14 marzo 2004

Marrakech

C’è una sedia vuota al mio tavolo. Come spesso accade. Ci potrei far accomodare il mio compagno di viaggi libro.
Non avevo voglia di mangiare con gli altri quella sera. Troppo italiani, troppo azienda, troppo chiassosi. In fondo il mio lavoro l’avevo terminato, potevo concedermi il mio tempo e dedicarlo tutto a me.
Trovo folle quando sono in paese così bello, circondarmi di italiani. Impoverisce il sapore del mondo intorno.
Che silenzio in quel ristorante. Un bel silenzio. Un cameriere elegante mi chiede in francese, sottovoce, una roba che non capisco, visto che io non parlo francese, ma in fondo, se sei abituato a viaggiare, riesci sempre a parlare in qualche modo.
Il risultato di quella elegante chiacchierata è una buonissima zuppa tipica di marrakech, come desideravo. Volevo assaggiarla vera, certo che quella del buffet dell’albergo il giorno prima preparata per trecento persone non fosse quella vera. Avevo ragione. Intanto Chatwin mi racconta di quando l’hanno fatto prigioniero perché trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Bella coincidenza quelle pagine. Non sapevo ci avrei letto l’Africa e il suo parlare francese. Lo rendeva ancora di più compagno di cena. Intanto nella sedia accanto ci facevo accomodare immaginari ospiti che avrei voluto li con me. Piacevoli sorprese sedute su quella sedia mi fanno capire che a volte quando si ascolta l’immaginazione si scoprono un sacco di cose che si tende a negarsi o che semplicemente a volte non si ha l’occasione per scoprire.

Mi sono scoperto ad ospitare persone che mai avrei immaginato di volere accanto a me in quel momento. E piacevolmente scopro che forse ho perdonato più di quanto riesca ad ammettere a me stesso.
Sai, se mi leggessi saresti stupita di sapere che tu, davvero proprio tu, dopo anni, mi hai tenuto compagnia in una notte marocchina. Io mi sono stupito di vederti li con me. E poi hai lasciato il posto a mio padre, perenne viaggiatore in posti lontani, Quanto di lui c’è nel mio amare il viaggio. Chissà, magari una sera a marrakech me lo vedrò davvero spuntare al ristorante. Credo che non diremmo niente sulla sua organizzata scomparsa. Credo gli dirò solo “Siediti, e ascoltami, ho da raccontarti i miei posti del mondo e voglio ascoltare i tuoi”. E poi tu. Che come sempre mi hai accompagnato lontano, che come sempre hai reso più belle le serate lontane, che diventi così bella alla luce dell’Africa. Ti porterò in giro per il mondo. Ti mostrerò colori che non conosci e profumi che ignori. Ordinerò per te i piatti più buoni e ti verserò vino Kzar portato da un cameriere berbero.

La signora di fronte a me, fugge per un attimo lo sguardo del marito per regalare a me a ai miei immaginari compagni di cena un delicatissimo “Bon apetì”. Le sorrido. Non so come si risponde in francese, ma so che ha capito che è un gentile grazie, il mio.
Nei posti da fiaba i ristoranti non hanno pareti, ma vetrate, e le candele sui tavoli non servono a creare romantici effetti all’interno, ma semplicemente a non oscurare l’esterno, quando quell’esterno è una notte di palme e lanterne. C’è silenzio in quel posto. E si può leggere di paesi lontani immersi in paesi lontani. È un effetto strano. Fa sentire bene. Per un attimo hai diviso con me quella cena. Volevo farti vedere le lanterne tutto intorno e ti ho portata li accanto a me. Una sala con quattro tavoli in mezzo a centinaia di palme e stelle. A marrakech le fiabe sono così, non hanno bisogno di parlare del passato.
Sei bella, sai, tra i fiori del Marocco. Ne hanno ovunque. marrakech è un’oasi e ci tengono a farlo vedere riempiendo di fiori e arance ogni angolo. Non so cosa mi arriva offerto dalla cameriera, ma è buono. È una specie di uovo crudo caldo con qualche spezia, da bere in un bicchiere caldo per iniziare la cena. Chiedo scusa a Chatwin e chiudo il libro. Non ho voglia di leggere. Ho voglia di guardarmi intorno. E vedere te.

È per questo che quando sono lontano mi piace mangiare da solo.
Mi da la possibilità di guardarmi dentro e inventarmi momenti in due con chi ogni volta mi fa sentire il desiderio di dividere la mia fortuna di viaggiatore. Mangiare da solo non è triste. Mangiare da solo è semplicemente il giusto silenzio per gustare sapori lontani, per sentire odori lontani e colori lontani.
Mangiare da solo, a marrakech, mi da la possibilità di avere seduti accanto a me i miei sogni e quegli occhi lontani che, tornato in camera, dopo una passeggiata tra palme, stelle e lanterne, si chiudono insieme ai miei.

Vicino a me, ogni notte.
Ovunque io sia.

4 commenti:

  1. utente anonimo15:32

    Di nuovo quell'impressione....
    So di non essere io quella lei a cui tu tanto ti ispiri...
    Non conosco nulla di te se non le tue parole....
    Eppure riesco ad immaginarti, a volte persino a vederti limpidamente....
    Tra le righe scorgo i luoghi che racconti, un po' li faccio miei....
    Un po' li sento miei....
    Il tuo volto, la tua età, i tuoi occhi......cosa mai potrebbero dirmi di piu di cio che già ora so....
    Forse tanto, forse nulla...
    So che a me non cambia niente, perchè tu in fondo sei una di quelle persone immaginarie che anche io ogni tanto faccio sedere accanto a me, nei luoghi dove tutto è cosi bello chè non viene facile chiedere a qualcuno di venirci con te, ma non è difficile portarci chi vuoi.....prima uno, poi l'altro....e tutti, uno alla volta, se ne vanno ad ogni mio desiderio...e poi tornano...
    Un po' come faccio con te...
    Un po' come fai con me...
    Lila...

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  2. un sussurrato "Bon apetìt"...

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  3. utente anonimo17:24

    ...molto bello! tutto quanto, anche questo commento... Bruno, sei un sognatore come me, chissà se un giorno ci incontreremo "per caso" in un sogno...magari tu "ti svegli un po' prima" ed io "un po' dopo", magari ad un tavolo di un ristorante ci ritroveremo a parlare seduti accanto ai nostri sogni... Un bacino

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  4. chissà... magari accadrà... se dovesse accadere però, tieni presente che io sarò, certamente, quello dei due che si sveglia dopo!!! ;)

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