14 novembre 2014

Nel bene e nel male

Sono esattamente ventiquattro ore che mi sto chiedendo perché abbia rivelato uno dei miei tre segreti, da ieri sera due.
Non è una domanda che nasce da sensazione di pentimento ma di reale curiosità.
Cosa accade quando una cosa tanto intima e pesante da meritare anni di protezione, di conservazione dentro un bunker talmente blindato da riuscire a superare anni di tentazioni di cedere ad affetti profondi, amori saldati con la colla della sincerità estrema, relazioni basate sulla estrema confidenza, familiari ai quali si è offerta la rivelazione di momenti della propria storia paradossalmente più pesanti, più duri, più violenti, improvvisamente e senza motivo apparente scardina le cerniere di quel bunker ed esce così, inserendosi tra racconti di tacchi a spillo e gli anni della scuola?
Quale leva ha aperto la porta blindata da talmente tanti anni che ormai sembrava non essere più apribile più per un tempo ormai scaduto che per reale bisogno di perpetrata protezione?
Viene da pensare che possa essere il bisogno di liberarsi di zavorra ormai legata a una vita precedente di mille anni fa, la necessità di ridurre il carico sulle ruote, invece no.
Perché rivelare un segreto che si è visto offrire la fatica del silenzio di anni non significa liberarsi di quel segreto ma, all'opposto, riattivarlo.
Tenere una cosa chiusa nel profondo del proprio intimo, decidere un giorno di sigillarlo nel chiuso della scatola delle cose sulle quali non ci si porrà mai la questione dell'opportunità di riestrarlo è una scelta che solo apparentemente lo renderà pesante, nella realtà è un processo di sepoltura che ne disinnescherà gli effetti per tutti gli anni di occultamento, lo renderà parte di un passato ormai chiuso e con lui i suoni, i sudori freddi, la durezza e la paura.
Riaprire quel sarcofago non è una maniera per liberarsi, ma per liberarlo.
Sei di nuovo l'uomo che tanti anni fa fece quella cosa, non sei più leggero di quanto lo fossi prima di aprire la scatola, sei al contrario di nuovo pesante, anche solo per il tempo del racconto tu torni pesante come piombo e quel peso lo senti tutto, di nuovo.

Io non sono moralista per cultura, sono moralista per necessità, da quando a sette anni da solo ho dovuto decidere cosa sarebbe stato giusto e cosa sbagliato da quel momento in poi e per il resto della mia vita, sapendo che a quell'età non potrai che improvvisare e per questo, per ridurre al minimo le possibilità di errore, dovrai essere deciso e determinato nello scegliere e poi, qualsiasi scelta tu abbia fatto, portarla avanti da quel giorno in poi e per sempre, perché l'effetto protettivo della tua nuova morale non sarà dato dalla correttezza della scelta ma dal fatto che ne avrai fatta una, una qualsiasi.
Non che non avessi esempi accanto, ma un intuito già in grado di capire quanto quegli esempi fossero peggiori della mia più azzardata improvvisazione mi fece capire la necessità di scegliere da solo e sperare di averci preso.
Magari sbagliare è una licenza che una persona può concedersi in cambio dell'eliminazione della certezza di farlo.
Io sono un moralista, fiero.
Ho bisogno di sapere ogni giorno in quale esatto punto risieda il giusto e in quale lo sbagliato.
Non conta se siano davvero lì né conta praticarne solo uno o solo l'altro, è importante per me sapere che sono in un punto preciso entrambi perché questo si traduce nella quotidiana certezza che siano in punti diversi, opposti, che non sono nello stesso, non sono sovrapposti e quando pratico la parte sbagliata voglio saperlo, dev'essere una colpa, quando pratico quella giusta voglio saperlo, dev'essere un merito.
"Fai del bene dimentica, fai del male ricorda" dice nonna con la solita tranciante saggezza di chi sintetizza in una frase decenni di tentativi di arrivarci da solo oggi consegnatami con la speranza che sappia farne buon uso.
Perché ci sono momenti della vita nei quali senza accorgertene Giusto e Sbagliato iniziano progressivamente a spostarsi dal punto in cui stanno silenti e, come attratti, si fanno via via più vicini tra loro, più abbassi la soglia d'attenzione e più si avvicinano, più si avvicinano più il confine tra loro si assottiglia, più si assottiglia più smetti di vederlo nitidamente, non puoi, stai pensando ad altro, a respirare, aria buona o cattiva smette di essere una distinzione importante e respirare, qualsiasi cosa, diventa l'unica priorità, fare, uscire, smettere.
Il punto esatto nel quale Giusto e Sbagliato si toccano assumendo la stessa identica forma si chiama Disperazione, un istante in cui la sovrapposizione fa sì che il Giusto appaia sbagliato e lo Sbagliato assuma l'innegabile forma del giusto.
In quel punto esatto si diventa capaci di qualsiasi cosa.
Qualsiasi cosa.

Ecco cos'è stato ieri sera, ecco la risposta alla domanda iniziale arrivata come sempre a colpi di flusso di coscienza.
Sto facendo buon uso di quella nuova saggezza consegnatami.
Se fai del male ricordalo, ecco cos'è stato, accidenti.
Un segreto è un non ricordo, un non ricordo è una amnistia.
Rivelarlo è un indulto.
Sei libero uguale, più di prima, ma senza più l'ansia di esserlo cancellando il reato che solo l'amnistia dell'oblìo ti ha fino a oggi garantito.
Perché quando Giusto e Sbagliato si sovrappongono ciò che si genera non deve necessariamente essere pagato tutta la vita.
Ricordato sì, però.
E non sempre, non solo, con se stessi.



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