7 agosto 2009

Ci siamo quasi

La mia fiction quotidiana è stato il bambino dell’ombrellone accanto.
Ho passato ore a studiarlo per giorni e giorni, fino ad arrivare a prevederne le mosse con qualche decina di secondi di anticipo (che essendo un bambino il soggetto, sono l’equivalente di una palla di vetro).
I bambini hanno in sé il cattivo e il buono, entrambi nella loro versione più genuina perché naturale.
Nascono con la matrice standard contenente tutti gli elementi di eguale dimensione e col tempo, se seguiti e se seguiti nella maniera giusta, imparano a governarle entrambe per trovare il giusto mix che permetterà loro di calarsi nella società in maniera positiva, un mix nel quale il cattivo è ridotto ai minimi termini a favore del buono, o in maniera negativa, se il mix vede prevalere il cattivo.
Il bambino dell’ombrellone accanto era un bambino cattivo.

Cattivo non come sono genuinamente cattivi i bambini, cattivo come sono cattivi gli adulti dopo anni di lucidatura della pistola, ma a quattro anni.
Ho imparato a prevederlo nel momento in cui ho capito che quella parte cattiva che nei bambini è innata e progressivamente viene ridimensionata fino a renderla inoffensiva, in lui era stata sviluppata fino a farne unica forma di relazione utilizzata con un’abilità rara.
Uno sguardo cattivo, una socialità cattiva, una territorialità cattiva, tutto consapevolmente orchestrato a danno di chiunque gli entrasse nel raggio di un metro e non si dimostrasse pronto all’immediata subordinazione.
Una tecnica precisa e particolare per mordere, non istintiva e rabbiosa ma lucida e chirurgica, come chi ha dato morsi in numero sufficiente da arrivare a sintetizzarne la versione più efficace, fulmineo come la lingua di un camaleonte, lo potevi cogliere solo se lo stavi già osservando da un’ora fisso, la vittima non aveva scampo né protezione, troppo veloce per credere a chi sosteneva che in quella frazione di secondo era stato morso, un killer.
Una tecnica superata in perfezione solo da quella utilizzata per graffiare, a doppia mano incrociata avvitata, l’ho visto una sola volta ma mi ha fatto impressione per la preparazione del gesto, la scelta del punto da colpire, la tecnica geometrica, tutto in non più di un secondo e mezzo.
Tecniche diverse per vittime maschi o femmine, metodico e mai improvvisato, mai rabbia, lucido e fermo.
Gli ottanta chili di mamma sulla sdraio troppo impegnata nella lettura per occuparsi delle urla intorno, lettura fissa Viversani&Belli e impossibilità di distrarsi un solo istante dalle istruzioni per diventare in sei giorni come la strafiga in copertina, l’obiettivo era importante quanto urgente.
Quel bambino da grande ucciderà la madre o la madre ucciderà lui prima che grande lo diventi.

Quando ne ho l’occasione passo ore ad osservare i bambini, sono uno specchio formidabile della società, sono le sue regole base portate alla loro essenza, osservarli è come osservare gli adulti ma con l’irripetibile possibilità di non avere il filtro dei duecento strati di sovrastrutture che con gli anni mettono a copertura delle stesse originali dinamiche.
Prevedere le loro mosse e vederle accadere mi fa sentire in grado di affrontare chiunque, perché per affrontare chiunque basta imparare a prevederlo.

Ah no, non basta quello.
Serve anche molta, molta pazienza.

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