15 marzo 2014

Tira più un caffé corretto che un carretto di caffé

A Torino abito in zona Mirafiori, siamo i figli della Fiat, nelle case Fiat, di famiglia Fiat, che ha visto il mare nelle colonie Fiat, la montagna nella Torre Fiat, i regali di natale in fila nel salone natalizio Fiat, là dove c'era l'erba oggi c'è questa città, da piccolo passavo i pomeriggi sul balcone a guardare il treno passare sotto casa edificata sulla direttrice che dalla fabbrica portava interminabili serpenti di automobili alla stazione Lingotto e da lì al mondo intero, era la mia televisione preferita dopo i barbapapà e capitan harlok, siamo famiglia operaia in zona operaia.
Mirafiori è zona di cass'integrati Fiat, di vagabondi in attesa di Fiat, di nonarriviamoafinemese Fiat, una di quelle zone nelle quali la concentrazione delle vittime della crisi è tale che Mentana potrebbe venire qui a fare i sondaggi che danno il M5S sempre in crescita e allora altro che +5% ogni settimana, qui sarebbe +20%, Mirafiori alle ultime politiche è la zona d'italia che ha dato il contributo maggiore all'esplosione stellata, sono tutti incazzati, tutti in attesa che torni Agnelli a salvarli e riassumerli di nuovo a vita dicendo loro che è tutto passato, che va tutto bene, vieni che rimettiamo le rotelle alla bicicletta, tutti impegnati a stare fuori dai negozi a parlare di Signora mia cacciamo i ladri che ci hanno rubato tutto.
Tutto tranne la dignità, se vedeste mia nonna che a Mirafiori ci è arrivata quando intorno erano solo colline e campi agricoli, ma questa è un'altra storia.
Mirafiori è zona che non perdona, leggi la crisi sui muri, nelle voci al mercato, nelle facce, nei gesti, nella maleducazione, a Mirafiori non esiste il concetto di fila nei negozi Ah scusi non l'avevo vista è quello gentile che ti passa davanti levandoti di peso pure se non ti aveva visto, uno su mille, gli altri nemmeno quello passano e basta e dall'altra parte del banco manco una piega, del resto sono tutti incazzati e non hanno voglia di star lì a discutere una cosa che nemmeno tu hai più voglia di discutere, i cani a Mirafiori cagano sotto i portici talmente tanto che qualcuno ha cominciato a mettere fogli attaccati ai muri con i quali precisare che il cane non è il cane ma il padrone, guerre tra poveri che si farebbero la pelle per un pacchetto di sigarette, è zona che alla Fiat non perdonerà mai il trauma d'abbandono, sarà sempre nemica come solo l'abbandono di un genitore può rendere nemici coloro che condividono il sangue e fino a ieri ti portavano i figli al mare, è zona che non ha soldi, non ha cibo, non ha speranze.

E sarà per quello che ha sette dicasi sette sale slot in una distanza di nemmeno un chilometro intervallate solo da massaggiatrici cinesi che quando le intravedi dalla porta aperta pensi Ehi ma quella è quella della pizzeria accanto e vedendole pensi che mai termine fu più azzeccato di Arrotondare, Mirafiori è zona di disperazione e di fame e di non ci sono soldi signora mia ed è per quello che la sala Casinò più grande, quella con la security alla porta, ha deciso di andare incontro alle esigenze del cittadino in difficoltà ampliando l'orario di apertura, portandolo a essere disponibile per la città che non ha soldi per mangiare dalle 4 del mattino a mezzanotte, venti ore consecutive aperti, lo fanno per loro, metti che non sai dove ripararti dal freddo e non hai scatoloni a portata di mano, c'è il Casinò che ti accoglie, farà caldo, sarà per quello che è tutto un via vai di anziani e meccanici ancora con la tuta da lavoro, gente che non ha soldi per arrivare alla quarta settimana, ma che dico alla terza, ma no signora mia oggi è guerra e non si arriva manco alla seconda e cerca un posto che accolga la loro vergogna, non hanno il coraggio di guardare i loro figli ai quali non possono dare da mangiare, lo dicono sempre ai microfoni di Paragone quando urlano contro la casta, è giusto che abbiano un posto dove andare a nascondere le lacrime di appapà che subisce lo Stato oppressore e il Casinò ci tiene a loro, per quello ne hanno aperti sette nonostante, si sà, in zona operaia che vota Grillo come nessun altro in Italia così punisce le lobby delle slot, di soldi proprio la gente non ne ha più e adesso vogliamo il reddito di cittadinanza e che i ladri ci restituiscano il malloppo che ci hanno rubbbato per anni e ci diano un lavoro perché noi dobbiamo campare i figli, li senti rabbiosi e accipicchia se lo sono, quando il duecentesimo grattaevinci della giornata finisce nel cestino del tabaccaio e si vergognano, oh non sai come si vergognano, quando il resto delle sigarette lo chiedono sempre sottovoce "in monete da un euro" specificando sempre, sono signore che ci tengono al nome, che "ma solo perché oggi, mica sempre" e la tabaccaia che fa Sì sì, con la testa mentre il resto in monete da un euro era già pronto prima che lo chiedesse e la fila c'è e nessuno la salta, la fila alla slot nessuno la salta, è il nuovo stadio del popolo, quella che gioca e intorno il gruppo che fa il tifo, perché perda, così da poter passare il turno e sperare di essere quello che prende tutto o giocarsi l'ennesima venti euro anzi diciotto perché bisogna tenerne almeno due per andare all'edicola accanto a comprare il Fatto Quotidiano che quotidianamente spiega loro che loro non hanno colpa del loro non sfamare i figli, che la colpa è della casta e ogni giorno fornisce loro il nome da odiare nella mente tra una fila di faraoni allineati ma accipicchia mancava il quinto e la soluzione: vota appeppecrillo così le slot che rubbbano le tasse non ti ruubbbano più il lavoro col quale sfamavi i figli e lo pensano, le slot sono il loro nemico ed è per quello che i tasti li pestano con tanta rabbia mentre ci infilano dentro anche oggi la pizza con figli sabato sera, nemmeno questo sabato sera.

In fondo ai portici un piccolo Bar, in tre anni ha cambiato non so quante gestioni, tante che nemmeno veniva levato più il cartello Nuova gestione, tanto duravano meno del tempo di imbiancare, pareva colpito da maledizione, nonostante una posizione a dir poco favorevole non c'era gestione che riuscisse a durare due settimane nonostante l'arrivo del mercato l'anno scorso abbia trasformato in tanti marchionne i temerari che comprarono i bar intorno quando in zona c'erano loro e nessun altro e per quello li rilevavi con due euro e un grazie commosso di quello precedente che se ne liberava, periodi nei quali guardavamo i banchi vuoti e la disperazione che il mercato ha trasformato in posti dove passa tanta di quella gente che oggi paiono autogrill, ma quel bar niente, intorno il Klondike e in mezzo quella piccola Bagdad dopo i bombardamenti, c'è la crisi signora mia, non vede che aprono e chiudono continuamente, ma chi, ah quelli accanto al casinò che sta aperto venti ore al giorno dice, sì quello, chiude perché la gente non ha soldi, e chiudeva, apriva e chiudeva apriva e chiudeva apriva e chiudeva, fino a due mesi fa quando.
Quando un giorno si alza la saracinesca e dietro il banco compare una rumena di una trentina d'anni, non ragazza non signora, quell'età indefinita che va bene per tutti, quell'accento europa est che qui a mirafiori hanno sentito o dalle badanti o dalle puttane o dalle attrici nei film porno, mai volgare, mai eccessiva, sempre pantaloni e camicia, la donna lavora del resto, non fa né la badante, né la puttana, né l'attrice porno, fa caffé e serve vino, è giovane abbastanza da avere i pantaloni a vita bassa, si piega per pulire il cassetto e col tatuaggio che spunta si assicura i caffé, ha un seno grande ma non lo mostra, lo contiene sempre dentro una camicia seria e solo per non creare le pieghe di una taglia in meno è costretta a tenere i bottoni aperti fino alla scollatura, non vedi se non quando si piega e quando si piega spunta la collana con la quale si assicura il vino, giorno uno cliente uno, giorno due clienti due, giorno tre clienti tre, giorno quattro clienti quattro, sono passati due mesi, giorno sessanta clienti sessanta, non passi più, non entri nemmeno dalla gente che c'è tanto che ha dovuto chiamare un'aiutante e dev'essere la sorella perché è uguale, rumena uguale, pantaloni uguali, tatuaggio uguale, camicia uguale, distinta e mai volgare uguale, altri sessanta clienti, fanno centoventi, non si capisce nemmeno dove li mettano tanti sono, pare corso como a milano quando aprì il Loolapaloosa e non parcheggiavi per chilometri, non si gira più, se passi in quel punto dei portici devi fare il giro largo, arrivano dalle altre zone a prendere l'aperitivo prima di tornare a casa dalle mogli e lo vedi perché arrivano in macchina ma vestiti da lavoro, tute da meccanici, grasso sulle mani, sopracciglia da ventenni maschi appena usciti dalla palestra andati apposta per presentarsi sudati e tonici, non vedi una cliente donna manco a pagarla, tacito accordo tra clienti, nessuno si azzardi a presentarsi con la moglie, con la ragazza, con un'amica, qui è roba maschia, loro distinte, eleganti, non fanno una piega, fanno caffè e servono vino e se al momento di chiudere e pulire e sgomberare è pieno di uomini non chiedono nulla, non serve, un bar così ha sempre l'uomo che il sacco nero del vetro lo porto fuori io, un altro che i tavoli li sposto io, l'altro ancora che le casse per riempire i frigo dalla cantina le porto su io, petti gonfi e bicipiti eccitati a far la fila per vincere il contratto cococo mansione sguattero del giorno là dove per sguattero non s'intende la dignità del lavoro ma del perché lo fai, loro due si spostasse un capello, bellissime, rumene, sorridenti con i ventenni come con i settantenni, che sono più dei ventenni, quel bar pare un autogrill, non è più vittima di maledizione se non di quella delle mogli che come se le scoperanno quelli lì, dopo aver bevuto vino dalle quattro del pomeriggio alle otto di sera, aver faticato otto camicie per ripulire il bar da capo a cima, portato fuori sacchi e sacchi di immondizia e bottiglie e aver passato le quattro ore precena a pensare a quanto quelle due siano incredibilmente più fighe delle sceme che a casa aspettano di sapere se il marito oggi ha trovato lavoro grazie appeppecrillo.
Ma anche chi se ne frega in fondo, nemmeno ci tornano a casa, li vedi uscire dopo essersi bevuti la pizza col figlio il sabato sera e due metri dopo immediatamente accolti dal Casinò che per sottrarli alla frustrazione li accoglie fino alle quattro del mattino quando con ogni probabilità moglie e figlio staranno dormendo e così se non dirai loro che ti sei bevuto la pizza del sabato e giocato quella della domenica è perché sono loro che non ti aspettano svegli dopo che tu hai passato la giornata a cercare di sopravvivere alla casta ladrona cercando con tutto te stesso un lavoro, così pronto a rimboccarti le maniche da accettare anche un lavoro da aiuto barista.

Poi a Mirafiori ci siamo anche io e nonna e un tempo qui c'era tutta campagna e io mi ricordo il treno Fiat e la gente felice, non c'era la crisi  e nemmeno i casinò e nemmeno appeppecrillo e nemmeno così tanta gente che non arriva più a fine mese signora mia bella rumena, un altro vino grazie, l'ottavo, sì sì ora vado a casa, ancora un attimo, si sta tanto bene qui, com'è gentile bella signora, ah chiude, allora ok passo un attimo al casinò e poi vado a casa a vedere Paragone e i miei amici che gridano al microfono che noi siamo stufi hai capito siamo stuuuuufi e adesso li andiamo a prendere quelli là che ci hanno rubbbato tutto e anche la dignità di appapà che per te, figlio mio che dormi perché non sai i problemi, è pronto a prendere le armi per cacciarli tutti questi ladri e facciamo la rivoluzione per te figlio mio così avrai il futuro che quelli ci hanno rubbbato.




Questo post, mi si perdonerà la nota che impone aggiunta perché sia prova a futura memoria (che non mancherò di produrre al momento opportuno e che quindi devo appuntarmi per poter dire "Quella notte") all'interno di un incarto tanto lungo quanto futile cela un minuscolo brevissimo momento di pura magia di quel tipo là, quel tipo che io penso una cosa e quella cosa in un punto del mondo lontano ma mai tanto da non poterlo dire mio mondo, accade.

2 commenti:

  1. E allora magari non c'entra un granché ma ve lo racconto lo stesso com'è andata che son stata vaccinata dal vizio del gioco.
    E le vaccinazioni migliori son quelle che si fanno da piccoli e infatti avevo sette anni, e c'era la tombola di Natale e io desideravo follemente il Classico Disney ch'era uscito da poco, Paperino Cocktail, ma come fai a comprarti il Classico che costa molto di più del Topolino, che per fortuna il papà ti compra tutte le settimane, se tu soldi non ne hai e i discorsi di 'paghetta' erano ancora ben al di là da venire?
    Vincendo la tombola di Natale, ovvio.
    A noi bambini le cartelle non le facevano pagare, si capisce, e io mi son messa a giocare armata di una certezza pressoché granitica che avrei vinto, dal momento che lo desideravo così tanto.
    Me la ricordo ancora adesso, quella tombola, il senso crescente di delusione man mano che uscivano i numeri e nessuno era mio, ambo terna e quaterna e niente, ma c'è la cinquina, e ancora niente, be' allora vincerò la tombola così faccio il colpaccio e invece niente, ciccia, delusione totale e definitiva.
    La prima lezione l'ho imparata subito: è da stupidi far conto sul gioco per ottenere quattrini.
    La seconda invece è arrivata molti anni dopo, quando ho smesso di essere bambina e ho capito un po' di più me stessa: tutta quella tensione nervosa, tutta quell'adrenalina in circolo non mi garbavano affatto, le sensazioni erano troppo intense, eccessive, decisamente sgradevoli. Ne facevo molto volentieri a meno.

    Ah, poi alla fine son riuscita ad averlo, quel Classico, però me lo sono dovuto guadagnare, così già che c'ero oltre alla vaccinazione ne ho ricavato anche un insegnamento, da 'sta faccenda.

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  2. A me è sempre piaciuto giocare.
    Ogni viaggio di lavoro fatto in città con Casinò ha sempre visto ritagliato il tempo per un passaggio.
    Frequento il mondo dei giocatori da quando ho vent'anni e ho attraversato quasi tutte le zone (intese come luce/ombra) che quel mondo lo compongono.
    Iniziai con le sale da biliardo, nelle quali scoprii un giro economico da restare senza fiato, per poi passare al poker, quello vero però, quello a cinque carte e non quella versione mediaset della quale oggi sono tutti esperti, quando di poker nessuno parlava ed era mondo per persone che me ne hanno tenuto lontano per il bene che mi volevano.
    Chiudevamo i locali e facevamo mattina giocando, organizzavamo viaggi per andare a Saint Vincent, periodo di luci e vette alle quali rinunciare non fu facile.
    Ne frequentai anche la versione virtuale quando ancora in italia non era legale e i server erano in russia e in polonia, mi sono fatto passare davanti cifre che non scrivo per decenza, ho perso e ho vinto, non di rado mi ci sono pagato le tasse.
    Questo mi permette di parlarne sapendomi intimamente al riparo dal rischio del giudizio morale sui giocatori, non potrei averlo.

    Questo ha salvato me.
    Ho sempre considerato quel mondo un mondo che non mi apparteneva ma al quale io decidevo di partecipare, facendo sì che ogni volta che ne oltrepassavo la porta mi rendessi sempre conto che i loro limiti non potevano essere i miei limiti.
    Era sempre una trasgressione non alle regole della società, ma alle mie e avendo creato quel perché, non serviva il perché economico.
    Così quando vincevo smettevo, sempre.
    Se di gioco singolo si trattava, perché il gioco con altre persone non può avere quella regola per accordo di lealtà: si gioca fino al termine e si vince solo al termine.
    Se ti alzi quando vinci non avrai più un tavolo disposto a darti una sedia.

    Poi un giorno lo stato avviò un processo di monopolizzazione lento e silenzioso che partì con degli interventi governativi dei quali il paese non ebbe notizia perché preparatori e non palesi.
    Non annoio ulteriormente, tanto è roba per addetti ai lavori, ma fu un processo che fin dalle prime mosse fece capire dove si era deciso di portare il paese.
    Quel giorno smisi di giocare e non toccai più un tavolo, uno schermo, un casinò.
    In Italia.
    Si gioca all'estero, quando capita l'occasione, certi che la sera dopo non ci puoi tornare, l'unica maniera in cui si può giocare sapendo di non perdere mai più di quello che puoi permetterti di perdere.

    perché quello che sta uccidendo un intero paese di giocatori è questo: i soldi che vengono giocati non sono presi da un immaginario "margine" che ciascuno tara sui propri limiti e che quindi può a quel punto anche essere buttato nel cestino con lo stesso diritto che ho io di farci aerei di carta, ma sono presi dalla stessa tasca nella quale ci sono quelli del pane e nello stesso luogo in cui stai comprando quel pane.

    Il gioco è un problema solo se lo consideri un modo per comprarti più pane.
    Se superi quel confine sei finito, è solo questione di tempo e matematica perché il limite oltre il quale non avrai più nulla diventi l'unico che ti fermerà.

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