31 gennaio 2014

Spigolature*

Non ho giorni liberi, ho giorni che restano liberi finché una delle quotidiane telefonate di richiesta azzecca il giorno che avevo libero e dato che il numero delle telefonate è superiore a quello dei giorni liberi, statisticamente i giorni liberi restano tali per non più di un giorno, ergo: non ho giorni liberi.

Una curiosità: senza arrivare alla singola ciascuna per ciascuna, in generale dico, che ne avete fatto delle Pinko Bags?
Erano programmate per essere comprate tutte il 3 dicembre 2007 e decomporsi tutte insieme il 28 Giugno del 2010?
Le avete usate tutte come borse per conservare nello sgabuzzino le Crocs messe via per lasciare nella scarpiera posto libero per gli stivaletti con le borchiette che vanno assolutamente usati prima che si decompongano come programmato il 22 Marzo 2015?

A oggi sono esattamente quattrocentodue giorni che non faccio sesso (per il conto dei giorni che non faccio l'amore è necessario moltiplicare almeno per tre), tanto che a questo punto in termini di emozione e valore si può oggettivamente parlare di ripristinata verginità.
Ora il problema è che la cosa, non solo confrontata con un passato che mi ha dato scorte sufficienti per non considerare la cosa un problema esistenziale anzi, è così tanto anomala che sta cominciando ad apparirmi come una di quelle cose d'altri tempi che fatto trenta mi sta facendo venir voglia di fare trentuno nel senso che a questo punto sono sempre più orientato a non sprecare l'irripetibile pausa e decidere di rifarlo solo quando sarà per amore, come fosse una seconda prima volta con la differenza che questa volta posso anche deciderlo invece che seguire l'ormone, peraltro fortunato al punto che anche la precedente fu per amore.
Ché mo, detto tra noi, quando mai mi capiterà più di poter offrire la mia prima volta fatta per amore e quando mai capita due volte?
L'unico dettagliuzzo che rende questa scelta una cosa sulla quale la mano sul fuoco decisa ancora non ce la metto è che oggi questo significa che o è con te o nulla e quindi a spanne non meno di un altro annetto, a essere ottimisti.
E chi più di me lo è.

Due mesi fa ho previsto delle cose precise al dettaglio del chi avrebbe fatto cosa a chi altro.
L'elenco di quei chi altro che stanno venendo a dirmi chi ha fatto cosa vede ogni giorno una spunta in più, come sempre.

Tre mesi fa ho preso una seconda persona con cui dividermi il lavoro pensando di aver finalmente risolto il carico per me ormai insostenibile.
Ne ho dovuta prendere una terza.
Il mese scorso una quarta.
Poi una quinta.
Diosanto.

La zia, evidentemente impietosita, in questi giorni è passata da casa e mi ha disfatto l'albero di natale.
Impietosita dall'albero, dico, ché poverino, a parte il momento di celebrità quando protagonista del film del secolo, non è che abbia visto chissà quanta gente ballargli intorno.

Una persona che ha gestito personaggi molto, molto, importanti, mi ha chiamato per proporsi come mia agente, dopo avermi raccontato come nel settore il mio nome sia diventato un valore che oggi ha margini decisamente abbondanti per essere capitalizzato così tanto che è scattata una specie di gara a chi mi cattura e mette sotto contratto e infatti insiste perché ci si veda in fretta, consapevole che già altre tre persone mi abbiano proposto la stessa cosa e finché non decido chiunque può vincermi.
Che sensazione pazzesca, che cazzo di vittoria su tutti quelli che negli anni.

Se non per sposarmi, non è che ti andrebbe di venire da me per farmi da segretaria contabile?
Tu mi tieni lontana equitalia e fai diventare simpatica e affabile la mia commercialista che finalmente avrebbe qualcuno dotato di cervello con cui interagire e potrebbe finalmente darsi una calmata, io in cambio ti do la possibilità di non fare altro nella vita che non sia ciò che ti va di fare.
Chessò, amarmi, tenermi lontana equitalia, cose così.

La tizia di ghiaccio è di una bellezza da levare il fiato, meno male che non mi rivolge la parola se non per mail di lavoro così non devo trovarlo per dirglielo. 

Negli ultimi tre mesi almeno due volte ho avuto la nettissima sensazione che la cliente del momento ci stesse assolutamente provando, senza mai scoprirsi abbastanza da essere indicabile come una che ci stava provando.
Forse a loro non è chiaro che il motivo per cui lavoro tanto è che col cazzo, o ti spogli e allora se ne parla oppure col cavolo che mi faccio portare su quel piano dove qualsiasi cosa faccia perdo.

Settimana prossima rinnovo l'assicurazione e finalmente cambiamo anche il nome del beneficiario in caso morte.
Se tualtra avevi in programma di prenderti anche quelli hai fino a venerdì per farmi fuori.
L'idea che avessi davvero pensato di intestarti casa e affidarti il compito di fare ciò che sai con i soldi eventualmente riscossi è la cosa che vista oggi mi sembra più surreale.

Sono di nuovo tornato a casa.
Di nuovo un paio di giorni.
Di nuovo riparto.
Ho talmente tanto sonno arretrato che ieri sera alle dieci dormivo e stamattina alle sei ero sveglio.
A controllare in un orario finalmente diverso dai restanti, aspetta che controllo ora che ho ancora aperto il contatore dei giorni tra una data e un'altra, centoundici giorni se mi avevi scritto che sì.
No ma fai pure con calma.




* Copyright: Daveblog


29 gennaio 2014

Il pescatore di punti e a capo

Che poi io lo so perché a voi non piace Erri.

Perché vorreste ma non potete prepararvi la cena al primo pianeta che si accende su quell’isola d’infanzia che era un dorso di schiena, il porto lo spazio tra due vertebre. Sgranocchiando una mandorla che l’anno scorso è stata un fiore bianco e ora è un piccolo forziere di legno con un frutto dentro. In una notte antica del sud, sotto il cielo che compie la sua ruota panoramica intorno alla polare. Una notte come quella in cui sua madre fu raggiunta dal seme di suo padre, perché si è figli della prima ora di una gravidanza e non dell’ultima, quella di espulsione.
Perché per questo non è di maggio il suo giusto compleanno, è di settembre, non importa il giorno.

(Storia di Irene
Erri De Luca)

A voi invece il giorno importa, eccome se importa.
A me no, m’importa l’anno.
Il mese.
La settimana.
Il giorno.
L’ora.
Il minuto.
Il secondo.
L’istante.
In cui.


28 gennaio 2014

La mettiamo su e poi al limite poghiamo un po'


Buona notte amore che sei così lontano e questo canto vola sopra il mare e sopra tutte le città.
Così leggero sulle strade, come una brezza e sappia dove andare, è una carezza, lascia un po' socchiuso e arriverà.
Buona notte amore che dormi così poco, e lo so bene non è per il caldo, è che non sono lì con te e avrai una luce nella stanza e, come me, nel cuore la speranza di rivederti quando fa mattino e “non partire più”.
Buona notte amore mio lontano, ti arriva questo canto o forse dormi già?
E più che sei distante e più che ti amo tra le montagne e il mare, buona notte a te.
Buona notte amore, le vedi le mie stelle?
Se vuoi provare guarda verso Genova, io sono un po' più in su.




27 gennaio 2014

A Natale siamo tutti più

Il Natale come occasione annuale per andare a salutare l'unica Bozza sopravvissuta della triade paterna, la zia che ce l'ha fatta a vivere prescindendo dal cognome, il mio, il nostro, se è rimasto in vita il cognome che porto è in quella casa.
Fa la preside Zia A., nelle scuole come nella vita, una famiglia perfetta come una classe di un collegio, bellissima nella sua perfezione, figli a nastro che sfornano nipoti a nastro, ogni anno che mi siedo a tavola devo chiedere di chi sono i nuovi bambini intorno, ce n'è sempre almeno uno che compie tre anni, almeno uno che ne compie due, almeno uno che ne compie uno, c'è sempre almeno una donna in attesa a quella tavola, non fossimo parenti si direbbe una riunione rom, li sfornano alla velocità con la quale i bambini cambiano e memorizzarli è impresa da titani, tutti laureati e sistemati, da come si muovono sono laureati pure i nipoti appena nati, perfetti a tavola, bellissimi, le mogli dei cugini una più bella dell'altra, una più intelligente dell'altra, ci passeresti le ore a parlarci e non ne sbagliano una, sono serie ma non noiose, perfette ma non impeccabili, eleganti ma non imbalsamate, belle l'ho già detto ma lo sono al punto che vale la pena ripeterlo, i cugini sono lontani ma vicini quando serve, non entrano nell'intimo se non quando un angolo di intimo glielo permette, c'è il momento della poesia e sono convinto che i figli sfornino un nipote all'anno solo per garantire a quello dell'anno di prima che non sarà sempre lui a doversi alzare in piedi sulla sedia a recitare la poesia natalizia mentre intorno un coro di labbra mima il testo a sincrono, fosse un film trash il bambino vomiterebbe il pranzo sulla tovaglia della festa appena conclusa l'ultima strofa e invece si prende l'applauso e torna seduto a mangiare, naturalmente tutto, naturalmente senza fiatare, sia mai che si interpreti l'intervento come volontà di partecipare e quindi gli si chieda un'altra poesia, so che lo pensano pure se hanno tre anni, tra una poesia e l'altra, quest'anno ho visto un bambino di tre anni declamare a memoria con dizione perfetta, una dizione che non era altrettanto perfetta quando tornava a chiedere le cose normali di un bambino di tre anni e allora resta da capire se quello della dizione perfetta da grande sarà uno scienziato o un serial killer, una poesia che sarà durata non meno di sette minuti, una roba inumana considerando che deve aver cominciato a memorizzarla quando ne aveva due.
L'altro fratello portatore sano di cognome maledetto ci ha lasciati anni fa nel pieno degli anni, lo Zione e l'ennesimo punto segnato dal cancro sui buoni e dio solo sa quanto avrei avuto bisogno di averlo accanto negli ultimi anni come lo ebbi nei primi, lascia a quella tavola una moglie con una testa alta in misura proporzionale alla fatica fatta per rialzarla e non riesco a immaginare come si possa sopravvivere alla perdita di un marito così enormemente bello, se non guardandone i figli, boh, i miracoli dell'amore a volte, quanto sarebbe orgoglioso di come suo figlio ne ha preso il posto senza esagerare, di come la figlia ha saputo non implodere dentro la debolezza con cui stava crescendo quando lo perse, se c'è un motivo per il quale spero esista un aldilà quel motivo è che significherebbe che lui li vede, non gli augurerei altro, vederli oggi, hanno salvato il cognome Bozza, lo portano altissimo dove nessuno di noi intorno era riuscito a portarlo e che ingiustizia morire prima di vederlo, di vantarne il merito, di applaudire non la poesia di natale ma quella dei restanti trecentosessantaquattro giorni dell'anno.
C'è S., l'unica cugina che a me non la racconta o mi racconta tutta una vita in quel sussurrato ma non tanto da non farsi sentire da chiunque nel raggio di tre metri "Beato te, fallo finché puoi" in risposta al mio annuncio di capodanno in completa e totale solitudine, io lo so che bomba ha dentro e sto solo contando gli anni che ci metterà, perché con una famiglia così perfetta l'asticella è ad altezza totale caos dentro, prima non si fiata e il caos in tanta perfezione è difficile da sentire innegabilmente sopra l'asticella, ma la bomba è innescata, il figlio è infatti l'unico nipote teppista a tavola , la sua cartina di tornasole, la prova della futura esondazione, capace a quattro anni di mettere in chiaro a tutti che o lo si tollera o come ritorsione ti vomita il pranzo sulla tovaglia in nome di tutti gli altri e lo sa lui, lo sai tu, lo sanno tutti, sia dunque teppista, in ogni famiglia ha la sua funzione anche la tolleranza esclusiva, ogni omofobo ha un amico gay sul comò, ogni famiglia perfetta ha un elemento che a tre anni spacca il cazzo per tutti e a tutti, l'autorizzato elemento temporale opposto lungo la linea dal lato opposto della quale siede lo zio anziano unico titolare del diritto di bestemmiare e insultare gli ospiti causa Alzeimer, due volte nella vita il mondo concede licenza di essere estremi e quelle due volte sono i due estremi, le uniche due volte nelle quali il mondo sembra non accorgersi di concederti quell'estremo che in realtà già sei e sul quale stai già seduto senza bisogno di chiedere permesso a nessun mondo, bello di mamma, quanto le piacerebbe fare lo stesso, quanto mi piacerebbe che facesse lo stesso, spero di esserci quando lo farà, perché lo farà.

Ma è natale e come ogni natale c'è il regalo, la zia è preside e il regalo è un libro, naturalmente comprato per numero di ospiti e non per tipologia dopodiché ad associare ci pensa il posto a tavola che ti capita, l'anno scorso ricevetti un romanzo che dalla copertina credo fosse destinato a una parente zitella lontana nello spazio e nel tempo, non poteva essere per me, io in quel natale ero come gli altri convinto di avere una compagna, lo credevo io che lo ricevetti, lo credevano loro che me lo regalarono, quei regali che arrivano a te perché un'ospite attesa ha dato forfait all'ultimo così come tu all'ultimo hai detto che saresti arrivato, ti becchi il romanzo sulle perle e l'amore e taci o ringrazia.
Ma il meglio arriva quest'anno, quando arrivo e immediato mi si consegna il regalo dell'anno, qualcosa come sei chili di carta al netto di quella con cui è incartato, che sono almeno altri tre di pizzi e merletti lamé.
Apro il mio regalo immaginando un romanzo per fidanzati inconsapevoli del reale motivo per il quale da anni a quel pranzo ci vai da solo con la passione per le perle volume due ma anche tre ma anche quattro e invece la copertina mi saluta con tre nomi che mi inchiodano al mio destino di nipote che non ha fatto tutto quello che doveva fare:

Penso sarà un romanzo un po' altisonante, non può aver azzardato tanto, lo apro per sfogliare velocemente le migliaia di pagine, che mi salutano così (lo capisci da solo che ci devi cliccare sopra o anche tu non hai fatto tutti gli studi giusti?):

e poi così:
 e poi così:
 
 e poi così:
 

Mentre me lo consegna la zia preside mi guarda e in risposta al mio "Non mi avrai sopravvalutato un tantino?" mi dice "Così hai qualcosa con cui tenere orizzontali i tavoli in casa" e in quella frase si apre sul suo volto la perfetta riproduzione di mio padre quando diceva a me e a mio fratello che il cancello per il rispetto, il suo prima di quello di chiunque altro, si chiamava laurea, naturalmente mai presa, come il rispetto e del resto eravamo stati avvisati.
Poi uno si chiede da dove abbia preso questa incontrollabile passione per il sarcasmo come forma di comunicazione d'amore.
Quanto sappiamo essere stronzi noi Bozza con le persone che amiamo di più, quanto siamo incapaci di far capire loro che non li sminuiamo, li amiamo così come sono, inferiori, ed è amore vero, dannatamente vero, lo sappiamo che nessuno sarà mai come noi e per questo lo diciamo, lo sottolineiamo, ci incartiamo persino i regali con la carta del nostro essere superiori a chiunque altro.
Mi ha fatto piacere quella frase sprezzante.
Non lo saprei spiegare il perché essendo una banalissima questione di percezione di equilibrio, ma non poteva dirmi cosa più bella di una cosa che solo mio padre avrebbe avuto la capacità di dirmi consegnandomi un regalo di natale.
La vera conquista di anni di fatica è che oggi quando ci si ritrova non si recita -più- l'idealizzazione di ciò che sarebbe stato bello essere, ma quello che alla fine siamo stati: un cognome con una capacità di amare direttamente proporzionale a quella di distruggere.
Gli altri Bozza, dico.
Io sulla mia di distruggere ho vinto e mi sono tenuto solo quella di amare.
Come lo Zione, del quale sono fotocopia genetica e per questo vivo con la consapevolezza che anche a me entro al massimo una decina d'anni un bel tumorazzo mi leverà di mezzo.
E per questo bevo, fumo, sgranocchio goduriosamente il bruciato della carne alla brace, tanto non cambia nulla e dato che sono sempre i migliori che se ne vanno prima e la genetica lì mi porta è chiaro che sono in lista e tantovale.
Il timer è a cinquant'anni, fumava molto anche lui, amava molto anche lui, la differenza è che lui quel libro l'avrebbe capito perché in grado di scriverlo e per questo mai me l'avrebbe regalato, unica persona passata sulla terra che mai mai mai una volta cercò di ridurmi, forse perché fu professore e mai preside, un abisso di differenza tra chi i ragazzi difettosi li guida e chi li amministra, che incredibile vuoto lasciato, come puoi farlo stare in equilibrio un tavolo al quale mancano -dio quanto mancano- due gambe su quattro, quanti libri servirebbero?
Sarcasmo amore e disequilibrio: Bozza, suona bene anche il mio dai.

21 gennaio 2014

Fac-ebook

Essendo sto(r)icamente uno degli ultimi dieci italiani tutt'ora non presenti in facebook, condizione che fa di me la prova vivente del fatto che SI-PUO'-FAAA-RE e il (proprio) mondo gira uguale, sono conseguentemente anche uno dei dieci che delle pagine personali può vedere giusto la copertina e nient'altro, ma soprattutto uno dei dieci che quando segue un link a una pagina fb si ritrova di fronte al cancello del metti il nome metti la password metti il resto della vita se vuoi sapere se e che.

Insomma, per farla breve, voi che invece siete tra i restanti cinquantanovemilioni che su faccialibro certamente ci sono, non è che riuscite a seguire questo link e a dirmi da dove provenga 'sto fiume di gente che da un po' di giorni si viene a leggere il post sugli e-book?
Così, per curiosità.

Update:
Dato che come da proverbio domandare è lecito e rispondere è cortesia e qui in termini di lettrici tanto cortesi quanto timide non ci facciamo mancare nulla ma proprio nulla, ricevo in mail la risposta alla mia domanda che, per soddisfare la curiosità delle decinaia e decinaia di interessati alla cosa, aggiorno qui.
Al momento il percorso a ritroso pare portare a tale Libreria Kreuzberg di Padova, sulla cui pagina FB compare il post in questione.
Per la precisione qui, dove lettrice Lisa potrà apprezzare il fatto che l'anteprima del post non è un estratto del post stesso bensì il suo commento (per la riscossione dei diritti ci si vede naturalmente a Vicchio).
Da lì in poi i rimbalzi di cui nei commenti o, più probabile, direttamente tutti da lì.

E quindi mistero risolto e doveroso pubblico Grazie a lettrice affezionata pluriennale nonché personcina deliziosamente squisita e una serie di altre qualità e fattarelli che però sono fatti miei e suoi voi fatevi i vostri.
Tiè.

18 gennaio 2014

Notte di San Lorenza

showerpower
Rimini, Grand Hotel - Gennaio 2014

Mi faccio scivolo per colori, mi lavo con la luce, mi asciugo pensando alle parole per raccontarti un altro applauso portato a casa, un altro successo senza te al rientro la notte in hotel.
Perdi tempo, perdi un sacco di tempo.
Io nell'attesa faccio docce di stelle cadenti, cambio un letto a notte, raccolgo nelle tasche momenti che un giorno potresti voler ascoltare, ti porto ovunque.

Ho un elenco di persone alle quali devo delle scuse, dei grazie, da anni lo porto in tasca e lo spunto senza fretta, uno alla volta.
Era il turno di un amico, cercato e ritrovato, chiamo per andare a trovarlo, mi risponde la sorella, mio amore e motivo di quelle scuse.
A luglio un malditesta, a gennaio non c'è più il cervello.
Mi faccio vivo la settimana scorsa, muore il giorno dopo, aspetti gli anni per trovare le parole e poi buchi l'appuntamento di nemmeno ventiquattro ore, che variabile pazzesca che è il tempo, quanto piccoli diventano gli anni quando mancati per qualche minuto.
Tumore batte vita di nuovo enne a zero, non sono arrivato in tempo per dirgli grazie, per scusarmi.
La vita è una, non dura un cazzo e i giorni persi non tornano, mi perdonerai se sono molto stanco, se avere quarant'anni significa non averne più trenta, se ti sogno e ti dedico ogni mio pensiero ma non le mie azioni.
Se non sono la cosa più bella che ti sia mai capitata posso morire aspettandoti e quanto sarebbe stupido farlo.

Ciao Ettore.
Io lo so che le cose che ero venuto a dirti le aspettavi al varco.
Un altro che non saprà mai quanto sono grande quando chiedo scusa e quanto sia sbagliato morire prima, mannaggia.

17 gennaio 2014

Lo diceva Dalla

Nel centro di Bologna non ci si perde, ci si ritrova.
Mi dai un'ora parlo un'ora.
Mi dai due ore, parlo due ore.
Mi dai quattro ore parlo quattro ore.
Quando arriva il cameriere e non posso più parlare parlo con il cameriere del fatto che sono uno che parla molto.
Parlo così tanto che lo stesso mio parlare è argomento del mio parlare.
Era tanto che non andavo a dormire con un profumo di donna addosso.
Molto piacevole.

15 gennaio 2014

FYI

Quello che dovevo sapere l'ho saputo nella prima fase i osservazione, quello che dovevo misurare l'ho misurato nella seconda, quanto sia buio e profondo il pozzo l'ho misurato nella terza.

La mia osservazione del tuo nuovo mondo, e in parallelo di quello dei personaggi pittoreschi che hai selezionato per allestirlo il più possibile innocuo, finisce qui.
In un punto in cui la mortificazione per lo stato in cui, inconsapevolmente, sei è direttamente proporzionale all'amore provato per te.
Fa quasi male guardarti oggi sapendo quanto lontana tu sia dal realizzare cosa ti è accaduto e quanto lontano chiunque possa essere dal poterti aiutare a non costruire una caduta da così in alto come quella verso la quale al contrario sei lanciata a tutta velocità.
Sono mesi che mi immagino la stesura degli argomenti raccolti nella mia quotidiana pratica del tuo nuovo mondo fatato, ma la realtà è che è semplicemente tutto molto brutto, abbastanza da toglier senso a qualsiasi parola, persino le mie che un senso riescono a inventarselo piuttosto che ammettere di non averlo.
E' la tua vita e come chiunque hai tutto il diritto di farne ciò che pensi meriti, che questo per il resto del mondo significhi o meno sminuirla, ridurla, ridicolizzarla o, peggio, venderla al miglior offerente in cambio di qualche altro anno di inerziale mimetismo.
Che mi servirà da lezione non rende abbastanza l'idea.

Io mi fermo qui, nel punto in cui sento di essere ancora in grado di non farla pagare a nessuno che non sia tu e quindi, per una forma di pena che mai ho provato così forte verso una tanto incontrollata fragilità, a nessuno.
Io la passeggiata dentro le sabbie mobili dovevo farla e l'ho fatta, se una cosa so fare è non sottrarmi al necessario, ora è il momento del tratto successivo nel quale tu non rientri in alcuna forma. 
Se hai ragione tu ti salverai, se ho ragione io ci vediamo tra non meno di tre anni.
Tanti te ne serviranno per finire la spinta, e poi auguri.
A te e a chiunque si trovi nel raggio dell'onda d'urto che si genererà dall'impatto tra la te stessa che nei prossimi tre anni avrai pensato di aver mostrato e quella che in realtà gli occhi degli altri nello stesso momento vedevano.
Tu non ci crederai ma ti auguro di non scorpirla mai, la distanza tra le due.
Si può vivere benissimo anche nell'inconsapevolezza e certe vite conviene non si spingano mai per nessun motivo sotto la superficie.
Mi devi molto.
In cima a tutto la possibilità di essere ancora arrogante, di quell'arroganza che ti ha accompagnata attraverso queste parole e, unica guida, ti fará da volàno da qui al giorno in cui di colpo realizzerai che se non ti ho colpita è solo perché consapevole fin dal principio del male che avrei fatto e di quanto ti avrei azzerata e che per questo, solo per questo, ho preferito lasciarti potente, al prezzo di apparire io sconfitto.
Non mi ringrazierai mai, non lo puoi capire quanto amore c'è in questo, anche in questo.
Non l'avevo mai provata, ma a sensazione e a volergli dare un contorno mi viene da pensare che sia ciò che ho sempre sentito definire Pietà senza capire mai realmente in cosa differisse dalla protezione, che fino a oggi vedevo sinonimo.
Ora lo so: differisce nel punto in cui la protezione è la scelta di riparare qualcuno dal male altrui, la pietà dal suo stesso.

14 gennaio 2014

Sugar lift

In hotel una compagnia di qualcosa di una qualche repubblica ex sovietica.
Non hanno diciotto anni, fossero atlete avrebbero quel tipico portamento elegante che fa assomigliare i corpi delle ragazze dell'est a camionisti appena usciti vincitori da un torneo di braccio di ferro e capelli corti per non impigliarsi nei tronchi di abete con i quali si allenano ad arrivare prime al traguardo o prime in Siberia, a discrezione loro, comunque una scelta che il partito concede.
Queste hanno capelli curati quindi sono ballerine, le riconosci perché invadono la hall dove c'è il wireless gratuito con il quale manderanno a casa le prove fotografiche del loro aver rimandato il confino anche questa volta, tutte vestite con la divisa che ogni ballerina di ogni paese del mondo indossa quando giù dal palco si avvia al letto da sola, sono tutte uguali le ballerine quando scendono dal palco da qualsiasi paese siano arrivate per salirci, indossano la cosa più comoda e orrenda che si possa trovare su qualche bancarella di buco di culo di tappa di tour solo per poter scrivere sulla bio che quando sono a casa si mettono anche loro in tuta, sai che sono ballerine perché da qualsiasi paese arrivino si muovono sempre come le api, divise in gruppi intorno alla principale che accoglie la loro invidia fingendo di riconoscerla a forma di quell'ammirazione con la quale le compagne la vestono, un tacito accordo, voi mi invidiate ma zitte, io vi compatisco ma zitta, siamo amiche, nonché allegoria.
Io mi guardo intorno, le conto e faccio quello che fa ogni viaggiatore all'arrivo in hotel in cui soggiornano gruppi: stimo il tempo che ci metterò ad avere un caffé a colazione, le ballerine a colazione mangiano sempre come non ci fosse un domani o come avessero deciso che non ci sarà un domani, o si infilano un tacchino intero in gola, o dividono in sei una mela.
Guardo Roberta la concierge, lei capisce e sorride, mi conosce, Buonasera Bruno, Buonasera Roberta, a che piano soggiornano? Al terzo perchè? Mi dia il quarto, non il terzo e non si azzardi il secondo. Hanno la sala per la colazione dei gruppi o me le trovo in fila domattina? Se le trova in fila. Allora mi metta la sveglia un'ora prima e preghi con me che rimanga qualcosa.
Firmo, pago, chiacchiero, faccio i miei soliti sei o sette pensieri sessuali su Roberta, prendo la borsa e mi avvio all'ascensore nello stesso istante in cui un gruppo di loro si stacca e si avvicina agli ascensori.
Premo io, premono loro, arriva prima il mio, loro parlano e ridono in qualche lingua sovietica, tette e culi che ancora rimbalzano dal pomeriggio stanno immobili all'arrivo dell'ascensore, si aprono le porte e attendono il turno perché è il mio, io come da educazione faccio loro cenno che glielo cedo, non si passa prima delle donne e donna è tutto ciò che non ha pisello, non conta l'età.
Loro continuano a parlare, ridono, entrano, una tiene la mano sulla cellula perché non si chiuda e fanno cenno altrettanto cortese di entrare.
Col cazzo.
Senza sconfinare nel famoso trauma d'ascensore che impedisce a qualsiasi uomo dotato di senno di entrare a cuor leggero in un ascensore con una donna figurati con sei minorenni seminude e accese di divertimento, comunico con lo sguardo e le mani che attendo il prossimo, possono andare, I go higher, dico.
L'ape regina mi guarda, sorride, si infila una mano nella tasca della tuta scatenando dai sei ai sette film nella mia mente, che sommati ai sei su Roberta fanno il programma di un cinefestival di bassissima moralità, circa cosa farà con quella mano prima che si chiudano le porte, lei tira fuori la chiave della stanza, mi mostra il numero, I go here mi risponde, le api operaie ridono, la porta si chiude.
Non aveva diciotto anni, mentre il mio ascensore mi porta higher penso a quanti uomini sarebbero entrati in quell'ascensore, quanti saranno entrati in ogni stanza in cui ha soggiornato quella ragazza e quanti ancora ci entreranno in ogni tappa di ogni tour che farà.
Mi sarebbe bastato mostrare la mia chiave con il numero, quella che ho tenuto in tasca ben ferma, quella che mi ha aperto la porta della stanza e che dietro di me si è chiusa per lasciarmi di nuovo un'altra notte da solo a pensare a te e a quanto continui ad apparirmi migliore di tutto ciò che vedo e incontro nel mondo ogni singolo giorno che lo percorro.

12 gennaio 2014

Non c'è due senza te

C'è un tram (chiamato desiderio) alla fermata alla quale gli abbiamo detto di aspettarci, che ha imparato che se gli occhiali hanno due lenti è perché si guardino con calma.
Lui è tornato lì, io sono tornato là, il tram è lì, l'altra lente è là, manchi tu.
Quando arrivi fai un fischio.
E poi il botto.


7 gennaio 2014

Father and sono

Non ho resistito e gli ho lasciato un biglietto incastrato nella portiera.
Cosa gli abbia scritto non conta se non si è lui, se non si è me.
Avrei voluto aspettare nascosto l'arrivo, per esser certo che nessuno lo togliesse e per vedere come avrebbe reagito alla lettura.
Poi ho pensato che no, che non mi avrebbe fatto star bene vedere un padre piangere e me ne sono andato così che non vedesse che sono più grande di suo figlio, che ho un viso diverso da suo figlio, che ho una voce diversa da quella di suo figlio e non vedesse quindi che chiunque può essere suo figlio.
Che noi non possiamo sapere quanto gli mancavamo, certo, ma non meno di quanto loro non possono sapere quanto mancavano a noi.
Nel punto in cui si sovrappongono quelle due inconsapevolezze, avviene l'istante di violenza che decide la direzione della vita intera.
Cosa gli abbia scritto conta anche se non sono suo figlio, anche se non era mio padre e per questo resta una cosa tra me e lui, tra un qualsiasi padre e un qualsiasi figlio che oggi si sono parlati per dirsi grazie per una cosa qualsiasi.
Mi sono firmato "Un figlionegato".
Uno dei tanti, sempre uno di troppo.




2 gennaio 2014

C'è chi scende, c'è chi sale

[...]-…Perché una volta che avete cominciato, - predicava,- non c’è nessuna ragione che vi fermiate. Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo. Se fotografate Pierluca mentre fa il castello di sabbia, non c’è ragione di non fotografarlo mentre piange perché il castello è crollato, e poi mentre la bambinaia lo consola facendogli trovare in mezzo alla sabbia un guscio di conchiglia. Basta che cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.
- Pazzo e stupido sarai tu, - gli dicevano gli amici, - e per di più rompiscatole. – Per chi vuole recuperare tutto ciò che passa sotto i suoi occhi, - spiegava Antonino anche se nessuno lo stava più a sentire, - l’unico modo di agire con coerenza è di scattare almeno una foto al minuto, da quando apre gli occhi al mattino a quando va a dormire. Solo così i rotoli di pellicola impressionata costituiranno un fedele diario delle nostre giornate, senza che nulla resti escluso. Se mi mettessi a fotografare io, andrei fino in fondo su questa strada,  a costo di perderci la ragione. Voi invece pretendete ancora di esercitare una scelta. Ma quale? Una scelta in senso idillico, apologetico, di consolazione, di pace con la natura la nazione i parenti. Non è soltanto una scelta fotografica, la vostra; è una scelta di vita, che vi porta a escludere i contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della volontà, della passione, dell’avversione. Così credete di salvarvi dalla follia, ma cedete nella mediocrità, nell’ebetudine. [...]

L’avventura di un fotografo
Gli amori difficili – Italo Calvino

C'è chi scende c'è chi sale