28 dicembre 2004

Mum

Mamma Mària era una di quelle persone che non avevano paura di andare in pensione.
Lei sapeva che quella non era la fine, ma finalmente l’inizio di una nuova fase della sua vita nella quale finalmente avrebbe potuto dedicarsi a quello che aveva sempre sognato.
Non era triste, infatti, Mamma Mària.
Anzi.
Decise così di dedicarsi a quello che per molte è un hobby come un altro, mentre per lei diventò subito la sua nuova attività, come avrebbe voluto e dovuto fare da anni.
Era più brava delle altre, del resto, Mamma Mària.
E come tutti i componenti della famiglia di Mario, che quando fanno qualcosa lo fanno in grande stile, invece di limitarsi a fare i lavoretti per passare il tempo, iniziò a inventare degli oggetti così belli che in breve lo spazio per soddisfare le richieste che riceveva non le bastò più, le persone interessate non furono più le solite due o tre amiche, quello che prima stava su un tavolo la portò ad affittarsi un laboratorio tutto suo.
Per finire con l’attirare, come è giusto che sia, su di sé l’interesse persino di un giornale, che le chiese di scrivere qualcosa per raccontarsi.

Lei chiese a Mario di scrivere qualcosa per quel giornale, perché se lei è brava con i pennelli, Mario, dice lei, era bravo con le parole.
Mario allora scrisse questo per il giornale:

“Il giorno che disse: “Sparecchiamo in fretta che voglio provare a fare una cosa”, Silvia, non immaginava che, da quel giorno in poi, non avrebbe mai più apparecchiato nello stesso modo.
Aveva sempre avuto, in realtà, qualcosa di colorato in mente, ma non aveva mai fatto spazio sul tavolo per vedere cos’era.
Che qualcosa quel giorno cambiò, fu chiaro a tutta la famiglia, la quale da quel giorno vide lentamente ma costantemente ridursi il numero dei piatti nei quali mangiare e dei bicchieri nei quali bere.
In compenso in casa iniziarono a comparire portacandele dedicati e vasi antichi e le pareti pian piano si coprirono di vetri colorati e di fotografie d’arte.
Trovare un vero e proprio inizio a tutto questo non è cosa semplice; ma forse non sarebbe neanche giusto farlo, visto che se inizio c’è stato è agli anni di bambina che bisogna andare con la memoria.
Perché si può imparare a qualsiasi età a suonare uno strumento, ma la musica bisogna averla amata da sempre per riuscire a suonare qualcosa di emozionante. Come è anche possibile dedicarsi alle piante quando finalmente se ne ha il tempo, ma quando arriverà il freddo, solo chi da sempre ha osservato i fiori saprà non esporli al vento.
Silvia quel giorno non scoprì che aveva da sempre guardato le cose in una maniera diversa, perché quello l’aveva sempre saputo, Silvia quel giorno scoprì semplicemente come farle vedere anche agli altri così come le immaginava lei, diverse.
Non credeva fosse così semplice far vedere anche agli tutto quello che vedeva lei, non immaginava fosse così facile dare ad un oggetto quel sapore diverso, quel fascino tutto personale che alle persone spesso sembra irraggiungibile, più per mancanza di voglia che per assenza di capacità.
E tutti, intorno a Silvia, si accorsero che era vero, che bastava sedersi un momento, in silenzio, per riuscire a far nascere qualcosa di bello da un semplice pezzo di vetro, da una semplice scatola di legno.
Non chiedeva un pubblico speciale, Silvia; le bastavano le persone che aveva intorno, la sua famiglia.
Da quel giorno ogni pasto era un’occasione di festa, ogni amico che veniva a trovare la famiglia diventava un inconsapevole osservatore, sempre più spesso compiaciuto, di una casa che ogni giorno si trasformava in qualcosa di diverso con cose semplici, con poco tempo, con la fantasia.
La fantasia.
Silvia pian piano imparò a raccontare a chi le stava intorno il suo modo di vedere le cose, il suo modo di trasformarle, il suo modo di farle nascere, e più raccontava più le persone ascoltavano, scoprivano, apprendevano.
Nacquero così, spontaneamente, serate nelle quali le amiche la andavano a trovare per imparare quel modo tutto personale di raccontare le cose, con la fantasia.
Serate all’insegna dell’amicizia, delle confidenze, della buona cucina e del tempo passato in piacevole compagnia, mentre carta e colori scandivano il tempo in maniera discreta e silenziosa.
Col passare del tempo, queste serate, da occasionali incontri, si trasformarono in appuntamenti ricercati da quelle stesse amiche che un giorno dopo l’altro sentivano nascere la voglia di raccontare quelle stesse cose che fino ad allora avevano solo ascoltato.
Silvia aveva imparato che se la fantasia è innata, non è da tutti saperla raccontare, e per questo accettò di insegnare a chi ne sentiva il desiderio, quelle cose che avevano permesso per prima a lei di vederla materializzarsi in oggetti semplici nella realizzazione, ma affascinanti nel loro comunicare un’idea, un gesto, un piacere.
Non c’era mai, in queste serate, l’intenzione di fare scuola, c’era al contrario la voglia di offrire quei piccoli segreti nati dalla sua capacità di aggiungere alle tecniche e alle regole base del Decoupage quel tocco personale e quella capacità di non fermarsi a ciò che qualsiasi libro o manuale possono offrire a chiunque abbia voglia di avvicinarsi con curiosità a questa arte, con la stessa passione e la stessa bravura di chi ad una ricetta nota e accessibile a tutti, ha saputo aggiungere un ingrediente particolare che rende quel piatto speciale e diverso da tutti gli altri.
Come un amore improvviso, il sempre crescente piacere di creare e vivere tutto questo ha fatto nascere in Silvia la voglia di avere uno spazio suo, personale, dove regalare a questa passione il tempo che sentiva meritare e che in maniera spontanea esigeva in maniera sempre crescente.

Oggi Silvia finalmente vive e condivide questa sua passione nel suo laboratorio a Niguarda, a pochi passi da quella casa dove fino a poco tempo fa quello che sembrava essere soltanto un modo come un altro per passare il tempo, si trasformò, grazie alla fantasia, in un modo per fermarlo.
Un laboratorio nel quale Silvia, dalla sua casa, ha portato, insieme ai colori, ai pennelli, alla carta e al legno, al vetro e ai metalli preziosi, quelle piccole e semplici cose per portare le quali non servono scatole né sacchetti, automobili o braccia forti, quelle piccole cose che rendono tutto questo qualcosa di speciale, di diverso.
La sua fantasia, la sua amicizia e la sua capacità di raccontare tutto questo a chi ha voglia di regalare a se stessa e ai suoi desideri quel tempo che lei, con un semplice disegno, ha saputo fermare.”


E il giornale lo pubblicò.
Con la foto del laboratorio dove Mamma Mària finalmente faceva quello che amava fin da bambina, fare.
Creare.

Mario un po’ aveva preso da Mamma Mària.
Se non altro la voglia di guardare le cose sempre con occhi colorati, nonostante una vita non proprio semplice.
Ma anche Mamma Mària aveva preso qualcosa da Mario.
Aveva infatti aperto anche un sito internet

Mamma Mària oggi compie gli anni.
E se la conosceste, capireste perché Mario è venuto su così.
Così bene, intendo.

Mario, quando cantava nel locale, cantava tante canzoni, ma quando Mamma Mària andava a sentirlo lui le cantava sempre una canzone.
E adesso che Mario non canta più glie la mette qui, che non è la stessa cosa, ma va bene lo stesso.
Tanto lei se lo ricorda come glie la cantavo.



24 dicembre 2004

Buon natale

Ho chiesto una giornata di 48 ore.
L’ho avuta.
Nel senso che ho lavorato 48 ore ininterrottamente senza mai alzarmi dalla sedia per consegnare un video la cui proiezione è stata rovinata da un proiettore di merda e un audio inascoltabile.
Un lavoro buttato nel cesso.

Oggi è natale e quindi siamo felici lo stesso.
I bambini di una scuola elementare mi hanno fatto un regalo bellissimo.
Ma non lo fotografo.
È mio.
Buon Natale.
Tra di voi ci sono davvero belle persone.

Un “Buon Natale” speciale a Lorenza.
Se il mio 2004 è stato così bello è anche grazie a lei.
Che merita il mondo più bello che ci sia, intorno a se.
Di cuore.
A una donna dal cuore grande.

15 dicembre 2004

Brevi consigli non richiesti

Non fare la cazzata di non chiamarmi solo perché pensi che non sarebbe giusto.
Io non farei la cazzata di fartelo notare.

11 dicembre 2004

(s)tornello

Aò… sto a’bbloggà d’a’capitale…
…che da quanno sò uaireles da’a’terza generazione 'n me ferma più nemmanco na'montagna!
So treggionni che stoqquà e già so’rrivati manco penniente Pitte Demòn Dddeniro e nartro paro demmerigani che si nun vengono ‘n cinque a compensà a gloria mia, qui se perdono li punti.

Abbellezza mia un’l’hovvista…
L’artrabbellezza mia manco…
A terza neppure…
Quimme stanno a’abbandonà tutte.
Pure l'ecs che staqquà pure lei peccaso m'ha evitato.
ciavrò a'peste.

Ce sò vvenuto n'zacco de vorte emmò c'hoppure li ricordi de la donna mia.
Che quelli n'me li leva manco lei chemm'evita.
Ciaddafà...m'haddetto.
Vabbè.
Ce credo, vah.
Pur'io...del resto... ciòddafà.

Però l’artra sera dar tassì ho visto Cesare, quello ca’a’esse de sapone.
Era lui! Ggggiuro!
C’aveva pure a’biga.
Er colosseo, er barcarolo quelo che va controcorente e a trattoria quella chettedanno da magnà’mmezzo a li politici quelli der magna magna appunto.
Ora sto’n’cammera a’aspettà er collega mio che m’haddetto che pè ccenà ce se vede tra cinque, e me vabbene perché n’effetti c’ho ‘na certa.
Eddomani se ritonna a’ccasa.

Però… se devo dire ‘e cose vere…
Roma cò li occhi ne li occhi tuoi è n’artra cosa proprio.
Scusa pe lì messaggi... 'nte volevo d'assillà.
è che Roma ettùa.
e ammè ma rimembrerà sempre er Pincio, aggiòstra,
e n’areo che n’ciavevo voglia de pià.

9 dicembre 2004

Per carità

Che fine ha fatto la gente normale? Perché il fondo non è mai quello che si vede? Dove sono le persone valide? Dov’è il limite del peggio? Dove sono i giorni in cui una persona ti ascolta davvero? Perché l’aiuto non ha più valore? Dov’è finito il lato umano? E la bontà vera? Chi ha visto dove si nasconde la verità? Quando gli occhi della gente hanno smesso di guardare? Quanta terra serve per sotterrare un vivente? Quanto si deve bere per avere fame? Perché la gente quando trova una porta chiusa cerca sempre di sfondarla? Quando gli uomini hanno smesso di vivere la propria vita per dedicarsi alla distruzione di quella degli altri? Dove si nasconde l’onore? E il rispetto? Ti sembro un albero? TI sembro un albero io? E allora perché pensi di poter venire a farti ombra sotto i miei imponenti rami? Pensi sia un diritto? Ho cuori incisi a decine su di me, con lettere dentro tra le quali la mia a volte nemmeno c’è e infallibili frecce a ricordo. Ma non sono albero per questo. Ho cerchi evidenti, anelli traditori di verità, anelli scoperti a protezione di anelli precedenti. Ma non sono albero per questo. I tuoi soldi sono fatti con carta ricavata dalle mie fibre. Questa è l’unica cosa che ci accomuna. Io cedo fibre alla gente come te. E la gente come te ci fa carta. C’è chi ci disegna sopra come se fosse preziosa carta artistica, c’è chi ne fa post it da attaccare al monitor, chi ci scrive poesie per la donna amata, c’è chi ci incarta il salame, c’è chi ci dipinge paesaggi da sogno e chi ci scrive la lista della spesa. E c’è chi come te ci sa solo stampare soldi in un percorso che non capirà mai essere irreversibile. Questo rende i ricchi vulnerabili. L’amaca per essere comoda ha sempre bisogno di ben due alberi solidi. E l’amaca è bella. L’amaca è comoda. Puoi anche comprarla fatta a mano con fili dorati in un viaggio in tibet. Hai notato che in messico vendono milioni di amache? Hai mai visto un solo albero in vendita? Questo rende i ricchi vulnerabili. Comprano anche le risposte. A forma di amache hi-tec in paradisi artificiali dove vi hanno venduto l'illusione di boschi in carbonio e cinguettanti cd new age serviti da buddha in persona, vi hanno detto, come aperitivo, tra altri alberi come voi incapaci ormai definitivamente di dar dimora alle fate. Belli, i vostri sostegni in elastico carbonio, belli. Vi vendono risposte a forma di amache hi-tec ogni giorno a voi ricchi e vi mandano allo sbaraglio, spiegandovi che se non trovate alberi nel vostro giardino vi potrete sempre comprare il “sostituisci i due alberi secolari se non sei capace di coltivarli - beghelli”. E voi dondolerete tutta la vita, soddisfatti, sprezzanti, mostrando la sicurezza di chi riesce sempre a dondolare, incapaci di vedere che se non vi appendete a qualcosa cadete. È bello superarmi al semaforo. Suona si, suona che è verde. Scusa se la mia 500 non solo non va da zero a cento in quattro secondi, ma nemmeno li ha mai visti i cento. Suona la tua bella canzone papparappà. Passa avanti che se no ti tocca incazzarti col concessionario. Corri, corri a tagliare l’aria. Corri che oggi iniziano saldi abbigliamento. Svendita totale divise crocerossa. Corri ricco corri. Magari trovi la tua misura. La mia non l’hanno voluta nemmeno indietro. “Non vende” mi hanno detto. Troppo strappata pare.
I ricchi, dicono, vogliono perfette anche queste.
Per vestire la mia strappata non servono soldi ma una dignità senza prezzo.
La ricevuta per l’acquisto del tuo posto in paradiso non porta il mio nome.
Non sarai mai come me.
Con i miei vestiti dismessi, al massimo, quelli come te ci rifanno carta.
Quella che gli alberi li ha stampati sopra a costante memoria.
Esposta in altari di preziosa ceramica.
Attaccati al muro.
Alla sinistra del tuo dorato cesso.

Stai lontano da mio fratello.
Stai lontano da me.
Quelli come te me lo stavano uccidendo.
Non gli servono i tuoi soldi.
Gli serve imparare a non vergognarsi di non averli.
E ad avere, finalmente, il salutare disprezzo per quelli come te.

Ti monetizzo il problema?
Sopravvivenza.
Pane e acqua.
Al massimo 3 euro.
Non ci serve un camion di pane, grazie.
Quella che sulle mie mani hai scambiato per cocaina, credimi, è farina.

5 dicembre 2004

Nei pensieri

Mario certe notti sognava Mario Senior.
Quella notte infatti Mario l’aveva sognato.
In realtà non aveva sognato lui, ma solo una casa in un bosco tutta di legno che lui sapeva che era di Mario Senior anche se non sapeva perché.
Quando Mario sognava Mario Senior non si svegliava triste, ma si svegliava felice, perché aveva incontrato Mario Senior.
In fondo, pensava Mario, l’aveva visto così poco che una volta in più era una cosa bella, non brutta.

Mario Senior aveva insegnato a Mario che certe volte quando si è lontani basta il pensiero e allora Mario aveva imparato a fare i pensieri.
“Mario Senior” per esempio era un pensiero.
“Mària” era un pensiero.
Mario stesso era un pensiero.
Tutti pensieri.
Mario era cresciuto facendo i pensieri.

Quando erano lunghi, da piccolo, li scriveva e prendeva i bei voti, anche una medaglia una volta.
Perché per Mario i pensieri erano davvero e allora quando gli dicevano “Scrivi un pensiero” lui scriveva le cose vere e tutti dicevano “Eh…che belli i pensieri” e lui pensava “Sono veri”.
Mario tutte le cose belle le aveva sempre avute tutte nei pensieri e quando gli chiedevano “Dov’è papà?” lui diceva “Nei pensieri” e tutti dicevano “Mi dispiace” e lui pensava “Perché?”.
Come quando lui diceva che nei suoi pensieri era felice e tutti gli dicevano “Non devi sognare” e lui pensava “Perché?”
Come quando lui diceva che nei pensieri Mària era bellissima.
Come quando lui diceva che nei pensieri Mario Bros guariva e stava bene.
E tutti pensavano che era sbagliato avere il mondo bello nei pensieri e Mario non riusciva a far capire che lui nei pensieri ci era cresciuto e che non era finto per questo, perché era vero per questo.
Come quando aveva Mario Senior nei pensieri.
Tutti non capivano Mario e Mario non capiva tutti.
E tutti per far capire a Mario che sbagliava gli dicevano “Perché nei pensieri ci sono i sogni” e lui pensava che era per quello che non sbagliava.
E infatti certe notti Mario sognava Mario Senior ed era contento perché era come quando lo andava a prendere per portarlo in giro sulla moto.
Quella volta Mario l’aveva sognato un giorno che era sabato.
Perché Mario era abituato così, a vederlo il sabato.
E continuava a vederlo il sabato.
Mario quando vedeva una cosa bella la metteva subito nei suoi pensieri e la faceva diventare bellissima, così ogni volta che l’avrebbe pensata sarebbe stato felice perché era una cosa bellissima.
Mario aveva messo la sua casa nei suoi pensieri e l’aveva fatta diventare bellissima.
E anche se non era vero alla fine la sua casa la vedeva bellissima.
E quindi era bellissima.
Mario aveva messo la sua famiglia nei suoi pensieri e l’aveva fatta diventare bellissima e alla fine era diventata bellissima.
E quindi era bellissima.
Mario aveva messo Mària nei pensieri e l’aveva fatta diventare bellissima e alla fine Mario la vedeva bellissima.
E quindi era bellissima.
Mario lo sapeva che non sbagliava.
Lo sapeva nei suoi pensieri.
Dove Mario Bros guariva, dove lui incontrava Mària, dove Mario Senior andava a trovarlo il sabato.
Come stanotte.
Che Mario si è svegliato bene.
Quindi non sbagliava.
Tutti gli altri si.

Mario pensava che chi divideva i pensieri dalle cose vere era sfortunato.
E che era per quello che tutti i giorni erano sempre arrabbiati.
Mario non era mai arrabbiato.
Nei pensieri lui era felice e per lui i pensieri erano le cose vere.
E quindi era felice.
Mario no, non sbagliava.
Anche se tutti cercavano di dirgli che sbagliava.
Forse erano invidiosi, perché Mario era l’Imperatore delle Galassie.

a Mario,
cresciuto su un trono.
che quando veniva toccato, si muoveva da solo.
e che per questo era magico davvero.
e che per questo, lui era felice.
davvero.