16 maggio 2006

Scatole

Metter via dieci anni di vita dentro gli scatoloni non è lungo perché c’è tanta roba, ma perché è un viaggio inatteso.
Non ci pensavi, dieci anni fa, quella sera che sei tornato a casa e per la fretta hai buttato quella lettera sulla prima pila di spartiti che hai trovato libera, che il giorno dopo lo spartito che hai appoggiato sopra avrebbe fossilizzato quelle parole come quel pesce pressato tra due lastre di pietra e che un giorno, dieci anni dopo, quando il tuo non aver più suonato aveva lasciato intonsa quella pila, sarebbero saltate fuori.
E non ci pensavi, quel giorno che hai messo quel fiore tra le pagine di quel libro, che non aprendolo più per anni perché ormai letto, il giorno che ti saresti trovato a prendere i libri in mano, uno per uno, lo avresti visto cadere.
E come avresti potuto sapere che l’avvento dei cd, che anni fa ti fece metter via in una scatola tutte le cassette che avevi, ti avrebbe fatto tornare dopo anni e anni tra le mani quel nastro 60 minuti con la sua calligrafia sopra e un’intera ora di quella voce registrata per te quella sera che le mancavi e che voleva che tu le sentissi dire il suo “Ti amo” e tutti i perché, ogni volta che ne avessi sentito il desiderio.
E sposti libri e scopri che tra uno e l’altro avevi infilato una foto di quella sera che si giocava a farsi le foto a vicenda.
E ti viene quel sorriso, uguale a quella sera.
E svuoti i cassetti e ci trovi in fondo in fondo in fondo quel bigliettino sul quale tre semplici parole ti ricordano che qualcuno ti ha amato davvero tanto, anche con quei tuoi difetti là, che di tre parole ne riempivano due.
E ti tornano fuori quei fogli sui quali avevi scritto la fiaba di babbo natale per lei che un giorno ti aveva detto che da piccola nessuno si era mai vestito da babbo natale per lei e tu per conquistarla le hai scritto la fiaba del babbo natale per le donne grandi grandi donne e la rileggi e ti ritornano negli occhi tutti gli istanti di quella sera e del giorno che andasti a comprarti il costume da babbo natale e ti torna in mente la faccia della signora del negozio di costumi che un po’ stranita ti avvisò che era settembre e che dopo che tu le hai spiegato a cosa ti serviva si commosse e ti chiese di tornare a dirle come sarebbe andata e ti ricordi di quella sera di settembre che tutto emozionato sotto casa sua in mezzo alla strada con la gente che ti guardava un po’ strano ti mettevi tutto impacciato quel costume ingombrante per andare a recitarle davanti alla porta di casa la fiaba di babbo natale per le donne grandi di settembre perché a natale aveva da fare con i bambini piccoli di natale e mentre leggi quei fogli ti rendi conto che a breve da qualche armadio salterà fuori pure il costume e lo aspetti.
E salta fuori il disco 45 giri originale di Sei forte papà, che cazzo piangi ogni volta che la senti e che quando cantavi nel locale ogni volta che la facevi stavano tutti zitti perché c’era l’anima che usciva e quegli stessi che per canzoni così avrebbero tirato a chiunque i pomodori stavano zitti immobili a bocca aperta perchè tu la cantavi zitto immobile a bocca aperta e riguardi quel disco che ti porti dietro da quando ti venne regalato che quasi nemmeno camminavi e ti viene voglia di comprare un giradischi solo per risentirlo ancora ma non dall’emmepitrè perché non è la canzone è proprio il disco, quello, con la sua copertina che non vedevi da anni ma della quale ricordi ogni angolo ingiallito.
È per quello che poi ci si mette tanto.
Perché quello che per anni è stato un biglietto, una foto, una canzone, un fiore al giorno, che per questo entravano e si appoggiavano senza far rumore, diventano ore e ore di letture, di foto passate tutte insieme, di musica riascoltata, quando quei tanti singoli sporadici distribuiti negli anni diventano per necessità un totale da passare in rassegna senza sosta sera per sera, giorno per giorno, finché ogni cassetto non è svuotato, ogni scatola non è stata verificata, ogni armadio non ha tirato fuori quello che da anni custodiva in fondo.
Accidenti.
Una volta si facevano le “compilation”.
C’era la compilation vacanze, c’era la compilation della primavera, c’era una compilation per ogni storia d’amore.
Ci si chiudeva in camera serate intere ad aspettare che in radio passassero quella canzone, quella che piaceva a lei, quella che avevate sentito quel giorno là insieme, quella che conteneva quelle parole che dicevano quello che volevi dirle tu ma che non sapevi come dire.
E si passava il tempo ad aspettare che la radio le passasse per metterle tutte in fila dentro la cassetta che poi le davi il giorno dopo, con la dedica sul cartoncino e tutti i titoli scritti a mano.
Oggi si, si trovano, si scambiano, si scaricano migliaia di canzoni.
Viaggiamo con lettori che ne contengono più di quante possiamo ascoltarne negli stessi dieci anni nei quali quelle dodici sono riuscite a resistere chiuse in una scatola.
Una volta no.
Una volta un anno intero di amore era chiuso in dodici e non più di dodici canzoni e per tutto l’anno quella era la colonna sonora e ognuna di quelle dodici voleva dire qualcosa.
Facevamo intere vacanze con gli amici con le stesse dieci canzoni nella radio sempre la stessa cassetta, sempre la stessa scaletta, dieci canzoni in loop preparate con la stessa cura con la quale si preparava la valigia le settimane prima della partenza, ogni singola canzone scelta per un motivo, c’era quella che mettevi perché volevi pensare anche a lei, c’era quella per cantare insieme, c’era quella che si poteva ballare in spiaggia, c’era quella con le parolacce e in quelle dieci canzoni si stampava ogni momento bello di quella vacanza.
Bigliettini.
Decine di bigliettini gialli, rossi, bianchi, fogli di quaderno strappati ripiegati profumati chiusi e ritrovati anni dopo con quelle parole sopra, quelle parole solo per te, parole che nessun tasto delete del cellulare ha potuto cancellare dopo un minuto dalla lettura e che per questo non ti hanno ridato la persona, non sei così folle, ti hanno ridato la consapevolezza di essere stato amato davvero tanto nella tua vita.
E fa bene riscoprirlo, ogni tanto.
No, nessuna malattia, nessun legame al passato che non torna.
Semplici orgogliosi viaggi in ciò che si è stati capaci di essere per qualcuno.
No, niente di tutto questo tornerà sui nuovi scaffali.
Non c’è bisogno di feticci.
Verrà tutto chiuso in un baule che come nelle migliori tradizioni se ne andrà in soffitta, anzi soffittO, per essere aperto chissà tra quanti altri anni, chissà con chi accanto, chissà forse mai.
Ma non li butto anni come questi.
Se riuscissi davvero un giorno a rendere felice una donna, se davvero un giorno troverò un’altra donna che riuscirà a superare la prima settimana, se riuscirò davvero un giorno a dare il mio cognome a un cazzino che un giorno diverrà, avendo il mio cognome, un cazzone, sarò felice di sapere che se avranno voglia di sapere cosa mai ci sia stato prima di loro, per avermi fatto arrivare così felice a loro, potranno andare a guardare la faccia che avevo al mare con gli amici, potranno andare a leggere quante volte ho scritto “Ti amo” nella mia vita, e magari, sentendo la voce di Barbara raccontare perché mi ha amato così tanto, scopriranno che un cuore grande, dopo trent’anni come i miei, è una necessità logistica.
Se ne vengono con me questi anni.
In soffitta, perché giù serve spazio per i nuovi.
Ma non si butta un cazzo.
Non mi spaventa il mio passato.
Non è una zavorra.
È radici.
Oggi ho solo comprato casa, non sono nato.
E non sono nato oggi perché non sono morto ieri.
Sono nato trentatré anni fa e da quel giorno, ogni giorno, sto crescendo.
E sono stato amato davvero tanto.
E ho amato davvero tanto.
Ho le prove, le ho tutte qui, non le ho mai buttate.
E ogni sera sto capendo sempre di più che non potrò mai essere diverso da quello che sono.
Ma soprattutto che non voglio.
Gli anni che metto dentro queste scatole mi hanno stampato addosso dei difetti che mi rendono una delle persone più fastidiose che possano capitare.
Ma i pochi pregi che mi hanno marchiato a fuoco, la maggior parte della gente che incontro non saprebbe nemmeno trovarli sul dizionario.
E non si inventano.
Ci si cresce.
O niente.
Sono nelle radici, non nei fiori.

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