22 aprile 2009

Se questa casa non ha più pareti ma alberi, alberi siano

Nel 2010 saranno esattamente venti anni di lavoro, venti anni nei quali non c’è stato un solo giorno, uno solo, sotto padrone né con un qualsiasi tipo di contratto che non fosse la parola mai scritta.
Vent’anni di strette di mano, anche per rapporti di qualche anno, mai una firma o un foglio a forma di salvagente.

Non so come ci sia riuscito, certo un mix di fattori non tutti dipendenti soltanto da me stesso.
Per esempio un bel ruolo non può che averlo avuto la fiducia concessami nel tempo, perché se è vero che non ho mai avuto alcuna garanzia scritta per tutelarmi dalle cazzate di chi mi stava sopra, è anche vero che loro a loro volta non hanno mai avuto alcuna garanzia a tutela degli eventuali danni delle mie.
Dopo vent’anni posso permettermi un piccolo bilancio intermedio rispetto a questa cosa della tutela scritta, un bilancio che vantando un monte-cazzate (reciproche) pari a zero, mi rivela che in assenza di armi certe, si finisce col non cercare mai di spararsi a vicenda se non in pochi rari casi di livello umano troppo basso per far statistica.

Venti anni così però un problema lo creano ed è un problema visibile solo se ci si sofferma a pensarci e dopo vent’anni l’ho fatto: ho realizzato che vent’anni così, se all’inizio sono una bella scommessa, quando consolidati e fattisi schema diventano uno schema irreversibile.
Io non sarò mai capace di lavorare sotto padrone.
Le libertà garantite da questo tipo di rapporto, che all’inizio sono solo velleità, a schema consolidato diventano l’unico schema possibile.

Ci pensavo ancora oggi, dopo l’ennesimo utilizzo della libertà più grande tra queste: la libertà di mandare affanculo chi pensa di starti sopra anche fisicamente.
Ci pensavo oggi, quando mi sono reso conto che in questi vent’anni ogni volta che nella mia mente è apparsa la parola “Vaffanculo” quella parola ha sempre e immancabilmente preso la via della bocca nel giro di uno al massimo due secondi, prezzo conseguente pagato sempre ma sempre e immancabilmente considerato inferiore al piacere della liberazione della parola.
Ci pensavo oggi quando mi sono reso conto che i secondi successivi alla parola, da sempre imbevuti di solo piacere, per un istante sono stati attraversati anche da una nuova e inattesa consapevolezza: a ogni vaffanculo io metto a rischio il domani.

Mi son chiesto il perché di questa novità, io che al domani in effetti ci pensavo già ieri pur liquidando la domanda con la risposta: andrà bene.
A colpi di esclusione ho capito che la novità è che il domani al quale pensavo fino a ieri era il mio domani e che quindi in quel domani avrei avuto da metterci solo e soltanto le mie scommesse, a oggi tutte vinte, mentre il domani al quale penso oggi è il nostro, nel quale le scommesse e gli azzardi cambiano il corso di due vite, non più solo della mia.

Io sono uno di quegli uomini noiosissimi ai quali piace dipingersi come provati dalla vita al punto da non voler più dire scemenze quali “Ti amo” più per l’affascinante immagine burbera che pensano di restituire di sé stessi, che per reale incapacità di pronunciarle, altro bilancio.
Poi mando affanculo qualcuno con la stessa velocità con la quale lo facevo ieri, ma a differenza di ieri sento di aver messo in qualche modo a repentaglio il futuro di qualcun altro che non sono io e a quel vaffanculo ci penso in maniera diversa, meno pancia piena, per un brevissimo istante vicina al concetto a me così estraneo di disponibilità al compromesso, se serve.

Non lo so se sarò mai capace di lavorare sotto padrone, né se sarò mai capace di tenermi in gola il prossimo vaffanculo, così come non lo so quando mi uscirà il prossimo “Ti amo”.
Quello che penso stasera è semplicemente una roba che se dovessi descrivere con uno dei miei divertentissimi (ridere, grazie) giochi di parole calembour parafrasi e giochi verbali vari ed eventuali assomiglierebbe a una roba tipo che sento la mia libertà pronta a finire anche domani, se mi si garantisce che in quell’esatto istante inizia la tua.

Nel mio sogno di amore una roba così non è ancora amore, ma se per la media delle persone questo è amore, allora facciamo che è amore.
Tanto è una convenzione, possiamo anche chiamarlo “bicchiere” (ri-ridere, grazie) ché la sostanza non cambierebbe e la sostanza è che a me della casa non me n’è mai fregato nulla e se oggi mi arredi e rubi e invadi ogni angolo davvero l’unica cosa che mi resta è che a oggi ogni angolo di spazio modificato mi è sembrato più bello di quando me ne occupavo io.
Con il futuro il discorso è più o meno lo stesso e quindi fai pure, male non fare paura non avere o mettersi d’accordo per averla uno dei due a turno così non sarà mai paura ma relax.
Ché se c’è una libertà che davvero io non mi sono mai potuto permettere è proprio quella di avere paura, quella oltre l’istante che la genera, quella riflettuta, quella che si prende il tempo necessario per rivelarsi interamente senza l’ansia di vederlo sottratto a quello necessario per risolvere.

Ecco, permettimi di avere paura per il tempo necessario per rendermi conto che se andrà bene non dipenderà solo dal mio non essermi distratto nemmeno un istante e io in cambio restituirò qualcosa che apparirà amore anche a me e non solo alla media della gente.
Perché amore per me è questo, il dare qualcosa mai dato prima e io “Ti amo” l’ho già detto e se c’è un’altra cosa che in tanti anni non ho mai fatto è il riciclare un regalo fatto a qualche ex e poi restituitomi perché non gradito e anche questo è purtroppo schema irreversibile.

Domani ho un’altra regia da fare, che significa qualche centinaio di ordini al secondo da dare a gente che deve attendere il mio tre due uno via pure per staccare le mani dalla consolle e bere un bicchiere d’acqua.
Trentasei anni passati a pensare dieci volte prima di bere anche solo un bicchier d'acqua non potevano che trasformarmi in uno la cui abilità più grande è la capacità di avere in testa contemporaneamente dieci teste non sue necessarie per fare una azione sola e conseguenza sapere esattamente quando avviare contemporaneamente venti mani non sue.
Questo mi rende così bravo nel mio lavoro, l'aver saputo rendere abilità la cosa peggiore che mi sia stata imposta.
Per questo non ho bisogno di garanzie scritte, ho capitalizzato una patologia psichiatrica in una società composta da malati di mente pieni di soldi; non mi mancherà mai il lavoro e anzi, più vaffanculo tiro e più lavoro avrò perché a 'sti malati di mente piace sapere di pagare uno squilibrato quanto loro, da loro l'impressione di poter controllare la loro stessa patologia per trasfer.

Ma se in tutto questo tornassi a casa portandomi in valigia il timore di scoprire che durante uno dei mie continui viaggi mi hai abbattuto una parete senza il mio permesso, non sarebbe un tornare a casa ma solo l’ennesima regia e invece io a casa ci voglio tornare per riposarmi, ché ne ho davvero bisogno.

Quindi se abbattere una parete quando sono via per lavoro ti fa sentire meglio, abbatti una parete.
(tre)
Il limite
(due)
è che non
(uno)
ti scopi il muratore
(ridere!)

Se per la media della gente questo è amore, allora facciamo che è amore.

‘notte da lontano.


Nessun commento:

Posta un commento