Vent’anni di viaggio ti portano a non percepire più né tempo
né distanze, ti svegli la mattina sapendo che a cena sei ospite a seicento
metri da casa ti trovi la sera a cenare a seicento chilometri da dove ti sei
svegliato, così, con una decisione di una frazione di secondo salti su un treno
per coprire una distanza che è il triplo di quella che per la maggior parte
delle persone richiede settimane di programmazione, tu la scegli come non
avessi mai fatto altro nella vita che partire e tornare solo per poter
ripartire e ritornare.
In mezzo un lavoro che è solo alibi finché dura, il giorno
che smette di essere viaggio all’improvviso si mostrerà per quello che in
realtà è e io non sarò più in grado di farlo.
Arrivi a Venezia quando le cucine chiudono ma vedi i
ristoranti pieni, allora entri ma ancor prima di aprire bocca ti vengono
incontro i camerieri estratti a sorte per indicarti orologio e porta d’uscita.
Non desisti perché pensi che in una città turistica qualcuno
che ti da da mangiare lo troverai e infatti lo trovi, vuoi che in quella
trattoria tipica non ti diano da mangiare, son veneziani ciò, entri e sono
cinesi, infatti non guardano l’orologio e non mostrano alcuno stupore nel
vederti entrare.
Ti senti un po’ in colpa perché pensi che comunque sono
veneziani e quindi chiedi se puoi mangiare anche se è tardi, qualcosa di
veloce.
La cinese che ti accoglie ti dice che veloce se vuoi c’è la
pizza, altrimenti c’è la pasta, tu capisci il malinteso e le spieghi, ci provi,
che per veloce intendevi a loro favore, per non disturbare la cucina che magari
stava per andare a letto.
Lei capisce il malinteso e ride dicendoti che puoi mangiare quello che
vuoi e infatti dopo di te ne entrano altri venti a gruppi di due, di tre, di
cinque, di uno (io), tutti mandati via dagli altri ristoratori e tutti accolti
da lasagna spaghetti pizza tutto rigorosamente veneziano.
Da quando sono sceso dal treno ho sentito parlare italiano
un numero di volte contabile sulle dita della mano, il resto è un tale
miscuglio che alcune lingue nemmeno le riconosco.
Ci sono cingalesi che vendono elicotteri di plastica a russi
appena usciti da trattorie cinesi dove un indiano ha venduto loro rose e un
pachistano ha fatto loro foto mentre intorno i passanti chiedono informazioni
nella loro lingua a gente che risponde nella propria e infatti è pieno di gente
che deambula senza sapere dove andare e l’unica parola italiana che ti ricordi
è quella dei camerieri che essendo “no” poteva essere qualsiasi lingua tranne
il cinese.
Pensi che se gli italiani rifiutano tutti i clienti che
vengono intercettati dai cinesi, a breve gli italiani non avranno più clienti
se non i cinesi che si troveranno a essere gli unici che per mangiare qualcosa
di veneziano eviteranno i loro compaesani.
Pensi che “se non ti sta bene c’è un cinese che costa un
terzo e fa il lavoro che tu non vuoi fare” è una formula che sta permeando
qualsiasi settore, compreso il tuo, ma tu lo stesso certi clienti li mandi a
cagare anche se sono mesi che non lavori e allora in un attimo ripensi a quei
camerieri là che volevano solo andare a dormire e per un istante torni italiano
in mezzo agli stranieri.
Due anziane spagnole entrano a chiedere in spagnolo alla
cinese se possono prendere una pizza in due e lei risponde in inglese che c’è
pizza, poi si spingono alla birra senza alcool e lei capisce e dice no birra
senz’alcool ma le anziane non capiscono,
una coppia di inglesi si offre per tradurre l’anglocinese in spagnolo e così le anziane possono ordinare.
Io non so più dove sono, mi riportano alla realtà i due
inglesi che contenti di aver chiuso la giornata con la buona azione di chi ha
aiutato l’anziano ad attraversare l’autostrada alzano la mano per il gesto più
transnazionale che esista al mondo, la mano che nell’aria firma il conto.
Io un giorno apro un ristorante solo per portare a chi fa
quel gesto (io sempre) un blocco e una matita, poi dopo qualche minuto torno e
gli chiedo se è venuto bene, se vogliono anche i pastelli a cera.
Peggio di quel gesto c’è solo la monetina nervosamente
sbattuta sul rendiresto perché si sbrighino ad arrivare in cassa, roba da mazza
da baseball sulle ginocchia.
La cinese naturalmente tutti ‘sti pensieri non ha tempo né voglia
di farli e gli va incontro col conto e loro le chiedono come si dice.
Non avendo precisato in che lingua e sentendosi investita di
un ruolo culturale di rilievo nella comunità italiana che ha scelto di fare sua
e che mai avrebbe pensato le avrebbe assegnato un tale importante compito, la
cinese opta per l’italiano e risponde “Ire conto” e si allontana.
La coppia prende a ripetere per memorizzare, Ire conto,
Ireconto, non si accordano sull’unica parola o due, ire, conto, ireconto,
ripetono per sentirne il suono.
Sento che è il mio momento e il grande direttore di palco mi
conferma telepaticamente che sì tocca a me entrare e in un istante mi vedo
proiettato sul grande schermo mentre cerco di spiegare a due che a questo punto
non so dire da dove arrivino, che Ire non è parte della parola Conto ma è
l’articolo IL dalla cinese pronunciato male, sento mio il gravoso compito di
rilievo culturale per il ripristino delle precisioni italiche, nessun altro,
evidentemente, oltre a me in quel momento potrebbe, sono l’unico italiano nel
raggio di trenta metri retro compreso.
Mentre faccio quel pensiero mi rendo conto che a domanda non
saprei rispondere circa le mie intenzioni: sto insegnando l’italiano a due
inglesi, sto traducendo il cinese in inglese, l’italiano in cinese, lo spagnolo
in inglese perché l’italiano torni IL, ma soprattutto ho voglia?
Prendo il caffè come mossa per recuperare tempo per pensarci
e realizzo che forse tutto sommato la mia parte è lasciare tutto esattamente
identico così, restando spettatore di un momento di storia patria nel quale due
inglesi altruisticamente spagnoli hanno chiesto a una cinese di insegnare loro
l’italiano e mi ritrovo divertito dall’idea che tra una ventina d’anni i loro
pronipoti studieranno su un breviaro per viaggi a Venezia di quelli che ti
insegnano a memoria le cinque frasi tipo di ogni situazione, che al ristorante in italia a fine pasto si
chiede “ireconto” esattamente come noi oggi andiamo in inglesia a dire “se fleg
is nos onli e fleg” convinti di avere una marcia in più perché abbiamo fatto il
corso e nessuno ha avuto il coraggio di dirci la verità.
Si chiama “dispetto” ed è molto italiano verso i turisti,
non è bello ma è così, a un certo punto senti l’esigenza, c’è chi da fuoco ai
gatti, io alla fine faccio poco così mi posso assolvere.
Dopo il caffè è il turno dell’amaro e lì è un vero e proprio
cortocircuito quando, avendo deciso di non intervenire per non aggravare una
situazione già di suo compromessa, mentalmente giustifico la cinese
ricordandomi che per loro la L da sempre sostituisce la R e quindi IL diventa
IRE ed è inutile intervenire perché per essere risolutivo dovresti intervenire
qualche altro miliardo di volte, salvo realizzare in un istante che è la R che
loro non sanno pronunciare e quindi sostituiscono con la L, non il contrario.
Dopo un’ora e mezza realizzo che quindi non era nemmeno
cinese e a quel punto la serata può concludersi.
Ma, scusa, se quelli le avevano appena chiesto "come si dice?", non può essere che quella abbia risposto "[d]ire conto"? almeno, appena l'ho letto io ho pensato che quell'"ire" fosse una forma decapitata di "dire", più che una parecchio storpiata di "il".
RispondiEliminaBella nota, comunque :-)
Io non so se siano stati i due inglesi ''altruisticamente spagnoli'', la cinese che finge di possedere la padronaza linguistica italica, i pronipoti (i pronipoti? come diamine siamo arrivati fin lassu nell'abero genealogico? Ecco perchè Amo i tuoi post.Questi tuoi post ;D)
RispondiEliminaComunque secondo me era il maggiordomo vestito da maitre...anche se , molto probabilmente, un maitre in un risto cinese, che gudagna ad orari imoprobabili, è difficile che ne assuma uno.
Cerca lo spacciatore di birrre con alcol e vini -tavernello''della casa'' e ,forse, troverai il bandolo di questa divertentissima e turbinante matassa veneziana.
Servirà uno che si presti a fingtere di fare il cadavere ucciso all'improvviso....chiamiamo un italiano o un cinese a fare da attore per la scena in perfetto stile Agahta Chrsitie ? :.)
P.s. Ottimo pezzo! Adoro quando mi fai perdere le coordinate nei racconti, a maggior ragione se sono racconti di vita vissuta :-), o forse solo immaginata e raccontata.(leggerezza legata all'apprezzamento del layout....ahahaha)
Il risultato non cambierebbe ,pero', resta un dubbio.
Chi è l'insano di mente che dà fuoco ai gatti? No, perchè, sarà un modo di dire ( che non ho mai sentito) ma se esistesse un tal soggetto dovresti dirmi il/i recapiti così che ognuno di loro se la veda con me...più leonessa che qualunque-cosa-d'altro;D