Ai commenti sotto non rispondo perché vanno bene così, non c'è dialogo da imbastirci sopra.
Sono felice che chi era chiamato abbia risposto senza che servissero nomi.
Sono piccoli messaggi che accolgo e lascio così, come augurio.
Quelli che volevano esserlo.
E se non rispondo a quelli che volevano essere un augurio, figuriamoci se replico a quelli che volevano essere esattamente l'opposto.
Del resto se le ho chiamate macerie è perché quello sono e se quello sono non è che ci si possa aspettare che appaiano aiole fiorite.
La mia vita adesso è qui.
Chi avrà voglia di essere felice per me ne farà parte, il resto del mondo può continuare a concimare il proprio male finché considererà la cosa un obiettivo di vita meritevole di fatica e impegno.
Se avessi voluto che la cosa avesse continuato a riguardarmi, mi sarei risparmiato gli anni spesi a raggiungere questo passaggio e li avrei spesi a concimare il mio perché fosse adeguato al contrasto (male contro male, poi uno dice perché te ne vai) che mi si offriva come uno scenario possibile.
Ho scelto altro.
E' un mese che siamo qui e le cose da dire sarebbero decine.
Ma ancora sono qui che me le elaboro, per non rischiare di scambiare ciò che mi sembra fin troppo velocemente raggiunto con quello che magari è semplice autoconvincimento.
Mi voglio concedere del tempo, voglio che la sensazione di benessere che da un mese non mi abbandona sia letta nella maniera corretta e non con l'ansia di dirmi contento.
Quello che so è che da quando sono qui, quando parto per lavoro ho una costante voglia di rientrare a casa e quando lo faccio è davvero a casa che sento di essere tornato e questo non mi era mai capitato.
E' un mese che vado avanti e indietro da Milano almeno una volta alla settimana e non è accaduto una, dico una sola volta, che all'arrivo sia stato accolto da un'aria familiare e una, dico una sola volta, che alla partenza abbia avuto voglia di ritardarla un po'.
Ecco, dopo un mese non si scorge all'orizzonte ancora nessuna traccia dell'onda di ritorno e questo per me è inaspettato e nuovo.
Dovrò indagarla, questa cosa, perché voglio che sia vera e non autoconvinzione.
Per il momento l'unica sensazione che ho quando mi sveglio in questa città è di non essermene mai andato e quella che ho quando mi sveglio a Milano è quella che ho quando vado per lavoro in qualsiasi altra città non abbia mai vissuto.
E' come se i trent'anni di Milano fossero improvvisamente finiti dentro una scatola di vetro opaco che non mi permette di vedere nemmeno bene cosa contenga.
Ma la cosa stupefacente è l'assenza totale di bisogno di un vetro più trasparente per vedere meglio.
Ho proprio lo sguardo volto altrove.
Ed è esattamente ciò che speravo sarebbe scattato, ma sul quale non potevo che riporre solo flebilissime speranze e una gran fiducia nel mio intuito.
Non è che non mi ricordi più di Milano.
Semplicemente non mi interessa più spenderci sopra altro tempo.
Ho delle cose da fare qui più importanti.
Per esempio svegliarmi contento.
No vabbé, svegliarmi contento magari no, non esageriamo.
Diciamo dopo il caffé giù da nonna e almeno un'oretta a guardare il Monviso davanti alla finestra dello studio.
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