2 gennaio 2013

chi ben comincia

Le feste ti hanno annoiato ma ora che torni al lavoro non avrai mai tempo per completare un galeone?
Hai mangiato bene ma non sapevi come convincere i parenti a levarsi di torno per correre al torneo di poker on line?
Nei discorsi politici a tavola non sapevi spiegarti?
Per le prossime cene non farti cogliere impreparato, inizia anche tu il 2013 indossando una svastica!


E se sei bianco con gli occhi azzurri, in omaggio solo per te uno sguardo intelligente!


14 commenti:

  1. In effetti ha turbato persino me una di queste pubblicità, e non è neppure il primo anno: quest'anno in particolare quella delle medaglie, o stemmi (o quel-cazzo-che-sono), dei "più grandi battaglioni ecc.", che però guarda caso, almeno quelli inquadrati nello spot, hanno praticamente tutti una svastica in bella vista. E ho pensato: ma le varie associazioni ebraiche, anziché latrare bestialità contro Roma e l'Italia al primo assalto di una tifoseria esagitata (ché io ho tanta stima d'Israele e della cultura ebraica in genere, ma lì m'han fatto veramente girare i coglioni, ingrati che non sono altro: s'andassero a rileggere George L. Mosse, grandissimo storico ebreo tedesco e docente dell'università di Gerusalemme, che ne "Il razzismo in Europa" di fatto difende persino Mussolini ritraendolo - non senza citare riferimenti storici e documentari - come una sorta di protettore degli ebrei anche dopo le leggi razziali, ed esalta ancor più il popolo e l'esercito italiano per aver sempre, intimamente e fattivamente, respinto l'ideologia antisemita), che cosa aspettano a farsi sentire, stavolta a ragione, per protestare contro una tale, spensierata ostentazione di nazisterie? Che le vendano in edicola, se c'è qualcuno che se le compra, ci può pure stare, non foss'altro per una mera logica di domanda e offerta, ma che le mostrino, esaltandole, in pubblicità televisive sui principali canali e nelle ore di punta mi pare discretamente osceno.

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    1. Ma guarda, stemmi medaglie e persino bandiere potrei persino capirli.
      Cioè, a me personalmente farebbero cacare lo stesso, ma potrei capire l'interesse di qualcuno e la volontà di metterteli in cornice in salotto appena sopra il busto bronzeo del duce perché gli ospiti abbiano subito chiara l'aria che si respira in casa.
      Ma il cappello non lo capisco.
      Cioè a meno di non pensare che in casa tu abbia una serie di teste di polistirolo allestite in salotto alle quali far indossare la pregiata collezione, si direbbe che l'unico utilizzo possibile dei berretti è l'indossarli personalmente e per ovvi motivi di indossarli quando esci.
      Ora tu ce li vedi i simpatici collezionisti prendere il tram indossando il berrettino delle SS (terza o quarta uscita della collezione)?
      Rispetto al silenzio sulla questione sono con te nello stupore.
      Non sono con te invece rispetto all'idea che pubblicazioni auterovoli dimostrino come il Duce fosse persona con la protezione degli ebrei messa in cima alle preoccupazioni, ma purtroppo non avendo un contro testo da opporti resta una mia opinione.
      Diciamo che mi baso sul "sentore generale".
      Se al 90% delle persone, ebrei in primis, è sfuggita questa sua preoccupazione per la difesa degli ebrei, mi riesce difficile immaginare dipenda dal fatto che in 70 anni a tutti sia sfuggito il libro da te indicato.
      Sul resto concordo al 100%

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    2. Aspetta: riguardo all'atteggiamento di Mussolini nei confronti degli ebrei, io mi sono limitato a riportare un giudizio di un importante storico, che all'inizio ha sorpreso anzitutto me, quando l'ho letto la prima volta. Cioè, che l'antisemitismo non fosse mai stato una sua fissazione è un fatto storico, e storia sono pure certe sue dichiarazioni ancora degli anni '30 nelle quali si poneva quale difensore della comunità ebraica e addirittura irrideva i deliri nazisti (cercando una "pezza d'appoggio" documentaria a conferma di quanto ricordavo, ho trovato la recensione al libro "Scienza e razza nell'Italia fascista" di G. Israel (altro professore universitario ebreo) e P. Nastasi, edito dal Mulino, che cito tra virgolette: "In un discorso alla Camera del 1929, Mussolini sosteneva «È ridicolo pensare che si dovessero chiudere le sinagoghe. Gli ebrei sono a Roma dai tempi dei Re; forse fornirono gli abiti dopo il ratto delle Sabine. Erano cinquantamila ai tempi di Augusto e chiesero di piangere sulla salma di Giulio Cesare. Rimarranno indisturbati». E ancora, nel 1934, riferendosi alle leggi razziali tedesche: «Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltre Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto»"): personalmente penso che la svolta scellerata sia stata originata da un puro calcolo politico, in reazione all'ottusa arroganza dimostrata dalle grandi potenze nel momento in cui il regime pretese il suo "posto al sole" reclamando il diritto dell'Italia alla sua fetta d'Africa, e ad almeno un'eco di fasto imperiale. Sanzionando pesantemente la svolta colonialistica italiana, Francia e Inghilterra gettarono di fatto l'Italia fascista tra le braccia della Germania nazista, già da tempo (a differenza dell'Italia e di Mussolini) internazionalmente negletta, l'alleanza con la quale implicò appunto l'accettazione di quella che era la maggiore fissazione nazista, l'antisemitismo appunto, sino ad allora e nonostante ciò anche in seguito estraneo all'ethos italiano (come lo stesso Mosse tanto chiaramente ribadisce, e come sa chiunque conosca un po' l'Italia).
      Con questo non intendo certo giustificare in alcun modo tale scelta (anzi: se una valutazione morale dei fatti storici avesse un senso, il fatto stesso che sia stata operata per puro calcolo politico potrebbe renderla persino moralmente più grave che se fosse stata dettata da profonda convinzione, per lo stesso motivo per cui, come ho già detto fin troppe volte, ritengo il crimine contro l'umanità più grave della Seconda Guerra Mondiale il bombardamento statunitense di Hiroshima e Nagasaki, proprio perché assolutamente gratuito e puramente tattico), ma appunto indicare come la "svolta" antisemita del regime sia stata meramente funzionale all'alleanza Roma-Berlino, e certo non sentita come prioritaria dal regime stesso, che altrimenti non avrebbe atteso 15 anni prima di promulgare simili vaccate. Ai fini del nostro discorso, questo implica che, trattandosi appunto di un provvedimento "spurio" rispetto all'autentica dottrina fascista e all'Italia stessa, anche dopo la promulgazione delle leggi razziali, come Mosse ricorda, ne è stata generalmente data, per volontà di Mussolini stesso, un'applicazione infinitamente più blanda che in Germania, peraltro con la continua istituzione di eccezioni al fine di escludere sempre più cittadini ebrei dall'ambito di applicazione di tali leggi. Questo ovviamente fin che l'Italia è rimasta uno stato pienamente sovrano, e sotto il governo di Mussolini: anche accantonando per un istante il testo di Mosse, ricordo bene un documentario di RaiTre (non so se di Minoli o di Mieli, o de "La grande storia": comunque decisamente al di sopra di ogni sospetto, ecco) che

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    3. che parlava della prima fase della Seconda Guerra Mondiale, quando, tra il '40 e il '43, la responsabilità dell'occupazione militare dei territori francesi era spartita, a seconda delle zone, tra tedeschi e italiani, sì che erano i governi centrali delle rispettive nazioni occupanti ad amministrare la legge sulle aree da loro presidiate; e appunto nel documentario si diceva come in quel periodo il fatto che nelle zone governate dagli italiani le leggi anti-ebraiche fossero sistematicamente quasi ignorate era talmente noto che molte famiglie di ebrei residenti nei territori controllati dai tedeschi cercavano di passare in quelli governati dagli italiani, e si narrava in particolare la vicenda di un orfanotrofio credo cattolico che aveva nascosto numerosi bambini - e forse anche alcuni adulti tra gli educatori - ebrei al suo interno e che, fin che il territorio in cui si trovava fu amministrato dagli italiani, nonostante fosse noto a tutti nella zona il fatto che nascondeva degli ebrei, fu sempre protetto dalle autorità fasciste, anche dopo che il governo centrale tedesco, informato di quanto stava accadendo, ebbe esposto i fatti a Mussolini stesso chiedendogli di ordinare ai suoi soldati di far applicare rigorosamente ovunque le leggi razziali e in particolare di lasciar loro deportare quei bambini, rimostranze di cui Mussolini stesso non dovette tenere alcun conto, dal momento che la politica razziale italiana non cambiò, e quell'orfanotrofio continuò a essere tutelato; la situazione cambiò invece radicalmente dopo l'8 settembre, quando ovviamente la Germania, tradita, riprese sotto di sé tutti i territori francesi prima affidati agli italiani, e nel giro di pochi giorni, con la volonterosa complicità dei locali cittadini francesi (quelli, sì, da sempre e tuttora - dal caso Dreyfuss al caso di quel ragazzo ebreo torturato per giorni in casa da un gruppo di coetanei, appena qualche anno fa - non alieni da tendenze antisemite), quell'orfanotrofio fu raso al suolo, gli adulti furono sterminati all'istante e i bambini ebrei furono spediti nei campi di sterminio nazisti, dai quali non fecero più ritorno.
      L'unico, triste periodo in cui abbia senso parlare di nazifascismo (che altrimenti è definizione infamante, che rivela anzitutto l'ignoranza e/ o l'ottusità ideologica di chi la impiega), anche per quanto riguarda la politica razziale, fu quello della Repubblica Sociale Italiana, che, come da tutti riconosciuto, a livello politico non fu in realtà altro che una mera costola del Reich, nella quale Mussolini - e per sua stessa ammissione nella corrispondenza e nelle conversazioni private dell'epoca - non fu altro che un fantoccio di Hitler, ormai impossibilitato a imporre alcunché (e comunque anche questo non lo giustifica, sia chiaro: teoricamente avrebbe potuto evitare di mettere la sua faccia su quel governo, ovvio). Questo è naturalmente un giudizio "dall'alto", cioè sull'organizzazione gerarchica della RSI: ben diverso è il discorso di come essa potesse essere percepita "dal basso", cioè dai ragazzi che vi aderirono volontariamente (certo non i coscritti), molti dei quali certo vissero quel gesto come una prova di fedeltà all'unica patria che conoscessero, quella nella cui natura italianità e fascismo erano concetti indissolubilmente legati, quasi sinonimici, e che quindi, quando non si siano macchiati di delitti infamanti, meritano secondo me tutto il rispetto che si deve a un sincero patriota - ma questo è un altro discorso, e stiamo divagando.

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    4. Tornando al punto, quello che più conta non è se Mussolini personalmente, in quanto individuo pensante e senziente, avesse o meno simpatia nei confronti degli ebrei (anche se il fatto stesso che sia stata proprio un'amante ebrea, Margherita Sarfatti, gran donna e intellettuale, la sua prima finanziatrice, e in certa misura l'edificatrice del suo stesso mito, con la stesura della monumentale e celeberrima biografia DVX, dovrebbe già essere almeno in parte indicativo), ché del privato cittadino Mussolini Benito la storia se ne frega, ma appunto se la politica anti-ebraica del regime fosse - come quella nazista - diretta promanazione dell'ideologia fascista stessa e, soprattutto, dell'ethos, del comune sentire nazionale, o se invece non sia stata una sorta di odioso male collaterale dell'alleanza con la Germania, rimanendo però nei fatti (al di là dei proclami, dei manifesti ecc.) un elemento fondamentalmente estraneo e quasi posticcio, realizzato senza particolare entusiasmo né acrimonia, ma anzi, fin che è stato possibile, abbastanza circoscritto. Questo, appunto, mi pare dica Mosse (e come lui, e più diffusamente, Hannah Arendt, altra grande intellettuale ebrea tedesca, ne "La banalità del male", di cui riporto sotto il brano più significativo al riguardo), e per questo l'ho citato - lui, ebreo insignito da Israele stesso di una prestigiosa cattedra universitaria, dunque certo anch'egli al di sopra di ogni sospetto - quale alta testimonianza della quasi totale estraneità dell'antisemitismo dalla sensibilità italiana, fatto che dimostra come ridicole e infamanti le bestialità vomitate da certe associazioni ebraiche all'indomani di quell'assalto attuato a Roma da una tifoseria contro un'altra: le stesse associazioni che invece non mi risulta abbiano appunto mai fatto grandi proclami, come invece avrebbero avuto tutto il diritto e forse persino il dovere morale di fare, contro quelle incredibili e giulive pubblicità televisive di ogni sorta di nazisterie prêt-à-porter.

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    5. (Da H. Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, pp. 182-186.)

      “L’Italia era in Europa l’unica vera alleata della Germania, trattata da pari a pari e rispettata come Stato sovrano indipendente. L’alleanza si fondava probabilmente soprattutto sugli interessi comuni, interessi che legavano due nuove forme di governo, simili anche se non identiche; ed è vero che in origine Mussolini era stato grandemente ammirato negli ambienti nazisti tedeschi. Ma quando scoppiò la guerra e l’Italia, dopo una certa esitazione, si unì all’avventura tedesca, quell’ammirazione era ormai una cosa che apparteneva al passato. I nazisti sapevano bene che il loro movimento aveva più cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che con il fascismo italiano, e Mussolini, dal canto suo, non aveva né molta fiducia nella Germania né molta ammirazione per Hitler. Tutto questo, però, rientrava nei segreti delle alte sfere, specialmente in Germania, e le differenze profonde, decisive tra il fascismo e gli altri tipi di dittatura non furono mai capite dal mondo nel suo complesso. Eppure queste differenze mai risaltarono con più evidenza come nel campo della questione ebraica.

      Prima del colpo di stato di Badoglio dell’estate 1943, e prima che i tedeschi occupassero Roma e l’Italia settentrionale, Eichmann e i suoi uomini non avevano mai potuto lavorare in questo paese. Tuttavia avevano potuto vedere in che modo gli italiani non risolvevano nulla nelle loro zone della Francia, della Grecia, e della Jugoslavia da loro occupate: e infatti gli ebrei perseguitati continuavano a rifugiarsi in queste zone, dove potevano esser certi di trovare asilo, almeno temporaneo. A livelli molto più alti di quello di Eichmann il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie , soprattutto perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti – quello di Pétain in Francia, quello di Horthy in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, e anche quello di Franco in Spagna.Finchè l’Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Germania potevano cercare di fare altrettanto. E così Doma Sztojai, il primo ministro ungherese che i tedeschi avevano imposto a Horthy, ogni volta che si trattava di prendere provvedimenti antiebraici voleva sapere se gli stessi provvedimenti erano stati presi in Italia. Il capo di Eichmann, il Gruppenfuhrer Muller, scrisse in proposito una lunga lettera al ministro degli esteri del Reich, illustrando questa situazione, ma il ministro non poté far molto perché sempre urtava nella stessa ambigua resistenza, nelle stesse promesse che poi non venivano mai mantenute. Il sabotaggio era tanto più irritante, in quanto che era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda. Le promesse erano fatte da Mussolini in persona o da altissimi gerarchi, e se poi i generali non le mantenevano, Mussolini porgeva le sue scuse adducendo come spiegazione la loro “diversa formazione intellettuale”. Soltanto di rado i nazisti si sentivano apporre un netto rifiuto, come quando il generale Roatta dichiarò che consegnare alle autorità tedesche gli ebrei della zona jugoslava occupata dall’Italia era “incompatibile con l’onore dell’esercito italiano”. (>>>)

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    6. (>>>)
      Ancora peggio era quando gli italiani sembravano rispettare le promesse. Un esempio lo si ebbe dopo lo sbarco alleato nel Nord-Africa francese, quando tutta la Francia venne occupata dai tedeschi eccezion fatta per la zona italiana, nel sud, dove circa cinquantamila ebrei avevano trovato scampo. Cedendo alle pressioni tedesche, in questa zona fu creato un “Commissariato per gli affari ebraici”, la cui unica funzione era quella di registrare tutti gli ebrei presenti nella regione ed espellerli dalla costa mediterranea. Effettivamente, ventiduemila ebrei furono arrestati, ma vennero trasferiti all’interno della zona italiana, col risultato che, come dice Reitlinger, “un migliaio di ebrei delle classi più povere vivevano ora nei migliori alberghi dell’Isère e della Savoia”. Eichmann mandò allora a Nizza e a Marsiglia uno dei suoi uomini più “duri”, Alois Brunner, ma quando questi arrivò, la polizia francese già aveva distrutto tutti gli elenchi degli ebrei. Nell’autunno del 1943, quando l’Italia dichiarò guerra alla Germania, l’esercito tedesco potè finalmente entrare in Nizza, e lo stesso Eichmann accorse sulla Costa Azzurra. Qui gli dissero (ed egli vi credette) che diecimila-quindicimila ebrei vivevano nascosti nel principato di Monaco (quel minuscolo principato che conta all’incirca venticinquemila abitanti e che, come osservò il New York Times Magazine, “potrebbe entrare comodamente nel Central Park”): questa notizia fece si che l’RSHA approntasse un piano per catturarli. Sembra una tipica farsa italiana. Gli ebrei, comunque, non c’erano più: erano fuggiti nell’Italia vera e propria, e quelli che si tenevano nascosti tra le montagne ripararono in Svizzera o in Spagna. Lo stesso accadde quando gli italiani dovettero abbandonare la loro zona in Jugoslavia: gli ebrei partirono con le truppe italiane e si rifugiarono a Fiume.

      Un elemento farsesco, del resto, non era mai mancato neppure quando all’inizio l’Italia aveva tentato sul serio di adeguarsi alla sua potente amica alleata. Verso la fine degli anni ’30 Mussolini, cedendo alle pressioni tedesche, aveva varato leggi antiebraiche e aveva stabilito le solite eccezioni (veterani di guerra, ebrei superdecorati e simili), ma aveva aggiunto una nuova categoria e precisamente gli ebrei iscritti al partito fascista, assieme ai loro genitori e nonni, mogli, figli e nipoti. Io non conosco statistiche in proposito, ma il risultato dovette essere che la grande maggioranza degli ebrei italiani furono “esentati”. Difficilmente ci sarà stata una famiglia ebraica senza almeno un parente “iscritto al fascio”, poiché a quell’epoca già da un quindicennio gli ebrei, al pari degli altri italiani, affluivano a frotte nelle file del partito, dato che altrimenti rischiavano di rimanere senza lavoro. E i pochi ebrei veramente antifascisti (soprattutto comunisti e socialisti) non erano più in Italia. Anche gli antisemiti più accaniti non dovevano prendere la cosa molto sul serio, e Roberto Farinacci, capo del movimento antisemita italiano, aveva per esempio un segretario ebreo. Certo, queste cose accadevano anche in Germania; Eichmann dichiarò che c’erano ebrei perfino tra le comuni SS; ma l’origine ebraica di persone come Heydrich, Milch e altri era tenuta rigorosamente segreta, era nota soltanto a un pugno di persone, mentre in Italia tutto si faceva allo scoperto e per così dire con candore. La chiave dell’enigma è naturalmente che l’Italia era uno dei pochi paesi d’Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare, e questo perché, per dirla con le parole di Ciano, quei provvedimenti “sollevavano problemi che fortunatamente non esistevano”. (>>>)

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    7. (>>>)
      L’assimilazione, questa parola di cui tanto si abusa, era in Italia una realtà. L’Italia aveva una comunità ebraica che non contava più di cinquantamila persone e la cui storia risaliva nei secoli ai tempi dell’impero romano. L’antisemitismo non era un’ideologia, qualcosa in sui si potesse credere, come era in tutti i paesi di lingua tedesca, o un mito e un pretesto, come era soprattutto in Francia. Il fascismo italiano, che non poteva essere definito “spietatamente duro”, aveva cercato prima della guerra di ripulire il paese dagli ebrei stranieri e apolidi, ma non vi era mai riuscito bene, a causa della scarsa disposizione di gran parte dei funzionari italiani dei gradi inferiori a pensare in maniera “dura”. E quando la questione divenne una questione di vita o di morte, gli italiani, col pretesto di salvaguardare la propria sovranità, si rifiutarono di abbandonare questo settore della loro popolazione ebraica; li internarono invece in campi, lasciandoli vivere tranquillamente finché i tedeschi non invasero il paese. Questa condotta non si può spiegare con le sole condizioni oggettive (l’assenza di una “questione ebraica”), poiché naturalmente questi stranieri costituivano in Italia un problema così come lo costituivano in tutti gli altri Stati europei, Stati nazionali fondati sull’omogeneità etnica e culturale delle rispettive popolazioni. Quello che in Danimarca fu il risultato di una profonda sensibilità politica, di un’innata comprensione dei doveri e delle responsabilità di una nazione che vuole essere veramente indipendente – “per i danesi… la questione ebraica fu una questione politica, non umanitaria” (Leni Yahil) – in Italia fu il prodotto della generale, spontanea umanità di un popolo di antica civiltà.

      L’umanità italiana resisté inoltre alla prova del terrore che si abbatté sulla nazione nell’ultimo anno e mezzo di guerra. Nel dicembre del 1943 il ministero degli esteri tedesco chiese ufficialmente l’aiuto del capo di Eichmann, Muller: “In considerazione del poco zelo mostrato negli ultimi mesi dai funzionari italiani nel mettere in atto i provvedimenti antiebraici raccomandati dal Duce, noi del ministero degli esteri riteniamo urgente e necessario che l’adempimento di tali provvedimenti… sia controllato da funzionari tedeschi.” Dopo di che, famigerati sterminatori come Odilo Globocnik furono spediti in Italia; anche il capo dell’amministrazione militare tedesca non fu un uomo dell’esercito, ma l’ex-governatore della Galizia polacca, il Gruppenfuhrer Otto Wachter. Ormai non si poteva più scherzare. L’ufficio di Eichmann diramò alle sue varie branche una circolare in cui si avvertiva che si dovevano subito prendere le “necessarie misure” contro gli “ebrei di nazionalità italiana”. La prima azione doveva essere sferrata contro gli ottomila ebrei di Roma, al cui arresto avrebbero provveduto reggimenti di polizia tedesca dato che sulla polizia italiana non si poteva fare affidamento. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riuscirono a fuggire. I tedeschi, come sempre facevano quando incontravano resistenza, cedettero e ora accettarono che gli ebrei, anche se non appartenevano a categorie “esentate”, venissero non deportati, ma soltanto internati in campi italiani. Per l’Italia, questa soluzione poteva essere considerata sufficientemente “finale”. Così circa trentacinquemila ebrei furono catturati nell’Italia settentrionale e sistemati in campi di concentramento nei pressi del confine austriaco. Nella primavera del 1944, quando ormai l’Armata Rossa aveva occupato la Romania e gli Alleati stavano per entrare in Roma, i tedeschi violarono la promessa e cominciarono a trasportarli ad Auschwitz: ne portarono via circa settemilacinquecento, di cui poi ne tornarono appena seicento. Tuttavia, gli ebrei che scomparvero non furono nemmeno il dieci per cento di tutto quelli che vivevano allora in Italia."

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    8. Non so, molta roba e certo argomentata, ma lo stesso non mi convince.
      Non tanto per il fatto che il solo argomentarla non rende una tesi necessariamente dimostrata (altrimenti avremmo certezze su una fascia di cose che vanno dai cerchi nel grano, su cui troverai persino scienziati in grado di mostrarti la spiegazione dimostrata, al fatto che McCartney è morto un sacco di anni fa e tonnelate di prove lo dimostrano) quanto per il fatto che io leggevo tutti i tuoi commenti e a ogni riga che guadagnava qualche centimetro, pronti arrivavano il manifesto della razza e san sabba a riprendersi di colpo i chilometri.
      Stiamo veramente dicendo che la dittatura in italia fu caratterizzata da un dittatore che ci metteva la faccia dicendo A e un piano sottostante composto da gerarchi e forze militari che facevano a cazzi loro facendo B?
      Cioè il regime italiano aveva come principale caratteristica l'essere un regime nel quale il vertice non veniva ascoltato dalla base?
      Una dittatura anarchica?

      Non credo basti dire che il forno di San Sabba era attivato da un graduato nazista e che Mussolini aveva un'amante ebrea, per dimostrare che quindi in Italia l'ebreo trovava protezione dai tedeschi, nemmeno se trovi carteggi originali che lo sostengono.
      Se chiedi al vaticano ti tirano fuori fior di prove riguardo il loro non aver fatto sponda al nazismo, partendo da Pacelli fino ad arrivare agli immancabili parroci che coraggiosamente e protetti da dio e dal papa nascondevano ebrei a mazzi.
      Questo chiude la questione del vaticano che può dirsi pulito rispetto al passaggio del nazismo in Italia, o forse se su un piatto della bilancia metti una prova e sull'altro ne metti settecento, la bilancia pende verso i 700 pur senza dire falsa la prova che sta sull'altro piatto?

      No mi spiace, se in una nazione c'è un campo di concentramento dove si uccidono uomini con i gas e li si eliminano via forno crematorio in un periodo storico nel quale il regime è la forma di governo di quella nazione, chi guida quel regime non può dirsi lontano da chi quel forno lo accende, tantomeno in disaccordo, assurdo spingerlo addirittura all'opposto dove stanno quelli che i destinati al campo li nascondevano davvero, al prezzo della propria vita.

      Ce ne sono state certamente molte, di storie di disobbedienza al regime finalizzate alla protezione di questo o quello, nella mia famiglia ne ho una emblematica, ma non si può prendere l'espressione di una naturale statistica umana per usarla a candeggio di chi nel pozzo il paese ce lo portò fino al punto più basso firmandone gli ordini centimetro per centimetro, a prescindere dall'origine che aveva la donna con cui andava a letto prima e dopo ogni ordine siglato.
      Mussolini è San Sabba, non l'amante ebrea.
      Anche se fosse vera l'amante ebrea.
      Oppure Hiroshima non è crimine contro l'umanità ma azione che l'umanità l'ha salvata.

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    9. A parte il fatto che quella dell'"amante ebrea" Margherita Sarfatti non è un'ipotesi e neppure un pettegolezzo ma un fatto assolutamente pacifico e arcinoto, noto purtroppo nella tua reazione lo stesso atteggiamento dogmatico e un po' "autistico" che porta ancora oggi il comune di Bologna e i familiari delle vittime della strage dell''80 a trasformarne ogni anno la commemorazione in un vero e proprio comizio politico, e a mantenere sulla lapide la scritta "vittime del terrorismo fascista" nonostante tutti gli autorevolissimi dubbi che da anni sussistono al riguardo, quasi che in realtà il loro interesse primario non fosse - incredibilmente - quello sacrosanto di appurare la verità circa la matrice della strage, ma piuttosto di continuare a strumentalizzarla politicamente (né pare un caso che il presidente dell'associazione si candidi con la sinistra alle prossime elezioni...).

      Particolarmente insensata e sintomatica trovo l'ultima parte, "Mussolini è San Sabba, non l'amante ebrea. Anche se fosse vera l'amante ebrea. Oppure Hiroshima non è crimine contro l'umanità ma azione che l'umanità l'ha salvata". Anzitutto non vedo che cosa significhi "Mussolini è San Sabba, non l'amante ebrea": Mussolini fu un uomo e un politico, e io stesso ho detto chiaramente che "del privato cittadino Mussolini Benito la storia se ne frega", quindi quello tra San Sabba (storia) e la Sarfatti in quanto ebrea (vita privata = cazzi suoi) è un parallelo inesistente. Io ho argomentato, lasciando per massima parte la parola a famosi e universalmente stimati intellettuali ebrei tedeschi dell'epoca (dunque non esattamente i più portati ad aver indulgenza per l'istitutore delle leggi razziali in Italia), parlando di fatti storici, non privati, quindi, se mai, dovresti dire che - per te - Mussolini è San Sabba e non, ad esempio, l'orfanotrofio (o collegio che fosse) francese, anche se obiettivamente l'idea che a un personaggio vadano attribuite come responsabilità maggiori proprio quegli atti sui quali non ebbe di fatto alcun potere decisionale (all'epoca tutto il territorio di trieste e dintorni era sotto l'amministrazione militare tedesca), piuttosto che quelli che poté effettivamente decretare in prima persona (tra i quali ovviamente le leggi razziali, l'alleanza con Hitler ecc., ma non l'istituzione di lager su suolo italiano) non so quale senso possa avere, se non appunto in un'ottica impudentemente faziosa.
      Ma la frase migliore è l'ultima, "Oppure Hiroshima non è crimine contro l'umanità ma azione che l'umanità l'ha salvata", dal sapore addirittura infantile, come se cercassi di farmi un dispetto costringendomi in una alternativa che esiste solo nelle tue parole e forse (ma spero di no) nella tua testa, priva della minima motivazione e consequenzialità rispetto al discorso precedente: non fu forse di nome e di fatto Truman a decretare del tutto arbitrariamente quell'eccidio? e allora, di che cosa stiamo parlando? e in quale ottica l'umanità si potrebbe mai salvare liquefacendo centinaia di migliaia di civili innocenti? non fu forse allora l'umanità intera a essere sterminata in quegli uomini, in quelle donne e in quei bambini? Neanche il filo logico del ribaltamento della realtà riesce a reggere: nessuno nega San Sabba, ma addossarne a Mussolini la responsabilità ultima e arbitraria, alla stregua di quella che con ogni evidenza ebbe Truman nei fatti di Hiroshima e Nagasaki, è semplicemente antistorico; e peraltro non è neppure necessario inventarsi qualcosa di simile per poter imputare crimini di guerra a Mussolini stesso (come nel caso dei bombardamenti all'iprite nel corso dell'impresa coloniale: certo Graziani non era Hitler, e in quel caso, sì, la responsabilità ultima non poteva non essere di Mussolini stesso): ma qui di ebrei, e non di altro, si stava parlando.

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    10. Al tutto, giusto per completare il quadro di comode e rassicuranti "certezze" di parte, si aggiunge poi il solito bric-à-brac da decalogo del perfetto anticlericale, cui non manca mai la favola di Pio XII filonazista: eccerto, perché per mostrarsi solidale con gli ebrei doveva dichiarare guerra alla Germania, e attaccarla ponendosi al comando delle guardie svizzere: quando fosse saltato in aria con tutta San Pietro, allora, sì, che gli ebrei sarebbero stati al sicuro!

      Per finire, non vedo da dove ti sia cavata l'idea che, secondo me e quelli che ho citato, i sottoposti avrebbero agito in modo "anarchico" rispetto alla direttive di Mussolini: quello che con ogni evidenza intendevano Mosse e la Arendt è al contrario che i sottoposti agissero proprio in conformità alle autentiche direttive (o quanto meno a un tacito silenzio-assenso) del governo centrale, ben diverse da quelle che per ragioni tattiche Mussolini stesso dichiarava all'alleato tedesco, proprio perché si trattava di questioni estranee agli interessi primari del regime e alla storia stessa del fascismo e dell'Italia. Ovvio che se invece si fosse trattato di questioni più strategicamente importanti chi avesse disatteso tali direttive sarebbe stato prontamente rimosso, per essere rimpiazzato da qualcuno che desse loro piena attuazione.

      Comunque il mio obiettivo non era certo quello di suscitarti simpatia per Mussolini né di perorare una sua candidatura al Nobel per la pace, ma semplicemente di dimostrare come l'antisemitismo sia tanto alieno dallo spirito italiano che persino quando fu istituito per legge la massima parte degli Italiani, dai più potenti (non tanto Mussolini quanto la maggior parte dei gerarchi e dei ministri, a cominciare dai grandissimi Balbo e Gentile e con l'esclusione di Farinacci e qualche altro filonazista) ai privati cittadini (anch'io, come te e molti altri, ho in famiglia l'esempio di un avo che, pur essendo sempre stato convintamente fascista, durante la guerra aiutò e nascose diverse famiglie di ebrei), continuarono a comportarsi come prima, e in modo ben diverso da quanto ad esempio fecero tanti, piccoli volonterosi carnefici d'oltralpe.

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    11. Uff...quando ti infervori tutto poi mi tocca placarti a colpi di cioccolatini!
      Ora non posso ma promett(issim)o che ti risistemo tutta la risposta

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  2. Non c'entra, ma, per la serie "Le grandi priorità in tempo di crisi":

    - oggi Monti: "Il mio primo atto? Cambiare l'indegna legge elettorale";

    - una decina di giorni fa Bersani: "Il mio primo atto? Dare la cittadinanza ai figli degli immigrati";

    - ieri, oggi, domani Berlusconi: "Il mio primo atto? Abolire l'IMU".

    Ora, dico, il Caimano sarà pure invecchiato e acciaccato e anch'io attualmente son piuttosto pessimista, ma, con tali geniali comunicatori per avversari (beati monoculi in terra caecorum, non foss'altro, ecco), siamo proprio sicuri che gli sia preclusa ogni possibilità di recupero?

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    1. Oh no, io non ne sono sicuro affatto.
      Certo è che, come il tuo elenco dimostra, oggi a differenza del '94 lui si colloca sempre più nel gruppo dei cialtroni, cosa che nel '94 a parità di bufale promesse non rischiava.
      Cioè oggi (perché ormai è ogni giorno una come mai era capitato prima) siamo al "No Alitalia ai francesi".
      La volta prima aveva un senso, era questione nuova e sconosciuta, quindi pronta alla strumentalizzazione più sfrenata.
      Ma oggi a distanza di anni hai davanti Alitalia che ai francesi non solo ci va ma soprattutto ci va a un terzo del prezzo grazie a quella tua mossa che regalasti al paese l'ultima volta che dicesti "No ai francesi".
      Ora senza che il presente sia cambiato di una sola virgola se non nell'aver appunto dimostrato che i francesi se qualcuno devono ringraziare quel qualcuno sei proprio tu, te ne esco con "No Alitalia ai francesi".
      Capisci che la stessa frase che l'altra volta ti permise di vincere oggi come effetto ha quello di spostarti sempre più nel campo delle reali patologie?
      Ecco, io questa volta conto su questo.
      Fino a oggi ha usato l'abilità per produrre bufale, oggi la novità è che riprende quelle stesse bufale come se potessero produrre abilità.
      Ecco io conto sul fatto che il processo al contrario non possa funzionare.
      Poi invece verrà rieletto per la 37ma volta perché la gente è la stessa della volta scorsa e quindi tonta uguale e ci ritroveremo qui a dire che allora a questo punto Elvis può davvero essere su un'isola del pacifico insieme a Jim Morrison.

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