Qui in bovisa i musulmani li abbiamo visti arrivare uno alla volta.
Come la teoria dei vasi comunicanti, lentamente la piazza occupata dagli storici residenti pugliesi si è vista sostituita da un grande gigantesco Suk, a seguito di un processo durato circa dieci anni.
Come un gigantesco gulliver che con una pinzetta prendeva un pugliese, lo metteva nel suo salotto e al suo posto sul marciapiede ci metteva un egiziano, poi un altro pugliese preso e messo nella sua cucina e al suo posto al tavolino del bar un cingalese, poi un altro pugliese preso e messo nel suo box a sublimare col tuning una vita perdente e al suo posto ai giardinetti una mamma con burqa e passeggino, così, per dieci anni, goccia a goccia.
Oggi non vedi un italiano in strada che sia uno.
La bovisa pare una colonia in territorio italiano.
Non che non ci siano italiani, è che sono tutti chiusi in casa e l’immagine che l’occhio vede è il risultato di quel fattore comunità che porta qualsiasi uomo migrato a cercare subito un suo simile, a scendere nella nuova strada sconosciuta per cercare con urgenza qualcuno con cui parlare l’unica lingua che conosce, la propria, a contarsi, a creare un’isola di proprio paese in quel mare nel quale ci si è tuffati senza salvagente.
Il migrante ha bisogno di contarsi, di vedere i suoi simili, di imbastire un presepe nel quale sentirsi meno solo e in questo la strada è l’unica via e per questo la strada che è oggi la bovisa, è diventata la casa dei migranti e la strada dei residenti è diventata la casa dentro la quale ritrovarsi la sera per giocare, chiacchierare, mentre fuori le gelaterie a breve metteranno cartelli alle vaschette di gelato con i nomi anche in italiano.
Oggi camminare per la bovisa significa notare gli italiani.
La moschea di Viale Jenner era (è) oggettivamente un problema urbano e di convivenza.
Migliaia di persone inginocchiate tra le auto non possono non avere impatto.
Ma il problema era il fastidio e l’impedimento, il sequestro una volta alla settimana di un’intera fetta di quartiere, l’impossibilità di scavalcare quaranta persone per poter accedere a un caffè, sia per coloro i quali rispettavano quel momento di preghiera, sia per coloro ai quali fregava zero di quegli invasati e non di meno doveva affrontare il problema di scavalcarli senza l’aiuto di un lanciafiamme.
Alla presenza, al contrario, la bovisa aveva avuto tempo e modo di abituarsi grazie alla progressiva azione di Gulliver che ha permesso di attutirne il flusso.
In qualche misura ne è uscita persino arricchita (per chi gradisce), grazie a kebab buoni come in poche altre zone, grazie a ‘beauty salon’ cinesi che hanno saputo intercettare il bisogno tutto femminile di farsi i capelli dodici volte al mese in una zona nella quale le donne non potevano permettersi che quel taglio a 6 euro che oggi permette a quei cinesi di avere la fila fuori (di italiani) e un cartello sulla vetrina che rassicura circa l’apertura anche ad agosto.
Una comunità di musulmani e stranieri vari a tre zeri è riuscita a entrare nel territorio tanto da trasformarlo a propria immagine e, sulla propria immagine, raccogliere anche un certo favore.
Rom a parte, la cui cacciata (grazieaddddio) ha visto il plauso pure dei tombini, nessuno ha mai alzato un dito per chiedere che ora si passasse ai cingalesi o agli egiziani, per quanto in diversi casi lo meriterebbero pure.
Ma il comune non ci sta.
Con la solita formula del ‘è il cittadino che ce lo chiede’ con la quale oggi si intitola qualsiasi provvedimento al fine di presentarlo come dovuto anche quando magari non partorito volontariamente (certo, è il cittadino mica la giunta perché 'la giunta è eletta dal cittadino'), improvvisamente ha deciso di prenderli in blocco e spostarli dove possano pregare in pace e senza recare disturbo alla cittadinanza.
Ma che bontà, lo fanno anche per loro, perché possano pregare meglio.
Bene, giusto provvedimento, gli italiani non ne potevano più di quell’assembramento del fine settimana e i musulmani si trovavano oggettivamente impossibilitati a sentire il predicozzo settimanale se inginocchiati fuori dall’edificio dall’altro lato della strada tra auto che cercavano di evitarli facendo a volte violenza sull’istinto di metterli sotto le ruote e la 91 che gli passava attraverso ogni 6 minuti (certo, come no, anche tre).
E dove li spostano?
In uno dei mille mila ettari che ai confini della bovisa sono abbandonati e in disuso o in uso a non ben precisati depositi di qualcosa?
No, al Vigorelli.
Che per chi non lo sapesse è una delle zone più residenziali e di conseguenza tranquille di milano.
Una zona nella quale se vedi uno straniero è filippino e ha due alani anoressici di 3 metri al garrese al guinzaglio.
Gulliver lì non è mai passato.
Non ci sono bottiglie per terra né giardinetti pieni di burqa e bambini di cento razze che giocano insieme.
Non ci sono residenti il cui unico problema di convivenza con i musulmani e costituito dal loro fregarsene delle richieste di fare meno casino con i mobili la notte o di usare sì il curry ma non per imbiancarci la casa.
Non ci sono milanesi che hanno avuto tempo e modo per incastrarsi con queste migliaia di stranieri né gelaterie che hanno saputo educarli a non sputare davanti alla vetrina.
Al vigorelli ci sono solo signore della milano bene del tutto impreparate, chi non lo sarebbe, a passare dal caffè marocchino col pasticcino la domenica mattina, al caffè COL marocchino scavalcato la domenica mattina.
Gulliver sta per lasciare il campo a Golia, improvvisamente nella zona più tranquilla e residenziale di milano stanno per riversarsi migliaia di musulmani e a fronteggiarli troveranno decine di Davidi in gonnella preoccupate per la pelliccia (delle quali qui in bovisa non s’è vista mai traccia e non per paura ma perché proprio non ce le si può permettere).
Lo scontro sociale che si genererà è tutt’altro che imprevedibile e la colpa non sarà di nessuno se non di quella giunta che, sapendo benissimo come accendere la fiamma, ha deciso di spedirli nella zona dove più avranno paura di questa gente e dove infatti già si stanno erigendo le prime barricate.
A quel punto per sostenere che milano non vuole nemmeno i musulmani basterà attendere un paio di mesi e poi mettere semplicemente una foto sul giornale e un paio di interviste alle signore del quartiere.
E un nuovo provvedimento potrà vedere la luce sotto il titolo ‘è sempre la cittadinanza che ce lo chiede’.
Nel frattempo sui cinesi in paolo sarpi e la loro reale extraterritorialità tutt’altro che apparente al contrario nessuno fiata.
Gli si è pure proposto di regalargli le case e i fabbricati dove stipare decine di schiave che cuciono jeans ventiquattr'ore su ventiquattro, ma loro han detto che non gli piaceva molto l’esposizione delle nuove finestre e la giunta ha detto ‘ah ok, vabbé scusate, continuate pure a tirare i sassi ai vigili e anzi, buone olimpiadi, se riusciamo verremo ad applaudirvi’.
Come la teoria dei vasi comunicanti, lentamente la piazza occupata dagli storici residenti pugliesi si è vista sostituita da un grande gigantesco Suk, a seguito di un processo durato circa dieci anni.
Come un gigantesco gulliver che con una pinzetta prendeva un pugliese, lo metteva nel suo salotto e al suo posto sul marciapiede ci metteva un egiziano, poi un altro pugliese preso e messo nella sua cucina e al suo posto al tavolino del bar un cingalese, poi un altro pugliese preso e messo nel suo box a sublimare col tuning una vita perdente e al suo posto ai giardinetti una mamma con burqa e passeggino, così, per dieci anni, goccia a goccia.
Oggi non vedi un italiano in strada che sia uno.
La bovisa pare una colonia in territorio italiano.
Non che non ci siano italiani, è che sono tutti chiusi in casa e l’immagine che l’occhio vede è il risultato di quel fattore comunità che porta qualsiasi uomo migrato a cercare subito un suo simile, a scendere nella nuova strada sconosciuta per cercare con urgenza qualcuno con cui parlare l’unica lingua che conosce, la propria, a contarsi, a creare un’isola di proprio paese in quel mare nel quale ci si è tuffati senza salvagente.
Il migrante ha bisogno di contarsi, di vedere i suoi simili, di imbastire un presepe nel quale sentirsi meno solo e in questo la strada è l’unica via e per questo la strada che è oggi la bovisa, è diventata la casa dei migranti e la strada dei residenti è diventata la casa dentro la quale ritrovarsi la sera per giocare, chiacchierare, mentre fuori le gelaterie a breve metteranno cartelli alle vaschette di gelato con i nomi anche in italiano.
Oggi camminare per la bovisa significa notare gli italiani.
La moschea di Viale Jenner era (è) oggettivamente un problema urbano e di convivenza.
Migliaia di persone inginocchiate tra le auto non possono non avere impatto.
Ma il problema era il fastidio e l’impedimento, il sequestro una volta alla settimana di un’intera fetta di quartiere, l’impossibilità di scavalcare quaranta persone per poter accedere a un caffè, sia per coloro i quali rispettavano quel momento di preghiera, sia per coloro ai quali fregava zero di quegli invasati e non di meno doveva affrontare il problema di scavalcarli senza l’aiuto di un lanciafiamme.
Alla presenza, al contrario, la bovisa aveva avuto tempo e modo di abituarsi grazie alla progressiva azione di Gulliver che ha permesso di attutirne il flusso.
In qualche misura ne è uscita persino arricchita (per chi gradisce), grazie a kebab buoni come in poche altre zone, grazie a ‘beauty salon’ cinesi che hanno saputo intercettare il bisogno tutto femminile di farsi i capelli dodici volte al mese in una zona nella quale le donne non potevano permettersi che quel taglio a 6 euro che oggi permette a quei cinesi di avere la fila fuori (di italiani) e un cartello sulla vetrina che rassicura circa l’apertura anche ad agosto.
Una comunità di musulmani e stranieri vari a tre zeri è riuscita a entrare nel territorio tanto da trasformarlo a propria immagine e, sulla propria immagine, raccogliere anche un certo favore.
Rom a parte, la cui cacciata (grazieaddddio) ha visto il plauso pure dei tombini, nessuno ha mai alzato un dito per chiedere che ora si passasse ai cingalesi o agli egiziani, per quanto in diversi casi lo meriterebbero pure.
Ma il comune non ci sta.
Con la solita formula del ‘è il cittadino che ce lo chiede’ con la quale oggi si intitola qualsiasi provvedimento al fine di presentarlo come dovuto anche quando magari non partorito volontariamente (certo, è il cittadino mica la giunta perché 'la giunta è eletta dal cittadino'), improvvisamente ha deciso di prenderli in blocco e spostarli dove possano pregare in pace e senza recare disturbo alla cittadinanza.
Ma che bontà, lo fanno anche per loro, perché possano pregare meglio.
Bene, giusto provvedimento, gli italiani non ne potevano più di quell’assembramento del fine settimana e i musulmani si trovavano oggettivamente impossibilitati a sentire il predicozzo settimanale se inginocchiati fuori dall’edificio dall’altro lato della strada tra auto che cercavano di evitarli facendo a volte violenza sull’istinto di metterli sotto le ruote e la 91 che gli passava attraverso ogni 6 minuti (certo, come no, anche tre).
E dove li spostano?
In uno dei mille mila ettari che ai confini della bovisa sono abbandonati e in disuso o in uso a non ben precisati depositi di qualcosa?
No, al Vigorelli.
Che per chi non lo sapesse è una delle zone più residenziali e di conseguenza tranquille di milano.
Una zona nella quale se vedi uno straniero è filippino e ha due alani anoressici di 3 metri al garrese al guinzaglio.
Gulliver lì non è mai passato.
Non ci sono bottiglie per terra né giardinetti pieni di burqa e bambini di cento razze che giocano insieme.
Non ci sono residenti il cui unico problema di convivenza con i musulmani e costituito dal loro fregarsene delle richieste di fare meno casino con i mobili la notte o di usare sì il curry ma non per imbiancarci la casa.
Non ci sono milanesi che hanno avuto tempo e modo per incastrarsi con queste migliaia di stranieri né gelaterie che hanno saputo educarli a non sputare davanti alla vetrina.
Al vigorelli ci sono solo signore della milano bene del tutto impreparate, chi non lo sarebbe, a passare dal caffè marocchino col pasticcino la domenica mattina, al caffè COL marocchino scavalcato la domenica mattina.
Gulliver sta per lasciare il campo a Golia, improvvisamente nella zona più tranquilla e residenziale di milano stanno per riversarsi migliaia di musulmani e a fronteggiarli troveranno decine di Davidi in gonnella preoccupate per la pelliccia (delle quali qui in bovisa non s’è vista mai traccia e non per paura ma perché proprio non ce le si può permettere).
Lo scontro sociale che si genererà è tutt’altro che imprevedibile e la colpa non sarà di nessuno se non di quella giunta che, sapendo benissimo come accendere la fiamma, ha deciso di spedirli nella zona dove più avranno paura di questa gente e dove infatti già si stanno erigendo le prime barricate.
A quel punto per sostenere che milano non vuole nemmeno i musulmani basterà attendere un paio di mesi e poi mettere semplicemente una foto sul giornale e un paio di interviste alle signore del quartiere.
E un nuovo provvedimento potrà vedere la luce sotto il titolo ‘è sempre la cittadinanza che ce lo chiede’.
Nel frattempo sui cinesi in paolo sarpi e la loro reale extraterritorialità tutt’altro che apparente al contrario nessuno fiata.
Gli si è pure proposto di regalargli le case e i fabbricati dove stipare decine di schiave che cuciono jeans ventiquattr'ore su ventiquattro, ma loro han detto che non gli piaceva molto l’esposizione delle nuove finestre e la giunta ha detto ‘ah ok, vabbé scusate, continuate pure a tirare i sassi ai vigili e anzi, buone olimpiadi, se riusciamo verremo ad applaudirvi’.
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