3 agosto 2007

In treno

Stasera pensavo a quando cantavo nel locale ed ero dio e decidevo io come sollevarti dalla sedia.

Ti sollevavo quando cantavo una delle cinque mie, nessuna richiesta ora, è il mio momento, silenzio, mi si guardi in silenzio cazzo, mi si ascolti ché ho da dirti una cosa, una delle cinque mie.

Ho da dirti che puoi essere dio se lo vuoi, il miracolo di un sorriso che non ti eri portata dietro o così credevi, ho detto sorridi e tu sorridi, ho detto guardami cazzo.
Intanto Valentino Paolo e il terzo che non ricordo nemmeno come si chiamava si alzavano e si mettevano dietro di me a simulare il treno con i vagoni e le braccia che facevano il braccio di trasmissione della ruota che girava e l’altro braccio il ciuf ciuf, ero dio, anche gli uomini mi facevano da coristi dietro e io ero dio davanti e trascinavo, tu mi guardavi, una sera eri bionda, una sera eri rossa, una sera nemmeno lo capivo e poco mi importava, avevi un culo che anche da sei metri si vedeva che le mie federe avevano la stessa forma o era la mia guancia che aveva la forma del tuo culo, boh, il coordinato mi ha sempre fatto venire l’orticaria ma quando il culo si sposava perfettamente col lenzuolo di sotto c’era poco da fare, tu lì dovevi finire la tua notte e lì finivi la tua notte.

“Ti posso amare?” no, ma proprio non se ne parla.
Applaudire, al massimo, adorare, te lo concedo, non vedi che sono dio?
“Sono sposata”
“In questo momento qui, dici?”
Ti sollevavo, con la mia piccola 500 azzurro cesso parcheggiata fuori che pareva una limusìn che a fine serata a microfono riposto nel casettino faceva un sacco gnu boemièn e invece ero solo dio che si vestiva da sciumacher e quella bici che usciva dal tettuccio aperto “ma ci entra?” “Ci entro io, ci entri tu e ci entra la tua bici e se non ci entra ce la facciamo entrare, stasera ti porto a casa io, mia, che hai capito” dio era dio perché non aveva paura di sporcare i sedili “Tu si che te ne freghi mica come quelli fissati”.

No è che sono già sporchi ma non te ne accorgevi perché non volevi dare un nome a quelle macchie ché tanto lo sapevamo che era quella del tavolo 5, o forse era il 6 e quella del 5 era due giorni fa, boh, ero dio, poco importava, te ne fregavi tu figurati io, anzi dio doveva averli sporchi i sedili, faceva un sacco gnu boemièn ma a te un giorno, foss’anche tra cento anni, verrò a chiedere scusa, te lo giuro su mio padre, mi amavi, lo sapevo, ci ho camminato sopra, non me lo perdono ancora oggi cazzo.
Una scala portava in bagno e non si poteva andare, o meglio si poteva andare ma non si poteva tornare perché ad uscire c’era sempre una che diceva “ho chiesto una media chiara” e chiara era, non era media ma insomma, piccolo ma sincero, nei limiti del momento, ovvio.
Ho da dirti che puoi essere dio se lo vuoi, io non lo ero, eppure, quindi puoi.
Devi solo metter giù le carte come le metterebbe dio e il resto viene da sé, la gente crede che dio esista e quindi a quelle carte crederà.
Allora scopri che sei dio se ottieni quello che otterrebbe dio, non se sei dio davvero.
Allenamento, test drive, anche crash test se vogliamo, ma cosa vuoi che siano per dio un paio di insuccessi, e avanti a tirare i vagoni di quelli dietro, ché tu puoi, loro vogliono, tu ce la fai, sei dio.
Non è vero quello che dice quel brasiliano là, non è vero che se vuoi una cosa l’universo disporrà le stelle per far sì che tu la abbia, è una truffa, non è vero, quello ti ruberebbe il merito di quella cosa.
Tu sei dio, se desideri una cosa prendi le stelle, tu, le sposti, tu, le metti come cazzo ti pare, tu, sei dio, puoi farlo, ma non per ottenere quello che vuoi tu, no, perché tu lo sai che le stelle si spostano facile, no, per offrire il giochino in cambio, per fare il baratto e ottenere quello che vuoi, cosa vuoi in cambio di quello che voglio io? “Voglioooooooo….un cavallo su una zampa sola!” e cavallo su una zampa sola sia, che ci vuole, antares, due nane, vuoi vedere che mi perdo per così poco, fatto, cavallo su una zampa sola, piace? Posso incassare il mio premio? Mi dai la tua vita da maciullare in sei secondi netti?

Poi una sera le stelle galassie una di qui una là ti sfuggono di mano e ti innamori tu e vabbé, crash, kabooom, un biglietto sul tavolo, che bravo che ero con i biglietti sul tavolo, tu mi sembri tipa da “occhi di ragazza” guarda lì che occhi (e che culo, ma giuro era amore), se non ti centro con ‘sta canzone non ti centro più.
Na nannanananana na quanti cieli na na quanti mari che m' aspettano na na centrata.
Non l’avessi mai fatto.
Un buco nero.
A.
Forma.
Di.
Fica.
Ma brava che pareva l’origine dell’universo.
E invece ne era la fine.
Nel senso che era più dio di me.
5 secondi, infatti, uno in meno, la beffa.

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