30 aprile 2010

Fioretto

Quando poche settimane fa si celebrava il Monicelli incitante la rivoluzione culturale per la ricostruzione dello spirito critico come unica leva per risollevare il proprio ruolo in quel collettivo quotidiano che alla somma è vita, si era felici per aver finalmente sentito qualcuno individuare esattamente il centro del pericolo.
Quella cancellazione dello spirito critico operata da Berlusconi in tanti anni di lenta erosione, dentro il cui esito positivo risiedono non i motivi del suo successo, ma quelli che spiegano l’assenza di un possibile contrasto agli stessi, motivo per il quale lo spirito critico che necessita di ricostruzione è quello che a Berlusconi si oppone, prima che quello di chi lo sposa.
Il giorno dopo non furono pochi quelli che cominciarono a pensare e a credere (e finalmente a vedere) che solo attraverso la ricostruzione dello spirito critico all’opposizione, può passare un possibile futuro migliore come persone, che è a sua volta l’unica porta attraverso la quale può passare un possibile futuro migliore come cittadini altrimenti destinati a fine certa in un futuro che nessuna formula matematica può prevedere diverso da quello che sarà dati gli elementi attuali: un futuro umanamente distrutto e di conseguenza socialmente devastato.

Mai avremmo pensato che solo poche settimane dopo, ci saremmo trovati in un presente che davanti agli occhi e senza aver dovuto far nulla per portarcelo, ha sbattuto la realtà della vera condizione dello spirito critico, quella realtà se possibile peggiore che lo vede essere non già nemico da abbattere in quell’opposizione che si ha bisogno di vanificare, una cosa legittima e più che coerente se considerata dalla parte del potere, ma addirittura all’interno stesso della macchina di potere.
Perché che Berlusconi abbia lavorato per dissolvere ogni capacità critica in chi svolgeva ruolo di opposizione e possibile contrasto anche culturale, è cosa più che naturale e comprensibile.
Quello che mai avremmo sognato di veder venire alla luce senza bisogno di spinte, è l’opera di dissoluzione anche (e a questo punto soprattutto) della parte di spirito critico presente al suo stesso interno.
Una roba da Corea o, se più comprensibile, da quel comunismo che si dice di voler combattere anche a colpi di amici personali prodotti da quello stesso comunismo che quando schema interno è evidentemente considerato tutt’altro che pericoloso e anzi.

E allora ieri chiedevo all’amico berlusconiano cosa altro serva per vedere.
Gli chiedevo se non basti la visione della macchina di annullamento dello spirito critico rivolta non verso l’esterno, cosa che li ha sempre galvanizzati come espressione di quella forza/uomo che all’ideologia fascista fa da matrice e che quindi era inutile mostrare loro per segnalare il pericolo perché nel momento in cui glielo mostravi evidente non facevi altro che consolidare i motivi di quella stima, ma verso lo stesso interno.
Mi chiedevo e gli chiedevo cosa altro serva loro per cominciare a parlare di autoritarismo mascherato, quando di fronte a un uomo che dispone, perché l’ha creata appositamente, e quindi usa in maniera sempre più spregiudicata una macchina di annullamento del senso critico in sé, a prescindere dalla direzione dalla quale provenga.
Gli chiedevo come altro fosse in grado di spiegare, se non con il concetto di autoritarismo populista (la cui sintesi avrei poi lasciato al suo spirito critico, là dove venisse risvegliato in qualche modo), l’opera di un uomo che ha come unica urgenza quella di colpire sì lo spirito critico di chi legittimamente gli si oppone, ma oggi anche quello di chi gli si affianca e quindi, alla fine, lo spirito critico in sé come elemento.

Allora siate molesti.
Cesello in una mano e santa pazienza nell’altra, uno a uno.
L’opera è immane e il tempo è poco, si parla solo di anni in numero inferiore a quelli che servono alla macchina per completare l’opera.
Nella migliore delle ipotesi avrete davanti gente che riconosce l’orgoglio di chi non legge i giornali, nella peggiore gente che legge quelli sbagliati.
Ma sono solo stanchi, hanno davvero paura che il vicino sia un tagliagole, sono davvero convinti che esista un’italianità da difendere.
Siate molesti.
Chiedete loro, tra i neGri che hanno intorno, quanti tagliagole hanno visto e quanti bambini che giocano nei parchi.
Chiedete loro quanta cultura hanno visto difendere dagli italiani, quanti teatri hanno visto pieni di italiani, quanti siti archeologici hanno visto protetti da quegli italiani che oggi si dicono disposti alla guerra pur di non lasciare ai neGri la possibilità di calpestarli.
Dite loro che la lirica è salva grazie ai giapponesi, perché fosse per gli italiani sarebbe scomparsa già da tempo.
Dimostrate loro che l’archeologia è salva grazie agli africani, perché fosse per gli italiani alla meglio finirebbero a fare anfore per ornamento giardini dei boss (italiani).
Che l’artigianato è portato avanti dagli europei dell’est, perché fosse per gli italiani a Venezia non ci sarebbero più nemmeno le gondole.
Mostrate loro che le fabbriche italiane che vanno difese sono accompagnate in Polonia dagli stessi che ti dicono che devi difenderle dai polacchi, che le auto italiane italiane non lo sono più grazie agli stessi che ti dicono di immolarti per proteggerne l’italianità.
Che dietro ogni slogan c’è il vuoto, c’è il suo contrario e quel contrario è generato dagli stessi che ti dicono di andare a proteggere gli slogan.
Uno a uno, porta a porta, aspirapolvere ad aspirapolvere.
A ogni occasione mostrate il mondo reale, spendete ogni vostro angolo di attenzione per condividerne le osservazioni.
Sopperite, non siate gelosi di quanto avete faticato per vedere, non è il tempo.
Regalate gli occhi, prestate le orecchie senza chiedere nulla in cambio, loro sono stanchi, hanno deciso di chiuderli, non hanno smesso di averli.
Riapriteli uno a uno, ciascuno nella propria casa, ognuno apra quelli di un altro, basta una cena, un cinema, un pomeriggio al parco.
Accettate il rischio di perderli, di stancarli di più, resistete alla resistenza, è cosa ovvia in chi ha chiuso gli occhi, va capita, va accettata.
Non datevi l’obiettivo di spostare un paese, ma l’obiettivo per ciascuno di spostarne uno, uno alla volta.
Ognuno sia partito di sé stesso, campagna elettorale della propria elezione, non portatore di voce altrui ma della propria.
Se ognuno dei 30 milioni ne sposterà uno, saranno 30 milioni spostati.
Ognuno si dia il compito di prenderne uno e portarlo dove lui stesso riconosce di aver solo perso la voglia di stare.
Uno a sera, ovunque li troviate, qualsiasi cosa loro vogliano come argomento voi spostatelo su di loro.
Nessuno vi dirà mai di preferire un mondo di paura, di intolleranza, sono solo convinti che il resto sia peggio, convinceteli del contrario.
Non obbligateli a darvi ragione, è una battaglia persa.
Obbligateli a convincervi della loro, dureranno lo spazio di una consapevolezza.
Il loro credo ha invaso la vostra vita non meno di quanto sia necessario per riprendervela.
Siate arroganti come gli evangelici e spacca coglioni come testimoni di geova.
E come preti dite che lo fate per loro.
La metà di loro sono vulnerabili alla molestia religiosa e allora a dittatore dittatore e mezzo.
Amen.

28 aprile 2010

L'occasione fa l'uomo ladro e quindi in galera

Passata nel totale silenzio dei media tutti, o quasi, è da poco legge quella che in termini sofisticati viene chiamata "Equo compenso"

A quell'altalena continua offerta dal governo, fatta di occasioni nelle quali fa sue le direttive europee perché "l'ha detto l'Europa" o se ne fotte in quanto organismo non sovrano che se vuole levare i corecifissi "possono morire", si aggiunge così questo mirabolante tassello attraverso il quale è finalmente nromalizzato il concetto di "guerra preventiva" o, più morbidamente, ti punisco prima che tu abbia commesso il reato perché potendolo commettere è come se lo avessi commesso.

In soldoni l'equo compenso è una tassa aggiuntiva che finisce dritta dritta nelle casse di quella SIAE sulla cui riforma (diciamo radere al suolo) nessuno pare mai rietenere importante spendere due parole, che da oggi si ritrova qualche decina di milioni di euro in più (secondo altri calcoli anche centinaia) derivanti da una tassa aggiuntiva sui supporti di memorizzazione digitale.
Aggiuntiva nel senso che la tassa già c'era e si pagava sui supporti digitali in quanto supporti, a prescindere da cosa uno ci mettesse sopra.

Non ritenuta sufficiente, se n'è aggiunta oggi un'altra, l'equo compenso appunto, che si basa su un principio semplice quanto delirante:
Se ti compri un supporto digitale, puoi metterci sopra la tua tesi ma anche il disco della Pausini e dato che c'è la possibilità che tu ci metta sopra il disco della Pausini, ora paghi i diritti sia sul supporto che sui dischi della Pausini.
Che uno dice "Ma sei cretino?"
E io rispondo "No no, è proprio così".
Sulla quota "cretino" di tale tassa basti dire che è pertinenza del Ministero dei Beni culturali e quindi a firma dell'illuminato Bondi, quello che un giorno sì e l'altro pur si bagna al solo piacere di pronunciare "Il governo Berlusconi non mette le mani nelle tasche dei cittadini!"

Il bello di questa tassa è che se prima i supporti coinvolti erano solo cd e dvd, oggi è estesa a qualsiasi cosa contenga una memoria digitale, quindi ad esempio anche i cellulari, gli hard disk, le chiavette usb e le consolle di videogame.
L'altro bello è l'entità della tassa: su un hard disk di qualche centinaio di giga, ormai la norma minima, si pagano anche 30 euro in più di tassa.
Conosco case di produzione che per archiviare i video in hd ne comprano anche dieci a settimana, saranno felicissimi di sborsare un migliaio di euro in più al mese perché la SIAE dice che standoci sopra, oltre a quelli della Pausini, pure quelli di Ramazzotti e Zucchero, è giusto che gli sganci i relativi diritti a prescindere dal tuo metterceli sopra o meno.

Ma il bello più bello non è nemmeno questo.
Il bello più bello è che questa tassa vuole proprio coprire i costi non del supporto in sé ma di quanto ci si memorizza sopra in termini di opere coperte da diritti, che tu ce le metta o meno appunto, perché se non li paghi a monte, te li pigliano a valle.
Concetto curioso già di suo, che diventa appunto delirante nel momento in cui uno si ritrovi con un brano comprato legalmente in rete, sul quale quindi i diritti sono pagati, per il quale si ritrova a pagarli ancora sia come diritto dell'opera che come supporto.

Ma il bello più bello ancora più bello, non è nemmeno questo.
Il bello più bello ancora più bello, è che la tassa, quella non sul supporto ma sull'opera, che quindi dovrebbe essere pagata al momento dell'acquisto del brano, viene pagata per ogni singolo supporto che si possiede come si fosse comprato un numero di brani pari al numero di supporti.
E in più ripaghi pure quella sul numero di supporti.

Riassumendo:
Ti compri un brano della Puasini su ITunes e ci paghi i diritti.
Poi ci compri l'IPod sul quale sentirla e paghi i diritti sul supporto ma anche sul brano.
Ma già li avevi pagati quelli sul brano, dirai tu!
Bondi dice che non basta, la SIAE dice che ha ragione Bondi, che ovviamente dice che ha ragione l'Europa.
Così i diritti sul brano li paghi una volta quando lo compri e poi di nuovo quando compri l'IPod, sul quale paghi pure quelli sul supporto.
Finita qui?
No, se ti compri una chiavetta per portare all'università la tesi mentre sul tram ti ascolti sul tuo IPod il brano della Pausini per il quale hai pagato due volte gli stessi diritti, li paghi una terza, perché secondo l'Europa, la SIAE e naturalmente Bondi al quale il ragionamento è parso intelligente, potresti copiarlo pure sulla chiavetta e non conta che tu lo faccia o meno né che tu abbia pagato già tutti i cazzo di diritti sul brano che stai ascoltando, se c'è il rischio che tu lo copi sulla chiavetta la SIAE si riprende i diritti sul brano come se fosse un terzo brano acquistato.
Se poi ti compri la Wii per fare fitness in salotto, oltre al cost della Wii, a quello sui supporti digitali, ora ci paghi pure i diritti per i brani che potenzialmente ci potresti mettr sopra per farci step.
L'hai fatto, non l'hai fatto, non conta.
Tu alla Pausini i diritti li paghi comunque.
Perché "potresti farlo" e quindi, nella fulminante logica di questo genio di ministro, vai considerato come uno che l'ha fatto e come tale tassato perché ti passi la voglia di scaricarti la Pausini illegalmente.
Ma pure quella di scaricarla legalmente, visto che se lo fai legalmente paghi i diritti una volta in più, se lo fai illegalmente li paghi comunque ma una volta in meno.

Qui le risposte di quell'altro genio del DG SIAE interpellato da Altroconsumo.
Qui le tabelle dei rincari voce per voce.

27 aprile 2010

Soviet

La trasformazione dello stato in azienda è ormai interiorizzata dalla nazione stessa, che ne ha fatto sistema.
Da lì in poi, il completo disinteresse rispetto a quelli che una volta erano accordi tra governi resi pubblici anche nei loro dettagli, in quanto scelte che coinvolgevano la vita di tutti i suoi cittadini, e che oggi sono gestiti e accolti come qualsiasi accordo societario di esclusivo interesse dei vertici della società interessata.

Così abbiamo un premier che sale su un aereo e va dal dittatore libico, nonché naturalmente suo amico personale come ogni dittatore al momento rimasto su piazza.
La notizia è che ci firma accordi.
La seconda notizia è che risale sull'aereo, ritorna a casa, gli effetti degli accordi partono, senza che nessuno senta il bisogno di chiedere cosa ci fosse scritto, in quei fogli firmati.
La notizia è che è atterrato ha firmato è tornato a casa.
Cosa abbia firmato non interessa a nessuno, come se avesse firmato un accordo mediaset di esclusivo interesse dei suoi soci, i dettagli del quale non hanno nessun motivo di essere resi noti a chi socio non è.
I cittadini, come i dipendenti mediaset, hanno il solo compito di dirsi contenti.
Che lo siano o meno.
Di cosa non è dato loro sapere.
Lui dice Ringraziatemi e tutti ringraziano.
Per cosa non è dato sapere.

Oggi arriva Putin.
Nessun annuncio precedente, nessuna preparazione ufficiale, nessuna informazione preventiva sui perché.
Un giorno tra una fiction e la notizia della prova costume, al tg appare improvvisamente l'aereo di stato russo con davanti uno alto quanto i primi gradini della scaletta che attende che scenda l'altro alto uguale, baci, abbracci, amico mio.
Ringraziatemi.
Tutti ringraziano.
La notizia è che all'improvviso è arrivato Putin dal suo amico, hanno mangiato insieme, hanno firmato accordi sul nucleare.
Cosa contengano quegli accordi non è dato sapere, nessuno chiede, roba che non riguarda la nazione ma la sua azienda.
Lui dice che è anche roba dei settori metalmeccanico, chimico, dell'aviazione e dello spazio.
Lamadonna.
L'alberghiero no?
Anche la scuola la vedrei bene.
Non vorrei restasse qualcosa fuori, insomma.
Dice che lui ne sa.
In Sardegna ricordano bene cosa succede quando l'amico uno dice che l'amico due si occuperà del chimico.
Ci hanno eletto un governatore, su tanta maestria.
Il giorno dopo la fabbrica è stata spenta.

La notizia è che è arrivato, sceso aereo, firmato accordo, cantiere entro tre anni, risalito aereo, forse in mezzo qualche pompino, torna presto amico mio.

In mezzo una nazione che ringrazia a comando e non sente nemmeno più il bisogno di sapere cosa ci sia scritto, dentro accordi firmati tra amici in visite improvvise di due giorni, che una volta erano accordi tra governi di nazioni abitate da cittadini e che oggi sono consigli di amministrazione a porte chiuse tra un brunch e un lunch nei quali sono ammesse le telecamere per mostrare quanto apprezzino la bottarga i nostri amici russi.
Accordi che toccano nucleare metalmeccanico siderurgico chimico aereo aereospaziale, manca la raccolta differenziata e poi c'è tutto il cuore industriale di un paese.
Così, firmato su fogli che nessuno legge, nessuno chiede, nessuno vuole conoscere.
Dice ringraziate e tutti ringraziano.
Come Agnelli ai suoi operai.
Prima che morisse.
La Fiat in Italia, dico.

24 aprile 2010

Sarebbe un peccato se se la perdessero

Credo che l'incrocio temporale tra il rimpatrio dei resti del pirla col kalashnikov e quello dei 3 terroristi che avevano confessato di nascondere bombe sotto le barelle, offra agli amanti dei figli della patria un'occasione di attenzione più unica che rara per metter lì due parole per ricordare anche che Antonio Russo non si è fracassato il torace ballando la macarena con una cicciona.

Sempre che non abbiano robe più importanti di cui occuparsi.
Chessò, le canne in gioventù di Fini, per esempio, le vedo una bella urgenza da troppo tempo nel cassetto.

21 aprile 2010

e son prolemi, eh

Torno dopo tre giorni di lontananza, da casa e dalle notizie, e scopro che a tener banco oggi, tra quello che ci chiede la gente, c'è il fatto che Bossi Jr ha detto che non tiferà italia ai prossimi mondiali.

Dopo il primo istintivo "E tipo chi se ne frega?" ho approfondito la cosa perché pare non siano poche le reazioni che la cosa ha suscitato.

Allora, dopo aver approfondito, sono tre le considerazioni che mi restano.

La prima:
Io che l'Italia non l'ho tifata mai e con me tutti quelli a quali semplicemente del calcio non gliene può fregar di meno, da oggi alla dichiarazione "per me può anche perdere" dovremo aggiungere anche la precisazione rispetto al nostro non essere leghisti.
E vaffanculo uno.

La seconda considerazione è che quella formidabile campagna di appropriazione e successiva politicizzazione degli elementi più banali e trasversali dell'italianità, dall'amore alla libertà, come via obbligata per la costruzione dell'accettazione della matrice populista che fa loro da traccia e che portano avanti da anni a bulldozer, questi oggi si sono appropriati pure del menefreghismo verso la nazionale, alleandosi tra l'altro con quello che anni or sono si prese il suo opposto, quando battezzandosi "Forza Italia" per sfruttare mediaticamente gli imminenti mondiali, obbligò tutti quelli che da quel giorno in poi gridavano il proprio "Forza Italia" a precisare il loro non essere però per questo berlusconiani.
Così oggi se gridi Forza Italia dai visibilità a loro, se te ne fotti dell'Italia sempre a loro dai visibilità.
Come un arco a "tre e sessanta" dovunque rivolgi il tuo stomaco ci trovi loro che ci hanno piazzato sopra una bandierina e se non precisi, sei dei loro.
E vaffanculo due.

La terza, la più difficile, è quella che fa da ombrello all'intera vicenda e cioè la constatazione che oggi non puoi nemmeno più dire che ai prossimi mondiali non tiferai Italia, perché a differenza degli altri anni nei quali alla peggio venivi estromesso dalle cene degli amici ché porti sfiga, rischi di ricevere una risposta da Veltroni, da quelli dell'UDC e da una serie infinita di giornalisti e politici che ieri ridicolizzavano lo spessore politico della trota e oggi son tutti lì a rispondere politicamente (son stato via e quindi non lo so: han già proposto l'interrogazione parlamentare?) a un ventenne che tiene banco e li fa scattare come giocattoli a molla semplicemente dicendo la (fondamentale) sua sui mondiali di calcio.
E vaffanculo tre.

Che voi sappiate, Bersani ha mica rilasciato dichiarazioni, in proposito?
Non ancora?
Strano.

19 aprile 2010

Abbiamo assistito ad un derby bellissimo

Negli scontri del dopopartita un'auto con a bordo una donna di colore e i suoi due bambini data alle fiamme.
Il commento del TG5 all'episodio: "I soliti stupidi che dovrebbero vergognarsi".

Ripeto?
Ripeto.

Negli scontri del dopo partita un tentato pluriomicidio volontario, non colposo perché donna e bambini erano a bordo ed è difficile non vederli, di stampo razzista, per il TG5 è un gesto stupido e la pena è la vergogna.
Nemmeno imposta.
"Dovrebbero".

Se tiri un estintore contro un'auto con a bordo due armati, ti meriti un colpo di pistola in faccia e la logica conseguenza del cervello sparso sull'asfalto.
Se dai fuoco in gruppo a un'auto con a bordo una donna di colore e i suoi due bambini, dovresti vergognarti.
Nemmeno "devi".
"Dovresti".
Cioè ti si concede pure la discrezionalità.
Sempre che non ti sia di eccessivo disturbo.
Vorremmo mai che ti sentissi costretto.

Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha diffuso un comunicato stampa:
«Quando oltre ad una persona accoltellata, che deve essere operata in ospedale, un bambino viene ferito seppure lievemente dopo una partita, tutti devono riflettere attentamente e assumersi le proprie responsabilità.»

Non un'auto data alle fiamme con a bordo una donna di colore e i suoi due figli.
No.
Un bambino ferito seppure lievemente.
Che si sia ferito lievemente perché neGra mama e neGretti pargoli sono riusciti a scendere dall'auto prima che esplodesse, al sindaco nessuno deve averlo detto.

Ma l'importante è che
«Abbiamo assistito ad un derby bellissimo - aggiunge - la Roma è in testa alla classifica e la Lazio ha dimostrato di essere una grande squadra in grado di allontanare ogni spettro di retrocessione. Nessuno si può permettere di rovinare una festa così bella - conclude - mettendo oltretutto in pericolo l'incolumità di persone innocenti».

Un derby bellissimo, una festa così bella.
Nessuno si può permettere di rovinare una festa così bella.
Su questo il sindaco non transige.

Non che nessuno pensi di poter dare alle fiamme una madre con due bambini chiusi in un'auto.
Che nessuno pensi di potersi permettere di rovinare la festa così bella.

18 aprile 2010

Liberi

Prime reazioni alla liberazione dei tre operatori di Emergency.

"e' una svolta positiva nella vicenda" ha detto Bersani.

A questo punto "Levategli il microfono" merita di diventare una categoria

Così come diventa categoria la raccolta delle perle lasciate sul giornale di famiglia dal suo s(e)colarizzato popolo, dalle quali sono sempre più dipendente:

"Vorrei capire in che cosa è servito la manifestazione pacifista dello "strada", in Roma. Dimostrazione classica che era stata fatta solo per motivi politici, situazione sociale che ha molto di strano per un movimento umanitario....... "

17 aprile 2010

MultiTaskForce

Mentre seguo in diretta su internet la manifestazione di roma per i tre arrestati di Emergency, la tv sullo sfondo è come sempre sulle news24, con l'audio muto in attesa che la diretta arrivi anche lì.
Attesa vana, naturalmente.

Non potendo seguire anche il video causa lavoro che occupa il monitor, creo così involontariamente nella stanza un ambiente che dopo qualche minuto mi appare in tutta la sua delirante sintesi.
Il monitor mi mostra uno spot, che devo far nascere il più appetibile possibile, su viaggi in posti lontani nei quali andare a giocare a golf in riva al mare.
La coda dell'occhio al monitor che mi fa da fondale sul quale passano mute immagini del portellone dell'aereo vaticano chiuso, spazio/tempo informativo ritenuto meglio utilizzato per mostrare per interi minuti un portellone chiuso circondato da baciamani in attesa del loro turno.
L'audio nella stanza è quello di lettere lette sul palco, da genitori e mogli e fratelli che offrono a gente per bene le parole di chi in ogni lettera pone e si pone sempre lo stesso interrogativo, a sé stesso e ai destinatari della lettera, padri madri mogli che siano, tutti la stessa quotidiana domanda rispetto al bisogno di dirsi ogni giorno che accettare tutto quello è giusto, un giusto che però è quotidianamente difficile da trovare, da leggere chiaro al punto da saperselo e saperlo dire.

Mentre nella stanza s diffondono le parole di quei perché lo schermo delle news24 mostra il papa finalmente sceso a mani tese su bocche ansiose di baciarle, poi il presidente del consiglio con mille microfoni intorno ansiosi di baciarlo, poi la sfilata di uomini da nulla che accorrono a far cerchio intorno per segnalare da che parte della trincea siano, poi un Bossi caracollante quanto l'italia che ha in mano.

E nella stanza tutt'intorno vedo creata involontariamente l'allegoria del paese che siamo e che non può che lasciare commenti così, sul solito organo di propaganda, in risposta a quel palco:

"Ma siete veramente convinti che Gino l'africano in sala operatoria sia migliore che nella trattativa del giornalista republicones dove due chissenefrega afgani ci lasciarono la pelle? Questo figuro che viene dal sessantotto e dal diciotto politico che interesse ha per il terzo quarto o quinto mondo se non la propria immagine ormai prossima a quella di madre Teresa per tutto il sinistro popolo del debito pubblico? Sarebbe o no l'ora che qualcuno controllasse mentre riappicica mani gambe e braccia a dei poveracci che han fatto, senza volerlo, la sua fortuna? O la malasanità è solo nelle regioni di Agazio Loiero e dei trans?"

E la sintesi audio/video/testo restituitami dai vari monitor è così finalmente perfetta.
Posso tornare al mio spot di campi da golf da sogno, con davanti la tessera di chi stava con Emergency prima, ci sta oggi, ci starà domani a sistemarmi quel retrogusto di inutile parolaio che fa da traccia all'intera mia finta storia.


Preghiamo insieme perché non si vada a elezioni subito

"(ANSA) -ROMA, 17 APR- Lavoro, fisco, formazione, giustizia: serve un progetto per l'Italia con queste priorita' su cui lavorare da subito, dice il leader Pd Bersani"

"Su cui lavorare da subito" significa una sola cosa: che non ne hanno ancora uno.
Levategli il microfono.

14 aprile 2010

E no

E no non è una lettera personale di un amico all'ennesimo amico al quale chiede l'ennesimo favore personale frutto dei personali rapporti di amicizia che per l'ennesima volta diventerà panno di daino per lucidare il busto che prontamente la teca di famiglia mostrerà a vicenda conclusa conclusa naturalmente grazie alla grande stima che all'estero hanno per il paese ma perché è lui il paese e l'amicizia e la lettera personale e ora gli scrivo io, non vi preoccupate, io fare, io dire, io lettera, io baciare, quanti glie ne chiedo liberi, uno? quanti ne volete? Due? Tre? Pezzenti, ditemi, ché se non ci penso io che scrivo e che chiedo e che ottengo perché amico di amici, qui non si muove foglia nel mondo, io risolto guerra fredda, io ridotto arsenali nucleari, io portato pace in Georgia, io mano che deviò mira di Agca, ditemi che io scrivo, io fare, io amico, loro fare se io chiede, io Berlusconi, lucidatemi busto bronzeo, salvo persino Gino Strada perché io amore voi invidia e odio talebano.
Questo, il mondo che ci diranno.

E no, è Gino Strada e i tre arrestati che se saltassi su una mina insieme all'amico Karzai all'amico Frattini e all'amico La Russa nello stesso istante in cui gli avete dato dei terroristi, vi sdraierebbero su un lettino e vi salverebbero la vita lo stesso, a tutti e quattro, a mani nude.
Questo, il mondo reale.

12 aprile 2010

Nemmeno se me lo fanno vedere sottoscritto

Io fare quello che "io questo lo conosco" lo potrei fare praticamente ogni giorno con nomi che c'è chi pagherebbe, ma non lo faccio mai e ci mancherebbe, visto che il 90% di quei nomi sono di quelli che a vantarsene ci vuole un bel coraggio e io non ce l'ho.

E dato che tra le cose che non avendo coraggio non faccio non c'è solo il vantarsi di certi nomi, ma c'è anche roba che invece c'è chi quel coraggio ce l'ha e infatti le fa, allora questa volta io questo lo conosco mi va di dirlo perché lui quel coraggio che io non ho l'ha e infatti lui è lì e io qui a fare il rivoluzionario da tastiera.

Epperò io tutti quelli che oggi son lì a dire che, li obbligherei a chiudercisi in una stanza, quando lo rilasciano, a sentirlo parlare dei bambini in sudamerica.
Se quando ne escono sono ancora convinti che sarebbe mai capace di, allora ne riparliamo.
Altrimenti giù il cappello e silenzio, cazzo.


9 aprile 2010

Manca un pezzo

E vabbé, d’accordo, tanto non se ne esce è la tua parola contro la sua e la sua vale un porco cazzo di più, facciamo che gli sbarchi sono cessati.
Non ho detto che è vero, ho detto facciamo che.
Ma sono cessati gli sbarchi, mica le partenze.

Epperché nessun cazzo di telegiornale o giornale a larga diffusione, tra il servizio sui centri benessere che spopolano in rete per barboncini che spopolano in rete anche loro ma dentro barattoli di vetro Signora mia questa rete va regolamentata perché nasconde focolai sovversivi di sovversivo odio (da una parte) e Siamo tutti barboncini che spopolano in rete anche loro ma dentro barattoli di vetro (dall’altra) e l’altro sul come si cucina lo zucchero filato per arrivare pronte alla prova costume, fa un bel servizio sulla prima metà del viaggio, sul come funziona che li convinci tutti a girare il timone che notoriamente nemmeno hanno, su cosa succeda in quella seconda metà di un viaggio quando quella seconda metà di navigazione non è lungo la seconda metà di mare prevista che ti avrebbe portato in quel luogo della vita per il quale eri disposto persino a morire?

Sono finiti gli sbarchi, non è finita l’emigrazione, cazzo.
Non c’è più l’arrivo ma la partenza è sempre lì, c’è il tassello in mezzo che manca.
Dov’è finita l’emigrazione?
Solo sapere dov’è finita.
Non la vogliamo necessariamente vedere, solo sapere dov’è finita, se è finita.
Anzi, forse non vogliamo nemmeno sapere dov’è finita.

Ritiro la domanda, mi vergogno sulla fiducia.
Non che ci voglia molto, d’accordo, ma almeno la domanda io continuo a farmela.
Oggi per molto meno sei di sinistra.
Se esci vivo da un incendio addirittura parlamentare.
Se tieni una palla in equilibrio sul naso mentre fai ciao con le orecchie, ai vertici cominciano a cagarsi sotto.

7 aprile 2010

347. Stay tuned

Una delle caratteristiche delle giornate con mia nonna, è che si concludono sempre con qualcosa di nuovo nel bagaglio e non solo in termini di contenitori con dentro il suo amore tradotto nella delocalizzazione spazio/temporale dei suoi pranzi.
Essendo lei l’archivio e la memoria storica dell’intera famiglia (mi chiedo che ne sarà, quando non ci sarà più lei a proteggerlo) non c’è occasione nella quale per uno spunto o per l’altro escano fuori nuove informazioni, nuovi tasselli.
Oro, per chi come me è così attaccato all’importanza della propria storia e nello stesso tempo così vuoto e quindi affamato di brandelli della stessa.
Lunedì mattina arrivo da lei e la trovo in camera che mostra al cugino piccolo e alla sua ragazza (facendomi scoprire con gioia che non sono l’unico interessato alla nostra storia) i documenti di guerra del nonno, archiviati così bene che sono in stato di conservazione migliore della mia tessere elettorale.
Non so perché lui fosse interessato al tesserino di riconoscimento da partigiano, l’unico che non trovavano.
Nella ricerca, estraeva fogli su fogli, attestati di merito, medaglie, riconoscimenti, ma non quello.
Incaponita come solo chi sa di averlo conservato bene tanto quanto quelli che si ritrovava in mano può essere, insisteva nella ricerca aprendo e chiudendo fogli e documenti, sperando che il tesserino si trovasse magari dentro le pieghe di qualche altro.
Io intanto guardavo e mi godevo la rassegna di quei “qualche altro”.
Tutto normale, non fosse che la ricerca del tesserino partigiano si è svolta, anche, tra le pieghe di un altro tesserino di riconoscimento, marchiato con un bel fascio sopra tutto orgoglioso.

Ora.
Che le storie di una famiglia, la mia in particolare, sappiano essere ingarbugliate come nemmeno una soap è cosa che mi è chiara e che a quasi quarant’anni certo non mi lascia stupito.
Ma che un tesserino partigiano fosse con naturalezza cercato dentro un tesserino fascista, è stata cosa che la mia mente determinista non poteva lasciar passare senza prenotare interrogatorio che mi risistemasse le per me indispensabili caselline della inappuntabile logica sulla quale si regge l’intero mio castello.
E infatti, trovato il tesserino partigiano (grazie al mio intuito determinista, appunto, che ha guidato a colpi di logica la ricostruzione dei passi mentali di mia nonna per me più che ricostruibili fino al dove avrebbe potuto la sua mente scegliere di metterlo qualche decina d’anni prima quando io nemmeno ero in progetto) giunti a tavola la domanda non è riuscita a resistere oltre gli gnocchi.
Domanda che, grazie al fatto che la intelligenza e la lucidità, ma soprattutto l’onestà, di mia nonna permettono dialoghi per nulla formali, è uscita nell’unico modo in cui nella mia mente era nata, l’unico in cui poteva esser posta per dirsi esauriente, per colmarmi la casellina vacante.
“Nonna, ma da fascista a partigiano, ci si passa per comprensione o per banale opportunismo?”
Nella mia mente per un istante mi sono chiesto se fosse stato il caso di partire così in quarta in una direzione che prevedeva anche la macchia sulla memoria di cotanto uomo, protetta per così tanto tempo e con così tanto amore e messa improvvisamente a rischio da una domanda così netta che solo uno con la faccia da culo che ho io poteva fare.
Ma la bellezza di mia nonna è anche questa, come quella di quasi tutti gli anziani.
Quella del pane al pane e vino al vino, direbbero loro, che permette di passare da lei per conoscere la storia, perché certi di avere indietro la vera storia.
E infatti.
“Ma quale comprensione, è stato opportunismo! Quelli gli volevano sparare!”
Così ho scoperto che mio nonno partigiano, nome in codice su tesserino non lo diciamo, pluridecorato, a combattere i fascisti ci è finito dopo esser stato persuaso a colpi di fucile.
Il racconto della scena come sempre ricco di dettagli come fosse ieri, l’ha visto essere cassiere del duce visitato a casa da un gruppo di partigiani intenzionati a fucilarlo sul posto.
Fuggito dentro un campo di grano per evitare la condanna ma rincorso da gente più veloce di lui, si ritrovava (e qui mi manca un passaggio che sarà oggetto della prossima fiaba) poco tempo dopo arruolato tra le fila di quello che doveva essere il plotone d’esecuzione mandato a fare giustizia sparandogli sulla porta di casa.
“Quelli fucilavano la gente così, tuo nonno era conosciuto ed era in cima alla lista, fu banale opportunismo e ci mancherebbe pure che si mettesse a fare l’orgoglioso”.
Così questa pasqua mi ha regalato un altro tassello di storia, un tassello che non è il solo racconto di un altro capitolo utile giusto a riempire pagine, ma che è per me è quel di più che va oltre la cronaca e che è l’unica cosa che cerco.
Un perché, una storia, un passaggio, qualsiasi cosa mi permetta di discutere me stesso.

Perché a fare gli idealisti col culo degli altri è un attimo e io sono campione di attimi e di culi degli altri.
Perché sentire il racconto del fascismo dal cassiere del duce e sentire come lo stesso si ritrovi il giorno dopo a combattere sulle montagne le stesse cose in cui credeva (“ma poi ha capito, poi l’ha fatto credendoci, il brutto dopo l’abbiamo capito tutti” mi ha rassicurato la nonna che aveva colto) sono cose che riorganizzano non solo i ricordi, ma il sistema stesso di valori e princìpi sui quali con tanta intransigenza si tende a basare la propria vita.
E io è soprattutto per questo che ho bisogno di mia nonna, perché mi risistemi il sistema di valori e di regole con la stessa maestria con la quale mi risistema le tende e lo stomaco.
Perché mi dia il vero senso della parola idealismo, della parola onore e coraggio, della parola orgoglio e della parola Valore.
E nel viaggio di ritorno parlando con la fidanzata mi chiedevo perché il resto della mia famiglia, con particolare accento sulla parte più giovane ma già così tanto attiva politicamente, non ci fosse lo stesso interesse investigativo e conoscitivo, rispetto a una storia che ne avrebbe da insegnare ancora a chissà quante altre generazioni ma che non ne avrà il tempo.
E ripensavo a tutti quei ragazzi che oggi in piazza urlano al fascismo ma che quando l’hanno accanto a tavola lo ignorano come non avessero nulla da ascoltare.
E ripensavo a quell’interesse che si dice altissimo quando gridato in coro in piazza ma che non muove nemmeno una forchetta quando al chiuso di una cucina dentro la quale ci sono più canti partigiani, ma anche fascisti, di tutti quelli che possano cantare loro in tutte le manifestazioni della gioventù e che sono lì pronti a essere raccontati al solo sorgere di un pur lieve segnale di interesse.
Pensavo che non conta essere fascisti o antifascisti, se poi la cosa non interessa nemmeno quel poco che serve per farne chiacchiera di curiosità tra gli gnocchi e l’agnello con il fascismo vissuto e poi combattuto, lì a un metro di distanza pronto a raccontarsi.
Pensavo che mio fratello, così attivo e protagonista, avrebbe un sacco da imparare non da un nonno fascista o partigiano che sia stato, ma dall’ascolto di come sia stato davvero il fascismo, rischiando anche di scoprirsi capaci di comprendere il perché si sia sviluppato partendo da case povere nelle quali una patata era quello che oggi è il jackpot del superenalotto.
Una comprensione che proprio per le analogie aiuterebbe a comprendere le derive di quell’oggi nel quale certe dinamiche stanno trovando lo stesso terreno fertile in case nelle quali il jackpot del superenalotto o l’aaaaaaaaallin del poker online sono la patata divisa in 15 figli di 60 anni fa.
Pensavo che aiuta, aiuta tantissimo a capire il mondo di oggi, l’ascolto di una nonna che ti racconta il perché la divisa fascista le bambine la indossavano con orgoglio e lei in testa, quando il sabato fascista era l’unico giorno della settimana nel quale venivano lavati, curati, alimentati, tutti nella stessa maniera, tutti con la stessa cura, da un uomo che un giorno alla settimana le faceva sentire uguali al figlio del sindaco, tutti con la stessa patata nel piatto, una a testa, e che per questo riceveva da loro in cambio fedeltà e gratitudine in tutti gli altri giorni della settimana.
Pensavo che aiuta tantissimo il sapere che sì, il sangue dei vinti non solo è stato versato, ma è stato versato in quantità ancor prima che fossero vinti, che è stato versato anche all’inizio di quella guerra non solo alla fine, che è stato versato anche in fase di arruolamento, non solo in fase di vendetta, che molti sono diventati partigiani così, per non essere fucilati.
Pensavo che dietro una campagna d’arruolamento di questo tipo ci sia un mondo che va studiato in ogni minimo risvolto perché se persino al cassiere del duce, uno al quale per ideologia non avrebbero nemmeno dovuto proporre l’alternativa ma semplicemente sparagli in fronte, hanno dato il tesserino e un fucile, significa che il fascismo era così tanto mostruoso che il problema era davvero il numero di quelli necessari per combatterlo, prima che la qualità.
Pensavo che non si possa parlare di fascismo se non si è prima di tutto in grado di ascoltare di fascismo.
Pensavo che il problema più grosso della generazione di mio fratello, è che non si rende conto che mia nonna morirà e con lei moriranno gli ultimi che quella storia l’hanno vissuta sulla pelle, casa per casa, nella cucina, nei letti, nei rifugi, nei campi di grano a fuggire dai plotoni d’esecuzione.
Pensavo che tra una decina d’anni saranno finiti i nonni che la guerra l’hanno fatta e che per questo la possono raccontare e la perdita sarà incolmabile, realmente incolmabile, perché da quando l’ultimo sarà morto in poi, saranno solo libri e i libri sono scritti da uomini che ci scriveranno ciò che vorranno si legga.
Qualsiasi cosa sia realmente successa verrà irrimediabilmente e definitivamente sostituita con qualsiasi cosa si vorrà dire successa.
E mio fratello ieri non s’è perso il simpatico aneddoto sul nonno opportunista, s’è perso un capitolo di storia, quella stessa che però poi scende in piazza a difendere o a combattere perché non si ripeta, contro altri suoi coetanei che combattono perché si ripeta identica, in domeniche nelle quali però anche loro preferiranno la piazza alla tavola di nonni che gliela potrebbero raccontare sulla pelle.
S’è perso l’occasione di discutere il proprio sistema di valori, per modificarlo o consolidarlo non conta, ma discuterlo sì, conta tantissimo.
S’è perso l’occasione di sentirsi raccontare che nel suo sangue ci sono partigiani eroici ma anche fascisti integerrimi e che nel calore di una piazza la cosa pare impossibile, mentre in guerra con veri fucili puntati su vere tempie le due cose possono persino coesistere nello stesso cuore.
E ‘sta gente sta morendo tutta, domani non ci sarà più per raccontare.
Eppure non se li caga nessuno, nemmeno quelli che dicono di combattere in loro nome e per difendere ciò per cui loro hanno versato sangue e pianto amici uccisi.
E dovrebbero esserci parchi pieni di ragazzi che li raggiungono sulle panchine, nei campi di bocce, per dir loro semplicemente “Racconta” “Che cosa?” “Che cazzo ne so, qualcosa, qualsiasi cosa ma racconta, prima di morire” e invece muoiono solitari chiusi in casa davanti a Emilio Fede.
E la perdita sarà compresa solo quando non ne esisterà più uno, di quelli che c’erano.

Io son qui da due giorni che mi chiedo come chiudere il cerchio di questo tassello, come collocarlo.
Al momento la sensazione è strana.
È come se il sapere che il nonno partigiano è stato prima un gerarca fascista, me lo rendesse paradossalmente migliore.
Come se mi dimostrasse che l’idealismo e la fermezza sono sì valori, ma inferiori a quello superiore della vita stessa.
Come se mi avesse dimostrato che essere eroi partigiani partendo da sinistra è più facile che diventarlo partendo da così tanto a destra, perché nel primo caso non c’è evoluzione, nel secondo c’è vera rivoluzione.
Come se mi avesse dimostrato che la reazione a volte passa anche dalla vigliaccheria.
Che non sempre dirsi fermi è un valore da difendere.
Cioè sì, che lo è, ma che se è l’unico che si è disposti a difendere di fronte a tutto e a qualsiasi costo, il prezzo sarà una vita dedicata a non difenderne nessun altro, magari più alto, magari persino al momento sconosciuto.
La sensazione al momento è che se mio nonno è stato un eroe partigiano è perché è stato prima di tutto un opportunista vigliacco e se è stato un opportunista vigliacco non poteva che essere un gerarca fascista.
Il cerchio si chiude con me orgoglioso del fatto che mio nonno fosse un gerarca fascista, perché non lo fosse stato, non fosse stato fascista nel profondo, non sarebbe mai arrivato a essere disposto a morire perché non accadesse mai più ciò che nessuno più di lui conosceva nei suoi lati più bui e profondi.

I giri che faccio io per girare le cose in modo che mi diano un passato di grandi percorsi per arrivare a me, che per completezza di informazione romantica sono quello che è stato scelto per portare il suo nome, anche passando da cose per le quali chiunque altro si vergognerebbe, a volte spaventano persino me.
Ma dato che nel mio sangue e nel mio nome ho scoperto esserci chi s’è cagato così tanto sotto da diventare un eroe della resistenza, me ne vado a letto con un po’ meno di paura di me stesso.
E con un tassello in più di quel puzzle intorno al quale sto da due anni costruendo la cosa più grande che riuscirò a realizzare nella mia vita, la possibilità di rifare tutto da capo in un punto in cui nessuno avrebbe mai la follia di dirlo possibile prima ancora della forza e del coraggio di dirlo realizzabile, e per difendere la quale sono pronto a scatenare, io, l’inferno contro chiunque mi si mettesse di traverso per impedirmelo.


3 aprile 2010

E insomma, buona pasqua

Quando Feltri arrivò a dirigere Il Giornale, la prima mossa che fece fu quella di rivolgersi ai lettori per informarli che la testata avrebbe rivoluzionato la sua funzione: da fonte di informazione per i lettori a cassa di risonanza per le loro posizioni, da società-giornale-lettore a lettore-giornale-società.
Un’inversione di direzione apparentemente solo formale, ma che al contrario aveva in sé l’essenza stessa di tutto l’impianto propagandistico berlusconiano, lo stesso che in forma molto più approssimativa ci ha ammorbato per due giorni con l’intervento di incredibile valore avanguardistico su facebook rimbalzato da tutti i telegiornali come ennesima dimostrazione di quel “operaio come i suoi operai” che, cogliendo tutti impreparati, vent’anni fa lubrificò lo scivolamento verso il populismo più evidente ma nello stesso momento meno riconoscibile della storia della comunicazione politica italiana.
Perché quel messaggio su facebook, sbrigativamente ridotto a semplice capacità di utilizzo dei media moderni (Bonaiuti che tremante perché attraversato da ignorante orgoglio da padre di figlio laureatosi in ingegneria chiede compulsivamente a Vespa “Le è piaciuto? Ha visto? Le è piaciuto? Ha visto?” è una pagina di tv memorabile), è stato in realtà il proseguimento della strategia del presidente operaio.
Una strategia che ha come capacità principale quella di sapersi adattare costantemente alla forma che il culo con l’età assume man mano che i muscoli cedono per naturale invecchiamento o, se verso i giovani, alla forma che il culo in via di sviluppo tende a prendere autonomamente se non guidato da un calco adeguato intorno al quale modellarlo.
Non il capo che usa internet come un balcone qualsiasi per rivolgersi al suo popolo ma il suo esatto contrario, un servo del suo popolo che per ascoltarne la voce scende dall’auto e entra nei loro androni dicendosi in ascolto.
Non quel maldestro e immediatamente ridicolizzato dal media stesso “Plìs vìsit aur cauntri” del mai tanto ridicolo Rutelli ma, a parità di media, il suo esatto contrario.
Un vibratore del terzo secolo che si automodella in base al buco che va a riempire, roba sofisticata perché prima di tutto vuole essere incomprensibile (e quindi incontrastabile) a una superficiale analisi, che è l’unica a disposizione di chi vorrebbe contrastarne il fenomeno.
Non “son qui perché ho qualcosa da dirvi” ma “Son qui perché è qui che voi chiedete”.
Roba duepuntozero che finché avrà come contrasto Bersani che pensa che la stessa cosa si possa fare andando per due ore davanti ai cancelli di Mirafiori, potrà debordare senza controllo ancora per anni.
Da società-politico-elettore a elettore-politico-società.

Lungo questo percorso partito vent’anni fa con il famoso elmetto giallo sui manifesti, in un momento in cui l’accelerazione si è resa necessaria è stato mandato in prima linea Feltri, maestro di populismo, con il compito di portare anche Il Giornale a far parte del cassetto dei vibratori.
E così anche Il Giornale è stato ridisegnato secondo il progetto, con quell’editoriale utile a trasferire un concetto sofisticato nella testa di una critica tutt’altro che sofisticata, alla quale far percepire nettamente il passaggio da società-giornale-lettore a lettore-giornale-società.
Una rivoluzione pari davvero forse solo all’elmetto giallo.
Perché il giornale in entrambe le impostazioni si colloca al centro tra la società e i suoi componenti, ma mentre nel primo caso ha come funzione quella di portare ai suoi componenti la forma della società così da interpretarla e trasferirne i contorni, nel secondo questa missione si ribalta e il giornale, senza mutare la propria posizione tra i due elementi, si assume il compito di portare alla società i contorni dei suoi componenti.
Il popolo da ascoltatore diventa oratore, da massa passiva ad attore decisivo.
Quell’impianto che ha come fine il far credere al (suo) popolo che la politica è lì per servirli, che il governo ha come fine ultimo quello di ascoltarli e con lui i suoi media, in prima linea a svolgere la loro funzione in questa macchina di propaganda, che altro non è che quella di dimostrare sul campo la concretezza di questa promessa.

Apriti cielo.
Su una piattaforma come internet, già di per sé interamente fondata sulla convinzione che la stessa piattaforma non esista in quanto tale ma solo come forma del suo contenuto (uno dei problemi principali della rete), una mossa incendiaria quanto lo sarebbe l’entrare in un carcere, disarmare le guardie e dire ai detenuti che hanno 15 minuti di tempo per fare ciò che vogliono godendo di uno speciale permesso impunità a durata limitata, limite direttamente proporzionale però alla quantità di danni che riescono a fare.

Da quel giorno leggo Il Giornale praticamente tutti i giorni.
Non gli articoli, però.
I commenti.
C’è un “popolo” scatenato convinto davvero che un commento lasciato lì, il giorno dopo sia in parlamento per essere discusso come da promessa editoriale.
Ci hanno creduto (del resto…)
Non discuto i contenuti, non in questo caso.
Parlo della leva.
Si rivolgono non a Feltri, ma al presidente o a entrambi immaginandoli dall’altra parte del monitor vicini e impegnati all’ascolto facendo sì con la testa.
Parlano rivolgendosi direttamente a lui.
È una roba fantastica.
Nemmeno sui siti porno con la chat diretta con la pornostar c’è ancora gente che crede davvero che sia lei ad ansimare via tastiera.
Lui ci riesce.
Sono tutti lì a proporre leggi, proposte, discussioni, a partecipare a forum che loro vedono a forma di sedute parlamentari del popolo.

Io ogni giorno mi chiedo se per un giornalista della qualità (tecnica) di Feltri e con il suo percorso professionale, sia davvero così alta la sensazione di conquista quando fatta a forma di un dialogo con gente che nemmeno ha capito che no, il presidente non è davvero lì che legge, gente che non parla un italiano corretto nemmeno a sparargli, gente che più si alza l’asticella della libertà di parola e più in basso riesce a scendere con quella di ragionamento.
Mi chiedo se davvero è questo quello che sognava quando da piccolo tra l’astronauta e il giornalista decise per la seconda.
E non mi basta sapere che se lo fa la risposta non può che essere sì, perché io all’orgoglio ancora ci credo e soprattutto credo all’autostima e niente mi farà mai credere che essere osannato da gente che non sa parlare italiano sia un traguardo personale degno di essere messo sullo scaffale insieme alle coppe.
Allora mi rispondo sempre che quella soddisfazione ci sarà sicuramente, e non solo economica, ma che non può che essere la soddisfazione di chi, insieme al presidente, sa cosa sta facendo e sa quanto sia stato bravo nel materializzarlo e che sa che più sarà alto il numero degli sgrammaticati intorno, più sarà raggiunto l’obiettivo.

Allora in questi giorni sul Giornale si parla di pedofilia e chiesa e di RU486.
È un giornale sul pezzo, per il suo popolo e DEL suo popolo, del resto.

Della RU486, se ne parla attraverso un’intervista verissima nella quale una donna anonima racconta la sua esperienza con la pillola durante la quale ha sentito cessare il battito del cuore del bambino che stava uccidendo perché voleva fare un dispetto al suo ex, una donna che dopo questa scelta oggi combatte con un cancro sulla cui origine l’articolo tace perché viene usata solo come sospeso finale a interpretazione libera degli sgrammaticati di cui sopra ancora in lacrime per quel suono di battito cardiaco che non si sente più.

Ed ecco il forum:

“C'è un video che gira su internet, anche se è difficile trovarlo perchè viene boicottato pesantemente. E' un video realizzato qualche anno fa da uno staff medico in America, in cui si vede un aborto dall'interno dell'utero, Fu realizzato con il permesso della donna che abortiva, con una micro telecamera. E' tremendo e ti fa capire quanto l'aborto sia un vero e proprio omicidio premeditato. Il feto in questo video cerca addirittura di difendersi, sembra quasi che si aggrappi alla placenta per evitare di essere risucchiato. Sconvolgente. Ho deciso, e non per motivi religiosi, di non abortire mai, neanche nella peggiore delle situazioni, perchè l'aborto viola la legge più importante in qualsiasi ordinamento giudiziario. Quella che punisce chi uccide”

“E dire che mi sentivo in colpa quando ho letto come agisce il veleno per topi che ho usato in più occasioni: provoca emorragie interne al topo per cui questi, assetato, va in cerca d'acqua, libera le cantine che infesta e va a morire lontano dai nostri occhi. Fa pena a raccontarlo, vero? Ed è solo un topo! E pensare che un trattamento anche peggiore riservato a un piccolo uomo viene ritenuto una conquista civile!”


Sulla chiesa e il problema che sta attraversando, si parla della dichiarazione rumorosa di Padre Cantalamessa.

Ed ecco il forum:

“Il Papa, la Chiesa Cattolica Romana tutta intera ed il Predicatore del Papa, Padre Raniero Cantalamessa (che Dio lo protegga a lunga vita) NON DEVONO VERGOGNARSI PROPRIO DI NIENTE!! semmai sono i soliti eberei che devono vergognarsi di utlizzare ogni circostanza in cui viene fatto loro riferimento per protestare ed attaccare la Chiesa Cattolica. Checchè se ne dica, non avete riconosciuto allora e non lo riconoscete oggi che Gesù Cristo è il figlio di Dio, nato morto e risorto per la salvezza dell'umanità; lo avete insultato allora, fate con la Chiesa oggi la stessa cosa; avete tentato di ucciderlo, e alla fine ci siete riusciti, e forse riuscirete a farlo anche con il Papa primo o poi, ma ricordatevi bene che "le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa"; Cristo è risorto e la proteggerà fino alla fine dei tempi. La sua Chiesa non soffrirà meno del suo Maestro, ma alla fine risorgerà a vita eterna, mentre per gli infingardi e gli omicidi ci sarà la fornace ardente!! Amen”

“Comunque gli ebrei piagnoni, si stracciarono le vesti, quando fecero morire in croce, Gesù ed i loro piagnistei, continuano anche ai nostri giorni.”

“come dicevano in molti qui sul blog , gli attacchi provengono dalla lobbie ebraica americana ed inglese che purtroppo dopo 2000 anni e' tornata a governare il mondo finanziario e non.”


Io qualche mese fa, non che ci volesse un genio, in un post che come oggi parlava del Giornale, mi dichiarai convinto che finiti i neGri e i froci sarebbe stato il turno degli ebrei nel momento in cui avessero parlato anche loro, e suggerii cautela nel rilassarsi troppo rispetto all'assurdità dell'ipotesi dell’arrivo della più che prevedibile rinascita della deriva antisemita.

È folklore, lo so lo so, non che non lo sappia.
È sempre folklore.
Lo era anche il giuramento sul po con le corna sull’elmetto di quelli che oggi governano mezza italia con figli di papà che prima dell’elezione inventavano giochi su internet per sparare sui gommoni, del resto.
Si gioca, su, è folklore.
Che ha un suo giornale di riferimento che si occupa di fargli sempre più da grancassa e quel giornale è quello governativo, d’accordo, ma son giovani, giocano.
Sul quale si annuncia per gli “infingardi e gli omicidi” la meritata fornace ardente, ma è comprensibile, son cristiani, su.
E son metafore cristiane, lo so, dai.
Non state lì a spaccare il capello in quattro.
In fondo avete in mano la finanza mondiale e avete pure il naso grosso, sarà mica un Giornale il vostro problema.
È pasqua ed è il momento della pace e dell’amore.
Scambiatevi il segno di pace con gli stessi ai quali voi avete dato voce e libertà.
Son lì che non vedono l'ora.

1 aprile 2010

Ma quale attentato politico, è che non gli era arrivata la scopa rullante

A Milano(*), oltre ad una velocità di moltiplicazione dei “Compro oro” in confronto alla quale quella dei ristoranti cinesi degli anni ’90 pare un processo lento e graduale, la crisi ha portato un aumento del 400% (qua-ttro-cen-to-per-cen-to) delle persone, che già erano decine di migliaia, cadute nella rete degli usurai, quella sottile fascia di disperazione che sottrai come forma di estrema autoconcessione all’esondante ipotesi del suicidio, prima di valicare definitivamente il confine tra ipotesi e proposito.

Se Class Action contro le banche andrebbe fatta, sarebbe per farle condannare per favoreggiamento.
Loro e chi ha permesso loro di chiudere improvvisamente i rubinetti a qualsiasi livello e senza possibilità di trattativa se non la preghiera, per chi crede (tra i direttori di banca, dico), e comunque inutilmente, in un momento nel quale con mille euro salvi una famiglia anche solo per il fatto che non ci si ammazza uno dei due coniugi, generalmente quello che manteneva il resto.
Così d’ufficio ti revocano tutto e poi ti dicono che se non rientri, a breve anche nella tua regione che sarà magistralmente amministrata per altri vent’anni da quelli(**) con l’aureola (più dell’Amore di quelli dell’Amore, fidati è peggio), sarà questione di pane e acqua per i tuoi figli a scuola a meno che qualcuno degli inservienti, intesi come le maestre post Gelmini, non continui a violare la legge al posto tuo per dar loro comunque almeno quel piatto di pasta che tu, dovendo dare agli usurai pure la casa, non gli puoi più garantire.

A Milano, quella che tutti dicono essere la locomotiva (pensa quelli al traino), per capirci, siamo al o rapini o ti fai rapinare.

La stessa Milano, per capirci ancora meglio, nella quale un altro dei pochissimi casi di incremento così grande in un periodo così breve, sono gli abbonamenti a Mediaset Premium per vedere il calcio e nella quale molto probabilmente, essendo la capitale della comunicazione intelligente, è stato ideato lo spot che invita a cadere nel tunnel delle scommesse sui cavalli, non avessi sufficienti motivi per ucciderti dopo aver affamato la famiglia grazie a uno stato che poi ti invita pure a giocare d’azzardo ma solo su siti gestiti da lui altrimenti, oltre a rischiare la galera per non aver giocato su siti statali, non sei mica come Totti.

Ora che ci siamo capiti ancora meglio, è chiaro perché io sostengo che questa città ha più di un problema e che nell’elenco quello dell’immigrazione non figura nemmeno tra i primi cinque?



(*)Città nella quale secondo il suo brillante prefetto la mafia non esiste; probabilmente sott'intendendo, ovviamente frainteso, il suo essere completamente in mano alla 'Ndrangheta.
(**)che con la loro politica di delegittimazione e isolamento hanno portato allo scioglimento l'Associazione Sos Racket e Usura.