29 luglio 2005

Mosaici

Ho scoperto che ci si può innamorare anche di un uomo, a 65 anni.
Dove l'ho già sentita, questa?
Ho problemi di memoria.

Lui no.
Lui ricordava tutto.
E anche se era al telefono, li ho visti gli occhi innamorati di te.
Sai quell’ammirazione che una recluta riserva ad un suo superiore, personale eroe, col quale ha avuto la fortuna di combattere, quel senso lì di bellezza, di stima.
Ce l’aveva negli occhi, mentre mi parlava, li vedevo.

Hemingway, di nuovo.
E continuava a ripeterlo mentre ti descriveva nei modi gentili, nell’eleganza, nella ruvidezza, nella fierezza, nell’inarrivabile cultura.
Si ricordava quando è arrivato a casa del suo amico che ti ospitava e aveva con sé tre libri enormi che avevano spaventato tutti tranne te.
Si ricordava che rimase colpito da quel tuo astrarti in quell’esatto momento dalla compagnia per leggerti i tre libri per intero lì sul posto.
Si ricordava che stavi traducendo un libro cinese del 200 e lo diceva come si racconta di aver visto Ulisse dal vivo.
E la sera che tutti e tre siete andati nel quartiere russo di Pechino, in quel locale nel quale passavi le serate.
E la mia silenziosa speranza che finalmente a qualcuno avessi svelato quel segreto per il quale ti venne precluso l’ingresso in Russia a vita, tu che il Russo lo parlavi tanto quanto il mandarino di quel paesello dietro il fiume e che quel qualcuno fosse lui e invece no, te lo sei davvero portato dietro quel segreto perché nemmeno quella sera era la sera giusta per levartelo.

Ed era innamorato di te, quella sera, sai?
Ti guardava in quell’eleganza distinta che riusciva a spiegarsi solo con la parola dignità, perché pare fossi senza una lira in quel momento, non a caso ospitato da un amico.
Ma era innamorato perché, dice, vivevi di promesse.
Promesse di bonifici, promesse di pubblicazioni, promesse di lavori, promesse di qualcosa.
E vivevi sempre distinto, elegante, fiero, bello.
Ed era innamorato di te per la tua passione per le donne.
Perché ti vedeva prenderle e lasciarle come fossero bicchieri di whiskey.
Me l’ha raccontata come farebbe uno sceneggiatore, la tua uscita dal locale.
“A un certo punto si è alzato, ci ha preso sotto braccio tutti e due, si è fatto dare una bottiglia di Vodka, ne ha offerta mezza, ci ha portati fuori, “andiamo a donne stasera” ci ha detto, siamo usciti dal locale e sulla strada ha fermato due ragazze, ha detto loro qualcosa, loro l’hanno preso per mano e si sono allontanati tutti e tre. Io e il mio amico lo guardavamo allontanarsi, lui, le due ragazze e la bottiglia di vodka. Era bellissimo guardarlo allontanarsi in quel modo, non puoi sapere quanto era bella quella scena”

No, non lo posso sapere.
Io l’unica volta che l’ho visto allontanarsi di spalle non andava verso qualcosa, si allontanava da me.

Hemingway, ripeteva.
E il tuo progetto di aprire una scuola, naufragato come tutti gli altri.
Eri elegante, continuava ripetermi.
Eri bello, continuava a ripetermi.
Eri colto, continuava a ripetermi.
Di un’intelligenza che non aveva mai incontrato, continuava a ripetermi.
Ti ammirava, continuava a ripetermi.
In 65 anni, ha detto, non aveva mai conosciuto un uomo così, mi ha detto una volta sola.
Sono io, che continuo a ripetermelo, adesso.

Mi ha detto che ha già comunicato al tuo amico di Pechino di aver scovato tuo figlio.
Ci vedremo tutti e tre, quando lui verrà in Italia.
Se questa telefonata non è stata facile, quell'incontro saranno due anni di vita in meno, miei.
Qualcuno in più, tuoi.
Non sarà una passeggiata, ma ne varrà la pena.
Un pezzo alla volta, uno più difficile dell'altro, ce la farò a renderti uomo.

In realtà ho solo da perderci, in questa operazione, perchè il giorno che raggiungerò quell'obiettivo, molto probabilmente inizierai davvero a mancarmi in maniera dolorosa.
Ma se l'alternativa è non ricordarti, preferisco correre il rischio.
Per quel momento spero di essere diventato forte.

E comunque sono certo che avrò, a differenza di stasera, qualcuno a sorreggermi.
Ne ho bisogno anch'io, sai?
Anche se esattamente come te non lo ammetterò mai.

Forti, noi Bozza, forti!
A noi basta una bottiglia di vodka e qualche donna da scopare.
e promesse sulle quali vivere un giorno dopo l'altro.

Due dei tre sono già caduti.
manco io, all'appello.
Forte, Bruno, forte!

Ci credono tutti, sai?
Se sapessero, quant'è dura.
è che il mondo vuole essere scopato e noi Bozza siamo capaci di farlo.
mai che qualcuno scopi noi.
è che chiunque ci sia di fronte noi abbiamo sempre qualcosa in più che ci mette nelle condizioni di non poter chiedere.

Perchè quando impari a stare in piedi sulla merda, mentre tutti ci affogano dentro, quelli sotto si aggrappano a te, pensando che tu sia stabile.
Vaglielo a dire che Copperfield non li ha mai fatti sparire davvero gli aerei.
E che tu sei in equilibrio perchè hai imparato a tenere in piedi i tuoi soli 50 stupidi chili.
Che anche un solo grammo in più e tutto crolla.
Ma in fondo ci piace.
Perchè è vero, che abbiamo qualcosa in più.
La capacità di recitare, per esempio.

Ho deciso di fare un regalo, al tuo amico.
Una cosa tua che ho solo io e che sono felice se sarà sua.
Sai, ieri sera quando ho scritto della telefonata che avevo intenzione di fare, avevo scritto che sarei stato felice anche se mi avesse raccontato solo il colore delle piastrelle della tua casa.
Volevo dire “qualsiasi cosa”
Poi l’ho cancellato, sai?
Ho pensato che se mai fosse capitato anche qui, avrebbe pensato che sminuivo i suoi racconti, che non avrebbe capito cosa volevo dire, che intendevo dire “mi basta qualsiasi cosa”.

“Uno dei tre giorni che passammo insieme mi portò nella casa dove stava. Era una casa povera ma elegante. Rimasi colpito da un tavolino non finito. Lo stava facendo lui a mano, utilizzando i pezzi di piastrelle che i muratori avevano rotto. Era una tavolino fatto di pezzi di piastrelle colorate rotti in tanti piccoli pezzi e incastrati tra loro a formare un tavolo di fiori colorati. Era bellissimo quel tavolino fatto a mano in una casa così semplice. Fino a quel momento lo vedevo solo come un polveroso appassionato solo di libri e di libri e di libri. Non lo era. Quel tavolino lo ricordo come lo avessi davanti. Erano fiori colorati incastrati da quell’uomo così speciale”

Cazzo, Pà.
Cos’è?
Cos’è questo filo?
Perché le cose io le so prima?
Perché le vedo a forma di piastrelle colorate?
Hai idea di quanto sia stato pesante per me quando ha pronunciato la parola “Colore delle piastrelle”?
Ce l’hai una stracazzo di idea del tonfo che mi è esploso dentro?
Cos’è?
L’avevi letto prima che lo cancellassi?
Vuoi che scoppi anch’io?
È empatia?
Non può essere empatia, non ci sei più.
Ci sei ancora?
Cos’è?
Aiutami.

Ti ho già sepolto una volta.
Non tornare, per favore.
Due, non ce la farei.

Mi ha chiesto dove sei sepolto.
Mi sono offerto di accompagnarlo.
Ma non so se lo farò.

Che senso ha dimostrargli che eri un mortale come tutti?
Erano così belli i suoi occhi, mentre mi parlava di te.
C’hai impostato una vita, sul far credere a tutti che fossi Hemingway.
Beh, accidenti, ci sei riuscito.
E non sarò certo io a svelare il trucco.
Sai, anch’io lo uso quel trucco lì.
Sai, anche a me piacciono le donne e, hai ragione, funziona.
Non sono Hemingway, per questo, lo so.

Però sono stato più bravo di te.
A me, per il momento, nessuno mi piange.
A te, stasera, se ho visto bene quegli occhi, siamo in due.
Se avessi una vodka, adesso, alzerei il bicchiere a Oriente.

Chapeau, Edi.
Chapeau.

27 luglio 2005

peppe+edi+bozza

La settimana scorsa ho ricevuto 10.000 parole
E ne regalo due, in cambio.
Grazie, Roberta.

Oggi ricevo queste:
“Ciao Bruno,
mi permetto di darti del tu avendo conosciuto, anche se solo per pochi giorni tuo padre Edi.
Ho avuto modo di apprezzarne tutta la profondissima cultura ed il piacere di vivere che aveva.
Era la prima decade del luglio il 1999 e ho avuto la fortuna di conoscere tuo papà che frequentava un comune amico a Beijing.
In quell'occasione mi mostrò una decina di suoi libri (tutti in brossure ma in discreto stato di conservazione.)
Il poco tempo mi permise di fotocopiarne solo uno di questi
(Il tappeto da preghiera di carne: racconto erotico cinese d'epoca Qing di Li Yu a cura di Edi Bozza Edizioni Mondadori, Milano 1996)
Al mio ritorno in Italia cercai, anche su internet, di rintracciare gli altri volumi dei quali avevo l'elenco.
A volte, ricordandolo, mi viene di raffrontare la sua vita a quella di Ernest Hemingway.
Un caro saluto nel ricordo del tuo grande papà che meriterebbe di essere riconosciuto dalla critica letteraria italiana bigotta e provinciale.

Peppe T.”


Niente libri, solo parole.
Sarà per questo che non so come ringraziare.
Che poi sono quelle cose che ti fanno pensare che chi se ne va, lascia il buono che ha fatto, poco o tanto che sia, sparso per quel mondo che ha vissuto, per fartelo trovare lungo la strada a spizzichi e bocconi, magari dopo anni, magari quando ti serve o soltanto quando non te lo aspetti.
E si chiedono tutti se c'è la vita oltre la morte.

Certo che c'è.
Solo che non la vive chi  se n'è andato, ma chi rimane.
Ed è per quello che almeno un paio di cose buone dovremmo cercare tutti di infilarle, tra l'ape in centro e lo spinning nella pausa pranzo.
Perchè saranno la nostra vita oltre la morte.
Saranno il nostro modo di non andarcene mai.
Saranno quello che ci farà vivere, nonostante qualcuno o nessuno o il destino, abbia deciso che era ora di chiudere bottega.

Nessuno se ne va mai del tutto.
Forse, in un certo senso, la morte come la intendiamo noi, nemmeno esiste.
Perchè c'è la vita oltre la morte.
E non credete a chi cerca di convincervi che è in cielo.
è qui.
Sono quel libro e le parole che avremo lasciato a chi abbiamo incontrato lungo la strada.
Amici o figli che siano.
Sono tutto ciò che di buono abbiamo fatto.
Il brutto, per fortuna, è l'unica cosa che col tempo davvero muore e se ne va, insieme al dolore.

Un pensiero per te, M.

25 luglio 2005

(ormai)35

Ci si può innamorare anche di un uomo, a (ancora) 33 anni.
Finalmente liberi da quei preconcetti da caserma che ogni 15enne si porta dentro, che gli impediscono di dire che Andy Garcia è un uomo bellissimo, pena la derisione dei compagni.
“Cu-lo! Cu-lo!”
Poi diventi grande e ti accorgi che guardare un uomo e trovarlo bellissimo non è essere gay, ma uomo.

E lo scopri quando seduto su un divano vedi un uomo di (ormai) 35 anni fare pace con una bambina di 5, perché l’obiettivo primario di ogni cosa dev’essere togliere al viso di quella bambina il broncio di chi non accetta che il proprio papà dica le bugie.
Quale delusione maggiore esiste, al mondo, per una bambina di 5 anni, se non scoprire che il papà dice una bugia e la dice proprio a lei?
Quanti padri l’avrebbero liquidata, quanti padri l’avrebbero spedita a guardare la tv.
Ma quella bambina non aveva i lacrimoni perché non voleva andare a letto.
Aveva i lacrimoni perché il suo papà aveva detto una bugia.
E quella bugia non era che il papà le aveva detto che babbo natale non esiste.
Non era triste perché il topino del dentino non esiste.
Era triste perché il papà, giocando a scala40 con lei, non era stato onesto nel prendere la carta al suo turno.
5 anni.

E tu, seduto sul divano, vedi un padre di (ormai) 35 anni giocare a scala40 con la figlia di 5 (per poi trovare strano che il figlio di 7 risolva equazioni matematiche) e lo vedi farsi perdente pur di riconquistare un bacio di quella bimba di 5 anni.
E tu ti chiedi se sia quello, il concetto vero e assoluto di padre.
E ti rispondi che si, è proprio quello.
Quello di accettare di definirsi perdente anche quando non lo sei, solo perché è irrazionalità l’amore.
E ti innamori di quell’uomo di (ormai) 35 anni perché ti innamori dei valori che sta mettendo in quel “Facciamo la pace?”
Ti innamori di quello che lo spinge a (ormai) 35 anni ad accettare qualsiasi prezzo pur di riavere la fiducia di una biondina di 5 anni, troppo piccola per sapere già che gli uomini mentono sempre, alle donne.
Anche quando quel prezzo è l’ammissione di una colpa che non ha.

E scopri che è quello il concetto di padre.
Quello di prendersi la colpa di qualsiasi lacrima della propria bimba, anche di quelle irrazionali, perché quella bimba è irrazionale e quella colpa non và discussa.
Va ammessa.
Perché è il sorriso l’unico fine di tutto.
E tu guardi quell’uomo di (ormai) 35 anni non azzardare alcun tipo di difesa, ma semplicemente chiedere scusa.
E vedi la biondina di 5 anni concedere quel prezioso bacio anzi due anzi tre, perché uno è normalità, due sono una concessione a lei, tre sono una concessione a lui.
E quell’accordo tra di loro lo leggi tutto negli occhi di quel padre e di quella biondina.
E la vedi riprendere il sorriso come se fosse passato Babbo Natale a cavallo del topino del dentino, senza aver acquisito un solo anno di più di quei suoi irrazionalissimi 5, in quello scontro con un uomo di (ormai) 35 battuto, abbattuto, sul terreno di quei lacrimoni così lontani dagli sterili capricci.

E tu che ne hai (ancora) 33 guardi tutto quello con un irrazionalissimo sorriso dentro che ti fa innamorare di quell’uomo come ci si innamora di un jazzista di (ormai) 35 anni che tenta di suonare una tromba senza l’impostazione accademica di chi l’ha studiata fin da piccolo ma con la perfezione che ogni passione si porta dentro.
Che l’impostazione accademica perfetta farà anche uscire le note accademiche perfette, ma quant’è buffa la forma della bocca dei jazzisti da accademia, tutta segnata da quella cicatrice a forma di cerchio che la tromba incide negli anni, incorniciata da due guance gonfie di anni di soffi in un tubo metallico.
E quant’è più bella invece quella cicatrice che quell’uomo di (ormai) 35 anni con orgoglio mostra, lasciata da anni di uno anzi due anzi tre baci dati da due figli incredibilmente, caoticamente, subwoofericamente musicali, incorniciata da due guance gonfie di anni di pernacchie sulla pancia.
Che a suonare la tromba alla fine si può imparare un po’ tutti.
Un po’ di tecnica, qualche lezione e tante ore.
È per far pace con i propri figli che bisogna essere uomini speciali.
Per quello, davvero, bisogna aver qualcosa di musicale dentro.

Auguri Rillo.
Come regalo, per una volta, metto un uomo di (ormai) 35 anni tra le donne alle quali dedico i miei pensieri prima della nanna.
La mia dedica si ferma lì, però.
Che per il momento, saranno stati i palloncini che hai appeso in cucina, le tette hanno sempre il loro bel fascino.
E la tromba continua ad avere sempre quel suo bel suono, sano, maschio, delle barzellette da caserma, anche per me.
Quelle barzellette da 15enni sui matrimoni così belli che sanno essere felici di un fiore, per essere festeggiati.
Quelle barzellette banali che recitavano
“Enrico la Talpa ...Rillo la Tromba”
Buon compleanno ...buon anniversario.
AH!AH!AH!

Che belli che eravamo a (ormai) 35 anni.

21 luglio 2005

Oracolo a milano

...e avrei scritto un post lungo, duro, anche se avrei fatto di tutto per dire senza dire, ma poi ho letto Sphera e l'ho trovato già scritto, perfetto, ogni parola, ogni virgola, ogni sensazione e allora mi permetto di rubarglielo, perchè parole migliori di queste, io no, non lo avrei sapute scrivere.
Io non sarei riuscito a non fare riferimenti a non dire senza dire a non attaccare.
Lei ci è riuscita ed è meglio per tutti.
Grazie a Sphera per la concessione.

"Oracolo a milano

Sai quando una cosa la sai benissimo, sai come sarà, cosa succederà, punto per punto: la sai tutta.
La sai perché l'hai provata e perché l'hai vista capitare, svolgersi esattamente in quel modo, un sacco di volte. E soprattutto non l'hai mai vista svolgersi in un altro, un qualunque altro, modo.

Certo, in via teorica esiste la possibiltà che una mela invece di cadere a terra si slanci di colpo verso l'alto ridacchiando alle spalle della forza di gravità, ma finora pare non sia mai capitato.
Sai i tempi, sai tutte le tappe, vedi la trama in controluce netta, diritta e precisa come il filo metallico in una banconota.
Vedi il punto d'arrivo con tanta precisione che potresti metterti lì ad aspettare, di fianco al bersaglio, e cronometrare il momento previsto e preciso in cui la freccia non può che colpirlo.

Però stai zittissima. Non una parola.
Perché ognuno, perlamordiddio, ha il diritto di sbagliare per conto suo."

14 luglio 2005

ma lasciarti non è possibile

E come stai?
Domanda inutile
Stai come me
e ci scappa da ridere.

Naaaaaaa-na-na-nanna-nnaaaaa
Parapa-rapara-pà

11 luglio 2005

Theatre


Ti vedo.
In fondo al teatro, silenziosa.
Felice di non aver trovato posto in prima fila.
Ti vedo con quel sorriso di chi sa che le basterebbe alzare una mano per girare con un solo cenno l’intera sala.
Mano giù il palco di qua.
Mano su il palco di là.
E la gente in mezzo a non sapere perché le luci improvvisamente non inquadrano più Bruno.

Ti vedo.
Ti vedo perché il tecnico luci l’ho addestrato bene.
“Lo so che c’è” gli ho detto.
E lui, solo perché mi crede, monta ogni sera un piccolo quarzo blu a fondo sala, verso la porta, orientato in modo che io dal palco non possa vedere i lineamenti, ma solo un rettangolo perfetto se non lo oltrepassi, una sagoma perfetta se si.

Ti vedo perché la maschera ogni sera a fine spettacolo fa la spia.
“è passata” mi dice.
“com’era?” gli chiedo.
“come la sogni tu” mi risponde.
Ogni sera lo stesso dialogo, sempre uguale.
Poi tira giù la tendina della biglietteria e prima di chiudere la cassetta, mi regala la metà biglietto strappata al tuo prima di entrare.
Le prime volte non sapevo perché e lui, diavolo di una maschera, non diceva altro che “è passata”.
Una sera mi raccontò della sua donna.

Veniva ogni sera nello stesso teatro.
Lui ha sempre lavorato qui.
Entrava, comprava un biglietto, gli sorrideva e usciva.
Lui non capiva, non sapeva.
Sapeva solo che la trovava incantevole e ogni sera metteva da parte un biglietto per lei, per non rischiare di non sentire quel suo “grazie” sorridente, solo perché quella sera, magari, c’era il tutto esaurito.
Lei, ogni sera, non diceva nulla, si avvicinava al vetro e aspettava una sua parola.
E lui, per non rischiare di non sentire quel grazie, ogni sera la stessa frase.
“Buonasera, signorina. Ecco, per lei”.
Lei prendeva il biglietto e senza entrare a vedere lo spettacolo se ne andava sorridendo.
Un giorno smise improvvisamente di andare al teatro e lui non seppe mai più nulla.
Continuò lo stesso a tenere da parte un biglietto ogni sera.
Continuava tutt’ora.
Quella sera mi consegnò la solita parte del tuo biglietto, mi disse il solito “è passata” e si allontanò.
Il giorno dopo non si presentò più al lavoro.
Non si seppe più nulla di lui e io non fui mai capace di spiegare alla nuova maschera la storia della metà del biglietto.
Mi chiedo anch’io, ancora oggi, perché me la volesse regalare ogni sera.

Ti vedo.
Ti vedo perché in fondo alla sala, il rettangolo blu non è più un rettangolo perfetto.
È rotondo, pieno, una mano giù e l’altra anche.
Se vedessi tutte le metà biglietto che conservo nel camerino.
Mi aiutano, sai?
Mi ricordano i giorni che passano con te in fondo alla sala a guardarmi.
Non lo so se la maschera me le regalava per aiutarmi o perché gli ricordavi la sua donna mai avuta che era il futuro diverso che si augurava per me.
Non lo so e non ho nemmeno voglia di scoprirlo.
So solo che ancora oggi ogni sera vado dalla nuova maschera e gli chiedo due biglietti.
Uno per te, uno per quella sua donna e li porto in camerino nella scatola insieme agli altri.
Chissà, forse un giorno alzerai la mano e io li lancerò in aria sul palco come coriandoli.
Forse un giorno tornerà anche lui a presentarmi la sua donna ritrovata.
Forse starete tutti e tre a guardarmi dal fondo del teatro, mentre io faccio il mio spettacolo che parla di voi, ogni sera, la stessa replica da anni che tanto appassiona il pubblico.
Forse non passerà mai più nessuno.
Però, sai, lui era bello quando dietro il vetro la aspettava.
E io, che tu alzerai mai la mano o meno, è con quella speranza negli occhi che voglio continuare a stare su ‘sto palco.

Con i biglietti ci sto facendo un castello di carta.
Alla maschera devo questo.
Siete sagome silenziose, ma siete il motivo per il quale io sorrido.