17 novembre 2006

Ana

Aggiornamento:
Dopo diversi giorni di discussione generati da questo mio post come da tutti gli altri scritti da molti, è comparso in rete questo.

Chi ha da sempre la pazienza di leggere le mie enciclopediche produzioni, la usi per una volta per un motivo davvero valido: La rara possibilità di gettare lo sguardo attraverso quello spriaglio che molti auspicano e che stasera si è aperto.
Volevo metterlo alla fine, il link, accanto agli altri due, a dimostrazione che ci sono cancelli chisui e cancelli aperti e del perché tra i due siano indispesabili percorsi che nulla hanno a che fare con la volontà di aprirli di chi ci passa davanti.
Ma poi ho pensato che quasi tutti qui l'hanno già letto e per questo il link sarebbe passato inosservato, poiché ormai si va diretti ai commenti.
Così ho deciso d metterlo qui all'inizio, in modo che sia visto sia dai nuovi che arrivano mandati dai vari link messi in giro, che da chi ormai questo post non lo legge più e certamente non fino in fondo.
Perché un post come quello che ho linkato, andrebbe letto da tutti.
Tutti.
Soprattutto tutti coloro i quali pensano che anoressia significhi voglia di assomigliare alla modella bella.
Quindi quasi tutti.

È morta Ana, Ana è viva.

Quant’è passato, da quando ne abbiamo parlato con gli amici, una settimana?
Ma non si parlava del disturbo, però, no.
Del disturbo se ne parla seriamente forse tre, quattro volte nella vita.
Se se ne parla di più è perché non la si è mai vissuta.
Chiunque l’abbia vista, direttamente o indirettamente, sa che non può essere raccontata, mai completamente.
Perché mai completamente si crede di averla capita.
Ci si porterà sempre dietro il dubbio di essersene persi qualche pezzo, qualche nodo, qualche traccia, forse.
Quando la si è vissuta, quando la si è amata, quando la si è subita, se ne rimane per sempre in prossimità, mai dentro e per questo si sente di non essere in grado di raccontarla.
È come il diavolo, per chi ci crede.
Chi ne è impossessato non lo sa, non ne è cosciente, ne è solo strumento e vive la manifestazione del possesso come naturale perché sono le sue braccia a muoversi, le sue gambe, i suoi occhi, la sua mente il cui controllore suggerisce naturalezza e volontarietà.
Chi ne guarda da fuori la possessione ha come unico fine quello di fermarla prima possibile perché le manifestazioni sono dure, sono violente, sono atroci, lo fa per liberare la posseduta o il posseduto ma ha come fine la immediata liberazione dalla manifestazione, da quella parte visibile così brutta, così scomoda da avere vicino, così dolorosa da guardare.
Non è quello.
Ana non è quello.

Ana è rapporto, non è alimentazione.
Non credete alle trasmissioni tv che dicono che è un disturbo dell’alimentazione, non lo è, non è vero.
Il disturbo dell’alimentazione di Ana è come la bava bianca del posseduto, un effetto, non la causa, un modo di manifestarsi agli occhi di chi è intorno, un favore che si fa a chi da fuori vuole sapere cosa succede.
Non te lo dicono.
Non te lo dicono perché non lo sanno, cosa succede dentro.
Non lo sanno perché in quel momento non sono in loro, sono possedute.

Ana è un nodo di quando avevi sei anni, un incidente di quando ne avevi dieci, uno sguardo di tuo padre, una mano di tuo zio sulla gamba, Ana è paura che ti facciano di nuovo male, che ti lascino di nuovo da sola in una stanza senza porte, che ti scompaia di nuovo la voce, che ti si allaghino di nuovo i polmoni, Ana è la paura di non ricordare le tabelline, è incapacità di memorizzare apprendimenti dai propri errori, è incapacità di crescere perché gli errori diventano ulteriori cause e non correzioni di rotta, sono mattoni uno sull’altro sempre più pesanti, non è alimentazione è paura, vera, viscerale, così profonda da non manifestarsi più esteriormente perché troppo lungo è il percorso neuronale che compie lo stimolo prima di arrivare ai recettori, parte tipo dieci anni prima, è dolore sordo a se stessi.

No, non ne ho sofferto.
L’ho amata, però.
Per anni.
Il senso di sconfitta che amare Ana ti schiaccia dentro è inimmaginabile, irraccontabile.
Si guarda per minuti, per giorni, per mesi, il tuo amore che si spegne lentamente o che si attorciglia su se stessa per il dolore di mille anni fa.
No, con gli amici non si parlava di questo, infatti.
Non si parla di questo con nessuno.

Solo con chi lo vive, se vuole, altrimenti si lascia perdere, gli altri non possono capire, nemmeno gli psicologi possono capire, loro quando hanno davanti Ana hanno davanti la sua parte docile, quando attacca non avvisa, non puoi prendere appuntamento, non ti scrive un rapporto da pubblicare, ti si sdraia davanti quando meno te lo aspetti, sul pavimento, e comincia a tremare con la gola strozzata dalla paura e tu puoi solo guardare e chiederti a cosa serva amare, a cosa serva davvero, ti chiedi, se non salva.
Anzi, peggiora.
Questa è la cosa più dura.
Amare Ana peggiora.
Non bisogna amarla, bisogna ucciderla.
Tanto prima o poi posseduto o possessore muoiono, uno dei due, non si scappa, quando sembra passata è solo tregua ma è sempre lì, torna, se non la uccidi.

Si parlava con gli amici di Ana.
Non lo sapevano loro che c’era in giro questa ragazza, glie l’ho raccontato io.
Gli ho raccontato di Ana la blogger, perché la leggo da sempre e da sempre mi faccio una domanda.
Mi chiedo se e quando si può parlare di responsabilità morale.

Non lo sa nessuno.
Parlano tutti di Ana che è morta oggi, i giornali sono pieni di inchieste e di dati e tutti allarmati parlano di moda e non sanno nemmeno come la chiamano le ragazze quando parlano tra loro, tanto poco ne sanno di questo mondo e infatti da nessuna parte leggi di questa assurda coincidenza di Ana che è morta per colpa di …Ana.
No, tutti intenti a mostrare video di sfilate, tutti a dire che il problema è che vogliono assomigliare alle modelle e invece no, il nodo non è a chi vogliono assomigliare ma a chi NON vogliono assomigliare, è lì il punto di partenza, a volte un padre, a volte una madre, a volte un nemico, a volte se stesse, NON guardate a chi vogliono somigliare, se lo fate non capirete mai.

Il mondo dei blog, come per mille altri circuiti che fino a ieri erano nascosti e resi di difficile interscambio a causa dell’unico sistema di comunicazione che era quel passaparola ostacolato però dalla vergogna e dalla clandestinità, ha dato una casa al mondo di Ana.
Come ha dato modo ai nazisti di trovarsi più facilmente, ai pedofili di raggiungere prima le loro vittime, ha dato modo a migliaia di Ana di trovarsi senza doversi mostrare, senza doversi dichiarare, senza dover uscir di casa, gli ha tolto il problema che fino a ieri per alcune è stata la salvezza: l’assenza di complicità.
Esiste in rete un circuito vero e proprio di migliaia di Ana che grazie ai blog possono trovarsi, parlare tra loro, sostenersi a vicenda, insegnarsi a vicenda il modo più veloce per dimagrire, la miglior dieta lampo trovata e provata.
Perché i blog hanno questo di terribile, danno modo a chi ha provato, di suggerire a chi ancora no.
E leggendo i loro blog scopri centinaia di ragazzine che si applaudono quando una di loro scrive di essere finalmente scesa sotto i 30 chili e leggi di come questa diventi il loro idolo e il loro riferimento della settimana e come ogni idolo vedi la ragazza diventare testimonial dell’ultimo trucco, un cucchiaino di aceto la mattina ti toglie la fame per parecchie ore “provate a me è servito a non mangiare e guardatemi guardate quanto sono riuscita a perdere” e post su post con il conto delle calorie con una gara tra loro a chi riesce ad arrivare a sera con la somma inferiore alle altre, arrivare a sera viva, s’intende, perché i consigli se li scambiano perché servono consigli per arrivare più vicini possibile al limite e i consigli s accettano da chi è più vicina a quel limite.
Ana è la loro amica.

C’è ancora un po’ di senso del pudore, nelle parole di queste ragazze.
Lo sanno che non possono chiamarla con il suo nome e allora tra di loro la chiamano Ana.
Quando trovate un post che racconta della “Mia amica Ana” o “Stasera sono stata a casa con Ana” stanno parlando del loro disturbo.
Ne parlano come fosse una amica, una compagna, una complice, le aiuta a vederla come una presenza bella, positiva, rassicurante.
E allora io da un po’ mi chiedo, e ai miei amici l’altra sera ho chiesto, come si sentano i proprietari di una piattaforma che è diventata un terreno di scambio per consigli su come uccidersi più velocemente.
“Non possiamo controllarli tutti” mi risponderebbero sicuramente dalla redazione.
Bella scusa.
Basta digitare Ana nel motore di ricerca di splinder, per trovarle tutte una per una, non serve un investigatore.
Basta dedicare ogni giorno un’ora a fare una ricerca e chiudere tutti quelli che trovi, in una settimana hai levato loro uno strumento.
Risolto il problema?
No, non sono così stupido, ma almeno gli hai reso più complesso il cammino e se si spostano convincerai gli altri a fare lo stesso.
Fatelo.
Provate a leggerne un paio e a guardare le foto che postano, poi ditemi se la domanda non è legittima.
Quando cominceranno a morire ragazzine con il blog aperto e qualcuno scoprirà quanto questo scambio di informazioni abbia accelerato il processo, quanto abbia evitato che qualcuna di loro magari non riuscisse, vuoi per incapacità, vuoi perché nel frattempo aiutata da qualcuno, a uccidersi, la domanda sarà ancora assurda?
La domanda. Intendo, che mi faccio io da tempo.
Quando morirà una blogger, chi sapendo cosa scriveva e potendoglielo impedire non l’ha fatto, chi ha per giorni e mesi e anni ospitato le lezioni su come uccidersi a 13 anni, stando a guardare e dicendosi impossibilitato a fare qualsiasi cosa perché non è suo compito, sarà in grado di chiamarsi fuori dalle responsabilità di chi quella morte non ha fatto nulla per impedirla?
Quando si sente di un aspirante suicida salvato dalla ragazza di turno con la quale stava chattando che ha chiamato la polizia appena intuito cosa stava per fare, la ragazza che denuncia viene definita “Salvatrice” nessuno si sogna di denunciarla per violazione della privacy, lei chiama la polizia, la polizia rintraccia, la polizia salva, perché con queste bambine destinate a non diventare grandi non dovrebbe valere la stessa autorizzazione a violarne la privacy, quando quel non violarla significa essere loro complici nel tenere tutto nascosto ai loro stessi genitori che invece magari sapendo, le avrebbero aiutate e in alcuni casi salvate?

Leggetevi questo, commenti compresi e guardatevi queste foto.

Poi ditemi se stare a guardare è possibile.

Qui, il complesso sistema per individuarle.

7 novembre 2006

Passerà

Sono lì, da giorni.
Tutti disposti sul tavolino, uno accanto all’altro a far bella mostra.
Si, è perché manca la libreria, ma un po’ anche per star lì a far bella mostra.
Sono lì che mi guardano da giorni, uno accanto all’altro, un ordine cronologico casuale, che importa quale è nato prima e quale dopo?
Che per caso gli altri ricordano i consigli dei genitori in ordine cronologico?
Se ne sfoglia la fodera, come fosse una cipolla, e se ne conserva il nucleo.
Di quella volta là, quella volta che tuo padre si accorse che qualcosa dentro nasceva, per la prima volta soffrivi, per la prima volta decise di chiudere un occhio su quel ritardo non comunicato.
Ché gli uomini sono tutti tornati in ritardo, erano loro che facevano avanti indietro vai a prenderla accompagnala prendila portala aspettala devo essere a casa entro mezzanotte si va bene sarai a casa per mezzanotte anch’io dovrei solo che alle undici e cinquantanove siamo stati capaci di baci che valevano quel niente cavallo a dondolo il natale dopo e tutti i quest’anno cavallo a dondolo precedenti.

Noi si combatteva per il rapporto buono con la famiglia delle nostre donne, ma non tra noi e quella famiglia, ma tra la sua famiglia e lei, noi si arrivava in ritardo per non fare arrivare in ritardo lei, noi si veniva cazziati dai nostri perché non venisse cazziata lei dai suoi, chissà se l’avete mai capito, questo, quando ci dicevate che per ciò che si ama bisogna combattere, c’eravate mica, voi, quando noi stavamo in piedi in sala a mezzanotte e mezza a trovare motivi per non star lì a discutere che più si stava lì e più sfumava il profumo dalle mani che per tutto il viaggio in macchina avevamo protetto dai finestrini e dal fumo per poterlo portare a letto con noi, mentre voi da mezz’ora già dormivate coccolate da genitori orgogliosi di voi pronti al sorriso la mattina a colazione.
Bisogna combattere per ciò che si ama ti disse quella volta là tuo padre quando capì che tra tutte le sere quella era la più dura, la prima, stai sveglio mezz’ora in più, tanto non dormi lo stesso, ci vediamo domani.
Oh.
Ehi.
Ehi.
Passa, credimi.
Ricordati di spegnere la luce in cucina.
Dopo quindici anni di quella sera hai tolto lo strato sul quale avevi dipinto sua mamma e quella sua faccia “è arrivato” quando ti apriva la porta e finiva la frase di spalle ed era difficile comprendere due posizioni così opposte in una frase tanto breve eppure per te lo sforzo lo faceva ci teneva che la vedessi di spalle, ci teneva proprio, quelle poche volte che non apriva quando eri ancora giù per avere il tempo di tornare di corsa davanti alla tv e farsi trovare di spalle sul divano al tuo passaggio tra il fuori e quella stanza, hai tolto lo strato colorato del colore di quel maglione che non era tuo, che non era suo, che non era più tua.
Hai tolto i semafori rossi al ritorno, la musica a palla, la chiave non entra, è l’altra.
Hai tolto il suo nome, i pacchetti a natale, i biglietti d’amore scritti la sera prima di dormire da darle all’ingresso della scuola nel rito dello scambio con il suo da mettere nella smemo, smemorato hai tolto tutto, hai tenuto solo quel profumo sulle mani e tuo padre che ti dice passerà, era vero, quel profumo, era vero, sarebbe passata, questo conservi, sei cresciuto, quella sera in quella mezz’ora sveglio sei cresciuto con quel passerà.
Tu.
Io ho solo il profumo.
Quei libri sono lì, mi guardano e mi dicono ascoltaci, passerà.
Cosa? Chiedo loro.
Non lo sappiamo, qualsiasi cosa, scegli tu, passerà.
Io non lo so se è così, ma ho sempre pensato che chi traduce non su commissione, un po’ scriva.
Ché alla fine se sei tu a scegliere cosa tradurre, leggendo le tue traduzioni si possono leggere i tuoi pensieri, ciò che sognavi, quello che chiamavi bello, quello che ti emozionava, quello che volevi che gli altri sapessero, ascoltassero, imparassero.
Io così ho sempre letto i tuoi libri.
Con la curiosità di chi da ogni pagina ricava un pezzo di quell’anima che non ha mai visto la sera a dirgli che sarebbe passata, quando credevo che non sarebbe mai passata.
Oggi lo so, lo so per esperienza, me l’ha spiegato il tempo, le volte, non esiste un’ultima volta.
Oggi li leggo per conoscerti, per sapere cosa mi avresti detto se fossi stato lì quella sera.
Mi guardano dal tavolino, tutti lì disposti in modo che si vedano tutti senza che nessuno copra l’altro, una cornucopia tutta mia pronta a darmi tutti i perché, i quando, i cosa, i chi sei, i passerà.
Ne ho scelto uno subito, quello che aspettavo più di tutti.
Lo aspettavo perché è l’angolo più nascosto, più personale, quello che nemmeno se ci fossi stato avrei visto, quello intimo, quello animale, l’unico vero, l’unico utile per conoscere una persona, per conoscerla davvero.
È pieno zeppo di passerà.
Vigliacco, li avevi.

"Se nelle arti d’amore non hai talento,
Darai solo inutili dispiaceri.
Al buio la bellezza non si vede;
In battaglia non serve essere poeta.
Se non sai che dire vane parole,
Perché ti rechi a un incontro galante?
Se dalla natura vuoi uno strumento adatto all’amore,
Dovresti poter decidere tu le sue dimensioni.

I versi cinque e sei contengono un’espressione idiomatica che richiama un episodio dell’antichità cinese; abbiamo preferito tradurre solo il senso. L’episodio richiamato dice che il re Xiang salì sul monte Wu e a un certo punto si stancò e si addormentò. A un tratto gli apparve una fata e gli disse che era la signora del monte Wu. Si coricò con lui e al momento di andare via gli disse: “All’alba regno sulle nuvole del mattino, a sera chiamo la pioggia”. Per questo in cinese si usa anche Yum Yu, “nuvole e pioggia”, come eufemismo per indicare i rapporti sessuali."

Li Yu - Il tappeto da preghiera di carne. Racconto erotico cinese d'epoca Qing
A cura di Edi Bozza
Oscar Mondadori