suo malgrado.
O Belgrado, che dir si voglia.


19 novembre 2009

Ma anche la scopa nel culo

Perché io corro, faccio la trottola, dormo tre ore per notte, piglio aerei appena sceso da treni, va bene, se serve non mangio (ma quando mangio volano pesci conditi con eccheccazzo) ok, faccio anche la faccia simpatica di fronte a teste di minchia di ogni genere e provenienza, d'accordo, faccio anche il triplo di quello per cui vengo pagato e sapendolo anche in anticipo, perché lo so sempre in anticipo, ci sta, rido a battute che manco pierino, fa parte della fattura, confermo l'intelligenza di certe scelte che di intelligente non hanno la forma manco a impegnarsi, perché no, metto a rischio tutto quanto di buono ho a casa nei tre giorni al mese che riesco a passarci, ok, faccio miei problemi che miei non sono per far fare a dei perfetti imbecilli la figura di chi grazie a lui va tutto bene, mi piglio cazzi di uno e dell'altro solo per non dire a uno che i cazzi sono dell'altro che non saprebbe da che parte cominciare a spiegare che lui non sa da che parte cominciare pur essendo lui quello che mi chiama e io quello che gli rispondo che in qualche maniera dovrebbe coincidere con l'essere lui quello che sa e io quello che ringrazia per aver scoperto, prendo lavori anche la notte per clienti che mi immaginano a milano, d'accordo, faccio così e mi consumo, ma produco senza crepare e pure sorridendo ma lasciando agli altri il merito che altrimenti c'è gente che manco l'analista li salverebbe.

Ma è quando alle ventidue la cliente ti saluta lasciandoti lavoro per altre 4 ore perché dopo altre 3 ore hai la sveglia ché ti vogliono bello pronto alle sei pure se hai finito alle 5 e ci mancherebbe vorrai mica non esserci e ti saluta tutta imbellettata perché deve correre, lei, alla cena di gala pre-evento e c'hai mica un accendino solo un attimo te lo riporto al volo e poi non era vero perché con il tuo unico accendino se ne va affanculo alla sua cena di gala mentre tu sei chiuso in una stanza per mille ore con un pacchetto di sigarette ma NON PIU' l'accendino come da famosa barzelletta, che sfioro di pochissimo ma proprio di pochissimo quel limite dal quale da vent'anni sono un maestro nel tenermi lontano quel limite sul quale da anni siede in attesa un vaffanculo che lo sentono pure nella regione affianco per tutta 'sta merda che tiene in piedi l'economia italiana e sposta miliardi ma non conosce quelle due regole fondamentali che ti portano a fare quel piccolo pensiero, minuscolo, senza differenze di casta né di ruoli, fatto a forma di semplice pensiero di rispetto per la gente che lavora e ti da quotidianamente il culo e in cambio chiede solo che gli si LASCI L'ACCENDINO CAZZO.

L'unica donna che va a cena con seicento uomini e ha come paura quella di non trovare da accendere, ce l'ho io come cliente.
E solo chi con 'sta gente ci vive ci mangia e ci dorme può sapere di che iceberg queste piccolezze possono essere punta.
Voi non lo sapete che malati di mente io tenga in piedi, non lo potete nemmeno immaginare.


18 novembre 2009

E invece niente

Ho atteso giorni e invece niente.

Per un po' ho sperato che per mettere i puntini sulle i, Il Giornale cadesse nel tranello e lanciasse il contest fotografico "Siamo tutti crocifissi".

Col fanatismo che s'è risvegliato oggi, anche solo quella piccola percentuale di coglioni che si sarebbero resi conto della cazzata solo a cosa fatta, sarebbe stata comunque un bel momento.

13 novembre 2009

Lineare

Fico questo Brunetta.

In campagna elettorale ti promette che toglierà lo stato dal pubblico impiego per sostituirlo con l'azienda e oggi ti dice che quando il pubblico ti assume devi giurare fedeltà alla costituzione.
Praticamente mentre ti dice che il pericolo sono i comunisti ti infila in culo una roba che manco i Soviet.

Ma che belli che siete.

11 novembre 2009

Porca a Porca

Giovanardi telefona in diretta per replicare alle reazioni alle sue parole su Cucchi

G: "Prima di tutto mi scuso per la voce, non sto molto bene"
V: "Non è eccesso di droghe, immagino"

G: "AHAHAHAHAHAHAHAHAHAAHAHAH"
V: "AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH"


Così.

7 novembre 2009

Affinità

Facciamo così:
Io non dico nulla.
Metto solo uno screenshot.
Poi ognuno ci legga quello che vuole.



(col cazzo che vi metto il link, ché mica stiamo parlando di quelle mammolette del ministero del turismo, oh)

5 novembre 2009

Dio c'era

"Questa notizia ci spinge ancora una volta a riflettere sulle modalità di espressione della libertà, quando come in questo modo, diventano dichiaratamente lesive della libertà altrui e delle sensibilità di altre persone.

Esse possono essere regolamentate, senza causare nessun tipo di scandalo. Anzi devono esserlo."


Trovato qui.

Una delle tante reazioni lette nei giorni in cui venne impedito di far circolare bus con la comunicazione sulla non esistena di dio.
In quei giorni pare che il rispetto per la sensibilità di tutti fosse un valore da difendere a spada tratta e la decisione di impedire quel manifesto rallegrò non pochi difensori di questo principio, tra i quali gli autisti credenti che annunciarono che si sarebbero rifiutati di guidare bus che avessero veicolato quella campagna appellandosi all'obiezione di coscienza.
Si stabilì che il diritto all'obiezione era, come dire, sacrosanto.

Allora facciamo così:

Se le scuole dovessero seguire La Russa rifiutandosi di attuare la sentenza, i maestri contrari semplicemente non entrino più in classe.
Percepiranno lo stesso lo stipendio perché non sarà interruzione di pubblico servizio ma obiezione di coscienza e in Italia è un sacco cool.

Se invece le scuole dovessero (e)seguire la sentenza e la cosa dovesse in un primo momento turbare, ai bambini che, abituati a trovare ogni mattina la croce, eventualmente dovessero chiedere spiegazioni riguardo a quell'alone più chiaro sull'intonaco ingiallito della parete intorno, rispondano loro che è un'icona religiosa e rappresenta la resurrezione.

2 novembre 2009

Mai fermarsi

Esortata da tutti, faccio una telefonata a Lentz.
Mi sento come se avessi trascorso gli ultimi dieci anni seduta nello studio di Lentz. C’è anche Jeff, io sono accasciata sulla poltrona, praticamente orizzontale, e dimeno i piedi come una pazza. Li sollevo sopra la testa e li guardo dimenarsi a velocità incredibile.
“Ha visto le mie calze?” domando a Lentz, protendendo i piedi.
Lui lancia un’occhiata. “Molto graziose” , commenta.
Ha lo sguardo fisso sul computer e scrive qualcosa nella mia cartella clinica. Rovescia la testa all’indietro e si guarda il naso.
Vedo Lentz da quando avevo ventitrè anni. Lui mi ha visto in tutti gli stati possibili di follia, dalle manie vistose alle depressioni catatoniche. E mi ha visto assolutamente sana di mente. Si prende cura di leggere sempre i miei libri e gli articoli. Sembra che non gli importi niente se indosso un completo di sartoria o un pigiama disgustoso, un vecchio cappotto logoro, un paio di scarpe da giardinaggio. Per lui io non sono matta. Sono soltanto quello che sono.
Abbassa lo sguardo sul suo blocchetto per gli appunti e dice: “A quanto pare si sente un po’ accelerata”.
“Un po’. Soltanto un pochino. Proprio un pochino solo”, rispondo. “Ma devo riuscire a fare le mie cose. Non posso fermarmi adesso. Mi sta andando tutto bene”.
Lui fa un cenno di assenso e dice a Jeff: “Lei come direbbe che sta?”
“È completamente suonata”, risponde Jeff, Non ne sono per niente infastidita. Ho imparato a portare Jeff con me dal medico quando non mi sento a posto, dato che non capisco il senso delle cose. Sta seduto di fronte a me sul divanetto. Mi osserva, con aria preoccupata. Questo mi irrita profondamente. Sospiro rivolta a lui e mi lascio coinvolgere completamente dall’incredibile velocità dei miei piedi.
“Marya?” Lentz irrompe nei miei pensieri. Ora mi concentro sulla punta delle dita, perché sento un formicolio.
“Ho comprato un canarino”, annuncio, sollevando lo sguardo.
“Oh?”
“Non ha comprato nessun canarino”, sospira Jeff.
“Capisco”, dice Lentz. “Ha dormito?”
“Non proprio. Non mi piace dormire. Dormire è un gigantesco spreco di tempo. Il sonno è irrilevante in confronto alle mie cose. Che devo fare.”
“Dorme due ore circa per notte”, specifica Jeff. “In tutto. Si alza e poi si mette giù di nuovo.”
“Mi alzo e poi mi metto giù di nuovo”, concordo. Smetto momentaneamente di esaminare le mie dita e fisso il dottor Lentz con aria intenta. “Ma deve capirmi, io devo fare le mie cose.”
“So che deve farle”, dice Lentz, cercando nel suo piccolo Palm Pilot che ha il manuale farmaceutico incorporato.
“È importante che riesca a farle.”
“È molto importante”, dico.
“So che lo è. Non vogliamo rovinarle la concentrazione.”
“Molto importante”, ripeto, quando improvvisamente i miei piedi decollano nuovamente.
“Quanto Geodon sta prendendo?”
“Ottanta milligrammi”, risponde Jeff.
“Le aumenterò il Geodon”, dice Lentz.
Sollevo lo sguardo, preoccupata. “Mi farà ingrassare?”
“No”
“Mi farà sentire intontita?”
“No. Dovrebbe soltanto farla sentire un po’ meno nervosa.”
“Non posso perdere il mio nervosismo”, gli dico con tono di riprovazione.
“No di certo. Quanto lavora?” domanda Lentz a Jeff.
“Tutto il tempo. Lavora persino quando qualcuno le sta parlando. Non si cambia i vestiti perché dice che questo interromperebbe le sue ‘cose’.”
“Ieri ho scritto cinquanta pagine”, gli dico decisamente soddisfatta di me.
“Buon per lei. Mangia?” domanda Lentz.
“Non mangia”, risponde Jeff.
“Mangio”, dico, strabuzzando gli occhi.
“Mangia soltanto frutta.”
“Marya, deve mangiare anche qualcos’altro”
“No, non posso”, dico in tono brusco.
“Si taglia?”
“Ho fatto sparire tutti i rasoi”, spiega Jeff.
“No era affatto necessario”, dico di nuovo in tono brusco, e mi alzo e passeggio in cerchio per la stanza.
“Sente il bisogno di stare in ospedale?”, domanda Lentz.
“Assolutamente no!” esclamo, facendo un salto per protestare. “Come farei a lavorare? Non mi lasciano mai portare il computer. Non posso lavorare sul cartoncino!”
“Credo che abbia bisogno di stare in ospedale”, dice Jeff.
Giro su me stessa e metto un dito sul suo petto, facendo un altro salto e sferrandogli un calcio in uno stinco. “Niente affatto!” Non mi lasciando tenere il mio cellulare! È troppo importante!”
“Marya, lei è davvero molto accelerata”, osserva Lentz.
Mi metto seduta sulla sedia e mi aggrappo ai braccioli per dimostrargli il contrario.
“No”.
“D’accordo”, dice. A Jeff, dice “Se domani è ancora così, mi telefoni”.
“Lavorerò un sacco”, annuncio, molto compiaciuta.
“Cosa sta scrivendo?” domanda Lentz, alzandosi in piedi e stringendo la mano a Jeff.
Conto sulle dita: “Una commedia, un romanzo, un articolo, e una nuova serie di poesie.”
“Non vedo l’ora di leggerli”, commenta Lentz. “Prenda uno Zyprexa.”
“Non lo prenderò assolutamente”, dico seccata. “mi fa diventare intontita e grassa.”
Lentz sospira.
Jeff esce. Io saltello dietro di lui come un pulcino.



“Una vita bipolare”
è un libro con un meccanismo dentro.
Non dentro nel senso di tra le righe, ma dentro nel senso di meccanismo esplicitato dalle righe.

Le pagine sono divertenti al limite della comicità.
Le pagine, le stesse, sono drammatiche al limite dell’angoscia.
È un libro bipolare.
Nella sostanza, nella forma.
Non parla di bipolare, È bipolare.
È un libro meravigliosamente, drammaticamente, bipolare.

Se hai compreso questa specie di recensione, significa che il germe del bipolare che come tutti porti in te è in progressione avanzata e mi dispiace tu l’abbia saputo così, un giorno improvviso d’autunno, ma qualcuno doveva dirtelo, prima o poi, che quelli non erano solo episodi, che quelli erano episodi.



(Jeff, che mentre il mondo si impegna per amare molto, ha saputo amarla abbastanza)

25 ottobre 2009

Question time

Nel gennaio scorso ho ricevuto una mail contenente una domanda.
Gli ultimi sette mesi li ho impegnati interamente a formulare la risposta.

Ci ho messo un po’ perché la domanda non era semplice e per rispondere sono dovuto entrare lievemente nel dettaglio.
Lievemente come possono essere lievi duecentotre pagine di risposta.
Duecento-tre-pagine-di-risposta.
A una sola singola domanda.

Quando l’ho consegnata, il suono che il grande regista ha messo in sottofondo è stato l’audio di quei soldati che buttano la granata nel bunker al grido di “Bomba in bucaaaaaa!” per avvisare tutti di ripararsi in attesa della detonazione.
Ora attendo la detonazione.
Che ci sarà e farà macerie, molte macerie, più di tutte quelle viste fino a oggi sulle quali si è sviluppata la risposta.
Che è esattamente ciò che voglio, perché se si vuole ricostruire sopra un terreno bombardato, la prima cosa da fare è radere al suolo tutto e totalmente per poter ripartire realmente da zero.

Non si torna più indietro, ora.

Morale della favola:
Se vuoi una risposta, devi fare la domanda.

Morale della favola due:
Se vuoi una risposta breve, non fare domande a me.

Morale della favola tre:
Ora ho di nuovo tempo per scrivere, se qualcuno ha qualcosa da chied…ehi…dove andat.. oh…ferm…ehi…

Detto questo, continuo a pensare che Brezsny sia semplicemente im-pre-ssio-nan-te.

21 ottobre 2009

BrOOno goes to tatOOine


(Nella serissima Foto1: Broono resiste al Lato Oscuro della Forza che è in lui)



(Nella professionalissima Foto2: per non farsi trovare dal Lato Oscuro Broono fugge DIETRO LE QUINTE DI GUERRE STELLARI)



(Nella originalissima Foto3: Broono ha vinto sul Lato Oscuro e guarda romanticissimo l'orizzonte dalle dOOne di TatOOine verso una nuova speranza)


Pagato (bene) per fare il cretino, in pratica.
Non potevo fare altro nella vita, forse.

18 ottobre 2009

chiediamo ai compagni almeno di andare a manifestare eddai su

...Il Comic Sans.
No dico...per un comunicato brigatista, il Comic Sans.
Persino le 15enni col blog glitteroso si vergognano di usarlo per non apparire 14enni col blog glitteroso.

A questo punto viene da pensare che la stella non abbia il cerchio perché nelle clipart il logo BR non c'è e unire una stella e un cerchio è roba da level due.

E il testo...
"chiediamo ai compagni di non stare con le mani in mano e almeno di andare a manifestare"
Almeno di andare a manifestare.
Almeno.

No ma è vero, eh.
E' stato minacciato.
Sì sì, come no.

Ma che paese coglione.

Ah, poi, quel fatto là del giudice e dei calzini.
A tutti quelli che sono saltati sulla sedia per l'uso che l'uomo di merda fa delle sue tv come se avese toccato oggi chissà quale fondo, vorrei ricordare una cosina che pare di ieri ma della quale invece giusto in questi giorni cade già il primo anniversario:





11 ottobre 2009

Coincidanze

Quando negli aeroporti senti voci che ti chiamano e girandoti incontri gente che, come te, ieri era in un’altra stazione e ieri l'altro in un altro porto a incontrare per caso gente che ieri era in un’altra piazza e questa cosa avviene più di tre volte nella vita, quando arrivato in una città dai indicazioni stradali a chi ci vive e questa cosa avviene più di tre volte nella vita, quando salendo il taxi in aeroporto al ritorno, l'autista ti dice la via prima che gliela dica tu e questa cosa avviene più di tre volte nella vita, significa che hai qualche chilometro di troppo sulle spalle, rispetto alla media umana, e qualche conseguente problema di base stabile, di casa.

Io dal 1979 in poi non ho più avuto una casa, niente di presentabile come tale in maniera credibile prima di tutto a me stesso.
Niente tracce, solo odori e il tempo che serve per dissolverli, un anno, a volte due, a tre chiedevo e mi si rispondeva "Non oggi".

Dal 1979 combatto contro questo smarrimento, a volte riuscendoci, a volte no.
E in questa trentennale altalena ho coinvolto tante, troppe persone.
Anche scelte, a volte per caso, dal mio essere stato a mia volta coinvolto nelle altalene di un equivalente numero di smarriti (di luoghi, di tempi, di affetti) con i quali si condivideva l’accelerazione, che, vuoi per empatia vuoi per mal comune, mi son trovato accanto.
Le altalene dei giardini hanno sempre due posti, come se l’inventore avesse previsto il bisogno di girarsi e trovare sempre qualcuno accanto alla stessa velocità, alla stessa altezza nel punto più lento, quello più emozionante, alla stessa bassezza nel punto più veloce, quello più rischioso.

Che mi si creda o no, mi dispiace per ciascuna di quelle persone, tutte, nessuna esclusa.
Dico Miki, per dire tutti gli uomini, dico Lorenza, per dire tutte le donne.
E questa è l'altra cosa contro la quale combatto da trent'anni.
A volte riuscendoci, a volte no.

Non è facile.
Che mi si creda o no, io ce la metto sempre tutta.
Ma è dannatamente difficile quando vivi una vita nella quale conosci più gente in un aeroporto a caso che a casa tua, quando ad esserti familiari sono le stazioni, i taxi, gli alberghi che ti danno del tu.

Vorrei avere il tempo e una collina per potermi costruire una casa con le mie mani, come fece mio padre, così, solo per darle un giorno fuoco per caso, come fece lui, e poi ripartire senza voltarsi indietro, burattini meno baracca, cuori al netto della capanna, come entrambi siamo stati capaci di elevare a vera e propria arte.

L'ultima volta che ci salutammo fu in un aeroporto.
In una stazione.
Su un taxi.
In un albergo.

E poi furono sempre così i miei anni.
Per caso e in un posto a caso.
La somma delle due condizioni rende le cose definitive, non la volontà.


9 ottobre 2009

L'avvocato del diavolo

Assiomanda:

Se per non andare in guerra arrivi addirittura a non incontrare un nobel per la pace, chi più di te merita il nobel per la pace?

6 ottobre 2009

Il tempo gli darà regione

Dice che in Sicilia userà il modello Abruzzo.
Sempre che una puntata di Report non riveli prima che, come per la TAV, è il contrario: che è in Abruzzo che ha usato il modello Sicilia.


3 ottobre 2009

Dare i numeri

Non so se scrivere un post su cosa celi la mente di uno che di fronte a 20 morti se ne esce annunciandone 50, o attendere che tra mezz'ora smentisca di averlo detto e attribuisca il tutto a uno strumentale mezzuccio della stampa comunista.

Nel caso non smentisse, due domande:

1) Perché proprio 50?
Perché non 49 o 51, dico.

2) Se non saranno 50, il suo entourage per non turbare l'immagine di uomo della provvidenza abbatterà qualcuno dei sopravvissuti?

1 ottobre 2009

A imprenditore imprenditrice e mezza

Se i berlusconiani fossero davvero intelligenti, non dovrebbero indignarsi per il fatto che con i soldi delle loro tasse verrà pagata una prostituta, ma dovrebbero eleggerla a (secondo) mito personale per il fatto che la suddetta prostituta è l'unica che questa cosa è riuscita a farla accadere, in maniera dichiarata, due volte.

24 settembre 2009

Bird watching

Sempre la stessa via, collega l'università alla stazione ed è per questo percorsa ogni giorno da centinaia di cciovani che vanno e vengono.

Io adesso lo so che il discorso sembrerà quello di noi eravamo meglio, ai miei tempi signora mia eccetera, però io al decimo che incrocio proprio lo devo dire:
Io 'sti cazzi di Emo ci metto sempre qualche secondo per capire se sono maschi o femmine e quando lo stabilisco mi resta comunque sempre il dubbio.

E spero per loro che sia come per i cinesi, che loro invece si riconoscano al volo, perché già hanno la faccia e la voglia di vivere di chi non ha nessuna intenzione di riprodursi, se poi quell'uno su dieci che dopo qualche birra magari l'idea non la disdegna più di tanto si trova pure a sbagliarsi, allora tra una decina d'anni davvero qui sarà un casino.

Niente contro il nero, eh, noi avevamo i dark, ma almeno i nostri giravano con le catene, non con quelle cazzo di sopracciglia che pari moira orfei.

E poi quella faccia che prima o poi io uno lo fermo e glielo chiedo:
Se hai stabilito che non hai voglia di vivere, di preciso il motivo per cui non t'ammazzi qual è?


22 settembre 2009

Benvenuto in Italia

Un volo per Tunisi l’11 settembre non ha generato particolari timori, siamo temerari e anche un poco fatalisti.

Personalmente quando volo chiedo sempre un posto in ultima fila, generalmente la 23 o la 26, a seconda del tipo di aereo.
Il motivo è molto semplice: i check in vengono fatti “a riempimento” partendo dalla prima fila, il che significa che l’ultima è l’unica che, a meno di aereo completamente pieno, è sempre libera da compagni di viaggio che ti impediscono di leggere comodamente il quotidiano aperto.
Sul volo per Tunisi, come staff viaggiante eravamo una ventina, avevamo assegnata la parte centrale dell’aereo per stare tutti insieme.
Alla mia richiesta del posto in fondo, il tale al desk mi avvisa che il volo era pieno di tunisini, come fosse un problema per un italiano viaggiarci accanto.
Io sono di quelli là, quelli che preferiscono di gran lunga mischiarsi ai locali, piuttosto che proteggersi dentro bolle spazio/temporali prive di contaminazione, vada per la fauna, l’intruso del resto sarei stato io, se va bene a me non ci saranno problemi e anzi chissà quanto farà loro piacere vedere che non tutti gli italiani li schifano.

Quello che non avevo calcolato era che se io sono pronto a sedermi tra loro, non necessariamente loro sarebbero stati altrettanto pronti ad avermi accanto.
Quindici minuti di discussione tra i locali e lo stewart, il quale, non parlo tunisino ma il problema mi è stato subito chiaro, non riusciva a convincere un tunisino che no, non poteva decidere lui dove io mi sarei seduto e che no, il fatto che il mio posto era proprio accanto a sua moglie non era motivo per lasciare a lui la gestione dell’intero aereo perché non fossi messo accanto alla signora, che a sua volta non ne voleva sapere di lasciarmi il posto che mi aveva occupato.
Compresa la gravità del problema e per nulla intenzionato a discutere con il tunisino riguardo al fatto che quella balena della moglie mi stava già sul cazzo al punto che manco fosse stata Miss Tunisia le avrei sfiorato un braccio, suggerii di darmi un altro posto, con l’unica richiesta che fosse in fondo e non centrale.
Altra discussione con i due accanto, un risolutivo “non rompete ancora i coglioni” e via, ci si siede e si parte.

Volo a cavallo dell’ora di cena, mese di ramadan, scena che ricorderò sempre.
Tutti intorno a me immobili con vassoio davanti e due bicchieri a testa, uno di cocacola, uno d’acqua (sostituisce il dattero in caso di indisponibilità).
Io che mi spazzavo burro pane schifezza varia spacciata per pasta, sale buttato su qualsiasi cosa per darle un sapore, gnam gnam chomp chomp.
Intorno tutti immobili, tutti girati verso gli oblò lato destro dell’aereo, non capisco.
Mi giro anch’io e vedo uno dei più bei tramonti che abbia mai visto, accanto a me decine di persone che immobili fissano il sole in una maniera che ti fa leggere nel loro pensiero la frase “ancora un po’, dai che ci riesci, continua il cammino”, consultazioni continue tra loro per stabilire se quel baffo rimasto sopra le nuvole è considerabile sole, condiviso parere affermativo, tutti immobili, il mio primo tramonto con un significato diverso da quello che gli ho sempre dato, una sorta di battesimo dell’aria tutto particolare, innegabile, il tramonto visto in quel modo ha qualcosa di affascinante e ansiogeno nello stesso momento, incredibilmente poetico e psicotico insieme.
Scomparso l’ultimo baffo rosso si alzano contemporaneamente decine di bicchieri d’acqua e si aprono i per nulla poetici contenitori di plastica, quello accanto a me replica fedelmente ogni mio precedente movimento, deve averlo incuriosito il burro con il sale perché non sapeva in che ordine ma ci provava, a modo suo, a essere maldestro occidentale dopo esser stato perfetto musulmano.

Dieci giorni di settecento italiani in villaggio locale, solo chi segue gli italiani all’estero sa chi siano davvero gli italiani.
Gli italiani sono quelli che, quando in settecento di fronte al banco di un bar con due tunisini che parlano solo francese e tunisino e che devono tirar fuori caffé a ritmo di venti al secondo in una scena che ricorda la borsa di un tempo quando intorno a un unico venditore centinaia di compratori urlanti gridano sovrapposti “A me cinque! Due! Sette! Dieci!” si mettono a chiedere “un marocchino, un macchiato caldo, uno in tazza grande, uno d’orzo, uno lungo” e si sentono un sacco potenti pure se il tunisino ti guarda chiedendo che cazzo vogliano tutti questi e sorride quando gli fai cenno d’aver capito che sempre la stessa cialda infilerà nella macchinetta.
Io in dieci giorni ho avuto occasione per mandarne affanculo seicentonovantanove, sono pagato per non farlo, me ne sono concesso solo uno però biblico.

Volo di rientro, treno Malpensa milano, strada dalla stazione a casa percorsa a piedi con valigiona al seguito, abito a poche centinaia di metri dalla stazione.
Lungo la strada incontro “Baffino”, uno degli egiziani che prima che li facessi cacciare mi abitava sopra, quelli del bagno sfondato e delle notti insonni a contare i loro movimenti, il più simpatico e tenero di tutti, l’unico che mi è davvero dispiaciuto veder andar via.
Mi vede arrivare con la valigia e mi ferma per salutarmi con un sorriso a seicento denti, mi stringe la mano.
“Io abito qui vicino adesso! Vacanza? Tornato di nuovo? Tu sempre viaggio!”
“No, lavoro, vacanza finita”
“Lavoro? Però anche vacanza!”
“No no, proprio lavoro, molto lavoro”
“Però giorno lavoro sera vacanza! Bello viaggio!”
“Vabbé, ok, anche vacanza sera, ogni tanto”
“Dove stato?”
“Stato dalle tue parti, Tunisia”
“Tunisia?! Ah! Tu arrivi da Tunisia lavoro!”
“Sì”.

Monta dentro l’entusiasmo per la battuta che sta per farmi e che capisce essere spettacolare, aggiunge altri cento denti ai seicento di prima e spara
“benvenuto in Italia! AHAHAHAHAHAHAH”
E scoppia a ridere che gli darei un bacio.

Percorro gli ultimi dieci metri pensando che Baffino da solo è migliore di tutti i seicento italiani che ho avuto intorno in questi lunghissimi dieci giorni messi insieme.

10 settembre 2009

FaceBroo

Quando si ascoltano due versioni di uno stesso fatto, quando le si ascoltano raccontate dai due protagonisti, si aprono due strade: non prendere posizione in assoluto, o prendere quella che ci sembra la migliore.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Se si sceglie di non prendere posizione in assoluto, partecipare comunque alla obbiettiva valutazione del fatto è pratica inutile se non addirittura peggiorativa del fatto stesso.
Se al contrario si sceglie di prendere quella che ci sembra la migliore, si aprono due strade: prenderla basandosi su quanto la versione offerta ci risulti quella rispondente alla realtà, o prenderla basandosi sul rapporto con la persona che ha esposto la propria versione.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Se si sceglie di prenderla basandosi sul rapporto che si ha con la persona che quella versione ci ha offerto, partecipare comunque alla obbiettiva valutazione del fatto è pratica inutile se non addirittura peggiorativa del rapporto stesso.
Se al contrario si sceglie di prenderla basandosi su quale delle due versioni offerte ci appare più rispondente alla realtà, si aprono due strade: prenderla basandosi su quella che è la realtà della persona che ce l’ha offerta, o prenderla basandosi su quella che è la realtà a noi comprensibile.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Se si sceglie di prenderla basandosi sulla realtà di chi quella versione ci ha offerto, partecipare comunque alla ricerca della verità è pratica inutile se non addirittura peggiorativa del percorso per conoscere la realtà.
Se al contrario si sceglie di prenderla basandosi sulla realtà a noi comprensibile, si aprono due strade: aprirsi alla possibilità di scoprire che la versione a noi offerta dalla persona con la quale si ha un rapporto non era quella vera, o chiudersi alla possibilità di migliorare quel rapporto.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Quando si ascoltano due versioni di un fatto, qualunque sia il nostro rapporto con le persone dalle quali le si ascoltano, non bisognerebbe mai dimenticarsi che no, la verità non sta mai nel mezzo.
Una delle due è la versione reale, l’altra no.

Per avere una ragionevole possibilità di assegnare a entrambe la loro corretta posizione, non bisogna valutarle partendo dal rapporto, ma partendo dalla versione stessa.
Per individuare quella falsa basterà osservare quale delle due si occupa di giustificare quanto avvenuto dopo il fatto che finge di narrare.
Per individuare quella vera basterà osservare quale delle due non spende nemmeno una parola su quel dopo.

Il 99% della gente nel 99% dei casi ha un bisogno viscerale di giustificare, prima che le proprie azioni, i propri errori.
Quando si ascolta una versione di un fatto che tradisce ansia di giustificare ciò che si è scelto di conseguenza, nel 99% dei casi si avrà davanti una mistificazione.

Se è un amico, si aprono due strade: affrontare la realtà del rapporto, prima che quella di quell’amico, o lavarsene le mani e chiamare lo stesso tutto questo “amicizia”.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Da quando io non ci riesco più mi si sono aperte due strade: combattere ogni giorno per restituire al rapporto, a ogni rapporto, i contorni del vero significato della parola amicizia, o accettare che non possiamo aiutare tutti quelli che vorremmo aiutare, lasciando ciascuno al proprio destino.

Se si sceglie la prima, si dovrà esser pronti a essere considerati nemici dai propri stessi amici.
Se si sceglie la seconda, si dovrà esser pronti a essere eliminati dai 99 amici che il 99% delle persone che conosco dice di avere, per diventare parte di quell’1% di gente che non ha 99 amici che a loro volta ne hanno altri 99 che a loro volta ne hanno altri 99.

Il 99% della gente non avrà mai le palle per andare incontro consapevolmente alle conseguenze di entrambe le strade.

Per questo il 99% della gente conosce il 99% delle cose che il 99% dei propri amici dice del restante 99% delle persone che conosce, ma non sa nemmeno l’1% di quanto il 99% delle persone che conosce dice di lui.

Milano tiene la propria economia interamente in piedi su questo semplice assunto.


6 settembre 2009

Impressioni di Settembre

L'ho trovata in un vecchio archivio dentro un disco dimenticato da sette anni.

La data nel racconto è quella di quel giorno.
Mi fa abbastanza impressione letta oggi dopo tanti anni e così senza aspettarselo.
Ma credo che vista la data e il tema, sia roba di mio fratello.
Io non ricordo di averla scritta.
Né avrei potuto scrivere così di quel volo, e del suo prima, e del suo dopo.


Frammenti

Al mattino, Davide aveva rimosso l'incontro del giorno prima con Anna. Non ne ricordava quindi il volto, le mani e quelle piccole macchie color tabacco sul collo. Perfino le parole che gli aveva rivolto erano andate perdute, forse per sempre, in un brodo grigio e inodore che lui ancora si ostinava a chiamare memoria.
Gli era netta, però, la sensazione che qualcosa di nuovo era accaduto e che quell'evento aveva cambiato radicalmente il suo stato d'animo.

Prima di uscire prese con sé le chiavi della cantina, deciso a riparare la vecchia bicicletta Bianchi con freni a bacchetta che giaceva impolverata da sette anni nei sotterranei del palazzo.
Uscì dall'ascensore e già la cantina non era che un ricordo, si diresse verso l'edicola, del tutto dimentico che quello era il giorno in cui Marta Bonfanti, quando era in seconda elementare, gli aveva fissato la data di morte disegnando per lui una tomba e una lapide con sopra scritto il suo nome e le due date di nascita e di morte: 24 luglio 1970 - 18 luglio 2002.

Sorrise, mentre una Ford Escort lo travolse.
Sorrise mentre la sua memoria cancellava l'impatto e lo fece concentrare su quanto accadeva in quel singolo istante di tempo presente e non già su quanto era appena accaduto solo un attimo prima.
A tratti fu spaventato dal volo che stava facendo (non ricordava alcun balzo), dall'odore dell'asfalto (come poteva trovasi sdraiato per strada?), quasi rise vedendo il sangue che gli macchiava la manica e con distrazione considerò i frammenti di denti che gli rendevano il contatto tra lingua e palato inspiegabilmente antipatico.

Ora come ora si trovava a rivivere una vita spezzettata, meglio, viveva singole vite da un istante ciascuna, vite di cui la nascita gli era oscura e la cui morte era prossima a essere dimenticata per lasciare posto alla vita successiva.
Si trovava prigioniero inconsapevole di un loop e le cose non sarebbero state diverse dal solito: nessuno, infatti, faceva caso ai ricordi di una persona che non parlava realmente da 32 anni e che si nascondeva in considerazioni ad alta voce volte a mantenere quel normale contatto superficiale con il resto dell'umanità, quel tanto che bastava per non farlo dichiarare pazzo.



Così.
Da gelare il sangue.

Una vita in venti righe.

In risposta a tutti coloro che han sempre pensato che quello bravo a scrivere, tra i tre Bozza, ero io.
E' che non avete letto gli altri due, quest'è.


29 agosto 2009

A mal comune, mal comune e mezzo

Che il potere politico del Vaticano non sia mai stato grande come quello di questo momento storico non è dimostrato, come si potrebbe facilmente pensare, dall'artiglieria che gli si sta rivolgendo contro, ma dal fatto che il papa non sia mai stato così poco in tv come oggi.

Come quando la mafia cessa di far volare rumorosi proiettili e tritolo perché "A posto così, grazie".

Dagli spalti dai quali da mesi divertito assisto (con un secchio di popcorn sufficiente per sfamare un'intero cinema) ai due polli che si contendono il pollaio, vengo a sapere non solo che l'ideologia che ieri era "Non possiamo disattendere le istanze della Chiesa" oggi è "Nessuno può darci lezioni di laicità", ma soprattutto che la traduzione in trincea di questa nuova ideologia è quel "A brigante, brigante e mezzo" che il neocondottiero ci comunica essere il nuovo piano di battaglia.

Ecco io qui dagli spalti dai quali godo di una visuale che mi ha sempre permesso di riconoscere i vari protagonisti di ogni singola azione, sono oggi invece attanagliato da un dubbio:
Se il chi siano il primo e il secondo "brigante" mi è chiaro, qualche difficoltà al contrario la incontro nell'identificazione di chi sia il "Mezzo".


28 agosto 2009

Sotto la panza, la perdonanza

Rinunciare volontariamente a una strumentalizzazione per evitare una strumentalizzazione, mi pare di per sé pena adeguata al misfatto.

Sia perdonato senza se e senza ma.
L'uomo è definitivamente consapevole della colpa.

25 agosto 2009

reVisioni

E comunque ho cambiato idea:
Non sono più contrario alla costruzione in Italia di centrali nucleari di nuova generazione.

A patto che il Ministro del Risiko La Russa permetta agli ispettori ONU di visitare i cantieri.

19 agosto 2009

Ribellisti

Due parole su L'Altro, il giornale di Sansonetti.

Quando uscì ne comprai subito una copia, per vedere di nascosto l'effetto che avrebbe fatto.
Il primo impatto fu una profonda incazzatura per il fatto che con un euro ti paghi quattro fogli in croce, due dei quali oltretutto dedicati a sport e tv, una roba che me lo fece cestinare nel giro di una frazione di secondo insieme all'ultima speranza che avevo dato al suo direttore di apparirmi interessante.

Quest'estate, non so perché, mi è venuta voglia di dargli una seconda possibilità e ho cominciato a comprarlo tutti i giorni insieme a Repubblica.

Progressivamente giorno dopo giorno e in maniera assolutamente naturale, l'ordine di lettura è passato da "Prima le 50 pagine di Repubblica e poi se resta tempo le 10 de L'Altro" a "Prima le dieci de L'Altro e poi, se resta tempo, le 50 di Repubblica, ma anche no".

Avevo sbagliato a liquidarlo con così tanta velocità.
E' un gran bel giornale, "nonostante" il suo direttore.
Non tratta di notizie né tantomeno di Cronaca, se non per utilizzarle entrambe come spunti per entrarvi dentro con approfondimenti non del fatto in sé ma del contesto nel quale si sviluppano.
Approfondimenti che in molti casi è persino difficile collocare in una o nell'altra sfera politica, dal momento che non fornisce giudizi (tranne quando si parla di Vendola, per il quale il direttore si sta spedendo in una vera e propria campagna di protezione del Panda) ma analisi il più possibile oggettive.
Per dire, in uno dei numeri una pagina intera era dedicata all'analisi di Calderoli come uomo politico, con parole che se non erano di stima poco ci mancava.

A margine di questo, offre una cosa che a me nei giornali è sempre mancata: i dibattiti su un tema.
Su uno dei numeri usciti a fine luglio una scrittrice (se non sbaglio, ma non ricordo chi fosse perché ne ho tenuti da parte solo due numeri particolarmente interessanti) scrisse un'interessantissima analisi sui perché della progressiva scomparsa della sinistra estrema, generando nei numeri successivi delle controrepliche di tutto rispetto che nulla avevano di quel sapore "posta di rettifica" che i dibattiti sugli altri giornali hanno e che tutto aveva invece della vera e propria inchiesta a puntate e a più mani.
Per non parlare poi del numero dedicato a Marcuse, una vera e propria boccata d'aria nei quotidiani estivi sui quali ormai l'unico approfondimento che trovi è...boh non mi viene in mente nemmeno.

Unico appunto: il linguaggio.
Un po' troppo alto per un giornale che dovrebbe offrire a sinistra l'equivalente di quel Foglio che vuole essere a sua volta un giornale di "Idee" ma che per veicolarle non si dimentica mai di parlare al cattolico medio.
In questo L'Altro punta un po' troppo in alto.
Se la sua lettura in certe giornate mi portava a non riuscire ad avere il tempo per aprire anche l'altro quotidiano che compravo è perché a leggere quelle dieci pagine ci mettevo lo stesso tempo che ci si mette in genere per leggere le 50 di qualsiasi altro quotidiano.
Cioè tra una pagina e l'altra a volte avevi bisogno di buttarti un attimo nell'acqua gelida e dire a voce alta "Cacca pipì pappa!"

Davvero un gran bel giornale, insomma.
Se quell'euro serve a mantenere quei quattro eroi ancora convinti che a sinistra qualcuno abbia ancora un cervello funzionante al quale parlare, allora sono un euro ben speso, finché durano.

Detto questo, leggendo oggi si scopre che non è vero che a sinistra non c'è il dibattito sui perché e l'analisi della sconfitta di un anno fa e della rivoluzione che ha spazzato via la sinistra dallo scenario parlamentare, prima, e da quello reale subito dopo.

C'è in Italia qualcuno che quell'analisi la sta portando avanti.
Solo che quel qualcuno la sta portando avanti tutto da solo tipo quando parli agli alberi o quando, da solo sulla bicicletta, parli alla vocina nel tuo cervello come fosse una squadra intorno che ti segue ammirato, ascoltato giust'appunto da Sansonetti, quello che quando ha davanti Berlusconi gli fa domande sul Milan, quello che a sua volta è ascoltato da quei quattro che fanno finta di non ricordarsi che lui è appunto quello delle domande sul milan a Berlusconi.

Mentre i due solitari se la raccontano tra loro nel totale silenzio di quelli ai quali dovrebbero al contrario essere rivolti e che invece di entrare in quel dibattito non solo non ne hanno mai avuta nessuna voglia ma soprattutto se ne guardano bene dal farsi coinvolgere, il più a sinistra tra quelli che si propongono di guidare l'opposizione al governo più a destra dopo quello di mussolini, oggi ci fa sapere che la sua idea di partito democratico è un partito che sappia andare a "recuperare quelle che sono le nostre radici piu' profonde: quelle cattoliche popolari e quelle socialiste".
Un partito che voglia costruire una società "Non classista, non ribellista, ma in grado di essere solidale e aperta"

Ecco, pensavo che se il più a sinistra, ancora prima di essere guida, ha già cominciato a cercare le sue radici cattoliche ma anche socialiste, allora prepariamoci a morire fascisti.
L'importante è non essere ribellisti.
Liquidamente, tipo.
Ma anche.
Vaffanculo.

Bel giornale, insomma, L'Altro.
E bello anche il dibattito sui perché della scomparsa della sinistra.
Peccato se lo stiano facendo da soli perché uno dei due solo era prima e solo resta oggi.

18 agosto 2009

Forse non tutti sanno che

Ho notato una cosa bizzarrissima:

In qualsiasi angolo d'Italia qualsiasi strada più lunga di un chilometro e qualsiasi palazzo più alto di due piani, se è appalto statale è vinto dalla Impregilo.

Ah l'avevate notato anche voi?
Ah non sono io che c'ho l'occhio di lince?
Ah vabbè allora ok.

13 agosto 2009

Diamo i numeri

Visto che in questi giorni nessuno si preoccupa di darci i numeri così vitali per la nostra sveglia mattutina, ci penso io.

Il vostro presdelcons, l'uomo di merda per intenderci, l'ultima volta che ha parlato a noi popolino ci informava che il gradimento alla sua persona medesima sola e soltanta, secondo Euromedia Research (su chi gestisca ER sorvoliamo, eh) era del 68,2%.

Poi è andato in vacanza e io non dormo più perché non so più se oggi è del 70, del 90, del 350, del 32947629045037629040 percento e allora per combattere quest'ansia sono andato ad aprire il frigo per controllare la scadenza perché proprio mi sentivo perso senza il mio sondaggio quotidiano sul gradimento dell'imperatore delle galassie aka uomo di merda, anzi uomo dimmmerda con tre m che anche la dizione ha la sua importanza.

Allora sono lieto di informarvi che a due settimane dal saluto per le vacanze che il presdelcons-uomo dimmmerda ha offerto prima di partire per l'Aq..per l'Abr...per Villa Certosa non prima di averci elencato tutto quanto da lui e solo da lui fatto, il gradimento della sua persona medesima sola e soltanta, secondo Crespi sul cui passato sorvoliamo tanto quanto su quello della tizia di ER, è esattamente del...DA DAAAAAAANNNN: 55%
(quesito 3)

Sbadàm!
Via un 13% così, solo perché se n'è andato in vacanza.

Ora i casi sono due:
O i suo sudditi non gli perdonano le vacanze, oppure in vacanza ci dev'essere andata pure la tizia che gestisce Euromedia Research, che per un puro caso casissimo è anche no vabbé avevamo detto che avremmo sorvolato e sorvoliamo.

12 agosto 2009

Gioca anche tu alla meritocrazia

Individua tra i protagonisti la consigliera PdL, il partito del fare, del buongoverno, dei non professionisti della politica.

Un indizio: non è l'albero.
Non ancora, diciamo.

10 agosto 2009

Nervi d'acciaio

Ma quale "accordo"?

E' chiaro che a tenere i cinque ben saldi sulla gru non c'è la richiesta di prove dell'accordo, ma il loro esser certi che appena toccano terra verranno avvicinati da qualche dirigente del PD che li vorrà candidare.

Resta che la presa di posizione del sindacato di polizia che si dichiara dispiaciuto del lavoro che sono chiamati a fare, pur discutibile come comportamento di un corpo che non ha tra le sue libertà quella di discutere ciò che viene ordinato loro di fare, è un sottile raggio di luce nel buio attuale che meriterebbe ben più spazio di discussione di quanto, ovviamente, ne abbia ottenuto.

A margine delle analisi politiche, poi, mi resta un dubbio.
Cinque persone per cinque giorni e cibo scarso quindi non più di una cagata al giorno, fanno circa sei chili di totale merda presunta.
Fatta la stima, mi auguro che l'assenza di testimonianze filmate dell'effetto che fanno sei chili di merda che vengon giù da venti metri d'altezza sui giornalisti, significhi che la stanno conservando per quel dirigente PD lì sopra.

7 agosto 2009

Ci siamo quasi

La mia fiction quotidiana è stato il bambino dell’ombrellone accanto.
Ho passato ore a studiarlo per giorni e giorni, fino ad arrivare a prevederne le mosse con qualche decina di secondi di anticipo (che essendo un bambino il soggetto, sono l’equivalente di una palla di vetro).
I bambini hanno in sé il cattivo e il buono, entrambi nella loro versione più genuina perché naturale.
Nascono con la matrice standard contenente tutti gli elementi di eguale dimensione e col tempo, se seguiti e se seguiti nella maniera giusta, imparano a governarle entrambe per trovare il giusto mix che permetterà loro di calarsi nella società in maniera positiva, un mix nel quale il cattivo è ridotto ai minimi termini a favore del buono, o in maniera negativa, se il mix vede prevalere il cattivo.
Il bambino dell’ombrellone accanto era un bambino cattivo.

Cattivo non come sono genuinamente cattivi i bambini, cattivo come sono cattivi gli adulti dopo anni di lucidatura della pistola, ma a quattro anni.
Ho imparato a prevederlo nel momento in cui ho capito che quella parte cattiva che nei bambini è innata e progressivamente viene ridimensionata fino a renderla inoffensiva, in lui era stata sviluppata fino a farne unica forma di relazione utilizzata con un’abilità rara.
Uno sguardo cattivo, una socialità cattiva, una territorialità cattiva, tutto consapevolmente orchestrato a danno di chiunque gli entrasse nel raggio di un metro e non si dimostrasse pronto all’immediata subordinazione.
Una tecnica precisa e particolare per mordere, non istintiva e rabbiosa ma lucida e chirurgica, come chi ha dato morsi in numero sufficiente da arrivare a sintetizzarne la versione più efficace, fulmineo come la lingua di un camaleonte, lo potevi cogliere solo se lo stavi già osservando da un’ora fisso, la vittima non aveva scampo né protezione, troppo veloce per credere a chi sosteneva che in quella frazione di secondo era stato morso, un killer.
Una tecnica superata in perfezione solo da quella utilizzata per graffiare, a doppia mano incrociata avvitata, l’ho visto una sola volta ma mi ha fatto impressione per la preparazione del gesto, la scelta del punto da colpire, la tecnica geometrica, tutto in non più di un secondo e mezzo.
Tecniche diverse per vittime maschi o femmine, metodico e mai improvvisato, mai rabbia, lucido e fermo.
Gli ottanta chili di mamma sulla sdraio troppo impegnata nella lettura per occuparsi delle urla intorno, lettura fissa Viversani&Belli e impossibilità di distrarsi un solo istante dalle istruzioni per diventare in sei giorni come la strafiga in copertina, l’obiettivo era importante quanto urgente.
Quel bambino da grande ucciderà la madre o la madre ucciderà lui prima che grande lo diventi.

Quando ne ho l’occasione passo ore ad osservare i bambini, sono uno specchio formidabile della società, sono le sue regole base portate alla loro essenza, osservarli è come osservare gli adulti ma con l’irripetibile possibilità di non avere il filtro dei duecento strati di sovrastrutture che con gli anni mettono a copertura delle stesse originali dinamiche.
Prevedere le loro mosse e vederle accadere mi fa sentire in grado di affrontare chiunque, perché per affrontare chiunque basta imparare a prevederlo.

Ah no, non basta quello.
Serve anche molta, molta pazienza.

22 luglio 2009

Anteprima di partenza

Milano è così.
Sempre sul pezzo.

C'è chi dice che è il suo bello, c'è chi dice che è il suo brutto.



Ce ne andiamo in svaccanza.
Ché in autunno abbiamo un bel po' di cose da fare.
(ehi...voi tre...ZITTE!!!!)

Ciao.

18 luglio 2009

Non ho voglia di riscrivermi

[...]Ciò che quello stupro ha generato come "discorso" è una cosa molto pericolosa per motivi che non metto qui perché ne uscirebbero due pagine.
Provo a riassumertela in qualche modo, scusandomi per i tagli bruschi ai concetti che spero saprai leggere lo stesso:

Di fronte a uno stupro compiuto da un direttore di sezione di un partito, una società sana e intelligente avrebbe reagito segnalando che questo fatto evidenzia una realtà che viene sempre taciuta ma che ogni tanto "sfugge" e si presenta sotto gli occhi di tutti: lo stupratore non è fatto a forma di stupratore.
Non esiste la "forma" dello stupratore e chi cerca di dargliela, a volte a forma di povero, altre di rumeno, altre ancora di pazzo visivamente riconoscibile, non si sta occupando del problema ma della sua circoscrivibilità sociale, che è il problema degl stupratori e non degli stuprati.
La non esistenza di una forma e di un contorno preciso, fa sì che lo stupratore da sempre abbia e possa assumere qualsiasi forma, da panettiere al vicino di casa, dal prete al maresciallo, dal pazzo al rumeno.
Questo questa storia ha mostrato.
Questo avrebbe dovuto dire una società sana e dedicata a focalizzare ogni suo sforzo per combattere la violenza sulle donne e avrebbe dovuto farlo coralmente, da una come dall'altra parte, urlando a gran voce quanto questo fatto dimostri che lo stupratore può essere chiunque, così chiunque che può persino essere l'amico col quale ieri organizzavi il volantinaggio.
Una società sana.

Poi c'è la nostra.
Nella quale l'unica reazione avuta è che da una parte hanno subito detto "E' del PD!" e dall'altra hanno risposto "Sì ma ora lo cacciamo!" e di quello da giorni discutono.
In mezzo donne stuprate.
Sempre.
Tante.
Troppe.
Perchè?

Perché la difesa di quelle donne è in mano a quelle due parti e a quei due linguaggi che quando arrestano uno stupratore ne prendono i contorni e li intitolano "i contorni dello stupratore tipo" dicendo che proteggendosi da chiunque abbia quei contorni, ti sei difesa dallo stupro.
Nessuno ha ancora detto che i direttori di sezione del PD stuprano, ma il meccanismo che sta generando il dibattito di questi giorni è questo, da una come dall'altra parte.
Cioè non lo stupro, ma la fretta di dare una forma identificabile a chi lo compie, una forma che non esiste.
Che è come affrontare i furti d'auto arrestando chiunque abbia due mani.

Gli italiani sono un popolo di ignoranti, sì.
Molto ignoranti.
Perché accettano questi meccanismi.
E per accettare intendo sia chi li propone, che chi li discute.
Sia in chi dice che sono a forma di rumeni, sia in chi dice che non saranno più a forma di PD.
Sono ignoranti perché parlano di stupri pensando alla forma e per questo vietano manifesti contro la violenza se fatti a forma di crocefisso e per questo parlano di questione morale di partito se lo stupratore era del partito, come se avendo lo stupratore un cartello al collo con su scritto "stupratore" chi fino a ieri ci ha fatto merenda insieme fosse un complice o come se il problema di un partito fosse il non saper riconoscere la forma dello stupratore tipo, salvo poi dire quando si rivolgono agli altri che lo stupratore tipo non esiste.

Perché lo stupro per gli ignoranti E' una forma, prima che la sostanza e per questo ascoltano chi da loro una forma da guardare e maneggiare e tenere lontana e per questo se lo dice uno "di là" ti dice che non puoi dare la forma a croce, perché il SUO problema è la forma della SUA croce non del TUO stupro, se lo dice uno "di qua" ti risponde "Sì ma nemmeno la falce" perché il SUO problema è la forma della SUA falce non del TUO stupro, e nessuno, di qua come di là, va a dirgli che lo stupro, se una forma ce l'ha, è squallidamente a forma di uomo.
E di uomini le sezioni di partito sono piene, come sono piene le panetterie, i bar, gli uffici, le parrocchie.
E' un paese ignorante, sì, molto.




(commento originale)

15 luglio 2009

Il bastone tedesco

E comunque non avete capito nulla come sempre.

Non l'hanno abbandonato legato al guard rail di una piazzola per aver sott'inteso che nessuno se lo caca più, non hanno voluto difendere il papa ma i tizi sotto la finestra.
Ché non si associano i cristiani ai gatti.
A meno di non essere un satanista, s'intende.

Dai su, sono i fondamentali.
Non poteva spuntarla.

Pecore.
Avesse detto "pecore" l'avrebbero fatto direttore della Rai.