25 novembre 2015

Le vite degli altri

Suona il telefono e sullo schermo appare il nome registrato alla voce Non ti chiamavo da undici anni.
Per lavoro ci siamo conosciuti, per lavoro ci reincontriamo, in mezzo undici anni di promessa mantenuta.
Trascinato in un mondo a me ignoto se non per quel poco che le serate con nonna e la guerra per far sì che la sua memoria le impedisca di donare sms ogni mezz'ora mi raccontavano, mi trovo catapultato in un mondo fatto di storie e di ricerca, di ospedali e di vite, di lacrime e di gioia, di belle persone che danno a belle persone che ricevono, di vite che non credevano e altre che non potevano, proseguire.
Da due giorni immerso in immagini, dialoghi, social, video, per prendere tutto e trasformarlo in un lavoro bello al punto da raccontare che anche io questi undici anni li ho usati per migliorarmi e a ogni parola letta e ogni voce ascoltata la sensazione che no, o sì ma mai quanto chi di quel mondo ne ha fatta vita e la conferma, servisse, che io due cose ho sempre saputo fare meglio di chiunque altro: riconoscere da un battito d'occhi le persone speciali e starne senza.
Da due giorni la gola non permette il passaggio che d'acqua, attraverso vite interrotte, corse miracolose, padri giganteschi, madri fatate, famiglie che hanno proprio la forma che la famiglia dovrebbe avere, città un po' più povere, cieli più ricchi a disegnare i contorni di quella spiegazione diretta, lineare, ricevuta in riunione e persino troppo semplice per racchiudere così totalmente e nello stesso tempo in così poche parole tutto quello che avrei visto: Ci occupiamo di malattie rare, sono tutti bambini perché non fanno in tempo a diventare grandi.
Un rasoio.
Due giorni a piangere di fronte a ogni storia attraversata e undici anni a conservare la certezza di averci visto giusto quel giorno che intuii di aver incontrato la grandezza nella sua essenza e la certezza che sarebbe arrivata dove sognava di arrivare, ci avesse messo anche dieci anni.
La vita a volte chiude i cerchi nelle direzioni in cui è giusto si chiudano, altre no, ma almeno fa di tutto perché quei cerchi si incontrino e migliorino a vicenda e io oggi di quell'incontro sono chiamato a farne storia raccontata da spettatore, la terza cosa che ho sempre saputo fare meglio di chiunque altro.

Chi non ha la solitudine, il silenzio intorno e i cinque minuti e mezzo sufficienti per conoscere SpiderCiccio il Supereroe non merita di conoscere né lui né una qualsiasi delle migliaia di vite tanto brevi quanto gigantesche che senza disturbare passano e vanno.
Che poi ...conoscerlo... io conosco una che ha conosciuto SpiderCiccio e solo per questo mi sento migliore, essere lei cosa dev'essere, essere loro, cosa dev'essere.





20 novembre 2015

un altro me ma nemmeno se lo invento c'è

Un me consapevole disegna le soglie oltre le quali un me vigile interrompe la strada sulla quale un me focalizzato sulla consapevolezza dei limiti di un me provato dalle scelte di un me spavaldo ha accompagnato per mano un me impreparato a incontrare un me più vulnerabile di quanto un me deciso potesse volesse o sapesse mettere a confronto con un me bruciabile dalla fiamma della candela con la quale un me inesperto cercava di attraversare la nebbia oltre la quale gli promisero trovarsi un me in grado di orientarsi in un dedalo di soglie oltre le quali un me già attraversato gli avrebbe raccontato che la nebbia non va illuminata altrimenti si fa muro impedendo di scorgere un me vigile capace di aprire la strada a un me disposto al patto di fratellanza necessario perché l’unione si faccia forza sufficiente per portare un me immobilizzato dalle vertigini lungo il ponte tibetano costruito da un me coraggioso come unica via possibile per attraversare lo strapiombo di un me proiettato verso l’alto e verso il basso di un me azzardato ed elastico così da portarlo dall’altra parte dove incontra una te.

"E vi dico la verità: le pene d’amore, alle volte, fanno proprio ma proprio bene”
Novello Novelli, Il signor Quindicipalle, 1998


3 novembre 2015

Non sono bello, taccio.

Mi sveglio con la necessità di chiedermi se davvero sia stata una volta in più rispetto alle tre annuali, siamo davvero arrivati a quattro, mi sembra così incredibile ma lo chiesi, si avverò.
Tenerife, esterno notte a fissare interna luce, stella cadente e scoprirsi impreparati al tempismo, cosa chiedo, pensavo di averlo pronto e che avesse un nome ma quando la scia illumina il nome in cima lo sento sbagliato, o giusto, o sbagliato, o giusto, tempo dilatato, nello spazio di un secondo l'altalena di un anno, se lo scelgo e poi si avvera sarà stata colpa mia non aver chiesto l'altro e dura un istante riempito della sensazione di avere il tempo della scia e poi occasione persa, un'altra, la mente corre e sceglie prima che il tempo del bonus scada and the winner is il tuo, rido con me stesso per l'istintiva ufficializzazione tra gli applausi della platea del New World Order.
Torino, interno respiro, una frase e il mio averla scritta identica, identica, una settimana prima, quando scoprirai il perché una tua frase sta su un foglio in casa mia scritta prima che tu la pronunciassi scoprirai quel piccolo impercettibile punto di luce che ne farebbe la casa più tua di tutte le possibili case tue e non sarai più capace di lasciarla, io di lasciarti, di lasciarti attraversarmi, trapassarmi, fare di me ciò che vuoi, fino a ieri non esisteva persona sulla terra capace di zittirmi e ora c'è, io alle tue domande non ho risposte perché sono domande senza punto interrogativo alla fine, sono lame, sono sentenze, sono ritratti, sono il sapere, l'esserti un passo indietro e il senso del Chi vorresti davanti, tu o silenzio, silenzio.
Dieci minuti da soli in casa e una vita che esplode in silenzio facendo un boato che non deve lasciarsi vedere, implosione e domande senza risposta, domande e risposte, guarda qui, questo punto sulla tovaglia è il momento in cui ci siamo conosciuti cioè non proprio io e te diciamo altri due e il boato dentro quel io e te che non deve lasciarsi vedere e un bambino impacciato di fronte a una donna che lo passa al tritaventricoli di una domanda, un'altra, perché fai vedere solo il peggio di te, senza punto interrogativo alla fine, non è domanda, è sentenza, ripetuta, vorrei dirti Perché sono onesto e a mostrare il meglio sono capaci tutti ma è quando è la peggiore delle ipotesi a passare che hai vinto la vita ma non si può dire e allora sono capace di farmi disonesto e ce l'hai davanti, è il peggio di me, so mentire, capace di stare lì davanti dritto su gambe che in quel momento non reggono quella piuma che è boato silenzioso del Guarda in questo punto sulla tovaglia, è il momento in cui ci siamo conosciuti e da qui in poi è il futuro di Io e te cioè non proprio io e te diciamo i due di prima.
Quanti anni di differenza abbiamo, dal nulla, quel nulla che è bisogno di sostanza che riempia a sufficienza il No altrimenti forma vulnerabile alla sua stessa fonte, io dico pochi, tu misuri e scandisci le due cifre perché me li vuoi mostrare uno per uno così che il No non siano solo gli occhi ma io lo so quando si vuole sapere il numero, è breccia, la risposta giusta sarebbe Nessuno e in silenzio mi esplode il dammi modo e li annullo uno per uno, scanditi nel medesimo modo ma in direzione invertita fino a farti vedere impossibile da disinnescare il punto esatto dell'incastro perfetto che ha creato la domanda.
Perché fai vedere solo il peggio di te mi ritrapassi e la risposta è perché il meglio l'ho davanti, è il resto della tovaglia da dove ci siamo conosciuti in poi e sia imbandirla ogni giorno a festa o silenzio, è intimo, è dedicato, non lo so dire, se parlo sbaglio, lo so solo dare.
Quella inattesa carezza all'altezza del cuore me l'ha tolto dal petto e quando vorrai restituirmelo mi tornerà la voce quel tanto che basta per dirti che.
Quel giorno vedrai quel meglio presupposto in quella domanda avere l'esatta forma del mio grazie per averlo sottinteso, intuìto, invocato, sfidato e infine zittito come nessun altro sa, o può.