Sono stato in tribunale per una causa penale nella quale faccio da testimone, su una vicenda risalente ai tempi nei quali credevo che mio compito fosse salvare il mondo dai cattivi.
Se i tempi della giustizia fossero paralleli a quelli della presa d’atto dei propri limiti, metà delle cause dei ritardi della giustizia italiana troverebbero soluzione così, per auto estinzione.
Ricevuto il mandato di comparizione manco ricordavo chi fosse l’imputato, l’ho scoperto arrivato lì, ché ho preso atto dei miei limiti rispetto ai cattivi del mondo (il loro numero, in particolare, di troppo superiore agli anni che potrei spender loro dietro anche in presenza di potenzialità adeguate alla vittoria) ma resto idealista e quindi a chiamata rispondo perché mio dovere.
A quei tempi poi il mondo lo salvavo a ogni angolo di strada, ogni cinque minuti, per questo la chiamata non è stata sufficiente per portarmi alla mente la vicenda, vai a sapere quale delle tante poteva essere.
Fuori dal tribunale mi guardavo intorno facendo con la mente l’appello di tutti quelli che avrei potuto incrociare fuori e una conseguente classifica del mio grado di sopportazione fisica dell’eventuale incontro.
È andata bene, una delle più noiose ma nello stesso momento più facili: l’imputato è uno in divisa.
Quelli pericolosi sono quelli vestiti civili.
In cima a tutti la puttana svestita.
Ognuno ha la classifica che s'è scelto, altra consapevolezza raggiunta.
Arrivati davanti all’aula ci viene incontro una tizia non vestita da avvocato che ci chiede se noi siamo i testimoni per il processo fissato per le dodici e trenta, noi rispondiamo di sì, lei chi è chiedo io.
L’avvocato dell’imputato, dice lei.
Auguri, rispondo io.
Continuo a essere idealista come un tempo, sono molto più realista di un tempo, resto lo stronzo di sempre.
Non si può avere tutto.
L’udienza verrà rimandata, ci fa lei, il PM è in sciopero per l’agitazione contro il governo e quindi entreremo solo per sentire la notifica della non possibilità di procedere e la scelta di nuova data.
Girano i coglioni a tutti, con particolare forza centrifuga per quelli che han perso un giorno di lavoro.
Io ancora godo della battuta di prima, sono a posto così per una mezz’oretta.
Entriamo, il giudice anzi LA giudice ci guarda sorpresa e, dopo aver fatto fare l’appello di tutti gli intervenuti, esprime il suo rammarico per il dover rimandare un’udienza che aveva visto un così alto quanto raro numero di testimoni presentatisi.
Non capita mai, dice.
Evidentemente abbiamo più fiducia noi nella giustizia oggi, di quanta ne avete avuta voi ieri, penso io ma non lo dico, sto ancora prendendo le misure.
Procede con il dovuto pippone formale sul regolamento che impedisce l’avvio dell’udienza in assenza del PM, confermando che l’assenza è motivata da sciopero contro il governo.
Nulla da dire, è formale, se non lo è lei chi altro.
A metà frase alza gli occhi e aggiunge, sorridendo: "motivazione con la quale io per altro concordo e trovo legittima".
"È una sua opinione" una voce dal banco dei testimoni si alza.
È la mia voce, le misure erano prese.
"Prego?" Chiede lei alzando ancora di più gli occhi ma puntando non più nel mucchio.
"Ci dica la forma, si tenga per lei le opinioni che, per quanto legittime, sono sue opinioni e non è questa la sede".
"Ha ragione" fa lei.
"Lo so, dico io" mentre sento di esser stato eletto eroe nazionale dagli altri testimoni.
Continuo a essere idealista come un tempo, sono molto più realista di un tempo, resto il capogita di sempre.
Non si può avere tutto.
"Chi avesse bisogno del foglio che giustifica l’assenza dal lavoro, si avvicini al banco" dice lei.
Il mio amico ex galeotto, tra i più umani personaggi che conosco, che tra i piani si muoveva con la dimestichezza di Novecento sulla nave e al quale ho visto brillare gli occhi duri quando entrati in aula passando accanto al ‘gabbio’, mentre gli spiegavo perché noi no, non dovevamo presentarci con un avvocato cercando di non farmi scoprire mentre non riuscivo a impedire ai miei occhi di concentrarsi sul fatto che aveva dai quattro ai sei denti in meno dall'ultima volta che l'avevo visto, chiede che se ne fa di un foglio con su scritto solo che è stato a testimoniare in un processo.
"Lo porti al suo datore di lavoro" fa lei "serve perché le paghi lo stesso la giornata".
"Lavoro in una cooperativa di irregolari ed ex galeotti" dice lui "questo foglio il mio capo manco lo guarda".
"Allora mi porti qui il suo capo" fa lei ridendo.
Lui si gira, usciamo, si rigira un istante e le chiede se possiamo andare.
"In che senso?" dice lei.
"Siamo liberi?" precisa lui.
"Certo" ribaidisce lei.
È stata la sua prima volta e io c'ero.
"Li ho tolti io" mi fa in ascensore.
"Cosa" chiedo io.
"I denti" dice.
Sorrido, lui pure, so che mi proteggerà se ne avrò bisogno.
Se i tempi della giustizia fossero paralleli a quelli della presa d’atto dei propri limiti, metà delle cause dei ritardi della giustizia italiana troverebbero soluzione così, per auto estinzione.
Ricevuto il mandato di comparizione manco ricordavo chi fosse l’imputato, l’ho scoperto arrivato lì, ché ho preso atto dei miei limiti rispetto ai cattivi del mondo (il loro numero, in particolare, di troppo superiore agli anni che potrei spender loro dietro anche in presenza di potenzialità adeguate alla vittoria) ma resto idealista e quindi a chiamata rispondo perché mio dovere.
A quei tempi poi il mondo lo salvavo a ogni angolo di strada, ogni cinque minuti, per questo la chiamata non è stata sufficiente per portarmi alla mente la vicenda, vai a sapere quale delle tante poteva essere.
Fuori dal tribunale mi guardavo intorno facendo con la mente l’appello di tutti quelli che avrei potuto incrociare fuori e una conseguente classifica del mio grado di sopportazione fisica dell’eventuale incontro.
È andata bene, una delle più noiose ma nello stesso momento più facili: l’imputato è uno in divisa.
Quelli pericolosi sono quelli vestiti civili.
In cima a tutti la puttana svestita.
Ognuno ha la classifica che s'è scelto, altra consapevolezza raggiunta.
Arrivati davanti all’aula ci viene incontro una tizia non vestita da avvocato che ci chiede se noi siamo i testimoni per il processo fissato per le dodici e trenta, noi rispondiamo di sì, lei chi è chiedo io.
L’avvocato dell’imputato, dice lei.
Auguri, rispondo io.
Continuo a essere idealista come un tempo, sono molto più realista di un tempo, resto lo stronzo di sempre.
Non si può avere tutto.
L’udienza verrà rimandata, ci fa lei, il PM è in sciopero per l’agitazione contro il governo e quindi entreremo solo per sentire la notifica della non possibilità di procedere e la scelta di nuova data.
Girano i coglioni a tutti, con particolare forza centrifuga per quelli che han perso un giorno di lavoro.
Io ancora godo della battuta di prima, sono a posto così per una mezz’oretta.
Entriamo, il giudice anzi LA giudice ci guarda sorpresa e, dopo aver fatto fare l’appello di tutti gli intervenuti, esprime il suo rammarico per il dover rimandare un’udienza che aveva visto un così alto quanto raro numero di testimoni presentatisi.
Non capita mai, dice.
Evidentemente abbiamo più fiducia noi nella giustizia oggi, di quanta ne avete avuta voi ieri, penso io ma non lo dico, sto ancora prendendo le misure.
Procede con il dovuto pippone formale sul regolamento che impedisce l’avvio dell’udienza in assenza del PM, confermando che l’assenza è motivata da sciopero contro il governo.
Nulla da dire, è formale, se non lo è lei chi altro.
A metà frase alza gli occhi e aggiunge, sorridendo: "motivazione con la quale io per altro concordo e trovo legittima".
"È una sua opinione" una voce dal banco dei testimoni si alza.
È la mia voce, le misure erano prese.
"Prego?" Chiede lei alzando ancora di più gli occhi ma puntando non più nel mucchio.
"Ci dica la forma, si tenga per lei le opinioni che, per quanto legittime, sono sue opinioni e non è questa la sede".
"Ha ragione" fa lei.
"Lo so, dico io" mentre sento di esser stato eletto eroe nazionale dagli altri testimoni.
Continuo a essere idealista come un tempo, sono molto più realista di un tempo, resto il capogita di sempre.
Non si può avere tutto.
"Chi avesse bisogno del foglio che giustifica l’assenza dal lavoro, si avvicini al banco" dice lei.
Il mio amico ex galeotto, tra i più umani personaggi che conosco, che tra i piani si muoveva con la dimestichezza di Novecento sulla nave e al quale ho visto brillare gli occhi duri quando entrati in aula passando accanto al ‘gabbio’, mentre gli spiegavo perché noi no, non dovevamo presentarci con un avvocato cercando di non farmi scoprire mentre non riuscivo a impedire ai miei occhi di concentrarsi sul fatto che aveva dai quattro ai sei denti in meno dall'ultima volta che l'avevo visto, chiede che se ne fa di un foglio con su scritto solo che è stato a testimoniare in un processo.
"Lo porti al suo datore di lavoro" fa lei "serve perché le paghi lo stesso la giornata".
"Lavoro in una cooperativa di irregolari ed ex galeotti" dice lui "questo foglio il mio capo manco lo guarda".
"Allora mi porti qui il suo capo" fa lei ridendo.
Lui si gira, usciamo, si rigira un istante e le chiede se possiamo andare.
"In che senso?" dice lei.
"Siamo liberi?" precisa lui.
"Certo" ribaidisce lei.
È stata la sua prima volta e io c'ero.
"Li ho tolti io" mi fa in ascensore.
"Cosa" chiedo io.
"I denti" dice.
Sorrido, lui pure, so che mi proteggerà se ne avrò bisogno.
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