Il problema è che non c’è la notizia.
La notizia, l’unica, è che c’è stato il terremoto.
Tolta quella, non c’è notizia.
C’è la notizia iniziale, seguita dalle conseguenze al fatto, che sono un’ovvietà.
Se uno si spara in testa, la notizia è che si è sparato in testa.
La conseguenza di quel gesto, la morte, non è una notizia.
Che a causa del terremoto siano crollati interi paesi non è una notizia, è un’ovvietà.
La notizia è tale quando alle caratteristiche standard di un evento si aggiungono elementi di novità e un crollo a seguito di un terremoto non è un elemento di novità.
Notizia sarebbe notizia di reato per chi li ha costruiti, ma dato che chi li ha costruiti sono le stesse imprese alle quali verrà quasi certamente affidata la ricostruzione, ciò che resta dopo che alla notizia viene tolta la parte che va taciuta, è la pura notizia dei crolli delle case ripetuta ogni giorno con ore e ore di riprese delle case crollate, che non sono una notizia.
Che a causa dei crolli ci siano state vittime non è una notizia.
Quando crolla un palazzo in ore notturne, che ci resti sotto chi quel palazzo lo abitava non è una notizia.
Ore e ore di servizi e di conte delle vittime non sono notizia.
Sono crollati interi paesi, che ci siano vittime non è una notizia.
Né è notizia il ritrovamento di superstiti, è statistica.
Un sopravvissuto estratto vivo non determina il ritorno in vita di chi è morto, non fa magicamente ricomporre i muri, non sposta di un millimetro lo stato delle cose.
C’è stato un terremoto, ci sono stati crolli, ci sono persone colpite dai crolli, tra esse c’è chi si è trovato sotto un muro portante e chi no e di conseguenza chi è sopravissuto e chi no.
Tolta la prima, il resto non sono notizie e non lo saranno nemmeno grazie alla ripetizione ossessiva, il meccanismo mediatico in questo caso non funziona e non può che generare ciò che sta generando: un terzo dell’italia nel quale sono presenti più giornalisti che operatori della protezione civile perché mentre i primi cercano sotto le macerie persone che forse ci sono, i giornalisti hanno l‘urgenza di trovare notizie che non ci sono e non ci saranno mai.
Non è una notizia lo sciacallaggio.
Stanno cercando di renderla tale perché altre non ce ne sono, ma resta che lo sciacallaggio non è una notizia.
Dovunque ci sia un cataclisma ci sono uomini coinvolti, dovunque ci siano uomini coinvolti ci sono differenze umane statistiche, dovunque ci siano differenze umane statistiche ci sono persone che aiutano e persone che ne approfittano.
Fa parte della natura umana, in un gruppo di dieci persone statisticamente ce ne saranno alcune buone e altre cattive.
Dovunque ce ne saranno alcune cattive, ci sarà il sottogruppo dei molto cattivi e nemmeno questa è una notizia, anche questa è un’ovvietà.
E allora perché questo delirio mediatico?
Perché gli ultimi anni di informazione non potevano che generare questo.
Sono anni che si generano notizie dal nulla, anni che si modifica la struttura stessa del’informazione in direzione emergenza, anni che si creano casi da elementi che un caso non l’avrebbero mai creato.
Quando per anni produci giornalismo in grado si sopravvivere solo se c’è impatto mediatico, quando gli dai persino l’ulteriore accelerazione vista negli ultimi mesi dove i cani che mordono l’uomo sono diventati notizia perché il bisogno ultimo era la creazione dell’emergenza, non puoi che trovarti scoperto nel momento in cui la parola emergenza è lo standard.
Da mesi chiamano emergenza qualsiasi cosa, due cani che mordono sono emergenza cani, due rumeni che (non) stuprano sono emergenza immigrazione, due telefonate su un pompino sono emergenza privacy, due ragazzini viziati con genitori insufficienti alle spalle sono emergenza bulli.
Come puoi, ora che hai assuefatto il pubblico a non saltare sulla sedia quando sente pronunciare la parola emergenza, farlo saltare sulla sedia di fronte a un terremoto che ha azzerato il centro italia?
Devi per forza alzare l’asticella ancora di più, devi mostrare che l’emergenza è ancora più grande di quello che fino a ieri chiamavi emergenza e per farlo non ti basta dire “Emergenza” (in questo momento il TG5 sta mostrando un servizio nelle cucine da campo, con intervista al cuoco che elenca i piatti che sta preparando, tre minuti di tempo/notizia buttati nel cesso, ma è così, non c’è la notizia e quei tre minuti vanno riempiti in qualche modo) devi pomparla ancora di più e devi farlo perché sei vittima della stessa scelta folle di aver usato la parola emergenza troppe volte e per cose che non ne avevano nemmeno la lontana sembianza.
Questo è il circo che si vede oggi, il risultato di un azzardo scriteriato dei mesi passati, mesi passati illudendosi che la parola emergenza fosse lì a disposizione di chiunque, certi che mai ci si sarebbe trovati di fronte a qualcosa che da dizionario ne avrebbe avute le sembianze.
Ora via con l’emergenza sciacalli e il puntuale DL di quel pagliaccio pericoloso che abbiamo a capo del governo e che mai si sarebbe augurato una così provvidenziale botta di culo per la sua immagine ma che non per questo non è pronto a mettere in campo tutto il suo armamentario di capacità di girarla a suo favore, si crei il panico ancora più di quanto già un evento del genere produca, si prenda l’ennesima ovvietà e la si elevi a ennesimo allarme sociale, si prepari il campo all’ennesima notizia del cittadino che presto tirerà sassi a chiunque vedrà aggirarsi intorno alle macerie perché quello non era un altro cittadino come lui vagante in preda alla disperazione, no, era uno sciacallo che cercava di rubargli l’orologio che aveva lasciato sul comodino.
Poi arriva la chiesa.
I cataclismi sono sempre stati un toccasana per dittatori e papi, la speculazione umana che permettono non ha pari, l’occasione che creano non è generabile da nessun altro evento, niente come un disastro naturale porta pecorelle all’ovile e carta bianca ai dittatori.
Ieri in aereo leggevo Repubblica, dopo qualche pagina ho tirato fuori la penna e ho cominciato a sottolineare.
Pagina 3:
“Il racconto di un cieco ricoverato a l’Aquila: La mia badante è scappata quando c’è stato il terremoto, però sono arrivati due giovani che hanno sfondato la porta e mi hanno salvato. Due angeli, so solo che uno di loro si chiamava Gabriele”
Pagina 10:
“in via dei Calzolai, dove il medico che ha perso il figlio aveva trovato il corpo di Susanna, sembra di percepire un bisbiglio. Pare una preghiera”
“La gente si commuove, attorno alle dieci, quando due pompieri escono da una rovina verde e rosa, in piazza della chiesa, reggendo sopra il capo un acquario con i pesci rossi vivi che nuotano all’interno. E applaude mentre il calice, piegato e sporco, esce infine dalla parrocchia crollata”
Pagina 13:
“e poi spunta un crocefisso da pochi soldi, uno di quelli che sormontano brutti letti matrimoniali, Un volontario raccatta dello spago e lo attacca a un albero. La cosa non colpisce, non smuove nessuno. È un gesto che richiederebbe pensieri e interpretazioni simboliche appena più complesse, che nessuno è in grado né ha voglia di fare”
E molti altri me ne sono persi, quando di fronte al giornale meno papale che ci sia dopo il Manifesto che ha riempito le sue pagine di religiosità da venditore di pentole, ho deciso di chiuderlo e semplicemente decidere di abbandonare ogni tentazione di non pensare più che questo paese meriti di sprofondarci tutto per intero, come ho detto da sempre e mai come oggi riconfermo, sotto un terremoto che lo inghiotta definitivamente e restituisca il suolo a formiche e scarafaggi, che faranno anche schifo a vederli, ma mai come noi.
Poi c’è la notizia di Obama che offre aiuti e il pagliaccio pericoloso che gli risponde “Ricostruisci le chiese”.
Dice che gli stati esteri possono prendersi l’incarico di ricostruire per settori, agli USA le chiese.
Ma nella scala delle competenze, tra gli stati esteri il Vaticano non starebbe un attimo prima?
Una cosa è certa: la Compagnia delle Opere starà brindando a Champagne.
Offerto dal Papa, che non ha altre spese imminenti in programma se non quelle per diffondere ulteriormente la verità di dio, ora che i culi sono belli aperti e mai come oggi pronti a sopportare anche l'assenza di lubrificazione.
Ché prenderlo nel culo con la sabbia farà anche male, ma quando la sabbia l'ha voluta dio non è sabbia, è vita.
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