24 settembre 2009

Bird watching

Sempre la stessa via, collega l'università alla stazione ed è per questo percorsa ogni giorno da centinaia di cciovani che vanno e vengono.

Io adesso lo so che il discorso sembrerà quello di noi eravamo meglio, ai miei tempi signora mia eccetera, però io al decimo che incrocio proprio lo devo dire:
Io 'sti cazzi di Emo ci metto sempre qualche secondo per capire se sono maschi o femmine e quando lo stabilisco mi resta comunque sempre il dubbio.

E spero per loro che sia come per i cinesi, che loro invece si riconoscano al volo, perché già hanno la faccia e la voglia di vivere di chi non ha nessuna intenzione di riprodursi, se poi quell'uno su dieci che dopo qualche birra magari l'idea non la disdegna più di tanto si trova pure a sbagliarsi, allora tra una decina d'anni davvero qui sarà un casino.

Niente contro il nero, eh, noi avevamo i dark, ma almeno i nostri giravano con le catene, non con quelle cazzo di sopracciglia che pari moira orfei.

E poi quella faccia che prima o poi io uno lo fermo e glielo chiedo:
Se hai stabilito che non hai voglia di vivere, di preciso il motivo per cui non t'ammazzi qual è?


22 settembre 2009

Benvenuto in Italia

Un volo per Tunisi l’11 settembre non ha generato particolari timori, siamo temerari e anche un poco fatalisti.

Personalmente quando volo chiedo sempre un posto in ultima fila, generalmente la 23 o la 26, a seconda del tipo di aereo.
Il motivo è molto semplice: i check in vengono fatti “a riempimento” partendo dalla prima fila, il che significa che l’ultima è l’unica che, a meno di aereo completamente pieno, è sempre libera da compagni di viaggio che ti impediscono di leggere comodamente il quotidiano aperto.
Sul volo per Tunisi, come staff viaggiante eravamo una ventina, avevamo assegnata la parte centrale dell’aereo per stare tutti insieme.
Alla mia richiesta del posto in fondo, il tale al desk mi avvisa che il volo era pieno di tunisini, come fosse un problema per un italiano viaggiarci accanto.
Io sono di quelli là, quelli che preferiscono di gran lunga mischiarsi ai locali, piuttosto che proteggersi dentro bolle spazio/temporali prive di contaminazione, vada per la fauna, l’intruso del resto sarei stato io, se va bene a me non ci saranno problemi e anzi chissà quanto farà loro piacere vedere che non tutti gli italiani li schifano.

Quello che non avevo calcolato era che se io sono pronto a sedermi tra loro, non necessariamente loro sarebbero stati altrettanto pronti ad avermi accanto.
Quindici minuti di discussione tra i locali e lo stewart, il quale, non parlo tunisino ma il problema mi è stato subito chiaro, non riusciva a convincere un tunisino che no, non poteva decidere lui dove io mi sarei seduto e che no, il fatto che il mio posto era proprio accanto a sua moglie non era motivo per lasciare a lui la gestione dell’intero aereo perché non fossi messo accanto alla signora, che a sua volta non ne voleva sapere di lasciarmi il posto che mi aveva occupato.
Compresa la gravità del problema e per nulla intenzionato a discutere con il tunisino riguardo al fatto che quella balena della moglie mi stava già sul cazzo al punto che manco fosse stata Miss Tunisia le avrei sfiorato un braccio, suggerii di darmi un altro posto, con l’unica richiesta che fosse in fondo e non centrale.
Altra discussione con i due accanto, un risolutivo “non rompete ancora i coglioni” e via, ci si siede e si parte.

Volo a cavallo dell’ora di cena, mese di ramadan, scena che ricorderò sempre.
Tutti intorno a me immobili con vassoio davanti e due bicchieri a testa, uno di cocacola, uno d’acqua (sostituisce il dattero in caso di indisponibilità).
Io che mi spazzavo burro pane schifezza varia spacciata per pasta, sale buttato su qualsiasi cosa per darle un sapore, gnam gnam chomp chomp.
Intorno tutti immobili, tutti girati verso gli oblò lato destro dell’aereo, non capisco.
Mi giro anch’io e vedo uno dei più bei tramonti che abbia mai visto, accanto a me decine di persone che immobili fissano il sole in una maniera che ti fa leggere nel loro pensiero la frase “ancora un po’, dai che ci riesci, continua il cammino”, consultazioni continue tra loro per stabilire se quel baffo rimasto sopra le nuvole è considerabile sole, condiviso parere affermativo, tutti immobili, il mio primo tramonto con un significato diverso da quello che gli ho sempre dato, una sorta di battesimo dell’aria tutto particolare, innegabile, il tramonto visto in quel modo ha qualcosa di affascinante e ansiogeno nello stesso momento, incredibilmente poetico e psicotico insieme.
Scomparso l’ultimo baffo rosso si alzano contemporaneamente decine di bicchieri d’acqua e si aprono i per nulla poetici contenitori di plastica, quello accanto a me replica fedelmente ogni mio precedente movimento, deve averlo incuriosito il burro con il sale perché non sapeva in che ordine ma ci provava, a modo suo, a essere maldestro occidentale dopo esser stato perfetto musulmano.

Dieci giorni di settecento italiani in villaggio locale, solo chi segue gli italiani all’estero sa chi siano davvero gli italiani.
Gli italiani sono quelli che, quando in settecento di fronte al banco di un bar con due tunisini che parlano solo francese e tunisino e che devono tirar fuori caffé a ritmo di venti al secondo in una scena che ricorda la borsa di un tempo quando intorno a un unico venditore centinaia di compratori urlanti gridano sovrapposti “A me cinque! Due! Sette! Dieci!” si mettono a chiedere “un marocchino, un macchiato caldo, uno in tazza grande, uno d’orzo, uno lungo” e si sentono un sacco potenti pure se il tunisino ti guarda chiedendo che cazzo vogliano tutti questi e sorride quando gli fai cenno d’aver capito che sempre la stessa cialda infilerà nella macchinetta.
Io in dieci giorni ho avuto occasione per mandarne affanculo seicentonovantanove, sono pagato per non farlo, me ne sono concesso solo uno però biblico.

Volo di rientro, treno Malpensa milano, strada dalla stazione a casa percorsa a piedi con valigiona al seguito, abito a poche centinaia di metri dalla stazione.
Lungo la strada incontro “Baffino”, uno degli egiziani che prima che li facessi cacciare mi abitava sopra, quelli del bagno sfondato e delle notti insonni a contare i loro movimenti, il più simpatico e tenero di tutti, l’unico che mi è davvero dispiaciuto veder andar via.
Mi vede arrivare con la valigia e mi ferma per salutarmi con un sorriso a seicento denti, mi stringe la mano.
“Io abito qui vicino adesso! Vacanza? Tornato di nuovo? Tu sempre viaggio!”
“No, lavoro, vacanza finita”
“Lavoro? Però anche vacanza!”
“No no, proprio lavoro, molto lavoro”
“Però giorno lavoro sera vacanza! Bello viaggio!”
“Vabbé, ok, anche vacanza sera, ogni tanto”
“Dove stato?”
“Stato dalle tue parti, Tunisia”
“Tunisia?! Ah! Tu arrivi da Tunisia lavoro!”
“Sì”.

Monta dentro l’entusiasmo per la battuta che sta per farmi e che capisce essere spettacolare, aggiunge altri cento denti ai seicento di prima e spara
“benvenuto in Italia! AHAHAHAHAHAHAH”
E scoppia a ridere che gli darei un bacio.

Percorro gli ultimi dieci metri pensando che Baffino da solo è migliore di tutti i seicento italiani che ho avuto intorno in questi lunghissimi dieci giorni messi insieme.

10 settembre 2009

FaceBroo

Quando si ascoltano due versioni di uno stesso fatto, quando le si ascoltano raccontate dai due protagonisti, si aprono due strade: non prendere posizione in assoluto, o prendere quella che ci sembra la migliore.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Se si sceglie di non prendere posizione in assoluto, partecipare comunque alla obbiettiva valutazione del fatto è pratica inutile se non addirittura peggiorativa del fatto stesso.
Se al contrario si sceglie di prendere quella che ci sembra la migliore, si aprono due strade: prenderla basandosi su quanto la versione offerta ci risulti quella rispondente alla realtà, o prenderla basandosi sul rapporto con la persona che ha esposto la propria versione.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Se si sceglie di prenderla basandosi sul rapporto che si ha con la persona che quella versione ci ha offerto, partecipare comunque alla obbiettiva valutazione del fatto è pratica inutile se non addirittura peggiorativa del rapporto stesso.
Se al contrario si sceglie di prenderla basandosi su quale delle due versioni offerte ci appare più rispondente alla realtà, si aprono due strade: prenderla basandosi su quella che è la realtà della persona che ce l’ha offerta, o prenderla basandosi su quella che è la realtà a noi comprensibile.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Se si sceglie di prenderla basandosi sulla realtà di chi quella versione ci ha offerto, partecipare comunque alla ricerca della verità è pratica inutile se non addirittura peggiorativa del percorso per conoscere la realtà.
Se al contrario si sceglie di prenderla basandosi sulla realtà a noi comprensibile, si aprono due strade: aprirsi alla possibilità di scoprire che la versione a noi offerta dalla persona con la quale si ha un rapporto non era quella vera, o chiudersi alla possibilità di migliorare quel rapporto.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Quando si ascoltano due versioni di un fatto, qualunque sia il nostro rapporto con le persone dalle quali le si ascoltano, non bisognerebbe mai dimenticarsi che no, la verità non sta mai nel mezzo.
Una delle due è la versione reale, l’altra no.

Per avere una ragionevole possibilità di assegnare a entrambe la loro corretta posizione, non bisogna valutarle partendo dal rapporto, ma partendo dalla versione stessa.
Per individuare quella falsa basterà osservare quale delle due si occupa di giustificare quanto avvenuto dopo il fatto che finge di narrare.
Per individuare quella vera basterà osservare quale delle due non spende nemmeno una parola su quel dopo.

Il 99% della gente nel 99% dei casi ha un bisogno viscerale di giustificare, prima che le proprie azioni, i propri errori.
Quando si ascolta una versione di un fatto che tradisce ansia di giustificare ciò che si è scelto di conseguenza, nel 99% dei casi si avrà davanti una mistificazione.

Se è un amico, si aprono due strade: affrontare la realtà del rapporto, prima che quella di quell’amico, o lavarsene le mani e chiamare lo stesso tutto questo “amicizia”.

Il 99% della gente sceglie questa seconda strada.

Da quando io non ci riesco più mi si sono aperte due strade: combattere ogni giorno per restituire al rapporto, a ogni rapporto, i contorni del vero significato della parola amicizia, o accettare che non possiamo aiutare tutti quelli che vorremmo aiutare, lasciando ciascuno al proprio destino.

Se si sceglie la prima, si dovrà esser pronti a essere considerati nemici dai propri stessi amici.
Se si sceglie la seconda, si dovrà esser pronti a essere eliminati dai 99 amici che il 99% delle persone che conosco dice di avere, per diventare parte di quell’1% di gente che non ha 99 amici che a loro volta ne hanno altri 99 che a loro volta ne hanno altri 99.

Il 99% della gente non avrà mai le palle per andare incontro consapevolmente alle conseguenze di entrambe le strade.

Per questo il 99% della gente conosce il 99% delle cose che il 99% dei propri amici dice del restante 99% delle persone che conosce, ma non sa nemmeno l’1% di quanto il 99% delle persone che conosce dice di lui.

Milano tiene la propria economia interamente in piedi su questo semplice assunto.


6 settembre 2009

Impressioni di Settembre

L'ho trovata in un vecchio archivio dentro un disco dimenticato da sette anni.

La data nel racconto è quella di quel giorno.
Mi fa abbastanza impressione letta oggi dopo tanti anni e così senza aspettarselo.
Ma credo che vista la data e il tema, sia roba di mio fratello.
Io non ricordo di averla scritta.
Né avrei potuto scrivere così di quel volo, e del suo prima, e del suo dopo.


Frammenti

Al mattino, Davide aveva rimosso l'incontro del giorno prima con Anna. Non ne ricordava quindi il volto, le mani e quelle piccole macchie color tabacco sul collo. Perfino le parole che gli aveva rivolto erano andate perdute, forse per sempre, in un brodo grigio e inodore che lui ancora si ostinava a chiamare memoria.
Gli era netta, però, la sensazione che qualcosa di nuovo era accaduto e che quell'evento aveva cambiato radicalmente il suo stato d'animo.

Prima di uscire prese con sé le chiavi della cantina, deciso a riparare la vecchia bicicletta Bianchi con freni a bacchetta che giaceva impolverata da sette anni nei sotterranei del palazzo.
Uscì dall'ascensore e già la cantina non era che un ricordo, si diresse verso l'edicola, del tutto dimentico che quello era il giorno in cui Marta Bonfanti, quando era in seconda elementare, gli aveva fissato la data di morte disegnando per lui una tomba e una lapide con sopra scritto il suo nome e le due date di nascita e di morte: 24 luglio 1970 - 18 luglio 2002.

Sorrise, mentre una Ford Escort lo travolse.
Sorrise mentre la sua memoria cancellava l'impatto e lo fece concentrare su quanto accadeva in quel singolo istante di tempo presente e non già su quanto era appena accaduto solo un attimo prima.
A tratti fu spaventato dal volo che stava facendo (non ricordava alcun balzo), dall'odore dell'asfalto (come poteva trovasi sdraiato per strada?), quasi rise vedendo il sangue che gli macchiava la manica e con distrazione considerò i frammenti di denti che gli rendevano il contatto tra lingua e palato inspiegabilmente antipatico.

Ora come ora si trovava a rivivere una vita spezzettata, meglio, viveva singole vite da un istante ciascuna, vite di cui la nascita gli era oscura e la cui morte era prossima a essere dimenticata per lasciare posto alla vita successiva.
Si trovava prigioniero inconsapevole di un loop e le cose non sarebbero state diverse dal solito: nessuno, infatti, faceva caso ai ricordi di una persona che non parlava realmente da 32 anni e che si nascondeva in considerazioni ad alta voce volte a mantenere quel normale contatto superficiale con il resto dell'umanità, quel tanto che bastava per non farlo dichiarare pazzo.



Così.
Da gelare il sangue.

Una vita in venti righe.

In risposta a tutti coloro che han sempre pensato che quello bravo a scrivere, tra i tre Bozza, ero io.
E' che non avete letto gli altri due, quest'è.