12 settembre 2002

Se torno indietro di un anno





Se torno indietro di un anno, a quel 11 settembre, le immagini che mi tornano in mente, per mia sfortuna sono solo marginalmente legate alle torri.

Ho immagini personali, di dolori personali.

E ricordo come la ripetizione continua di quel nome, Farnesina, che per tutti è un semplice ministero tra i tanti, mi schiacciava in testa ogni cinque minuti su qualsiasi canale i mesi di lotta e di telefonate e di minacce e di ricatti e di preghiere e di richieste di soldi per riavere a casa il corpo di mio padre, che esattamente in quella settimana, dopo mesi di spietato burocratico e diplomatico freezer, era finalmente riuscito a scendere dall’aereo chiuso in quella scatola di legno, ricordandomi che per me Farnesina equivale a nomi personali, di chi mi rispondeva al telefono, di chi cercava di farmi accettare l’idea che l’Italia all’estero non ha poi tutto questo potere, quei nomi che mi ricordano persone che da me si sono sentiti minacciare come se fossi un intero paese pronto a fare la guerra all’Italia fino alla fine pur di avere quello a cui aveva diritto, il corpo di un padre a cui dare una giusta sepoltura a differenza di quello che proponevano loro per ovvia indifferenza.

Ogni volta che sento riparlare di quel giorno, mi vengono in mente le tue telefonate, mi vengono in mente quali muri sostenevano i televisori da cui guardavamo la diretta, mi vieni in mente tu che pretendevi attenzione esclusiva anche di fronte a quello che stava succedendo, mi viene in mente l’ennesima litigata nata perché il tuo orario di rientro coincideva perfettamente con i notiziari da cui nessuno riusciva a staccarsi e tu ti lamentavi perché a quel punto avevi capito che non avresti avuto la tua indispensabile quotidiana razione di sesso, e io che quella sera capii finalmente in maniera a quel punto innegabile quanto tu non fossi la persona che credevo ma che con tanta ostinazione continuavo a considerare di valore.

E il giorno dopo la decisione di dirti addio, non immaginando quanto questo sarebbe stato per me l’inizio dell’ennesima guerra, alla quale non ero preparato, per la quale non avevo in quel momento le necessarie forze, prosciugate dalle precedenti, non ancora vinte ne tanto meno concluse.

Ognuno ha il suo ricordo, ognuno ha le sue torri di cristallo personali.

Io per differenziarmi ho persino il mio terrorista personale.

E quando in questi giorni torno indietro a quella settimana ripenso alle mie torri crollate, abbattute da persone vuote, impazzite, senza scrupoli ne dignità.

In una delle due torri di cristallo risiedeva la mia famiglia, sotto forma di affetti, litigi, lontananze, legami, ricordi, stima, e con lei risiedevo io, con le mie certezze, le mie conquiste, i miei valori, così americani nell’orgogliosità e nella pomposità, così stupidamente considerati intaccabili, inviolabili, immuni da qualsiasi attacco o tentativo di distruzione.

Nell’altra torre di cristallo ci tenevo il mio essere esteriore, il mio giocare all’uomo migliore del mondo, il mio essere contento di me, i miei concetti di amore, di fiducia, di paure e di coraggio, di progetti e lotte, la mia idea di coppia, di amicizia, ci tenevo i miei amici e le mie idee di loro, del valore delle persone, alle quali avevo stupidamente regalato un valore esageratamente lontano da quella realtà che così rovinosamente mi stava per crollare addosso.

Ero dentro la mia prima torre di cristallo quel giorno, impegnato a firmare carte, fare telefonate, entrare e uscire dalla polizia, lentamente sempre più conscio di quanto fosse vulnerabile tutto quello che avevo così brillantemente vestito da torre di cristallo, non preparato alla violenza con la quale era stata colpita, spargendo detriti familiari che arrivavano da qualsiasi direzione, vetri taglienti e sassi troppo pesanti per un corpo gracile come il mio, e chiedevo aiuto e guardavo per farmi coraggio fuori dalle poche finestre rimaste intatte per cercare di guardare l’altra mia torre di cristallo, per rubarle un po’ di quella forza che mi serviva per non far crollare definitivamente quella in cui mi trovavo, certo che il vederla ancora intatta e inviolata mi avrebbe dato la certezza che a distruggermi la prima non poteva che essere stato il caso, esorcizzando quella paura, quella sensazione così netta che ognuno dei piani distrutti nella prima era stato abbattuto volontariamente da qualcuno.

Ma tu lo sapevi, avevi organizzato tutto.

E mentre io mi sostenevo a stento grazie alla solidità della mia seconda torre di cristallo, tu, con un ritardo diabolicamente calcolato, mi hai attaccato e distrutto anche quella, pubblicamente, con sfregio e disprezzo, con un sorriso diabolico a celebrare la tua vittoria e con l’arroganza di chi ha fatto dell’odio e della vendetta una ragione di vita.

Nemmeno tu eri preparata ad un crollo così definitivo.

Ci vuole competenza per organizzarlo così bene, e ci vuole intelligenza per calcolare così precisamente il punto d’impatto migliore per ottenere un crollo totale e non solo qualche piano facilmente ricostruibile.

No, nemmeno tu ti aspettavi un tale successo.

Sei pazza, non carpentiera.

Tu dal tuo personale costruttore di palazzi hai saputo imparare solo la capacità di odiare, non quella di costruire o abbattere.

Ma sei anche fortunata, e ricca, di quei beni di cui vanno ghiotti i kamikaze ai quali con tanta facilità fai fare ciò che tu non avrai mai ne la forza ne il coraggio di fare con le tue mani, e io lo so, perché sono stato uno di loro, pronto ad immolarmi per te, per le tue idee, per le tue paure, per le tue speranze, pronto a salire su un piccolo aereo sul quale avevi scritto il tuo nome e con il quale mi sono andato a distruggere al posto tuo contro il tuo annuale nemico, che poi altro non era che lo scemo prima di me che con altrettanta stupidità era salito anche lui sullo stesso aereo e con il quale anche lui era pronto ad immolarsi.

Se ritorno indietro di un anno, e ascolto i telegiornali parlare di chi aveva organizzato tutto quello, come una persona che fino a pochi giorni prima era amico e collaboratore delle sue stesse vittime, mi vieni in mente tu, e non solo per una coincidenza temporale, ma anche per la disumana capacità di odio per i tuoi stessi amori e disprezzo per la vita delle vittime con le lapidi delle quali hai nel tempo lastricato la tua strada.

E la cosa pazzesca è che quella che sembra una metafora è purtroppo la realtà, fatta di quei veri morti che ti lasci continuamente alle spalle dei quali stavo per entrare a far parte pure io per indecente scelta.

Questo fa di te il pericolo maggiore, la tua continua capacità di avere intorno gente che al posto tuo uccide, convinto di farlo per convinzione personale, in modo che le tue mani, da anni sporche di sangue, continuino a risultare pulite agli occhi per prima di te stessa, la cui intelligenza, innegabile, sarebbe una condanna spietata se accettassi la realtà di quanto sangue è servito per scrivere il tuo nome.

Se penso a quel giorno, mi viene in mente quante macerie le mie due torri hanno lasciato a terra, e quanto orgoglio e sicurezza e certezze hanno sotterrato sotto di esse.

Ricordo di me che stanco e ferito ma sopravvissuto vagavo tra il fumo e i detriti, inciampando in pezzi di me, di famiglia, di amicizia, di amore, in preda all’allucinante consapevolezza del tempo che avrebbe richiesto anche solo lo sgombero di tutto quel delirio, figuriamoci la ricostruzione.

E ricordo il bisogno di vendetta che si faceva sempre più netto e deciso, il bisogno di non lasciare impunita una distruzione così totale e volontaria la cui firma era impressa a fuoco dal disprezzo e dall’arroganza di chi, così certo del proprio valore non aveva avuto nemmeno la decenza di non prendersi la responsabilità.

Ma non sono mai stato americano, nemmeno lontanamente, e di conseguenza ne ho affrontato le conseguenze in maniera diversa, forse intelligente.

Imparando che due torri fragili sono vulnerabili, e quindi sarebbe stupido ricostruirle uguali, imparando che forse una vera e solida forse è migliore, meno vulnerabile e certamente più capiente, cosa non da poco, visto il continuo bisogno di alcuni di trovare riparo dentro ai miei muri.

Avrei potuto inseguirti per un anno scaricandoti tonnellate di bombe intelligenti, devastando tutto ciò che ti circonda pur di stanarti e distruggerti fino a vederti in ginocchio su quella tomba che con tanto disprezzo mi hai scoperchiato addosso.

Ma se le bombe intelligenti avessero tenuto fede al loro nome, non te ne saresti vista arrivare nemmeno una, e comunque, certamente la tua capacità di nasconderti mi avrebbe solo fatto sprecare del gran tempo inutilmente regalando a te quelle energie e quegli sforzi già scarsi, così indispensabili per ripulire il mio personale ground zero.

Se torno indietro di un anno, per mia sfortuna, ricordo il dolore mio reale e personale.

Perché volenti o nolenti, la morte di una parte di te, vale parecchio di più di qualche migliaio di sconosciuti, per quanto il mio rispetto per tutti loro sia comunque sempre presente.

Se torno indietro di un anno, rivedo quelle torri così belle che prima parlavano di me su quella distesa di terra che oggi è così piatta.

Se torno indietro di un anno mi rendo conto che su quella distesa non c’è costruito ancora niente di nuovo e di importante, ma che finalmente dopo un anno di duro lavoro è stata ripulita.

Se torno indietro di un anno mi rendo conto di quanto sia fragile la vita.

Se torno indietro di un anno mi ricordo di te e del terrore e dell’odio con i quali vivi.

E mi viene in mente che essendo tu vigliacca e politicamente dalla parte sbagliata, non c’è nemmeno la speranza che un giorno decida di farti saltare in aria.

E mi viene in mente che sarebbe stato inutile darti la caccia, in un mondo dove gli stessi abitanti si sono fatti convincere che meritavi la loro protezione.

E non mi rimane che fare come fate voi terroristi per giustificare il vostro odio tutt’altro che religioso e disinteressato.

Affidarmi ad un eventuale dio, e alla relativa eventuale giustizia divina.

Vivendo con la certezza che l’esistenza di un inferno è l’unica garanzia del fatto che arriverà un giorno per entrambi, lontano o vicino che sia, dopo il quale non correrò più il rischio di incontrarti.

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