24 settembre 2004

Lessico familiare

Ciao Broo,
ho trovato in casa un librino che potrebbe interessarti: è "Antiche Fiabe Cinesi". Ce l'hai ? Lo vuoi ? Manda indirizzo "fisico" che spedisco


Grazie, si!
E' uno di quelli che avevo prestato e non è più tornato!
Davvero me lo daresti?

Certamente. Basta che lo tieni bene (e non ho dubbi) - era sul comodino di mia madre. L'ho accompagnata recentemente anch'io, tenendone l'urna sulle ginocchia. Poi, per caso ho letto il tuo appello e insomma, mi farebbe piacere se lo avessi tu.
[…]E naturalmente dammi anche il tuo indirizzo.
Ho promesso di comprarli e voglio poter mantenere la promessa.
non ci pensare nemmeno: […] e NON pensare nemmeno a pagarmelo. Consideralo un regalo, anzi un prestito a lunga scadenza.


Allora facciamo così.
Io accetto il tuo regalo solo se sulla prima pagina bianca ci scrivi "Questo libro era sul comodino di.." e ci metti il nome di tua mamma, solo il nome.
Non mi far spiegare che non è un pensiero brutto questo, né un modo per appropriarmi di qualcosa di tuo.
Ma quel libro era di tua mamma e l'ha scritto mio padre.
Se su quella copia compariranno entrambi i nomi io sarò felice.

Fosse anche - e non lo è - un modo per appropriarsi di qualcosa di mio, ne sarei contento. Tutto quello che mia madre mi ha dato, e che mi porto dentro, non può essere solo mio.

E lo accetterò come un regalo.
Tuo e di tua mamma.
Perché se lei lo teneva sul comodino, io in qualche modo "grazie" per avermelo ridato lo vorrei dire anche a lei.
E ricordarmi il suo nome ogni volta che lo aprirò mi sembra un modo bello.

anche a me, per questo ci ho scritto qualcosa sul frontespizio.
E ti dirò, lo avrei fatto anche se non me lo avessi chiesto, a costo di mandarti un libro scarabocchiato.


Anche se non so chi fosse, anche se tu non sai chi sono io.
Ma del resto nemmeno lei sapeva chi era mio padre, e nemmeno io so chi sei tu.

Ha davvero importanza? Se abbiamo culo rimedieremo. L'importante è tutto nell' "Eppure" qui sotto.

Eppure c'è un libro che stava su un comodino, che ha fatto parlare due figli che si son portati in braccio un'urna, e che se deve tornare a me io sarò felice, ma sarò felice solo se si porterà scritta all'interno anche la storia del percorso che ha fatto, non solo quella mia e di mio padre.
Perchè se non fosse stato per te e tua mamma, io quel libro non l'avrei mai avuto.
Un'altra copia magari si, ma non quella.
Firmala, e accetta il mio grazie.

grazie accettato. E' bella questa tua ricerca, spero di riuscire ad aiutarti di nuovo.
ciao, uomo più bello del mondo. Il libro arriva presto, poste permettendo.
dario


“In nessun paese del mondo la lingua scritta è stata per millenni, ed è tutt’ora, tanto lontana e difficilmente raggiungibile da una così larga parte della popolazione come lo è in Cina. […] È naturale che, in una realtà sociale di questo genere, la letteratura popolare sia quanto mai viva e vitale e che abbia un peso e un valore molto diverso da quelli che ha comunemente in Occidente. Per la maggior parte dei cinesi, infatti, essa costituisce l’unica forma possibile di cultura, proprio perché nasce spontanea e non ha bisogno della carta per essere trasmessa agli altri o per essere tramandata ai posteri.

Comunemente chiamata “minore”, questa letteratura è stata per due millenni, e in larghi strati intellettuali cinesi lo è ancora oggi, apertamente disprezzata, trascurata e considerata indegna di essere “letta” e presa in considerazione. […]
Il suo patrimonio è costituito da fiabe e racconti di magia, da leggende, da poesie, da proverbi, da aneddoti, da storie, tutti trasmessi oralmente da una generazione all’altra e via via arricchiti e ampliati dalla fantasia e dall’estro dei narratori.

L’elemento fiabesco, fantastico trae spunto da fatti e situazioni molto comuni, non è artificio e non lo potrebbe essere, è un fiabesco popolano, fatto per incantare i semplici. […]

I narratori e i cantastorie ai quali si deve l’immensa fortuna di cui gode questa tipo di letteratura sono solo ricchi di esperienza di vita, di fantasia, di voglia di dilettare gli altri, di incuriosire, di catturare l’attenzione del pubblico.[…] Insomma, i fruitori di questa letteratura sono soprattutto coloro che s’aggirano in un mercato di piazza, in un cortile di un tempio, in un giorno di festa o in una fiera paesana. Quella di cui parliamo, però, rimane ancora oggi letteratura principalmente orale: la pagina scritta, la fotografia, la fossilizza e la uccide. Non lascia più spazio per le estrose variazioni del cantore e del narratore, non c’è più un dicitore e tanti ascoltatori, c’è una pagina e un lettore: è diventata, insomma, letteratura non più minore o popolare. […]

Ed è proprio tale massa, non piccola, di sconfitti che ha costituito nei secoli l’esercito di autori della letteratura popolare […] Ed erano quasi sempre essi stessi che tenevano nascosto il proprio nome, se ne vergognavano, e mandavano per il mondo i loro scritti orfani di padre, quasi per sfogare in qualche modo l’amarezza che gonfia l’animo e fa le notti lunghe. […]
Scrivevano di tutto e su tutto questi anonimi, e tutto in lingua parlata, perché scrivevano per il popolo, per i cantastorie, per i teatri popolari, per i saltimbanchi da fiera e le loro opere passavano poi di bocca in bocca rifatte, rimaneggiate, modificate, adattate sempre ai mutevoli gusti degli ascoltatori.
A volte riprendevano e arricchivano leggende e racconti popolari, a volte adattavano per il popolo minuto i libri della letteratura colta, ufficiale, i classici insomma, che altrimenti non avrebbero avuto alcuna possibilità di arrivare fino alla gente comune.
Nel corso dei secoli si è così formato un patrimonio letterario sterminato, bellissimo, affascinante. Ed è arrivato fino a noi nonostante l’aperto disprezzo della cultura ufficiale e dei letterati di professione.

Ancora oggi è praticamente sconosciuto al di fuori della Cina: nessuno si preoccupa di conoscerlo e di farlo conoscere.
Questa brevissima raccolta significa poco, molto poco: è come se di un bellissimo e ricchissimo abito, con pizzi, merletti, ricami, ori e perle, si mostrasse solo il bottone. Per quanto bello sia, riuscirà solo a dare una pallida idea dell’abito da cui proviene.


Antiche Fiabe cinesi.
Edi Bozza.”


Questo facevi.
Andavi in giro per il mondo a cercare quel fascino che non volevi si perdesse.
Andavi in giro ad ascoltare cantastorie.
Andavi in giro ad ascoltare fiabe per raccontarle a tua volta.
Come potrei pensare che sei stato cattivo?

È stato bello riascoltarti,
raccontarmi perché scrivo, in questo gigantesco mercato di piazza.
È stato bello.

Grazie Dario
Grazie Pierangela.

È un libro ingiallito, usato, consumato, vissuto, ascoltato, quello che mi avete regalato.
E in quelle pieghe c’è il motivo per cui lo scrisse.
Raccontare una fiaba.

Vi devo tanto stasera.
Fondamentalmente vi devo la mia.

Grazie.
Per gli scarabocchi.


22 settembre 2004

Batman è mio papà

Che poi ieri pensavo a quel tizio là, quello vestito da batman che è entrato a Bachingam Palas.
E pensavo a tutto il putiferio che s’è creato e il terrorismo e la guerra e la sicurezza e la beffa ai servizi segreti e la regina arrabbiatissima e i controlli e l’MI5 e James Bond e i tiggì e i poliziotti e casca la terra e tutti giù per terra.
E vabbè nulla da dire tutto vero tutto giusto c’è la guerra.
Poi l’altro giorno ho anche visto il precedente, quell’altro che per lo stesso motivo si era vestito da uomo ragno e se n’è stato appollaiato su una gru per qualche ora perché l’ex moglie non gli faceva vedere il figlio e il giudice diceva che va bene così.
E in mezzo a tutte le cose che la guerra e la sicurezza e Bachingam Palas e l’MI5 e James Bond e il terrorismo e le pagine e le foto e casca la terra e tutti giù per terra, non ho letto nemmeno una parola su una cosa che per me invece è la chiave di tutto.
Si, vabbè tutti hanno detto che si era vestito da Batman, grazie al cazzo era vestito da batman e stava in piedi su un cornicione, difficile evitare di citarlo, come quell’altro vestito da uomo ragno che stava sulla gru, difficile non notarlo.
Ma io mi riferivo al perché.

Tutti hanno scritto che era vestito da batman e poi il resto dell’articolo a parlare di sicurezza di violazione dei controlli, di terrorismo, di falso allarme, di regina che incazzata di carlo che imbizzarrito e via così.
E intanto quello se ne stava sul cornicione.
E tutti a credere che fosse lì per farsi vedere dalla gente, dal giudice, dall’ex moglie, dalla tivvù.
E tutti a credere che volesse farsi notare per sollevare il caso e per discutere la causa e per far sentire la vece dell’associazione che rappresenta.
Si, si, tutto vero.
Ma quello è il motivo per cui stava su un cornicione.
Ma il vestito di Batman, quello vero, quello blu, quello no.
Quello era per far ridere suo figlio.
E nessuno che ne abbia fatto un servizio.
Come se fosse una roba da coglioni quel costume lì a cui prestare attenzione solo per l’eccentricità.
E invece era la cosa più bella, quella di cui avrebbero dovuto tutti parlare di più.

Perché il motivo per cui era su quel cornicione era certo perché il giudice gli ha imposto di vedere il figlio una volta, una sola stronzissima volta all’anno, e lui non voleva, ma il motivo per cui era vestito da Batman era sì che lui voleva vederlo, ma soprattutto voleva che suo figlio guardasse lui, che giocasse con lui, che ridesse con lui, che si divertisse a guardarlo, che dicesse a scuola “Quello è mio padre!” come ogni padre vorrebbe accadesse, e non poteva salirci vestito normale su quel cornicione, perché il figlio a scuola si sarebbe sentito dire che era matto e invece adesso i suoi compagni non vedevano un matto, ma Batman, e non lo avrebbero preso in giro, ma invidiato, perché lui in quel momento era il figlio di Batman e cosa cazzo c’è di più bello di un padre che fa una cosa del genere non per far incazzare la regina, ma solo perché è l’unico modo per giocare con suo figlio, eh, ditemi, cosa cazzo c’è?
Non voleva attirare l’attenzione delle televisioni con quel costume.
Voleva far ridere suo figlio!

E i giorni dopo tutti in piazza i papà d’Italia con gli striscioni, a dire “Anche noi! Anche noi!” nella solita puttanata italica sempre dopo gli altri e sempre meno intelligente degli altri, tutti convinti di aver capito che bisogna cercare una telecamera e scrivere una puttanata su un lenzuolo, e come se fosse il nuovo simbolo di tutti i padri tutti a mettersi la bella mascherina di Batman, ritagliata a mano sulla carta, con una maglietta blu come se bastasse quella per far credere ai propri figli di essere batman. In una versione sempre più piccola di chi si è inventato una cosa che non voleva diventasse un corteo ma solo un sorriso, ma gli italiani non l’hanno capito nemmeno per le palle e hanno pensato che la maschera servisse per andare sui tiggì e quindi non ci hanno pensato che i figli non sono scemi, che l’avrebbero scoperto subito che non sono batman, perché batman non può essere venti persone tutte insieme e i bambini lo sanno e poi il costume quello vero lo conoscono bene non è una maglietta blu e infatti il tizio inglese aveva quello originale, ci era andato, per suo figlio, in un negozio a spendere cento e rotti euro pur di essere il vero batman e non una cazzo di caricatura di cartone che solo un adulto avrebbe scambiato per quella vera e invece loro no, perché evidentemente non avevano capito che non era batman per le telecamere ma per suo figlio e se l’avessero capito, invece di inventarsi ‘sta cazzata di “Tutti con le maschere di batman” avrebbero fatto quello che ogni bambino vuole vedere quando di eroi in piazza ce ne sono tanti.

Non cento batman con magliette da mercato.
I bambini non sono stupidi.
Ma i veri costumi dell’Uomo ragno, i Fantastici Quattro, Thor, Dylan Dog, Braccio di Ferro, Topolino, gli X-Men.

Non hanno capito un cazzo quel gruppo di italiani.
Hanno voluto dare alla televisione cinquanta dimostranti.
E invece avrebbero dovuto usare le telecamere per dare ad ogni bambino il suo supereroe personale.
Un padre.


15 settembre 2004

C'è tempo

Ridisegno, di nuovo, il mio concetto di tempo.
Lo prendo, lo dilato, lo tiro, lo allungo, lo moltiplico e aggiungo uno zero.
Convinco me stesso che le mille cose che ogni giorno ho incartato con fiocchi colorati, non siano state accantonate come oggetti di scarso valore. Cercando di spiegare ad ognuna di loro che arriverà il loro tempo, provando ad azzardare un minimo di gerarchia tra loro per stabilire quale soddisferò il mese prossimo quale quello dopo e quale tra dieci anni, litigando con ognuna di loro che giustamente pretende il suo giusto posto, in un gruppo fatto da un numero di fiocchi incredibilmente superiore alle occasioni che ho per donarli.

Mi consegno la medaglia della prova tempo più che superata.
Mi stringo la mano.
E vado da mammà a chiederle di rispiegarmi bene cosa intendeva quando mi disse “vivi”.
Non per altro, è che quando me lo disse avevo zero anni, a trentadue credo di avere più possibilità di capire.

Essere single per scelta non significa fare ciò che si desidera.
Anzi.