11 luglio 2005

Theatre


Ti vedo.
In fondo al teatro, silenziosa.
Felice di non aver trovato posto in prima fila.
Ti vedo con quel sorriso di chi sa che le basterebbe alzare una mano per girare con un solo cenno l’intera sala.
Mano giù il palco di qua.
Mano su il palco di là.
E la gente in mezzo a non sapere perché le luci improvvisamente non inquadrano più Bruno.

Ti vedo.
Ti vedo perché il tecnico luci l’ho addestrato bene.
“Lo so che c’è” gli ho detto.
E lui, solo perché mi crede, monta ogni sera un piccolo quarzo blu a fondo sala, verso la porta, orientato in modo che io dal palco non possa vedere i lineamenti, ma solo un rettangolo perfetto se non lo oltrepassi, una sagoma perfetta se si.

Ti vedo perché la maschera ogni sera a fine spettacolo fa la spia.
“è passata” mi dice.
“com’era?” gli chiedo.
“come la sogni tu” mi risponde.
Ogni sera lo stesso dialogo, sempre uguale.
Poi tira giù la tendina della biglietteria e prima di chiudere la cassetta, mi regala la metà biglietto strappata al tuo prima di entrare.
Le prime volte non sapevo perché e lui, diavolo di una maschera, non diceva altro che “è passata”.
Una sera mi raccontò della sua donna.

Veniva ogni sera nello stesso teatro.
Lui ha sempre lavorato qui.
Entrava, comprava un biglietto, gli sorrideva e usciva.
Lui non capiva, non sapeva.
Sapeva solo che la trovava incantevole e ogni sera metteva da parte un biglietto per lei, per non rischiare di non sentire quel suo “grazie” sorridente, solo perché quella sera, magari, c’era il tutto esaurito.
Lei, ogni sera, non diceva nulla, si avvicinava al vetro e aspettava una sua parola.
E lui, per non rischiare di non sentire quel grazie, ogni sera la stessa frase.
“Buonasera, signorina. Ecco, per lei”.
Lei prendeva il biglietto e senza entrare a vedere lo spettacolo se ne andava sorridendo.
Un giorno smise improvvisamente di andare al teatro e lui non seppe mai più nulla.
Continuò lo stesso a tenere da parte un biglietto ogni sera.
Continuava tutt’ora.
Quella sera mi consegnò la solita parte del tuo biglietto, mi disse il solito “è passata” e si allontanò.
Il giorno dopo non si presentò più al lavoro.
Non si seppe più nulla di lui e io non fui mai capace di spiegare alla nuova maschera la storia della metà del biglietto.
Mi chiedo anch’io, ancora oggi, perché me la volesse regalare ogni sera.

Ti vedo.
Ti vedo perché in fondo alla sala, il rettangolo blu non è più un rettangolo perfetto.
È rotondo, pieno, una mano giù e l’altra anche.
Se vedessi tutte le metà biglietto che conservo nel camerino.
Mi aiutano, sai?
Mi ricordano i giorni che passano con te in fondo alla sala a guardarmi.
Non lo so se la maschera me le regalava per aiutarmi o perché gli ricordavi la sua donna mai avuta che era il futuro diverso che si augurava per me.
Non lo so e non ho nemmeno voglia di scoprirlo.
So solo che ancora oggi ogni sera vado dalla nuova maschera e gli chiedo due biglietti.
Uno per te, uno per quella sua donna e li porto in camerino nella scatola insieme agli altri.
Chissà, forse un giorno alzerai la mano e io li lancerò in aria sul palco come coriandoli.
Forse un giorno tornerà anche lui a presentarmi la sua donna ritrovata.
Forse starete tutti e tre a guardarmi dal fondo del teatro, mentre io faccio il mio spettacolo che parla di voi, ogni sera, la stessa replica da anni che tanto appassiona il pubblico.
Forse non passerà mai più nessuno.
Però, sai, lui era bello quando dietro il vetro la aspettava.
E io, che tu alzerai mai la mano o meno, è con quella speranza negli occhi che voglio continuare a stare su ‘sto palco.

Con i biglietti ci sto facendo un castello di carta.
Alla maschera devo questo.
Siete sagome silenziose, ma siete il motivo per il quale io sorrido.

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