7 novembre 2006

Passerà

Sono lì, da giorni.
Tutti disposti sul tavolino, uno accanto all’altro a far bella mostra.
Si, è perché manca la libreria, ma un po’ anche per star lì a far bella mostra.
Sono lì che mi guardano da giorni, uno accanto all’altro, un ordine cronologico casuale, che importa quale è nato prima e quale dopo?
Che per caso gli altri ricordano i consigli dei genitori in ordine cronologico?
Se ne sfoglia la fodera, come fosse una cipolla, e se ne conserva il nucleo.
Di quella volta là, quella volta che tuo padre si accorse che qualcosa dentro nasceva, per la prima volta soffrivi, per la prima volta decise di chiudere un occhio su quel ritardo non comunicato.
Ché gli uomini sono tutti tornati in ritardo, erano loro che facevano avanti indietro vai a prenderla accompagnala prendila portala aspettala devo essere a casa entro mezzanotte si va bene sarai a casa per mezzanotte anch’io dovrei solo che alle undici e cinquantanove siamo stati capaci di baci che valevano quel niente cavallo a dondolo il natale dopo e tutti i quest’anno cavallo a dondolo precedenti.

Noi si combatteva per il rapporto buono con la famiglia delle nostre donne, ma non tra noi e quella famiglia, ma tra la sua famiglia e lei, noi si arrivava in ritardo per non fare arrivare in ritardo lei, noi si veniva cazziati dai nostri perché non venisse cazziata lei dai suoi, chissà se l’avete mai capito, questo, quando ci dicevate che per ciò che si ama bisogna combattere, c’eravate mica, voi, quando noi stavamo in piedi in sala a mezzanotte e mezza a trovare motivi per non star lì a discutere che più si stava lì e più sfumava il profumo dalle mani che per tutto il viaggio in macchina avevamo protetto dai finestrini e dal fumo per poterlo portare a letto con noi, mentre voi da mezz’ora già dormivate coccolate da genitori orgogliosi di voi pronti al sorriso la mattina a colazione.
Bisogna combattere per ciò che si ama ti disse quella volta là tuo padre quando capì che tra tutte le sere quella era la più dura, la prima, stai sveglio mezz’ora in più, tanto non dormi lo stesso, ci vediamo domani.
Oh.
Ehi.
Ehi.
Passa, credimi.
Ricordati di spegnere la luce in cucina.
Dopo quindici anni di quella sera hai tolto lo strato sul quale avevi dipinto sua mamma e quella sua faccia “è arrivato” quando ti apriva la porta e finiva la frase di spalle ed era difficile comprendere due posizioni così opposte in una frase tanto breve eppure per te lo sforzo lo faceva ci teneva che la vedessi di spalle, ci teneva proprio, quelle poche volte che non apriva quando eri ancora giù per avere il tempo di tornare di corsa davanti alla tv e farsi trovare di spalle sul divano al tuo passaggio tra il fuori e quella stanza, hai tolto lo strato colorato del colore di quel maglione che non era tuo, che non era suo, che non era più tua.
Hai tolto i semafori rossi al ritorno, la musica a palla, la chiave non entra, è l’altra.
Hai tolto il suo nome, i pacchetti a natale, i biglietti d’amore scritti la sera prima di dormire da darle all’ingresso della scuola nel rito dello scambio con il suo da mettere nella smemo, smemorato hai tolto tutto, hai tenuto solo quel profumo sulle mani e tuo padre che ti dice passerà, era vero, quel profumo, era vero, sarebbe passata, questo conservi, sei cresciuto, quella sera in quella mezz’ora sveglio sei cresciuto con quel passerà.
Tu.
Io ho solo il profumo.
Quei libri sono lì, mi guardano e mi dicono ascoltaci, passerà.
Cosa? Chiedo loro.
Non lo sappiamo, qualsiasi cosa, scegli tu, passerà.
Io non lo so se è così, ma ho sempre pensato che chi traduce non su commissione, un po’ scriva.
Ché alla fine se sei tu a scegliere cosa tradurre, leggendo le tue traduzioni si possono leggere i tuoi pensieri, ciò che sognavi, quello che chiamavi bello, quello che ti emozionava, quello che volevi che gli altri sapessero, ascoltassero, imparassero.
Io così ho sempre letto i tuoi libri.
Con la curiosità di chi da ogni pagina ricava un pezzo di quell’anima che non ha mai visto la sera a dirgli che sarebbe passata, quando credevo che non sarebbe mai passata.
Oggi lo so, lo so per esperienza, me l’ha spiegato il tempo, le volte, non esiste un’ultima volta.
Oggi li leggo per conoscerti, per sapere cosa mi avresti detto se fossi stato lì quella sera.
Mi guardano dal tavolino, tutti lì disposti in modo che si vedano tutti senza che nessuno copra l’altro, una cornucopia tutta mia pronta a darmi tutti i perché, i quando, i cosa, i chi sei, i passerà.
Ne ho scelto uno subito, quello che aspettavo più di tutti.
Lo aspettavo perché è l’angolo più nascosto, più personale, quello che nemmeno se ci fossi stato avrei visto, quello intimo, quello animale, l’unico vero, l’unico utile per conoscere una persona, per conoscerla davvero.
È pieno zeppo di passerà.
Vigliacco, li avevi.

"Se nelle arti d’amore non hai talento,
Darai solo inutili dispiaceri.
Al buio la bellezza non si vede;
In battaglia non serve essere poeta.
Se non sai che dire vane parole,
Perché ti rechi a un incontro galante?
Se dalla natura vuoi uno strumento adatto all’amore,
Dovresti poter decidere tu le sue dimensioni.

I versi cinque e sei contengono un’espressione idiomatica che richiama un episodio dell’antichità cinese; abbiamo preferito tradurre solo il senso. L’episodio richiamato dice che il re Xiang salì sul monte Wu e a un certo punto si stancò e si addormentò. A un tratto gli apparve una fata e gli disse che era la signora del monte Wu. Si coricò con lui e al momento di andare via gli disse: “All’alba regno sulle nuvole del mattino, a sera chiamo la pioggia”. Per questo in cinese si usa anche Yum Yu, “nuvole e pioggia”, come eufemismo per indicare i rapporti sessuali."

Li Yu - Il tappeto da preghiera di carne. Racconto erotico cinese d'epoca Qing
A cura di Edi Bozza
Oscar Mondadori

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