Il problema del finto sgombero del campo rom qui in bovisa che ho il piacere di avere sotto le finestre, non è tanto il fatto che siano stati solo spostati di dieci metri, quanto il fatto che per convincerli ci sia voluta pure la polizia.
Siamo al ridicolo.
La sera prima ho partecipato ad una riunione di quartiere nella quale, sul manifesto si leggeva, si sarebbe parlato dell’emergenza del campo rom e dei veleni sui quali si trova.
In effetti il manifesto era chiaramente di parte, lo diceva a chiare lettere, insomma, che era organizzato e quindi finalizzato alla difesa del campo.
Ma ci sono andato lo stesso, volevo sentire, volevo vedere, volevo capire se e quali novità ci fossero.
Durante il quarto d’ora d’attesa mi si è accesa la luce.
Era la chiesa quella che da lì a poco si sarebbe seduta al tavolo con i microfoni.
Fino a quell’istante di illuminazione ero certo che di persone che avrebbero difeso i campo si trattava, ma colpevolmente mi ero fatto distrarre dall’aspetto politico dell’appello escludendo così che proprio di chiesa si trattava.
Sono arrivati in quattro.
L’organizzatore, una specie di Osho con poca dimestichezza con i microfoni ma innocuo dato che aveva solo compiti di agenda.
La rappresentante di un movimento interculturale.
Una tizia che all’arrivo avevo scambiato per una delle tante attiviste di sinistra e che invece è stata presentata come “Suor Carla”.
E un trentenne con scritto in faccia “Papa boy” e infatti.
Apre Osho, annunciando che prima di entrare nel cuore del problema e cioè del campo nello specifico, la suora avrebbe dato indicazioni generali sul tema, presentando dati e informazioni sul popolo rom.
Un quarto d’ora di filippica sui numeri, sulla stampa che la chiama emergenza quando in realtà sono pochissimi, sul fatto che molti sono italiani ma nessuno lo sa, sul fatto che sono in italia, pensa, dal 1400, sul fatto che rom significa “uomo”, uso smodato di parole come “cuore”, “aiuto”, “acqua” e, immancabile, “bambini”.
Il tappeto era steso.
La bandierina del senso di colpa era stata messa sul tavolo pronta a essere passata al vero specialista, il papa boy.
Prende la parola lui.
Si presenta come rappresentante dei Padri Somaschi.
Prima di iniziare si dice contento di vedere in sala anche gli stessi rom e saluta “laggiù in fondo” (sala) gli amici della comunità di Don Gelmini.
Un assedio.
Quella che a inizio serata si era fin troppo ottimisticamente mostrata come una riunione cattolica, si era a quel punto rivelata per quello che in realtà era: un assedio.
Eravamo circondati.
Davanti suore e padri somaschi, in mezzo i rom, dietro don gelmini.
Il papa boy prende la parola e apre leggendo la parabola del buon samaritano.
Partono gli interventi dei presenti in sala, tutti a favore del campo, applausi a ogni richiesta di acqua, d luce, di accoglienza, si tocca anche il picco emotivo quando uno dei rom chiede dove porterà domani i suoi 3 bambini che finalmente andavano a scuola, lo spot è completo, la sala è gelida.
Tutto il problema si sposta sui veleni presenti nel sottosuolo.
Tre ore di dati e documenti su quanto sia esplosiva la situazione del sottosuolo e quanto velenosa sia la terra sulla quale risiede.
La tesi, folle, è che essendo il problema dei veleni ben più grave di quelli causati dal campo, l’attivismo della gente, se onesto e quindi non razzista, dovrebbe occuparsi dei veleni e non dei rom.
Il risultato della tesi è che il campo va difeso perché i bambini non saprebbero dove andare a giocare e lo stato è ladro e i politici sono speculatori (il livello era altissimo, in effetti) e i rom sono gli “ultimi” (nel senso cristiano del termine) che quindi vanno aiutati e difesi, che rimarranno lì finché il comune non garantirà loro una sistemazione perché è cosa buona e giusta.
Non riassumo il resto della serata.
Troppa roba.
Ero annichilito, non riuscivo ad alzarmi e prendere la parola per mandarli tutti affanculo e spiegar loro quanto siano il vero cancro di questa società.
No, non i rom, i cattolici.
Una farsa mess’in scena con tanto di tifoseria portata da casa per mostrare che il quartiere è con loro.
Mi sarei dovuto alzare per dimostrare loro quanto siano strumentali i loro discorsi, quanto siano così meschini da comprarsi il loro posto in paradiso sulla pelle di quegli ultimi che mostrano come da loro aiutati quando al contrario hanno bisogno che rimangano sempre ben poveri, ben miseri, possibilmente ben morti.
Mi sarei dovuto alzare (ma non ce l’ho fatta, lo ammetto...ero ipnotizzato e incredulo) e affrontare il discorso della barricata contro lo sgombero dal campo dei veleni facendo loro un semplice parallelo.
Voi prendete i rom, no?
Ecco, ora aprite il libro di storia alla pagina “Sterminio nazista”.
Leggete il paragrafo delle camere a gas.
Immaginatevi la scena:
Ottocento rom vengono presi dai nazisti e portati dentro un enorme fabbricato saturato di arsenico.
Tutti, ottocento uomini, donne incinta, bambini, un sacco di bambini tutti stipati in questo fabbricato saturo di arsenico.
Fuori dal fabbricato visualizzate una centinaio di persone che vogliono farli andar via il più velocemente possibile da quel fabbricato perché ogni secondo di più gli scioglierebbe la pelle.
Immaginata la scena?
Ecco, ora prendete un trentenne rappresentante dei padri somaschi e una ventina della comunità di don gelmini e metteteli esattamente in mezzo, tra quei rom e quel centinaio di persone e visualizzateli con un crocefisso in mano a incatenarsi alla porta per far sì che non vengano fatti uscire da quel fabbricato.
Ecco, ci sono riusciti e l’hanno chiamata vittoria.
Questi sono i cattolici che aiutano i rom.
In questo momento, grazie al loro essersi messi davanti ai bulldozer, a 150 bambini si stanno sciogliendo i polmoni mentre come triciclo usano dei topi di 60 centimetri.
A loro invece si sta riempiendo il cuore di gioia e carità cristiana perché sono riusciti a tenerli lì.
Viva gesù, via la pasqua, viva il cuore di chi aiuta gli ultimi.
Si immolassero tutti, una buona volta, su una pira di dimensioni bibliche, il mondo ne guadagnerebbe e i rom (quanto meno quelli che oggi son tutti ben chiusi sulla bomba chimica) pure.
Siamo al ridicolo.
La sera prima ho partecipato ad una riunione di quartiere nella quale, sul manifesto si leggeva, si sarebbe parlato dell’emergenza del campo rom e dei veleni sui quali si trova.
In effetti il manifesto era chiaramente di parte, lo diceva a chiare lettere, insomma, che era organizzato e quindi finalizzato alla difesa del campo.
Ma ci sono andato lo stesso, volevo sentire, volevo vedere, volevo capire se e quali novità ci fossero.
Durante il quarto d’ora d’attesa mi si è accesa la luce.
Era la chiesa quella che da lì a poco si sarebbe seduta al tavolo con i microfoni.
Fino a quell’istante di illuminazione ero certo che di persone che avrebbero difeso i campo si trattava, ma colpevolmente mi ero fatto distrarre dall’aspetto politico dell’appello escludendo così che proprio di chiesa si trattava.
Sono arrivati in quattro.
L’organizzatore, una specie di Osho con poca dimestichezza con i microfoni ma innocuo dato che aveva solo compiti di agenda.
La rappresentante di un movimento interculturale.
Una tizia che all’arrivo avevo scambiato per una delle tante attiviste di sinistra e che invece è stata presentata come “Suor Carla”.
E un trentenne con scritto in faccia “Papa boy” e infatti.
Apre Osho, annunciando che prima di entrare nel cuore del problema e cioè del campo nello specifico, la suora avrebbe dato indicazioni generali sul tema, presentando dati e informazioni sul popolo rom.
Un quarto d’ora di filippica sui numeri, sulla stampa che la chiama emergenza quando in realtà sono pochissimi, sul fatto che molti sono italiani ma nessuno lo sa, sul fatto che sono in italia, pensa, dal 1400, sul fatto che rom significa “uomo”, uso smodato di parole come “cuore”, “aiuto”, “acqua” e, immancabile, “bambini”.
Il tappeto era steso.
La bandierina del senso di colpa era stata messa sul tavolo pronta a essere passata al vero specialista, il papa boy.
Prende la parola lui.
Si presenta come rappresentante dei Padri Somaschi.
Prima di iniziare si dice contento di vedere in sala anche gli stessi rom e saluta “laggiù in fondo” (sala) gli amici della comunità di Don Gelmini.
Un assedio.
Quella che a inizio serata si era fin troppo ottimisticamente mostrata come una riunione cattolica, si era a quel punto rivelata per quello che in realtà era: un assedio.
Eravamo circondati.
Davanti suore e padri somaschi, in mezzo i rom, dietro don gelmini.
Il papa boy prende la parola e apre leggendo la parabola del buon samaritano.
Partono gli interventi dei presenti in sala, tutti a favore del campo, applausi a ogni richiesta di acqua, d luce, di accoglienza, si tocca anche il picco emotivo quando uno dei rom chiede dove porterà domani i suoi 3 bambini che finalmente andavano a scuola, lo spot è completo, la sala è gelida.
Tutto il problema si sposta sui veleni presenti nel sottosuolo.
Tre ore di dati e documenti su quanto sia esplosiva la situazione del sottosuolo e quanto velenosa sia la terra sulla quale risiede.
La tesi, folle, è che essendo il problema dei veleni ben più grave di quelli causati dal campo, l’attivismo della gente, se onesto e quindi non razzista, dovrebbe occuparsi dei veleni e non dei rom.
Il risultato della tesi è che il campo va difeso perché i bambini non saprebbero dove andare a giocare e lo stato è ladro e i politici sono speculatori (il livello era altissimo, in effetti) e i rom sono gli “ultimi” (nel senso cristiano del termine) che quindi vanno aiutati e difesi, che rimarranno lì finché il comune non garantirà loro una sistemazione perché è cosa buona e giusta.
Non riassumo il resto della serata.
Troppa roba.
Ero annichilito, non riuscivo ad alzarmi e prendere la parola per mandarli tutti affanculo e spiegar loro quanto siano il vero cancro di questa società.
No, non i rom, i cattolici.
Una farsa mess’in scena con tanto di tifoseria portata da casa per mostrare che il quartiere è con loro.
Mi sarei dovuto alzare per dimostrare loro quanto siano strumentali i loro discorsi, quanto siano così meschini da comprarsi il loro posto in paradiso sulla pelle di quegli ultimi che mostrano come da loro aiutati quando al contrario hanno bisogno che rimangano sempre ben poveri, ben miseri, possibilmente ben morti.
Mi sarei dovuto alzare (ma non ce l’ho fatta, lo ammetto...ero ipnotizzato e incredulo) e affrontare il discorso della barricata contro lo sgombero dal campo dei veleni facendo loro un semplice parallelo.
Voi prendete i rom, no?
Ecco, ora aprite il libro di storia alla pagina “Sterminio nazista”.
Leggete il paragrafo delle camere a gas.
Immaginatevi la scena:
Ottocento rom vengono presi dai nazisti e portati dentro un enorme fabbricato saturato di arsenico.
Tutti, ottocento uomini, donne incinta, bambini, un sacco di bambini tutti stipati in questo fabbricato saturo di arsenico.
Fuori dal fabbricato visualizzate una centinaio di persone che vogliono farli andar via il più velocemente possibile da quel fabbricato perché ogni secondo di più gli scioglierebbe la pelle.
Immaginata la scena?
Ecco, ora prendete un trentenne rappresentante dei padri somaschi e una ventina della comunità di don gelmini e metteteli esattamente in mezzo, tra quei rom e quel centinaio di persone e visualizzateli con un crocefisso in mano a incatenarsi alla porta per far sì che non vengano fatti uscire da quel fabbricato.
Ecco, ci sono riusciti e l’hanno chiamata vittoria.
Questi sono i cattolici che aiutano i rom.
In questo momento, grazie al loro essersi messi davanti ai bulldozer, a 150 bambini si stanno sciogliendo i polmoni mentre come triciclo usano dei topi di 60 centimetri.
A loro invece si sta riempiendo il cuore di gioia e carità cristiana perché sono riusciti a tenerli lì.
Viva gesù, via la pasqua, viva il cuore di chi aiuta gli ultimi.
Si immolassero tutti, una buona volta, su una pira di dimensioni bibliche, il mondo ne guadagnerebbe e i rom (quanto meno quelli che oggi son tutti ben chiusi sulla bomba chimica) pure.
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