Sorrideremo di questo tempo sospeso, ci perdoneremo il necessario e ci racconteremo cosa ne avremmo fatto distillandolo in esempi disegnati con le mani nell’aria tra i nostri occhi negli occhi, questo è un mare, quello è un cane, questo invece è un ufo che un giorno ci ha rapiti esaminati catalogati come perfetti, troppo per invaderci, abbiamo salvato l’umanità, u-m-a-n-i-t-à disegneremo.
La nostra, quella che un giorno ci salvò prendendoci di forza un metro prima del burrone in cui ci volevano trascinare non per vendetta, non per cattiveria, perché eravamo appiglio per persone già in caduta prive quindi del tempo di verificare che noi fossimo saldi a terra e come tutti non lo eravamo, ma eravamo saldi a noi, a quel punto di equilibrio sfiorato un lampo di tempo fa che ci colse realisti e ci restituì al mondo idealisti della specie più pura, quelli che il raggiungibile lo chiamano così perché l’hanno raggiunto e toccato, visto e sentito, amato, e quando ami il raggiungibile lo ami per sempre e non è una scelta, è l'idealismo della ragione.
Questa cosa qui disegnata con le mani nell’aria tra i nostri occhi negli occhi avrà la forma di una strada non sempre facile, davvero non sempre facile, ma che mai un solo giorno si è fatta percorrere con meno di una speranza, meno di una certezza, meno di un progetto e meno di un nome in fondo da raggiungere, a volte un amico, a volte un padre, a volte un fratello, a volte tu, in un crescendo che è più di una serie casuale di punti di ristoro, sono i tre balzi finali del salto triplo con il quale avremo percorso l’ultimo tratto che ci separava.
Quando sarà il mio turno di disegnare Tu non mi basteranno le braccia, non mi basteranno le gambe e non mi basteranno gli occhi e non mi basteranno le parole allora nell’aria disegnerò un semplice cerchio perfetto, questo è il mondo, ops, scusa, ti avrò toccato i capelli, un punto al centro, questo è il centro del mondo, ops, scusa, ti avrò toccato il naso, è che sarai così vicina.
Che importa di che colore sono stati i tuoi occhi fino a quel giorno, che importa che voce mi hai dato fino a quel giorno, come mi hai chiamato.
Io ti ho chiamata Barbara e avevi una voce bella abbastanza da cantare la Streisand solo per me prima di far l'amore sapendo che nemmeno una cassa di ostriche poteva fare come quell'acuto, ti ho chiamata Silvia e ti ho portata con me sul lavoro, o meglio sei tu che sei saltata in macchina e ti sei fatta qualche ora solo per raggiungermi sul lavoro guardarmi orgogliosa e riportarmi a casa su qualcosa di più comodo di tre treni, per esempio l'amore, ti ho comprato una cosa che ti ha riportata agli anni felici come fosse una macchina del tempo e non perché io fossi particolarmente empatico ma solo perché l'ultimo punto di felicità era così visibile che su ebay hanno direttamente la categoria e un giorno, ti chiamavi Angela, ti sei spogliata in macchina nel traffico e nuda sei scesa per entrare in casa solo perché te l’ho chiesto e quanto-cazzo-eri-bella in quel momento.
Tu come mi hai chiamato? Dove mi hai portato? Che voce avevo? Che lavoro facevo? Sono stato astronauta? Sono stato dottore? Sono stato edicolante? E ti ho sempre trattata bene? Ti ho sempre amata dentro? Ti ho sempre amata sempre? Ci siamo sempre capiti? Ci siamo sempre parlati? Ci siamo sempre stati? Chi siamo stati? Voi chi siete? Dove veniate? Dove stiate? Dove andiate? Che ore sono? Ma che ore sono? Quando si mangia? Ma quando si mangia? Sono tanti i misteri dell’universo, voi fate domande e io tengo risposte, io sono: Alieno, ah! ah! ah!
Sono un po’ stupido, sì, ho anche quel pregio, sta proprio lì accanto all'umiltà.
Ce l’avevo quando mi chiamavo Uffa però?
Evidentemente no, se quel giorno sarò io a sentirti dire ops, scusa, ti ho toccato i capelli e ops, scusa, ti ho toccato il naso anche tu quando sarà il tuo turno di disegnare Io.
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