27 aprile 2009

Chiù'ppilu pe' tutti!

Indovina indovinello:

Una delle protagoniste di questo video sta per essere candidata alle europee per il PdL.
Quale?

Un indizio:
"[...]Passiamo da una Forza Itaia prettamente anarchica con ovviamente un grande Re[...]"


25 aprile 2009

Anti(pa)cipAzione

Volete sapere quale sarà la prossima emergenza che seguirà il solito iter "media preparano-DL interviene-media approvano"?
Bande minorili.
E il DL si occuperà di limitare la possibilità di aggregazione.

Poi non dite che non ve l'avevo detto.

22 aprile 2009

Se questa casa non ha più pareti ma alberi, alberi siano

Nel 2010 saranno esattamente venti anni di lavoro, venti anni nei quali non c’è stato un solo giorno, uno solo, sotto padrone né con un qualsiasi tipo di contratto che non fosse la parola mai scritta.
Vent’anni di strette di mano, anche per rapporti di qualche anno, mai una firma o un foglio a forma di salvagente.

Non so come ci sia riuscito, certo un mix di fattori non tutti dipendenti soltanto da me stesso.
Per esempio un bel ruolo non può che averlo avuto la fiducia concessami nel tempo, perché se è vero che non ho mai avuto alcuna garanzia scritta per tutelarmi dalle cazzate di chi mi stava sopra, è anche vero che loro a loro volta non hanno mai avuto alcuna garanzia a tutela degli eventuali danni delle mie.
Dopo vent’anni posso permettermi un piccolo bilancio intermedio rispetto a questa cosa della tutela scritta, un bilancio che vantando un monte-cazzate (reciproche) pari a zero, mi rivela che in assenza di armi certe, si finisce col non cercare mai di spararsi a vicenda se non in pochi rari casi di livello umano troppo basso per far statistica.

Venti anni così però un problema lo creano ed è un problema visibile solo se ci si sofferma a pensarci e dopo vent’anni l’ho fatto: ho realizzato che vent’anni così, se all’inizio sono una bella scommessa, quando consolidati e fattisi schema diventano uno schema irreversibile.
Io non sarò mai capace di lavorare sotto padrone.
Le libertà garantite da questo tipo di rapporto, che all’inizio sono solo velleità, a schema consolidato diventano l’unico schema possibile.

Ci pensavo ancora oggi, dopo l’ennesimo utilizzo della libertà più grande tra queste: la libertà di mandare affanculo chi pensa di starti sopra anche fisicamente.
Ci pensavo oggi, quando mi sono reso conto che in questi vent’anni ogni volta che nella mia mente è apparsa la parola “Vaffanculo” quella parola ha sempre e immancabilmente preso la via della bocca nel giro di uno al massimo due secondi, prezzo conseguente pagato sempre ma sempre e immancabilmente considerato inferiore al piacere della liberazione della parola.
Ci pensavo oggi quando mi sono reso conto che i secondi successivi alla parola, da sempre imbevuti di solo piacere, per un istante sono stati attraversati anche da una nuova e inattesa consapevolezza: a ogni vaffanculo io metto a rischio il domani.

Mi son chiesto il perché di questa novità, io che al domani in effetti ci pensavo già ieri pur liquidando la domanda con la risposta: andrà bene.
A colpi di esclusione ho capito che la novità è che il domani al quale pensavo fino a ieri era il mio domani e che quindi in quel domani avrei avuto da metterci solo e soltanto le mie scommesse, a oggi tutte vinte, mentre il domani al quale penso oggi è il nostro, nel quale le scommesse e gli azzardi cambiano il corso di due vite, non più solo della mia.

Io sono uno di quegli uomini noiosissimi ai quali piace dipingersi come provati dalla vita al punto da non voler più dire scemenze quali “Ti amo” più per l’affascinante immagine burbera che pensano di restituire di sé stessi, che per reale incapacità di pronunciarle, altro bilancio.
Poi mando affanculo qualcuno con la stessa velocità con la quale lo facevo ieri, ma a differenza di ieri sento di aver messo in qualche modo a repentaglio il futuro di qualcun altro che non sono io e a quel vaffanculo ci penso in maniera diversa, meno pancia piena, per un brevissimo istante vicina al concetto a me così estraneo di disponibilità al compromesso, se serve.

Non lo so se sarò mai capace di lavorare sotto padrone, né se sarò mai capace di tenermi in gola il prossimo vaffanculo, così come non lo so quando mi uscirà il prossimo “Ti amo”.
Quello che penso stasera è semplicemente una roba che se dovessi descrivere con uno dei miei divertentissimi (ridere, grazie) giochi di parole calembour parafrasi e giochi verbali vari ed eventuali assomiglierebbe a una roba tipo che sento la mia libertà pronta a finire anche domani, se mi si garantisce che in quell’esatto istante inizia la tua.

Nel mio sogno di amore una roba così non è ancora amore, ma se per la media delle persone questo è amore, allora facciamo che è amore.
Tanto è una convenzione, possiamo anche chiamarlo “bicchiere” (ri-ridere, grazie) ché la sostanza non cambierebbe e la sostanza è che a me della casa non me n’è mai fregato nulla e se oggi mi arredi e rubi e invadi ogni angolo davvero l’unica cosa che mi resta è che a oggi ogni angolo di spazio modificato mi è sembrato più bello di quando me ne occupavo io.
Con il futuro il discorso è più o meno lo stesso e quindi fai pure, male non fare paura non avere o mettersi d’accordo per averla uno dei due a turno così non sarà mai paura ma relax.
Ché se c’è una libertà che davvero io non mi sono mai potuto permettere è proprio quella di avere paura, quella oltre l’istante che la genera, quella riflettuta, quella che si prende il tempo necessario per rivelarsi interamente senza l’ansia di vederlo sottratto a quello necessario per risolvere.

Ecco, permettimi di avere paura per il tempo necessario per rendermi conto che se andrà bene non dipenderà solo dal mio non essermi distratto nemmeno un istante e io in cambio restituirò qualcosa che apparirà amore anche a me e non solo alla media della gente.
Perché amore per me è questo, il dare qualcosa mai dato prima e io “Ti amo” l’ho già detto e se c’è un’altra cosa che in tanti anni non ho mai fatto è il riciclare un regalo fatto a qualche ex e poi restituitomi perché non gradito e anche questo è purtroppo schema irreversibile.

Domani ho un’altra regia da fare, che significa qualche centinaio di ordini al secondo da dare a gente che deve attendere il mio tre due uno via pure per staccare le mani dalla consolle e bere un bicchiere d’acqua.
Trentasei anni passati a pensare dieci volte prima di bere anche solo un bicchier d'acqua non potevano che trasformarmi in uno la cui abilità più grande è la capacità di avere in testa contemporaneamente dieci teste non sue necessarie per fare una azione sola e conseguenza sapere esattamente quando avviare contemporaneamente venti mani non sue.
Questo mi rende così bravo nel mio lavoro, l'aver saputo rendere abilità la cosa peggiore che mi sia stata imposta.
Per questo non ho bisogno di garanzie scritte, ho capitalizzato una patologia psichiatrica in una società composta da malati di mente pieni di soldi; non mi mancherà mai il lavoro e anzi, più vaffanculo tiro e più lavoro avrò perché a 'sti malati di mente piace sapere di pagare uno squilibrato quanto loro, da loro l'impressione di poter controllare la loro stessa patologia per trasfer.

Ma se in tutto questo tornassi a casa portandomi in valigia il timore di scoprire che durante uno dei mie continui viaggi mi hai abbattuto una parete senza il mio permesso, non sarebbe un tornare a casa ma solo l’ennesima regia e invece io a casa ci voglio tornare per riposarmi, ché ne ho davvero bisogno.

Quindi se abbattere una parete quando sono via per lavoro ti fa sentire meglio, abbatti una parete.
(tre)
Il limite
(due)
è che non
(uno)
ti scopi il muratore
(ridere!)

Se per la media della gente questo è amore, allora facciamo che è amore.

‘notte da lontano.


19 aprile 2009

Emerge

Un effetto positivo per il paese, in ogni caso, il terremoto l'ha avuto:
Non vengono più stuprate decine di donne ogni giorno.

Non glieli avessero già tolti, i fondi per la ricostruzione avrebbero potuto prenderli dai, a questo punto inutili, centri di ascolto per le donne vittime di violenza.


11 aprile 2009

Generazioni

Un giorno, a casa di mia nonna, mi trovai con lei nell'attività che più di tutte offre i contorni esatti e netti del suo irreplicabile ruolo: guardavamo insieme la scatola delle foto di famiglia, la storia intera.

In mezzo a centinaia di foto, una precisa non potè che distinguersi tra le altre e attirare la mia attenzione per il soggetto così marcatamente diverso da tutti gli altri che, pur nelle ovvie differenze di epoca luogo e persone, erano accomunati da una costante quasi ovvia ma evidentemente non così tanto e cioè dal loro fotografare momenti di vita.
La foto che mi balzò all'occhio, e non poteva essere altrimenti, era la foto di una bara e di un carro funebre.

Sbigottito chiesi spiegazioni su quella foto.
Altrettanto sbigottita mi rispose che credeva, sbagliandosi, di averle buttate tutte.
Mi spiegò che quella foto faceva parte del servizio fotografico del funerale del nonno, morto quarant'anni fa.
"Hai fatto fare il servizio fotografico?" io sempre più allibito.
"No. Non me lo sarei mai sognato. A quei tempi funzionava così: c'era chi si presentava ai funerali e senza chiedere faceva un servizio fotografico. Dopodiché, giorni dopo la cerimonia, contattava i familiari e vendeva il servizio. Lo comprai solo per liberarmi di lui e non vederlo più suonarmi alla porta. Poi buttai tutto".

Stasera a Matrix, un Vinci sempre più vittima del destino infame che gli ha scaricato addosso un peso di diverse tonnellate superiore a quello da lui sostenibile, se n'é uscito chiudendo un servizio riassuntivo della settimana dicendo "Questi erano i momenti migliori della settimana".
Prontamente colto il trappolone, la quinta colonna in regia non lo risparmia e gli piazza in mano in chiusura di trasmissione la mail di un telespettatore che gli dice di vergognarsi, certa (la regia) che un solo uomo al mondo avrebbe saputo uscire da quella trappola in una maniera qualsiasi che non includesse le scuse pubbliche e quell'uomo non è lui.
Scuse con vergogna in diretta e lancio del servizio finale titolato "Per non dimenticare", con anticipazione del contenuto: tutti i nomi dei morti su immagini di città demolita.

Cinque minuti di nomi di morti e macerie.
Nero.
Sponsor.
Immobildrìm.
Non vende sogni, ma solide realtà.

Mia nonna non vota soltanto Berlusconi.
Mia nonna AMA, Berlusconi.
E, come direbbe Crozza, io vedo benissimo la relazione.

Per questo amo mia nonna qualsiasi cosa faccia e odio Berlusconi qualsiasi cosa faccia.

9 aprile 2009

La verità di io

Il problema è che non c’è la notizia.
La notizia, l’unica, è che c’è stato il terremoto.
Tolta quella, non c’è notizia.
C’è la notizia iniziale, seguita dalle conseguenze al fatto, che sono un’ovvietà.
Se uno si spara in testa, la notizia è che si è sparato in testa.
La conseguenza di quel gesto, la morte, non è una notizia.
Che a causa del terremoto siano crollati interi paesi non è una notizia, è un’ovvietà.
La notizia è tale quando alle caratteristiche standard di un evento si aggiungono elementi di novità e un crollo a seguito di un terremoto non è un elemento di novità.
Notizia sarebbe notizia di reato per chi li ha costruiti, ma dato che chi li ha costruiti sono le stesse imprese alle quali verrà quasi certamente affidata la ricostruzione, ciò che resta dopo che alla notizia viene tolta la parte che va taciuta, è la pura notizia dei crolli delle case ripetuta ogni giorno con ore e ore di riprese delle case crollate, che non sono una notizia.
Che a causa dei crolli ci siano state vittime non è una notizia.
Quando crolla un palazzo in ore notturne, che ci resti sotto chi quel palazzo lo abitava non è una notizia.
Ore e ore di servizi e di conte delle vittime non sono notizia.
Sono crollati interi paesi, che ci siano vittime non è una notizia.
Né è notizia il ritrovamento di superstiti, è statistica.
Un sopravvissuto estratto vivo non determina il ritorno in vita di chi è morto, non fa magicamente ricomporre i muri, non sposta di un millimetro lo stato delle cose.
C’è stato un terremoto, ci sono stati crolli, ci sono persone colpite dai crolli, tra esse c’è chi si è trovato sotto un muro portante e chi no e di conseguenza chi è sopravissuto e chi no.
Tolta la prima, il resto non sono notizie e non lo saranno nemmeno grazie alla ripetizione ossessiva, il meccanismo mediatico in questo caso non funziona e non può che generare ciò che sta generando: un terzo dell’italia nel quale sono presenti più giornalisti che operatori della protezione civile perché mentre i primi cercano sotto le macerie persone che forse ci sono, i giornalisti hanno l‘urgenza di trovare notizie che non ci sono e non ci saranno mai.

Non è una notizia lo sciacallaggio.
Stanno cercando di renderla tale perché altre non ce ne sono, ma resta che lo sciacallaggio non è una notizia.
Dovunque ci sia un cataclisma ci sono uomini coinvolti, dovunque ci siano uomini coinvolti ci sono differenze umane statistiche, dovunque ci siano differenze umane statistiche ci sono persone che aiutano e persone che ne approfittano.
Fa parte della natura umana, in un gruppo di dieci persone statisticamente ce ne saranno alcune buone e altre cattive.
Dovunque ce ne saranno alcune cattive, ci sarà il sottogruppo dei molto cattivi e nemmeno questa è una notizia, anche questa è un’ovvietà.

E allora perché questo delirio mediatico?
Perché gli ultimi anni di informazione non potevano che generare questo.
Sono anni che si generano notizie dal nulla, anni che si modifica la struttura stessa del’informazione in direzione emergenza, anni che si creano casi da elementi che un caso non l’avrebbero mai creato.
Quando per anni produci giornalismo in grado si sopravvivere solo se c’è impatto mediatico, quando gli dai persino l’ulteriore accelerazione vista negli ultimi mesi dove i cani che mordono l’uomo sono diventati notizia perché il bisogno ultimo era la creazione dell’emergenza, non puoi che trovarti scoperto nel momento in cui la parola emergenza è lo standard.
Da mesi chiamano emergenza qualsiasi cosa, due cani che mordono sono emergenza cani, due rumeni che (non) stuprano sono emergenza immigrazione, due telefonate su un pompino sono emergenza privacy, due ragazzini viziati con genitori insufficienti alle spalle sono emergenza bulli.
Come puoi, ora che hai assuefatto il pubblico a non saltare sulla sedia quando sente pronunciare la parola emergenza, farlo saltare sulla sedia di fronte a un terremoto che ha azzerato il centro italia?
Devi per forza alzare l’asticella ancora di più, devi mostrare che l’emergenza è ancora più grande di quello che fino a ieri chiamavi emergenza e per farlo non ti basta dire “Emergenza” (in questo momento il TG5 sta mostrando un servizio nelle cucine da campo, con intervista al cuoco che elenca i piatti che sta preparando, tre minuti di tempo/notizia buttati nel cesso, ma è così, non c’è la notizia e quei tre minuti vanno riempiti in qualche modo) devi pomparla ancora di più e devi farlo perché sei vittima della stessa scelta folle di aver usato la parola emergenza troppe volte e per cose che non ne avevano nemmeno la lontana sembianza.

Questo è il circo che si vede oggi, il risultato di un azzardo scriteriato dei mesi passati, mesi passati illudendosi che la parola emergenza fosse lì a disposizione di chiunque, certi che mai ci si sarebbe trovati di fronte a qualcosa che da dizionario ne avrebbe avute le sembianze.

Ora via con l’emergenza sciacalli e il puntuale DL di quel pagliaccio pericoloso che abbiamo a capo del governo e che mai si sarebbe augurato una così provvidenziale botta di culo per la sua immagine ma che non per questo non è pronto a mettere in campo tutto il suo armamentario di capacità di girarla a suo favore, si crei il panico ancora più di quanto già un evento del genere produca, si prenda l’ennesima ovvietà e la si elevi a ennesimo allarme sociale, si prepari il campo all’ennesima notizia del cittadino che presto tirerà sassi a chiunque vedrà aggirarsi intorno alle macerie perché quello non era un altro cittadino come lui vagante in preda alla disperazione, no, era uno sciacallo che cercava di rubargli l’orologio che aveva lasciato sul comodino.

Poi arriva la chiesa.
I cataclismi sono sempre stati un toccasana per dittatori e papi, la speculazione umana che permettono non ha pari, l’occasione che creano non è generabile da nessun altro evento, niente come un disastro naturale porta pecorelle all’ovile e carta bianca ai dittatori.
Ieri in aereo leggevo Repubblica, dopo qualche pagina ho tirato fuori la penna e ho cominciato a sottolineare.

Pagina 3:
“Il racconto di un cieco ricoverato a l’Aquila: La mia badante è scappata quando c’è stato il terremoto, però sono arrivati due giovani che hanno sfondato la porta e mi hanno salvato. Due angeli, so solo che uno di loro si chiamava Gabriele”

Pagina 10:
“in via dei Calzolai, dove il medico che ha perso il figlio aveva trovato il corpo di Susanna, sembra di percepire un bisbiglio. Pare una preghiera”

“La gente si commuove, attorno alle dieci, quando due pompieri escono da una rovina verde e rosa, in piazza della chiesa, reggendo sopra il capo un acquario con i pesci rossi vivi che nuotano all’interno. E applaude mentre il calice, piegato e sporco, esce infine dalla parrocchia crollata”

Pagina 13:
“e poi spunta un crocefisso da pochi soldi, uno di quelli che sormontano brutti letti matrimoniali, Un volontario raccatta dello spago e lo attacca a un albero. La cosa non colpisce, non smuove nessuno. È un gesto che richiederebbe pensieri e interpretazioni simboliche appena più complesse, che nessuno è in grado né ha voglia di fare”

E molti altri me ne sono persi, quando di fronte al giornale meno papale che ci sia dopo il Manifesto che ha riempito le sue pagine di religiosità da venditore di pentole, ho deciso di chiuderlo e semplicemente decidere di abbandonare ogni tentazione di non pensare più che questo paese meriti di sprofondarci tutto per intero, come ho detto da sempre e mai come oggi riconfermo, sotto un terremoto che lo inghiotta definitivamente e restituisca il suolo a formiche e scarafaggi, che faranno anche schifo a vederli, ma mai come noi.

Poi c’è la notizia di Obama che offre aiuti e il pagliaccio pericoloso che gli risponde “Ricostruisci le chiese”.
Dice che gli stati esteri possono prendersi l’incarico di ricostruire per settori, agli USA le chiese.
Ma nella scala delle competenze, tra gli stati esteri il Vaticano non starebbe un attimo prima?
Una cosa è certa: la Compagnia delle Opere starà brindando a Champagne.
Offerto dal Papa, che non ha altre spese imminenti in programma se non quelle per diffondere ulteriormente la verità di dio, ora che i culi sono belli aperti e mai come oggi pronti a sopportare anche l'assenza di lubrificazione.

Ché prenderlo nel culo con la sabbia farà anche male, ma quando la sabbia l'ha voluta dio non è sabbia, è vita.