mal d’africa
Esiste un posto in un paese lontano che per chi ama i mercati è il posto più bello del mondo. O meglio, è il posto più bello del mondo che ho visto io. O meglio, è un posto che ha il mercato più bello del mondo. O meglio, è il mercato più bello del mondo dei mercati che ho visto io. Insomma io adoro il mercato, e ho trovato un posto in giro per il mondo che potrebbe anche non avere nulla oltre che il suo mercato senza per questo smettere di essere il posto più bello del mondo, o meglio, di quel mondo che ho avuto la fortuna di vedere io.
Questo posto è lontano, sia in senso geografico che in senso culturale, ed è in un paese il cui nome da noi evoca solo problemi e invasioni e negatività e ignoranza e luoghi comuni e distanza e tutto ciò che ogni paese in via di “miscelazione sociale” riesce a creare intorno a tutto ciò che cerca di farsi largo tra le sue abitudini e certezze.
Quelle certezze e quelle abitudini che ci portano a pensare che il Marocco sia un posto brutto, senza sapere che stiamo parlando di uno dei posti più belli del mondo.
Marrakech è il posto più bello del mondo.
A Marrakech la gente in strada guida da pazzi, e litiga ad ogni incrocio per venti minuti insultandosi nella loro lingua come se si fossero uccisi la moglie, ma poi si salutano sempre come se in fondo a quella moglie non ci tenessero più di tanto o magari proprio non la volevano più tra le palle.
A Marrakech c’è un posto dove una volta al giorno ci si promette di tornare il giorno dopo in quello stesso punto.
È la piazza della città vecchia. Mai visto nulla di più bello, di più vivo, di più respirante, di più urlante.
Migliaia di persone che in maniera apparentemente caotica mettono in scena ogni giorno, ogni sera lo stesso spettacolo umano di antica memoria. Migliaia di persone che ogni giorno raccontano che esistono dei posti in giro per il mondo che ti fanno ridiscutere ogni volta il tuo concetto di bellezza, il tuo concetto di benessere, il tuo concetto di fascino, il tuo concetto di dignità.
Marrakech ha una piazza immensa, aperta proprio accanto al souk, il mercato chiuso, le cui mura accompagnano lo sguardo lungo i bordi della piazza. Su quella piazza vive la città. In quella piazza si raccontano fiabe. Ogni giorno, tutti i giorni. È una città nella città, un mercato intorno al mercato. In quella piazza ci sono tutti quelli che non hanno una bottega all’interno delle mura del mercato vero. In quella piazza tutto è figlio della terra e per terra vive. In quella piazza per terra vengono stesi tappeti bellissimi che da noi si trovano in salotti ricchi, mentre per loro sono la stuoia su cui sedersi e stendere la propria merce. Quanto viene rivisto ogni concetto occidentale di ricchezza quando si ha la fortuna di vedere gente povera che stende spezie su tappeti che a casa tua vengono venerati come idoli, non lo si può nemmeno immaginare. E sul pavimento di quella piazza un mosaico umano seduto su un mosaico tessile di stuoie e tappeti di racconta una vita colorata e profumata. E ti dicono che se ti fidi di loro, impari che ogni elemento della terra ha un colore e se continui a fidarti di loro quel colore può farti diventare più bello. E ti vendono cosmetici che nemmeno immaginavi esistessero, e ce ne sono così tanti e così belli che anche a te che sei uomo viene voglia di truccarti pur di non perderti quel privilegio. E ti dicono anche che quel profumo che tu da giorni senti nell’aria, loro sono riusciti ad imprigionarlo e a metterlo in magiche boccette che ogni volta che vengono aperte ti fanno rivedere Marrakech, e tu lo senti che è vero, anche se sai che quel profumo è nell’aria in tutta l’aria proprio perché sono migliaia in tutta la città le boccette che continuano ad aprirsi e chiudersi e non viceversa, ma non fa nulla, tu ci credi che loro hanno imbottigliato l’aria e quell’aria è così profumata che te la vuoi portare a casa in qualsiasi modo. E hanno una terra che li guarda, li nutre, li cura e li rende belli. Ma lo fa con rispetto, non li aggredisce. E solo vedendo certe cose si possono rivedere le proprie certezze. E scopri che uno dei prodotti per i quali in Marocco si va al mercato è la rappresentazione in terra di cosa vuol dire il concetto che se rispetti la natura, la natura rispetta te.
Hanno un rossetto. Lo trovi solo in Marocco, (o almeno così era una tempo). È un rossetto fatto con prodotti naturali, con l’aiuto della natura. È un rossetto magico. E lo è perché viene dalla terra.
Da noi sui cosmetici si fanno test antiallergici, prove di laboratorio per far si che distruggano la pelle meno velocemente, si ammazzano conigli che non ne volevano sapere di mettersi il rimmel, si scrivono controindicazioni che annunciano che il prezzo per avere occhi più belli da giovane è che si stacchino le orecchie da vecchi, si producono centinaia di colori diversi perché nessuno si senta escluso.
Loro hanno un rossetto. Uno solo. Per tutti, per tutte.
È un rossetto naturale. È un rossetto così naturale che non ti impone nessun colore. È un rossetto così rispettoso che ti chiede che colore desideri. Lo apri, lo appoggi sulle labbra, lo stendi baciandolo, lui ti guarda, ti ascolta, sente il tuo profumo e decide di che colore diventare.
Esiste un rossetto magico in Marocco e pochi lo sanno.
Non hanno decine di colori e tonalità loro, non ne hanno bisogno.
Hanno un tale rispetto per la loro terra che le chiedono direttamente di renderli belli.
E la terra lo fa.
Hanno un solo rossetto che cambia colore a seconda di chi lo indossa, leggendone le caratteristiche della pelle.
Quasi fosse un’amica che ti guarda e ti dice “con questo stai meglio”.
E dietro a questo rossetto ho vissuto uno dei momenti di ospitalità più anomala che mi sia capitato.
Ma questo è successo dentro le mura del mercato. E tutto quello che è avvenuto dentro quelle mura merita un racconto dedicato tanto quanto quello che è successo fuori.
Fuori ho visto i personaggi delle fiabe. Ci sono e sono veri.
Fuori la tradizione musicale e spettacolare e circense tipica dei popoli nomadi o dei popoli che vivono l’Africa e il suo deserto si traduce in saltimbanchi, incantatori di serpenti, mangiafuoco, giocolieri e commedianti, venditori e compratori, maghi e imbonitori. Ho visto incantare serpenti. HO VISTO INCANTARE SERPENTI. E non me ne frega se era un trucco, io HO VISTO INCANTARE SERPENTI. Peccato che la scrittura non trasmetta anche espressioni perché se no si capirebbe quanto io abbia VISTO INCANTARE SERPENTI. E non è come vederlo qui al circo o in piazza, davvero non c’entra nulla, perché li il serpente viene incantato su terra gialla in mezzo ad aria gialla con in sottofondo una musica che non riesco a descrivere in maniera diversa da…gialla, e non sei al centro di una pista di un circo, ma in mezzo ad altri che mentre tu stai incantando il tuo serpente ce la mettono tutta sputando fuoco per distrarlo, e non si può capire quanto caoticamente meravigliosa sia una piazza come quella se non la si vive. E c’è un personaggio che si aggira nella piazza come uno strano albero di natale rosso, e per questo lo vedi da lontano. È il venditore d’acqua. Li l’acqua non è potabile, quindi la vendono. No, non come pensiamo noi, non come siamo abituati noi. Niente bottiglie ne cartocci. C’è un uomo con un costume rosso pieno di campanellini che ne annunciano l’arrivo, quest’uomo suona i suoi campanellini tanto quanto i suoi bicchieri, perché oltre che essere pieno di campanellini, ha tanti bicchieri d’argento appesi al vestito come se fosse un albero di natale. E tutto questo suona, e cammina e vende acqua che porta in una sacca sulle spalle. E non è un’attrazione per turisti, perché l’acqua che vende la vende nei bicchieri d’argento che porta addosso, e nessun turista berrebbe mai da quei bicchieri, mentre i cittadini lo fermano e comprano la sua acqua e il suo servizio. E hanno tutti la barba bianca perché fa parte del costume del venditore d’acqua, e fa un effetto molto bello, perché vedi quest’uomo con la barba bianca, vestito di rosso e d’argento con sullo sfondo quel muro giallo che circonda tutta la piazza. E quel muro ha lo stesso colore della terra, perché le città venivano costruite prendendo la terra che la stessa città offriva. E quella terra è gialla, perché tutto in Marocco ha un colore diverso da come si immagina. La terra li è gialla, e la città costruita con mattoni fatti di terra gialla, è gialla pure lei. Ed è strano, perché si crea uno strano effetto ottico di uniformità tra la terra e le case, come se non fossero state costruite dall’uomo, ma fossero spuntate autonomamente dalla terra come funghi. E anche l’aria è gialla, ma non per lo smog, ma perché tutto ciò che fa da sfondo è giallo, e di conseguenza l’aria assume lo stesso colore. E poi una volta al giorno si compie il miracolo. E bisogna augurarsi di essere li in quel momento almeno una volta nella vita, perché di miracolo si tratta.
E la gente si reca su quella piazza per assistervi anche tutti i giorni, perché di quel miracolo dopo averlo visto una volta non si può più fare a meno. E la gente lo sa che su quella piazza esiste una terrazza che è stata costruita con l’unico scopo di far assistere allo spettacolo, e su quella terrazza si va come se fosse San Pietro, solo che da noi i miracoli a San Pietro li promettono soltanto, li avvengono davvero, una volta al giorno, tutti i giorni, sempre alla stessa ora.
E tu vai li, e ti fermi sulla piazza gialla, stando in piedi su terra gialla, respirando aria gialla, circondato da una città gialla fatta di mura gialle mentre senti musica gialla.
E ad un certo punto avviene il miracolo.
È il sole diventa gigante.
E tutto diventa rosso.
E il sole gigante si appoggia su quella terra gialla che diventa fuoco sotto di lui.
E come un’onda d’urto luminosa, il rosso avanza verso di te e ti raggiunge, e la terra si fa rossa, e quando l’onda rossa raggiunge le mura del mercato le trasforma in mura rosse e la torre del minareto che fino a pochi minuti prima si stagliava gialla come un girasole sulla città, cede sotto l’esplosione e diventa una torre del minareto che si staglia rossa sulla città come una torcia. E l’aria smette di essere gialla, perché di giallo intorno non c’è più nulla e tutto si trasforma in rosso, e la terra è rossa e il muro diventa rosso e la stessa musica cambia in rosso, e non si può sapere cosa il sole sia in grado di fare finchè non lo si guarda scomparire dietro le mura di Marrakech, perché li davvero capisci cosa sia l’Africa con i suoi colori, con i suoi odori e con i suoi miracoli naturali.
E la piazza ogni giorno alla stessa ora compie questo miracolo, e la gente corre per vederlo che non sembra vero ma è così, e ogni giorno mentre si compie il miracolo, in una specie di tacito accordo tra il sole e i mercanti, avviene anche la trasformazione della piazza stessa. Non te ne accorgi, è un gioco di tempi e favori. Il sole si occupa di distrarti e di affascinarti, cosicché tu non veda che nel frattempo il mosaico umano di gente che ti coccola e ti affascina lascia il posto a quello che avverrà dopo il sole, e tu non lo vedi come avviene, semplicemente torni nella piazza e ti accorgi che si è trasformata in una cosa diversa da prima, che però come la piazza di prima ti cattura e ti affascina.
Ma questo lo racconto un’altra volta, perché non è la fine di un racconto questa, ma l’inizio.
Perché il sole non si occupa di chiudere la giornata di quella piazza, ma di segnarne il passaggio dal giallo al rosso, perché dopo di lui la piazza non è più gialla. Dopo di lui nella piazza compare il fuoco. Ed è rosso. E la piazza non va a dormire, si prepara per la sera e per la notte, che sarà viva tanto quanto il giorno. E compaiono le fiaccole, perché la notte in quella piazza e rossa, rosso fuoco. Di un rosso… beh… questa è un’altra storia.
Parla del rosso di Marrakech.
Magari un’altra volta.
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