27 maggio 2004

CPS

A Milano c’è un posto che si chiama CPS con dentro tante stanze.
In ogni stanza c’è qualcosa.
In alcune c’è chi guarda il muro fisso per essere certo che continui ad esserci, in altre ci sono giornali solo per donne, in altre ancora tre sedie e un tavolo e assolutamente nient’altro nemmeno una penna nemmeno un fiore.
Poi c’è l’ascensore con due porte una davanti e una di fianco perché all'architetto non avevano spiegato che quello è un posto per gente che ha bisogno di certezze.
Poi c’è un piano tutto vuoto che se vuoi tu domani entri e ti fai un giretto dentro tutto solo, schiacci i tasti della fotocopiatrice, tiri su il telefono, attacchi qualche post-it sulla lavagnetta.

Certi giorni capita che tu devi andarci per forza perché c’è qualcuno che ha bisogno di un paio di informazioni perché dice che gli servono per capire e tu dici ma certo, sono qui per spiegare.
E c’hai davanti uno più giovane di te che come se fosse unto dal signore ha potere di vita o di morte.
E a quel ragazzo gli hanno detto che per fare bene il suo lavoro deve avere sempre lo sguardo pensante di quello che ascolta, deve avere almeno un foglio davanti con un paio di domande nell’ordine, e sotto scritte un po’ più chiare le risposte che deve dare indipendentemente da quello che gli racconti tu perché il capitolo due del manuale delle giovani marmotte da definizioni belle chiare e precise e non serve improvvisare anzi.

Allora questo ragazzo che l’hanno messo in questo CPS la mia famiglia l’ha conosciuta mica tanto nell’ordine che gli avevano scritto, soprattutto me che sono andato a minacciarlo e lui che gli avevano detto che il suo lavoro sarebbe stato facile alla fine ha telefonato a casa e ha detto se potevo farmi accompagnare dai genitori e allora oggi siamo andati tutti belli felici a fare la famigliola che corre alla chiamata del bravo ragazzo che vuole solo avere ulteriori informazioni per capire e lui è stato tanto gentile perché dopo aver furbamente portato la mamma a tirar fuori tutto il rancore che aveva per il mio papà poi allora mi ha guardato che io guardavo fuori dalla finestra e ha detto che lui non voleva tirare fuori quell’argomento che mi faceva un po’ soffrire che lui lo faceva solo perché deve capire e io gli ho detto che papà non c’è più e mi sembrava che avesse ottenuto sufficienti informazioni per capire e che poteva anche lasciare in pace la mamma e poi gli ho fatto capire che sono più grande di lui, che anche se non c’ho il camice bianco io il mio elenco di domande lo conosco molto bene e sono soprattutto più bravo a dare ad ogni domanda la risposta giusta anche se non nell’ordine che ci si aspetta tipo quando mi ha chiesto come vedevo il futuro di mio fratello e gli ho risposto che dipende dalle sue capacità e che al momento lo vedo abbastanza nero nell’ordine esatto in cui non se lo aspettava e che anche se non sono stato unto dal signore io potere di vita o di morte ce l’ho tanto quanto lui.

Poi quando esci da quel posto la gente scatta al semaforo in ufficio ti dicono che il cliente stressa al bar i clienti sono sempre sposati con la donna sbagliata nel tuo palazzo il cane fa la cacca sullo zerbino di quello accanto che urla e tu chiudi la porta mandi un paio di messaggi ti assicuri che qualcuno che ti vuole bene ci sia anche oggi e chiudi la tua giornata sorridendo a quel mondo che non immagina nemmeno che a Milano non c’è un posto che non si chiami CPS ma è meglio che nessuno lo sappia perché tutti continuino a credere che avere risposte nell’ordine giusto significhi aver capito la domanda.

13 maggio 2004

Tesì io pure

Ho offerto il mio aiuto per la preparazione di un esame di Economia ambientale.
Mi son sentito rispondere “Lasa ‘stà”, come se fossi l’ultimo degli scemi e invece non lo sono e io di economia ambientale so tutto quello che c’è da sapere.
E la persona che mi ha detto “Lasa ‘stà” poi ha detto che lei non ha minimamente le idee chiare.
E allora dov’è la differenza? Ho pensato io.
Se servono delle idee precise, e tu non le hai, e io nemmeno, ma a te questo non impedisce di provarci, perché dovrebbe impedirlo a me?
Non le hai tu quelle che servono, non le ho io.
Fammi provare, no?
Partiamo uguali, in un certo senso.
E poi magari invece scopri che io sono intelligentissssssimo anche in economia ambientale e che c’ho l’idea quella che tu non trovavi e io la trovo per intuito o fantasia che dir si voglia non importa, importa che arrivi, no?

Io poi sarò anche scemo, ma più o meno su tutti gli argomenti ti saprei dire la cosa che ti serve per trovare l’idea che ti serve, basta inventare un po’, e io, non foss’altro che per il tempo dedicato a quell’attività ogni volta che me la racconto, ho sviluppato una certa esperienza in codesta arte, sai?

Per esempio…
Ti serve un’idea per una tesina di economia ambientale?
Guarda…io la intitolaterei così:
"Risparmio sui costi dei prodotti di consumo in funzione della protezione del patrimonio naturale"
E poi la svilupperei così:

Per fare un tavolo
ci vuole il le-gno
per fare il le-gno
ci vuole l'albero
per fare l'albero
ci vuo-le il se-me
per fa-re il se-me
ci vuo-le il fru-tto
per fa-re il fru-u-tto
ci vuo-le il fio-re
ci vuo-le un fiooore
ci vuo-le un fiooore
per fare un ta-vo-lo
ci vuo-le un fio-o-re.

E poi la concluderei con la tesi:
“Un tavolo potrebbe costare quanto una margherita se solo si avesse la pazienza di aspettare”.

Allora?
Non meritavo un po' di fiducia?
Guarda, davvero non temere.
Tu chiedi, qualcosa si trova sempre.

Domani che problema vuoi che ti risolvo?
Affrontiamo fisica quantistica?
Ancora più facile.
Titolo:
“Quanto sono bello?”
Sviluppo:
“Di brutto”.
Tesi:
“Basta crederci nelle cose”.

Come si fa a non amarmi?

Le cose d'ogni giorno
raccontano segreti
a chi le sa guardare
ed ascoltare

(G. Rodari - L.E. Bacalov - S. Endrigo)

7 maggio 2004

Piccole principesse

È un po’ di tempo che da queste parti compare in diversi modi il piccolo principe.
C’è chi vorrebbe sapere che nome ho dato alla rosa, chi mi chiede se la pecora l’ha mangiata, chi crede nelle favole e chi ci vede attraverso.

L’avevo letto tanti anni fa “Il piccolo Principe”, mi fu prestato da una persona che un giorno mi disse “Devi leggerlo, TU devi leggerlo” ma poi quando la nostra storia finì se lo riprese perché era la sua copia personale.
Strana allegoria.

L’altro giorno ero in autogrill e non sapevo che rivista comprare per il viaggio.
C’erano anche dei libri, e io un po’ scherzando un po’ no mi sono detto “Ma si, se c’è mi ricompro la mia copia”.
C’era.
In autogrill.

Oggi sono tornato da Roma con il treno e per il viaggio ho appoggiato il libro sul tavolinetto e mi sono messo a leggere il giornale.
“Pensa” ho detto al mio collega “se adesso arriva una bambina e si fa tutto il viaggio qui con noi facendo casino perché sua mamma non le ha comprato niente da fare e lei ci farà impazzire per cinque ore”.

Eravamo io e il mio collega, io con il giornale in mano e il Piccolo Principe sul tavolinetto.
È arrivata una bambina con la sua mamma e si sono sedute accanto a noi.
La mamma era davvero bella, al massimo trent’anni, la bambina era davvero bella, al massimo cinque anni.
Si sono sedute e hanno iniziato a giocare tra loro perché non le aveva comprato nulla per il viaggio se no, assicurava lei, non l’avremmo neanche sentita.
Il mio collega mi dice che questa cosa l’ha sempre spaventato e quando io gli chiesi cosa, l’altro giorno quando me lo disse, mi rispose “Questa cosa che tu quando parli nemmeno te ne accorgi ma una volta su quattro senti quello che sta per succedere e senza accorgertene lo dici”

Ma intanto le nostre compagne di viaggio giocavano ridendo come due amiche e la bambina giocava e la mamma giocava e insieme mettevano un’allegria che nessuno era disposto a dire qualcosa perché quel baccano finisse perché nessuno riusciva a non ridere guardando quella mamma e quella bambina che erano così belle insieme.
E allora in un attimo di silenzio io glie l’ho detto alla mamma che aveva una figlia meravigliosa e che si vedeva che era felice.
“Beh… oggi era un po’ scontenta perché l’ho portata al mare ma pioveva”.
“Intendevo felice in generale, con i suoi malumori, certo, ma si vedeva che era felice”.

E lei che mi ha raccontato che è bravissima, che mangia le cose che gli altri bambini fanno i capricci e lei no, le verdure le ama, e poi fa casino ma se le dici di smetterla la smette sorridendo, che la notte dorme tutta la notte e non ha mai creato un problema tanto che lei ha un po’ paura che con una bambina così lei non è mai messa alla prova e le sembra di non essere nemmeno una buona madre e io le ho risposto che se quella bambina è così felice lei non può che essere una madre meravigliosa e la bambina è venuta a sedersi tra noi e mi ha detto “Io sono una principessa” e la mamma le ha detto “no, tu non sei una principessa, tu sei una bambina” e lei che insisteva e per fare tutta la principessa vamp ha tirato fuori dallo zaino la sua stola di pelliccia e l’ha indossata e mi ha guardato e mi ha detto indicando la stola “Guarda! Lo vedi che sono una principessa” e la mamma le ha detto “Ma dove l’hai visto che le principesse si vestono così?” e lei non sapeva cosa rispondere e stava per dire “è vero” e allora io in quel momento ho fatto un sorriso che si è visto dalla locomotiva e sono intervenuto in sua difesa e le ho detto “Qui! L’ha visto qui! Diglielo alla mamma che hai ragione tu che le principesse sono così! Guarda è qui, fai vedere il disegno alla mamma” porgendole il libro con il principe disegnato sulla copertina con la sciarpa e lei tutta felice che diceva alla mamma “Guarda! Guarda! Sono una principessa!” e la mamma che le ha detto “Ma quel principe ha una sciarpa, tu hai messo il tuo pupazzo” e lei che non sapeva cosa rispondere e stava per dire “è vero” e io in quel momento mi sono accorto di un particolare che non avevo visto fino a quel momento e l’ho guardata bene per vedere se era davvero una principessa e ho visto che il pupazzo che aveva al collo era un elefante e allora mi è venuto un sorriso che l’ha visto anche la locomotiva del pendolino che arrivava in senso contrario e le ho detto “NO!!! Guarda! Hai ragione tu sei una principessa!!!” aprendo il libro alla pagina dove ci sono i due disegni, quello del principe e quello dell’elefante e le ho chiesto “Cos’è questo?” “Un principe!” “E questo?” “Un elefante! Io ce l’ho vedi mamma?!” e allora la mamma si è convinta e l’ha presa in braccio e io le ho detto “Lo vuoi il libro?” ma la bambina mi diceva di no come a quattro anni si dice di no quando si vorrebbe dire di si ma la mamma ti guarda e allora io le ho detto “Tanto lo so che mi dici di no ma in fondo se ti regalo il libro sei contenta anche a quattro anni perché sei una principessa” e la mamma che mi dice che lei fa così anche con le caramelle se sono di altri non accetta mai niente e allora ha preso il libro e ha fatto vedere a tutti che a quattro anni lei sapeva riconoscere le lettere ed era vero ne avrà sbagliate tre su venti e a quattro anni vuol dire qualcosa ma ovviamente sapeva i nomi delle lettere, non ne conosceva il suono e quindi sapeva riconoscere le lettere ma non sapeva leggere “Questa è una Pì!” ma non sapeva che quello era il nome mentre per leggere bisogna sapere il suono.

O meglio, non lo sapeva la mamma, finchè la bambina ha preso il libro ha letto quattro lettere riconoscendole tutte e finito l’elenco delle lettere ha detto la parola intera ghiacciando la madre impallidita di fronte al fatto che aveva letto la sua prima parola, che detto così sembra poco, perché ci si emoziona sempre quando “ha Detto la prima parola” e ci si dimentica che i bambini imparano a parlare tanto quanto imparano a leggere, cioè per loro non è una cosa normale e la mamma stava a due metri da terra dalla gioia e mi diceva “Non le ho detto io la parola, giuro! L’ha letta lei! È la prima volta! Non ci credo!” e la bambina a quel punto ha iniziato a ripetere la parola fino a storpiarla come fanno i grandi e ha iniziato a parlarmi in quel modo la che i grandi non capiscono e io mi sono girato verso la mamma e le ho detto “Ma tu la capisci?” e lei mi ha detto “Non ti preoccupare, ogni tanto fa così, si mette a parlare la sua lingua strana” e non rimetto il link perché se no si pensa che io sia innamorato di quello la del post sotto, ma quando è successa la scenetta della lingua strana io ho proprio pensato a lui e a quel suo post dove diceva che i bambini non inventano nulla, è solo una lingua che usano per parlare con i loro amici immaginari, e io non sapevo più come dire a me stesso quello che stava accadendo ed ero due metri sopra a tutti pure io, perché avevo davanti una bambina meravigliosa con due occhi che avevano ipnotizzato tutto il treno che ha preso il suo elefante, l’ha indossato, mi ha detto “Sono una principessa” e ha letto la sua prima parola su quel libro che io non ho potuto far altro che regalarle anche se lei non lo voleva ma io era ormai un’ora che pensavo che quel libro doveva andare a lei, anche solo per guardare le figure come quella del serpente che ha mangiato l’elefante che non serve saper leggere per capire che lei era davvero la principessa che diceva e quel libro così come non mi era rimasto la prima volta che lo lessi, se n’è andato anche questa volta ed è bellissimo che se ne sia andato così, da quella principessa di quattro anni che aveva un elefante per sciarpa e ha accettato il libro perché la mamma dopo che io le spiegai che quel libro era già suo, le disse “Accettalo, lo leggiamo insieme” dicendo a me che senza saperlo sono stato il primo a farle il regalo di compleanno perché tra qualche giorno è la sua festa e io non lo so perché sono tornato a casa con questa cosa pazzesca negli occhi perché si chiamino coincidenze, fiabe, menate, invenzioni, sogni, li si chiami come si vuole ma lei era troppo lei, l’elefante era troppo l’elefante la parola letta era vera, come vera era la poesia che quelle due hanno regalato all’intero treno fino all’arrivo quando lei dimenticando tutto il resto come è giusto che sia è saltata giù dalla poltrona ed è corsa al finestrino, urlando “Papà! Papà!” guardando fuori in mezzo a mille persone che aspettavano il treno lungo lungo con mille finestrini possibili e quando il treno si è fermato c’era una principessa con un elefante al collo, un vetro, e dall’altra parte, esattamente in quel punto, suo papà a braccia aperte.

Martina, si chiama.
Lei dice MaTtina per giocare a storpiare la erre che non sa dire molto bene ma io le dicevo “MaRtina! Con la ERRE!” e lei insisteva, mi diceva “No! MaTTina!”.

E sia.
Anche per me è più bello Mattina.