18 settembre 2008

De scienza.

Quasi all’altezza del semaforo passo davanti a quella che sembra la porta d’uscita del luogo nel quale entra una lunga fila davanti a una porta precedentemente affiancata.
No.
Metri prima.
Approfitto della pausa per uscire a bere un caffè.
È appena finito il pezzo del comico che, pagato per divertire quasi tremila direttori di quella banca, centra tutto il suo pezzo sulle tipologie di clienti delle banche, con particolare focalizzazione del testo intorno alla tipologia “Ostaggio”, quello che anni prima gli avete fatto firmare un contratto con quella clausola che ora non se ne può andare manco se potesse, grazie a lui siamo qui, se vi chiedete quanto ha speso la vostra direzione per questo teatro e per questa giornata fregatevene, l’ha pagato quel cliente, tutti a ridere, applausi scroscianti, io apro la diretta dopo aver chiesto a una delle due camere una larga sul pubblico e alle luci di alzarmi un po’ la sala per la ripresa, tremila usurai ridono delle loro vittime e io li esalto su tre schermi di 9 metri di base l’uno, l’apoteosi, il climax, finisce il pezzo, io esco a prendere un caffè e, se possibile, un po’ d’aria.
Chiedo dove si trovi un bar e mi incammino nella direzione indicatami.
Quasi all’altezza del semaforo passo davanti a quella che sembra la porta d’uscita del luogo nel quale entra una lunga fila davanti a una porta precedentemente affiancata.
A giudicare dalla gente in fila penso sia un ufficio immigrazione, una asl, un ufficio postale.
Arrivato in corrispondenza della porta d’uscita esce una signora sui settant’anni, vestita dignitosamente, i capelli a posto, qualche finzione di gioiello, testa alta, esce in corrispondenza del mio passaggio e le nostre direzioni si fanno parallele, sembriamo nonna e nipote a spasso insieme.
Guardo il sacchetto che ha in mano, qualche ortaggio, del latte, un pacco di pasta.
Sul sacchetto un marchio tipo Banco Alimentare, Cassa Cibo, roba laica comunque, capisco che posto sia e la fila all’ingresso.
Guardo la signora, la signora mi guarda, potrebbe essere mia nonna, sana dignitosa e pulita uguale.
Per un istante ho forte la sensazione che lei avrebbe preferito non la guardassi come fosse mia nonna per non vestire, oltre ai suoi, anche il rammarico di non poter far regali ai nipoti, per un istante ritorno indietro di una decina di minuti e rallento quel tanto che basta per diventare più lento di una settantenne con una borsa di cibo in mano e metto tra me e lei i metri sufficienti per non percorrere più lo stesso marciapiede nello stesso momento.
Bevuto il caffè finisce la pausa, torno in regia, chiudo l’evento, tutto perfetto, mi stringono la mano, grazie, torno in camera a pormi per l’ennesima volta la solita domanda su quanto ancora potrò durare e a rispondermi per l'ennesima volta da quindi anni a questa parte "non molto".


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