Con un preciso calcolo algebrico mi è stato spiegato il mondo degli affetti e delle relazioni.
Tre le versioni a mia disposizione a seconda del risultato finale del rapporto tra i miei pro e i miei contro.
Le fasce sono divise in aliquote: più del 30%, tra il 20% e il 2% e l’1%.
La quantità di spazio/rapporto dedicato a un silenzio concordato offertomi è inversamente proporzionale alle aliquote.
Più è bassa la percentuale di pro, più mi si concede lo spazio del silenzio in cambio della mia finzione che comunque, mi si spiega, resta un mio dovere, quindi in ogni caso la proposta va valutata non prescindendo dalla sua quota di generosità.
Una specie di premio di maggioranza o numero jolly.
Se non capisco la validità profonda di questa proposta, che è l’unica possibile, significa che sono un idealista con un’idea malata degli affetti che, un giorno lo capirò, non possono basarsi sulla sincerità.
Indipendentemente dalla soluzione che accetterò, resta che parallelamente devo andare da uno psichiatra.
Ricevuta e rifiutata la generosa offerta, me ne sono andato lasciando la barca alla sua deriva.
Affonderà come la zattera che trascinava negli abissi un Robert De Niro capitano che annegò recitando il suo contatto con dio o galleggerà tutta la vita solo a patto che l’aliquota di verità sia sempre mantenuta sotto l’1% con i denti, con le unghie, con il sangue se necessario.
Qualcuno mi trovi uno psichiatra bravo.
Per bravo si intende che mi insegni che chiedere che le relazioni non si basino sulla finzione, è una strada che mi porterà ad impiccarmi.
La base di partenza è che al momento io sono convinto del contrario.
Il lavoro è effettivamente duro e la competenza richiesta spazia dall’algebra alla fotografia.
I muri che l’istinto di conservazione è capace di erigere sono grandi quanto l’universo e pensare che sia possibile scavalcarli è, questo sì, puro idealismo distruttivo.
Farò i conti con la mia coscienza, mi si è detto.
Non si è riusciti ad uscire dall’algebra.
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